Duke Nukem, un capostipite dei videogiochi "sparatutto"
Su questo blog ho parlato di recente della decisione che la Corte Suprema statunitense ha preso la scorsa settimana negando allo Stato della California il permesso di vietare la vendita di videogiochi violenti (ecco il link).
Riprendo l’argomento per sottolineare un principio di cui sono convinto: non è la violenza il principale nemico dei nostri figli. È la solitudine. È restare soli davati a un mondo ostile.
Viviamo in un’era in cui le regole formali tendono a diventare il baluardo della nostra cattiva coscienza. Le leggi che dovrebbero essere promulgate per arginare i comportamenti antisociali e criminali, sempre più spesso inseguono le trasgressioni come continui rammendi su una camera d’aria vecchia. Quando, addirittura, non finiscono per coprire con la cappa della giustizia quelle che sono vere e proprie prevaricazioni.
Come altre forme espressive, i videogiochi rappresentano il nostro mondo e l’idea che ne abbiamo. Immagini e visioni della realtà che comunque non sapremmo nascondere, rispecchiano la condotta di tanti. Il romanzo più realistico, il film più crudo, sono niente a paragone della vita quotidiana attorno a noi, e del compiacimento con cui spesso viene descritta nei suoi aspetti atroci. Il videogioco più violento è una pallida imitazione delle azioni che ogni giorno uomini e donne veri mettono in atto. (Nel video, qui, un trailer di Manhunt 2, così agghiacciante che nel 2007 fu deciso di non commercializzarlo in Usa e in buona parte d’Europa, Italia compresa).
Questo non vuol dire che tanto vale lasciare campo libero a ciò che i nostri ragazzi possono guardare o fare. Vuol dire, invece, che l’unico vero rimedio alla violenza nasce e vive in famiglia, tramite presenze libere, innamorate, sollecite. O non ci sarà legge né divieto che basti.
Pubblicato il 07 luglio 2011 - Commenti (0)