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Bambini, la violenza nei videogiochi
Alien verso Predator: nei videogiochi l’interazione fa partecipare in prima persona. Non si assiste, si agisce.
Scrive una lettrice: “Sono la mamma di un ragazzo di 12 anni. Abbiamo sempre proibito l’acquisto di giochi con la scritta 12+, ultimamente abbiamo ceduto alle pressanti richieste acquistando un gioco per così dire vietato. Si è rivelato un errore perché il gioco è decisamente violento. Vorrei delle delucidazioni in merito ai giochi elettronici e alle loro classificazioni con qualche consiglio per noi genitori”.
Ribadisco che la suddivisione per fasce di età che compare sulle copertine dei videogiochi è attendibile. Quasi sempre le caratteristiche dei contenuti vengono evidenziate in dettaglio.
Il concetto di “violenza”, in questi decenni di incertezza sui fondamenti, è divenuto sempre più problematico. Siamo tutti contagiati da un clima violento che trascende qualsiasi censura e dilaga nella tv, nelle strade, nelle relazioni. Occorre d’altra parte evitare di confondere le cause con gli effetti. La storia della nostra civiltà ha raffigurato la violenza in molti contesti e non tutti diseducativi. “Violento” è il teatro di Shakespeare, la Divina Commedia, “violenti” perfino la Bibbia e il Vangelo. La violenza non coincide col perbenismo e non è corretto – tanto più per educatori – schierarsi a priori contro qualsiasi forma di difesa, anche risoluta, del bene e del vero.
La violenza sta nell’impatto che avviene tra il “mondo” contenuto nel gioco e lo spirito di un bambino, se questi non è pronto per recepirlo. Però molti videogiochi sono violenti né più né meno come i cartoni animati, che si basano sull’esasperazione caricaturale delle relazioni bene-male, in sé corrette. Tutti i bambini equilibrati distinguono le metafore e le trasposizioni narative. La miglior cautela è accompagnarli.
Pubblicato il 24 febbraio 2011 - Commenti (2)