20
lug
Perfino il film "Avatar" ha avuto una sua versione gioco per iPhone.
Torno sull’argomento della nostra identità nella Rete, già accennato a inizio estate nel post sulla “gamification”. Mi ha colpito una notizia: un sito promette sconti significativi in cambio di “frammenti di identità”: se rispondi a un questionario, se ti lasci intervistare, l’oggetto che desideravi ti costerà di meno. Una sorta di asta informativa: ogni rivelazione uno sconto.
In un certo senso il re è nudo. Nell’internet non esiste nulla di gratuito. Per avere ciò che vogliamo paghiamo con la moneta di ciò che siamo, che preferiamo, che sappiamo: gusti, conoscenze, informazioni su di noi e sul nostro ambiente.
Inoltre ciò che è dato è dato per sempre, niente viene mai più dimenticato e tutto viene collegato in maniere infinite e inimmaginabili. Attenzione al “gratis”, se in cambio vi chiedono di riempire moduli infiniti: che gl’importa del vostro telefono, della via dove abitate, di quanti siete in famiglia?
Nel campo dei videogiochi una rivoluzione diversa e più sincera è successa con le miriadi di offerte che affollano il mondo Apple di iPhone e iPad. AppStore, il supermarket virtuale, contiene migliaia di applicazioni e giochi “gratuiti” o a basso prezzo. In questo caso è il numero di acquirenti che fa la differenza: un vantaggio per il singolo, che spende poco. Inoltre molte applicazioni gratuite vanno poi acquistate se ci si trova bene e si vuole la versione completa. Ma anche qui, attenzione: proprio perché basta un click per comprare, si fa presto a trovarsi al verde…
Ecco qui una delle infinite recensioni di giochi e applicazioni per il mondo Apple:
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20 luglio 2011 - Commenti
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07
lug
Duke Nukem, un capostipite dei videogiochi "sparatutto"
Su questo blog ho parlato di recente della decisione che la Corte Suprema statunitense ha preso la scorsa settimana negando allo Stato della California il permesso di vietare la vendita di videogiochi violenti (ecco il link).
Riprendo l’argomento per sottolineare un principio di cui sono convinto: non è la violenza il principale nemico dei nostri figli. È la solitudine. È restare soli davati a un mondo ostile.
Viviamo in un’era in cui le regole formali tendono a diventare il baluardo della nostra cattiva coscienza. Le leggi che dovrebbero essere promulgate per arginare i comportamenti antisociali e criminali, sempre più spesso inseguono le trasgressioni come continui rammendi su una camera d’aria vecchia. Quando, addirittura, non finiscono per coprire con la cappa della giustizia quelle che sono vere e proprie prevaricazioni.
Come altre forme espressive, i videogiochi rappresentano il nostro mondo e l’idea che ne abbiamo. Immagini e visioni della realtà che comunque non sapremmo nascondere, rispecchiano la condotta di tanti. Il romanzo più realistico, il film più crudo, sono niente a paragone della vita quotidiana attorno a noi, e del compiacimento con cui spesso viene descritta nei suoi aspetti atroci. Il videogioco più violento è una pallida imitazione delle azioni che ogni giorno uomini e donne veri mettono in atto. (Nel video, qui, un trailer di Manhunt 2, così agghiacciante che nel 2007 fu deciso di non commercializzarlo in Usa e in buona parte d’Europa, Italia compresa).
Questo non vuol dire che tanto vale lasciare campo libero a ciò che i nostri ragazzi possono guardare o fare. Vuol dire, invece, che l’unico vero rimedio alla violenza nasce e vive in famiglia, tramite presenze libere, innamorate, sollecite. O non ci sarà legge né divieto che basti.
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07 luglio 2011 - Commenti
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05
lug
L'agreste mondo di Farmville, su Facebook: oltre 80 milioni di giocatori
Una nuova parola si diffonde nella rete: “gamification”. Significa qualcosa come “dare forma di gioco”. Ovvero, sfruttare caratteristiche dei videogiochi per rendere attraenti altri generi di interazione, come la consultazione di un sito, la composizione di un questionario, la risposta a un annuncio pubblicitario che prevede la consegna di dati personali. Esistono anche gli “advergames”, parola-sintesi fra advertising, pubblicità, e games, giochi. Sembra essere qui parte del futuro della pubblicità online.
Anche Facebook ha alcune caratteristiche che richiamano i videogiochi. Per esempio il meccanismo “mi piace” innesca l’emulazione ed è una sorta di punteggio che premia un’opinione scritta sulla bacheca elettronica.
Facebook è andato pure arricchendosi di giochi in senso stretto. Il più noto è Farmville, ovvero una fattoria virtuale nella quale si deve coltivare, irrigare, mungere. Questo richiede attenzione, perché se non si accudiscono campi e bestiame quando è tempo, tutto va a male. È un gioco semplice, quasi noioso. È anche una specie di catena di sant’Antonio, perché altri giocatori “amici” di Facebook regalano sementi, utensili, animali e chiedono aiuti. Ha avuto enorme diffusione (83 milioni di utenti al mese), tale da far pensare che più del gioco sia sentito come importante il mantenere questa catena di obblighi e scambi. È gratuito salvo acquistare elementi per passare di livello: piccole transazioni che moltiplicate per tanti fanno cifre notevoli. Ci sono state anche controversie per vendite di servizi camuffate da offerte.
Ecco il video girato da un giocatore:
Certamente si possono immaginare e realizzare giochi positivi, simpatici, “sociali” e davvero gratuiti. Conviene tener presente che far venire e restare le persone in un luogo in cui vendere (o sottrarre) loro qualcosa è comunque un obiettivo che ingolosisce molti.
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05 luglio 2011 - Commenti
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