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Da PacMan in poi

Una versione recente del classico gioco PacMac in 3d
Una versione recente del classico gioco PacMac in 3d

Conviene riflettere attentamente sui “mondi virtuali”. Un giornalista, qualche giorno fa, intervistandomi sui videogiochi ha cominciato col chiedermi se giocarci eccessivamente possa essere più dannoso rispetto a “giocare con i giochi reali”. La prima cosa che mi è venuto in mente di rispondergli è che si sbagliava: non è vero che altri giochi siano reali e i videogiochi no. Siamo reali noi che giochiamo, è reale il tempo che impieghiamo, sono reali anche le persone che hanno inventato i “mondi digitali” in cui si gioca.

Così come accade per Facebook e tante altre attività mediate dai supporti elettronici interattivi – pc, tablet, smartphone… –, dobbiamo abituarci alla considerazione che si tratta di nuovi territori del solito vecchio mondo. Li frequentiamo, li “abitiamo”, rimanendo noi stessi. Anzi, è bene essere ancor più radicali: la Rete mondiale non è la somma delle macchine che la affollano, bensì l’insieme delle persone che usano quelle macchine per mettersi in relazione fra loro.

"Pac-Man" è nato nel 1980 per le sale giochi. Da allora si sono susseguite innumerevoli versioni.
"Pac-Man" è nato nel 1980 per le sale giochi. Da allora si sono susseguite innumerevoli versioni.

Immergersi in un videogioco equivale ad aprire le pagine di un libro. Poi, però, subentra qualcosa che in un libro non c’è. Da una parte l’interazione in prima persona, da protagonisti. Dall’altra parte, sempre più spesso, l’incontro con altre persone reali, che come noi si avvalgono di una “maschera digitale” per muoversi e comunicare. La stessa cosa accade su Facebook, e infatti l’attività del social network più famoso si è volentieri allargata, in questi anni, ad attività di gioco esplicito.

Ma era così già ai tempi del “vecchio” PacMan: ricordate? L’insaziabile faccina gialla che correva qua e là per lo schermo divorando tutto ciò che incontrava e schivando ancor più affamati fantasmini che lo inseguivano. Era un gioco semplice, senza effetti speciali. Eppure l’immedesimazione era forte e reale. PacMan è sempre lì, che gioca sotto le spoglie appariscenti di tanti videogiochi moderni, ma anche dietro i frenetici scambi di messaggi di tanti frequentatori di social network.

La metafora di Pac-Man torna buona: non facciamoci "mangiare" dall'idea che la realtà sia scissa fra "reale" e digitale. Non è vero. Siamo sempre noi, e la vita è una. Le nostre azioni ci seguono anche mentre giochiamo e chattiamo.

Già che ci siamo, oggi Pac-Man è diventato un vero e proprio "archetipo ludico": tra le innumerevoli idee sviluppate a partire dal gioco (basta farsi un giro su YouTube), ho scelto il "musical" del video qui sotto, caricato da Random Incounters, un "canale" di YouTube che ama questo genere di rappresentazioni:

Pubblicato il 19 marzo 2012 - Commenti (0)

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Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l’era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

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