Don Sciortino

di Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Dal 2000 è responsabile dell'Ufficio tratta dell'Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l'ha nominata Commendatore della Repubblica italiana.

03
giu

Famiglia, torna a essere te stessa

Pur non avendo avuto la possibilità di essere presente a Milano per l’Incontro Mondiale delle Famiglie 2012, insieme alle migliaia di famiglie provenienti da tutto il mondo, desidero condividere alcune riflessioni sulla bellezza e la ricchezza che racchiude ogni nucleo familiare. Un uomo e una donna, uniti nell’amore e nella donazione reciproca, quasi sempre arricchita dal dono dei figli, sono la prima e più significativa “cellula della società”, su cui poggia tutto l’ordinamento umano, sociale e religioso. Come tale la famiglia deve essere riconosciuta e valorizzata, protetta e aiutata perché possa essere artefice di crescita e sviluppo di ogni società.

Penso, infatti, con viva riconoscenza al dono della mia famiglia. Essendo l’ultima di cinque sorelle e un fratello, ho potuto godere delle tante premure, esempi, affetto e sostegno che mi hanno poi accompagnato durante tutto il mio lungo cammino di servizio a Dio e alla missione. In questi giorni in cui ho celebrato il mio cinquantesimo di professione religiosa, è sempre stato vivo in me il ricordo del contributo della mia famiglia, nonché della mia comunità parrocchiale, per la piena realizzazione del progetto di Dio nella mia vita.

Infatti, la comunità parrocchiale, quale famiglia di famiglie o famiglia allargata, come viene concepita in modo speciale in Africa, si prende cura dei suoi figli e figlie che sono la più grande ricchezza. La famiglia è sempre la prima scuola di vita, dove possono sbocciare anche le vocazioni di speciale discepolato per un servizio all’umanità, che si esprime e realizza in modi e forme diverse, se trova il terreno fecondo per capire e cogliere l’invito di un nuovo: “Vieni e seguimi!”.

Le madri, in particolare, hanno sempre un ruolo specialissimo da compiere nella famiglia perché sanno intuire, capire, mediare, perdonare ed essere sempre ponti di riconciliazione e di pace.

Nei lunghi anni passati in Africa, ho potuto costatare in tante situazioni e contesti come sempre la presenza della donna contribuisca alla crescita della vita, mettendo in campo le sue capacità, talenti e intuizione di donna e di madre. Ed è proprio la donna che anche nella comunità cristiana ha un ruolo di vitale importanza. La Chiesa in Africa si sviluppa e cresce proprio grazie alla presenza e alla laboriosa creatività delle donne, che con le loro capacità e intuizioni materne sanno costruire la famiglia di Dio. Sono loro le madri generatrici di vita non solo biologica, bensì della vita in abbondanza trasmessa da Cristo alla sua Chiesa.

Sono sempre più convinta che, come nella famiglia naturale, anche nella Chiesa la presenza della donna/madre ha un posto e un ruolo specifico da compiere. Più che mai si sente oggi il bisogno che anche nella Chiesa il“genio femminile” così tanto proclamato e promosso dal Beato Giovanni Paolo II, deve essere maggiormente riscoperto e valorizzato se vogliamo parlare di una “Chiesa Madre” che si prende cura dei suoi figli. Chi più di della donna può presentare il “volto materno di Dio”, che non solo è Padre ma anche madre?

Nella Chiesa abbiamo avuto tante donne che hanno rivelato questo volto materno di Dio attraverso la loro testimonianza, come ha fatto una delle tante donne riconosciute dalla Chiesa come Santa Gianna Berretta Molla, che ha dato la sua vita per generare e far crescere un’altra vita.

Questo vuol dire essere madre oggi anche nella famiglia di Dio. Ma questo ruolo deve essere maggiormente riconosciuto e valorizzato anche dagli stessi pastori della Chiesa, che sono chiamati a cogliere i nuovi segni dei tempi e ad aprirsi a una maggior collaborazione, fiducia, apprezzamento nonché a favorire la presenza della donna nei vari ambiti della Chiesa e delle  comunità cristiane. Ruoli non solo operativi ma anche direttivi, di pensiero, di organizzazione e formazione senza aver paura della sua presenza e delle sue capacità.

Quanto sarebbe più ricca e più credibile la Chiesa se apprezzasse maggiormente la presenza del genio femminile nelle sue varie organizzazioni!

L’esempio di Cristo che ha incontrato ogni genere di donne e le ha apprezzate, valorizzate e inviate ad annunciare la vita vera che sboccia anche dalla sofferenza e dalla stessa morte, è molto eloquente e invita tutti noi a saper riscoprire in ogni donna e madre la figura di Maria, la donna per eccellenza, madre vera della Chiesa e dell’umanità. Maria invita ogni donna a essere madre della piccola chiesa domestica, madre delle comunità cristiane e madre della stessa Chiesa. Solo così potremo riscoprire come la famiglia può e deve essere considerata “il patrimonio principale dell’umanità”, come è stata definita da Benedetto XVI durante il discorso a Milano per l’apertura dell’Incontro Mondiale delle Famiglie.

Pubblicato il 03 giugno 2012 - Commenti (0)
28
mag

Donne e fede tra paure e speranza

Venerdì 25 maggio ho partecipato a Vicenza a una tavola rotonda nell’ambito dell’VIII Festival Biblico, insieme a Marina Corradi, giornalista di Avvenire, e Armando Matteo, teologo e scrittore. Moderava la conversazione Roberto Fighetto caporedattore cultura di Avvenire. Da alcuni anni Vicenza ospita questo grande evento che offre a migliaia di persone momenti di riflessione e confronto su tematiche di grande importanza per la società odierna, per tanti motivi smarrita e confusa e in cerca di parole di vita e di speranza nella Scrittura. Siamo tutti assai preoccupati della crisi economico-finanziaria che ha sconvolto le nostre vite e le nostre abitudini, ma forse dovremmo riflettere maggiormente anche sulla crisi etica e di valori per riscoprire motivi di speranza su cui poggiare la nostra vita. La saggezza della Scrittura (Mt. 7, 24-27) ci ricorda che per troppi anni la nostra società del benessere a ogni costo e del consumo senza regole ha cercato di costruire sulla sabbia molti castelli. Molti di questi sono crollati alle prime difficoltà, anche per mancanza di senso del sacrificio, dell’onestà e della responsabilità. Di fronte all’attuale crisi anche noi cristiani ci siamo lasciati prendere dal panico, dalla paura e dallo sconforto. Non sappiamo più trovare motivi di coraggio e di speranza e ci lasciamo prendere dall’angoscia e a volte anche dalla disperazione perché forse ci rendiamo conto che la nostra costruzione non aveva fondamenta e che all’abbattersi delle intemperie tutto è crollato. Invece, solo la speranza può sconfiggere tutte le paure che ci portiamo dentro. Ma è proprio quando la barca cerca di affondare a causa della burrasca che anche noi, come gli apostoli, sentiamo il bisogno di gridare: «Signore salvaci». La sua risposta non può essere che la stessa: «Uomini di poca fede perché avete dubitato?» (Mt. 14,3). Perché continuate a basare le vostre speranze semplicemente sulle vostre capacità e forze, che sono pur sempre necessarie ma limitate, e non vi rendete conto che il Padre Celeste ha cura dei suoi figli. Ci dice infatti: «Osservate come crescono i gigli del campo, non lavorano e non filano, eppure neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta"» (cfr. Mt 6, 28-33). Ecco dove si appoggia la nostra speranza cristiana anche nei momenti di maggior difficoltà. E tutto questo me lo hanno insegnato soprattutto le donne africane, che non si sono mai arrese e disperate di fronte alla loro povertà endemica. Altro che crisi economica! Loro, in condizioni di povertà estrema, hanno continuato a mettere in campo con coraggio tutte le loro energie, unite alla fiducia e alla speranza che il Signore non le avrebbe abbandonate. Anche di fronte alle prove più difficili la loro frase più frequente era: «Ngai are ho», che significa: «Il Signore c’è». Il Signore provvede, il Signore non ci abbandona. Questa fiducia, però, non impediva loro di darsi da fare in tutti i modi, nonostante i pochi strumenti che avevano a disposizione, per continuare con tenacia, coraggio, determinazione, ingegno e laboriosità a procurare il necessario per la famiglia e da condividere con chi era più povero di loro. Forse è proprio questo che è carente nella nostra società moderna. Abbiamo dimenticato che la condivisione dei beni crea sempre comunione e speranza, perché contribuisce al vero bene comune. Le donne africane vivono ancora oggi l’esperienza dei primi cristiani, quando «nessuno mancava del necessario» (Atti 4,34-37). Purtroppo, nella nostra società, oggi abbondano i casi di corruzione che vedono coinvolte personalità a tutti i livelli: imprese, organizzazioni, partiti, e anche del governo. Persone che dovrebbero essere modelli di onestà e legalità e che hanno impoverito tutta la società non solo per quanto hanno rubato, ma anche per il disprezzo dei valori umani e sociali. Grazie a Dio, l’Italia può ancora contare su tanti volontari, con molte donne in prima linea, che ogni giorno con il loro servizio e la loro dedizione offrono speranza e sollievo a tante persone che vivono nell’indigenza e che hanno bisogno di trovare aiuto per superare le difficoltà causate ancora una volta dai nostri squilibri di potere.

Pubblicato il 28 maggio 2012 - Commenti (0)
22
mag

Cinquant’anni di servizio alla missione

Ogni anno, dal 1962, il 22 maggio è sempre stato un anniversario che ho celebrato con tanta gioia e riconoscenza perché mi ricordava il giorno in cui, nella casa del noviziato delle suore missionarie della Consolata di Sanfrè, insieme ad altre 17 giovani sorelle piene di vita ed entusiasmo, pronunciavo il mio “sì”, senza se e senza ma, per una donazione totale a Cristo per la missione ad gentes.
Sono passati esattamente cinquant’anni. Quest’anno, infatti, l’anniversario segna una pietra miliare su cui scrivere il numero 50. Ossia il traguardo di un lungo cammino prima in Africa per 24 anni, vissuto soprattutto con ragazze e donne per renderle sempre più coscienti del loro ruolo e della loro dignità, nonché artefici del loro futuro. E, dal 1993, in Italia, dove ho cominciato a conoscere il mondo della notte e della strada, ovvero quello della tratta di esseri umani per lo sfruttamento sessuale.

Ed è stato proprio a contatto con questa nuova e triste realtà, vissuta da tante giovani, specialmente africane, che il Signore mi chiamava ancora una volta a cambiare i miei sogni e desideri per seguire il suo “progetto” come già fece nel lontano 1954 quando, leggendo la storia di suor Eugenia Cavallo, missionaria della Consolata uccisa in Kenya dai Mau Mau, Lui mi chiamava a donare la mia giovane vita, a lasciare la mia famiglia e il mio paese per seguirLo in una nuova avventura missionaria.

Il ricordo di questo giubileo è stato celebrato nella sede centrale dell’USMI di Roma, dove ci siamo trovate in tanti, tra religiose e laici. Padre Antonio Rovelli, missionario della Consolata, ha celebrato l’Eucaristia per rendere grazie al Signore, a questo Dio fedele cha ancora oggi passa sulle nostre strade e continua a scegliere e chiamare i suoi discepoli per mandarli nel mondo a testimoniare il suo amore e la sua predilezione per i poveri, i piccoli, gli emarginati gli sfruttati. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, perché andiate e portiate frutto…» (Gv. 15)
Durante la celebrazione, mentre ringraziavo il Signore per il dono di questa sua chiamata, ho ripercorso le tappe della mia lunga vita. Davanti alla comunità ho rinnovato la mia professione come missionaria della Consolata e, subito dopo l’offertorio, ho voluto ricordare con offerte simboliche quanti mi hanno accompagnato in questo cammino. La mia vita e il mio servizio si sono infatti intrecciati con quelli di tante altre persone, che mi hanno aiutata a realizzare il progetto di Dio.

In particolare, ho voluto offrire delle catene e con esse la sofferenza di tante giovani donne incontrate in questi anni in Italia e in altre parti del mondo, schiavizzate dai nostri sistemi di vita e di consumo. E ho voluto ringraziare per il servizio di tante religiose e operatori che lavorano con amore e dedizione per il recupero di queste giovani donne, affinché trovino la forza e il coraggio di spezzare gli anelli della loro terribile catena di schiavitù e morte e riscoprire la gioia di essere nuovamente donne libere e artefici del loro futuro.
Solo creando una forte rete di comunione possiamo diventare una vera forza per continuare a spezzare tutte le catene delle nuove e moderne schiavitù e per ridare a ogni persona il coraggio di riappropriarsi della propria dignità e di vivere la gioia della propria libertà. Solo così potremo gridare: «Mai più schiave!».

Pubblicato il 22 maggio 2012 - Commenti (0)
10
mag

Lotta alla tratta degli esseri umani

“La lotta alla tratta di esseri umani”. È il titolo di una speciale conferenza che si è tenuta ieri, 8 maggio, a Roma, nella sede del Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace. Promotore di questo particolare evento a Roma è stato nientemeno che l’Ufficio per le politiche migratorie della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles che ha voluto coinvolgere in questo incontro due dicasteri vaticani di particolare interesse: il Pontificio consiglio di Giustizia e Pace e quello per la Pastorale dei Migranti e Itineranti.
L’obiettivo: far emergere ancora una volta l’importanza del lavoro di rete tra tutte le forze politiche e religiose, di associazionismo e di volontariato che operano nel delicato e difficile campo della lotta contro il traffico di esseri umani. L’incontro di Roma dava continuità a un primo seminario sulla “Tratta di esseri umani” che si era svolto lo scorso dicembre a Londra, sempre organizzato dal Forum delle migrazioni cattoliche della Conferenza dei vescovi.

Io pure ero stata invitata a condividere con un folto gruppo di 120 partecipanti l’esperienza che da anni stiamo portando avanti in Italia e non solo, come religiose, in collaborazione con vari enti del pubblico e del privato, per sconfiggere questa terribile piaga della tratta di persone, specie per la compravendita del corpo di tante giovani ingannate e sfruttate.

La conferenza di ieri aveva lo scopo di offrire una maggior visibilità al problema e soprattutto cercare di incidere più decisamente nel dare risposte concrete, con l’obiettivo fondamentale di restituire rispetto e dignità alle persone. Il tutto, coinvolgendo una vasta rappresentanza di istituzioni-chiave, rappresentanti di governo e di Chiesa, ambasciatori di vari Paesi, interessati perché di origine, transito o destinazione delle persone trafficate, nonché le forze dell’ordine impegnate contro la criminalità.
Erano inoltre presenti rappresentanti di vari enti e istituzioni che da anni si battono su diversi livelli: prevenire il reclutamento, specialmente nei Paesi poveri (o impoveriti dai nostri stessi sistemi di vita); proteggere le vittime di tale traffico e sfruttamento e soprattutto offrire soluzioni alternative attraverso un’adeguata reintegrazione sociale sia nel Paese di origine che di destinazione.

La condivisione che mi è stata chiesta verteva sull’importanza e sulla forza del lavoro di rete. L’esperienza delle religiose italiane, che è andata rafforzandosi in questi anni, specialmente attraverso l’accoglienza nelle nostre stesse case, è un segno che colpisce e stimola le Conferenze di religiose di altri Paesi. Le interroga e le spinge ad assumere questa nuova emergenza, quale “segno dei tempi”, e le aiuta anche a rivitalizzare e attualizzare i loro stessi carismi di fondazione.

Durante la mattinata non è mancata la voce - interrotta più volte dalla commozione - di una giovane vittima, che ha raccontato, nel più assoluto silenzio e rispetto, la sua storia di inganno, illusione, maltrattamenti, disprezzo, solitudine, prima di trovare aiuto e ottenere una possibilità di riscatto. Oggi questa giovane donna ha ritrovato identità, dignità e libertà, ma purtroppo non ha ancora del tutto superato il trauma psicologico, morale e spirituale vissuto all’età di 18 anni.

Mentre ascoltavo, pure io commossa e indignata per quello che aveva dovuto subire, rivedevo i volti di tante giovani incontrate sulle strade del nostro Paese e riascoltavo le loro storie, le loro sofferenze, il loro grido di aiuto. E mi domandavo: fino a quando la nostra società con la sua perdita di valori veri e umani, del rispetto e dell’accoglienza, rimarrà sorda e indifferente di fronte a questo grido? Perché ancora oggi nel nostro Paese non si parla della costante richiesta di sesso a pagamento che tiene imprigionate tante giovani donne e lo si giustifica in mille modi? Perché si continuano a trasmettere modelli culturalmente e moralmente sbagliati soprattutto ai nostri giovani? E perché le nostre istituzioni di governo e di Chiesa, che hanno responsabilità sociale e morale - anche attraverso parrocchie, scuole, mezzi di comunicazione… - non parlano quasi mai di questo grosso problema della “domanda”?
I milioni di clienti che acquistano sesso a pagamento contribuiscono a sostenere i guadagni dei trafficanti e a tenere schiave nel nostro Paese, che si dice civile e cattolico, migliaia di donne sfruttate e abusate.

Ancora una volta il Convegno ha voluto lanciare un forte appello alla coesione, al mettere in comune le nostre forze e la nostra capacità di lavorare in rete. Un lavoro che richiede davvero un grande sforzo; ciascuno di noi deve offrire il proprio contributo per spezzare per sempre tutti gli anelli di questa orribile catena.

Pubblicato il 10 maggio 2012 - Commenti (1)
19
apr

Grazie, padre di una grande famiglia!

Grazie Santità per il Suo ministero pastorale. Lunedì scorso, 16 aprile, ci siamo unite a tutta la Chiesa per ringraziare il Signore per il dono della Sua lunga vita a servizio della Chiesa e dell’umanità e oggi, 19 aprile, abbiamo un altro motivo per esprimere la nostra riconoscenza al Signore per l’anniversario del Suo ministero pastorale come guida del gregge di Cristo.

Questi sette anni di servizio alla Chiesa universale sono stati intensi e impregnati di sollecitudine per la Chiesa e per i suoi figli, specialmente attraverso i Suoi insegnamenti per aiutare ogni persona a scoprire la bellezza e ricchezza di sentirsi figli e figlie amate da quel Dio che è Padre di tutti, senza esclusione o preferenze. Santo Padre, come non ricordare il Suo insistere sul dono e rispetto per la vita, ogni vita, dal suo concepimento fino al termine della propria esistenza? Come non pensare ai Suoi messaggi e interventi a favore della pace, della riconciliazione, della fratellanza tra i popoli perché impariamo a vivere da veri fratelli e sorelle? Come non ricordare i Suoi insegnamenti sulla dignità e rispetto per ogni persona, particolarmente della donna che purtroppo ancora oggi subisce in tanti luoghi e in tanti modi esclusione, umiliazione, violenza e sfruttamento?

Questo messaggio vuole essere l’espressione corale di tante religiose e missionarie che condividono sulle strade del mondo il Suo insegnamento ed esempio di donazione totale a favore di tante persone bisognose di attenzione e accoglienza: degli immigrati, di donne e minori vittime di tratta di esseri umani, dei poveri, degli ultimi, dei bambini, dei senza casa e senza lavoro, tutti bisognosi di speranza, di amore, di compassione, misericordia e consolazione.

E oggi vorrei proprio essere voce di ognuno di loro per esprimere un grazie sincero a Vostra Santità, con la promessa di un ricordo riconoscente per tutte le Sue intenzioni pastorali unito ad un augurio di poter continuare ancora per tanti anni ad esserci pastore e guida sicura di tutto il gregge che gli è stato affidato dal Risorto: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”.

Pochi mesi prima che iniziasse la terribile guerra in Libia sono stata a Tripoli per alcuni giorni per rendermi conto della situazione di tante donne africane, soprattutto nigeriane, che arrivavano sulle coste italiane dopo aver sostato in Libia per parecchi mesi. Purtroppo molte di loro, una volta sbarcate sulle nostre coste, venivano respinte e riportate in Libia, dove erano rinchiuse nelle terribili prigioni che ho potuto visitare insieme alle religiose che operano sul territorio. Commovente l’incontro con un gruppo di giovani africani che, dopo aver saputo della mia provenienza da Roma, hanno avuto un sussulto di gioia e di speranza, chiedendomi di andare a visitare il Papa, di portargli i loro saluti e dirgli: “Le vogliamo bene!”.

Santità, oggi Le ridico questo loro desiderio che è pure il nostro e quello di tutte le persone che accogliamo e aiutiamo a ritrovare dignità e legalità perché nessuno si senta straniero, ma tutti parte di una grande famiglia, dove riconosciamo la Sua paternità di tutto il popolo di Dio. Santità anche noi Le vogliamo bene e la ringraziamo per il suo instancabile servizio alla verità. Accetti i nostri auguri di buon compleanno e di una fruttuosa continuazione del Suo ministero Petrino. Ad multos annos e grazie.

Pubblicato il 19 aprile 2012 - Commenti (0)
08
apr

Quella veglia con Joy e papa Wojtyla

Quest’anno mi trovo a celebrare la veglia pasquale a Zagabria, in Croazia, ospite delle suore Ancelle di Gesù Bambino che si stanno preparando a celebrare il loro Capitolo generale. Mi hanno chiesto di condividere con loro l’esperienza della lotta contro le nuove schiavitù, che vedono coinvolte molte giovani dai Paesi dell’Est Europa.

Per la prima volta partecipo alla liturgia pasquale in un Paese che in pochi anni è passato dalla dittatura comunista a una democrazia, che permette ai tanti cristiani rimasti fedeli alle loro tradizioni di poter esprime la loro fede. Durante la celebrazione colgo ciò che significa per questi popoli il passaggio del Mar Rosso, l’attraversata del deserto per raggiungere la terra promessa e vivere in piena libertà anche le loro radici cristiane.

Ma come mi capita sempre in questi ultimi anni, il ricordo più forte è quello di una veglia vissuta nella basilica di San Pietro nel 2003, in cui ufficiava il Beato Giovanni Paolo II, già assai sofferente. In una basilica gremita di fedeli, oltre a ricordare il grande mistero della resurrezione di Cristo, abbiamo condiviso la gioia di accogliere nella comunità cristiana nuovi membri adulti, tra cui una giovane mamma africana. La sua storia ha un sapore tutto particolare. Quel battesimo, infatti, segnava il coronamento di un lungo cammino di morte e di vita, di sofferenza e di gioia, di fatica e di speranza.

Joy, assai emozionata, aveva un abito bianco, tipico del suo Paese, di quelli che le donne indossano per le grandi occasioni. Aveva un aspetto davvero regale. Ricordavo molto bene la prima volta che l’ho incontrata alla stazione Termini di Roma, per offrirle la possibilità di lasciare la vita di sfruttamento sulla strada, a cui era costretta ed entrare in una comunità di accoglienza. Joy era incinta. Doveva prendersi cura di sé e della creatura che sarebbe dovuta nascere di lì a tre mesi. Ricordo la sua disperazione e i suoi singhiozzi, i suoi alti e bassi, le paure e le attese, le lacrime e i sogni infranti, la rabbia e il silenzio, la lontananza della famiglia, ma anche la vergogna e la paura di non essere più accolta dai genitori se avessero saputo.

Ma poi, quasi per miracolo, ci fu il contatto telefonico con la madre, che non sentiva da moltissimo tempo, pochi giorni prima del parto. Da vera mamma africana, le disse di non aver paura, ma di accogliere la sua bambina con amore, perché ogni vita è sempre un dono di Dio. Quelle parole hanno trasformato l'atteggiamento di Joy giacché, nonostante il suo dramma, si è sentita ancora una volta capita e accolta. “Senza il vostro aiuto e la vostra accoglienza - mi disse al telefono - ora, non solo non sarebbe nata la mia bambina, ma non ci sarei stata più nemmeno io, giacché la vita per me non aveva più alcun senso”.

Come poi Joy sia giunta al Battesimo in San Pietro rimane un vero miracolo dell'amore traboccante di Dio, che ancora una volta si china sulle sue creature povere e insignificanti per renderle creature nuove e pasquali. La fantasia di Dio oltrepassa tutti i nostri sogni. Joy desiderava che, il giorno del suo battesimo, il Santo Padre benedicesse anche la sua bambina. E così, all'offertorio, le è stato concesso di offrire non solo la sua vita trasformata in Cristo, ma anche quella della sua creatura.

Joy è salita dignitosamente verso l’altare e si è avvicinata al Santo Padre, presentando la piccola Cristina tranquillamente addormentata tra le braccia della madre. Il Santo Padre ha accarezzato e benedetto entrambe, madre e figlia, segnate per sempre dalla Grazia e dall’amore infinito di Dio che si china con compassione sulle sue creature per imprimere il sigillo della sua Paternità e Maternità.

Pubblicato il 08 aprile 2012 - Commenti (0)
06
apr

La Via Crucis di Ponte Galeria

Erano un’ottantina, tutte donne, provenienti da Africa, America Latina, Europa dell’Est, moltissime cinesi… Tutte hanno partecipato, anche se non sono cristiane. Tutte hanno voluto portare la croce, cantare, pregare… in mezzo al cortile, in mezzo alle sbarre.

Non so se riesco ad esprimere il vissuto di una Via Crucis tutta speciale, celebrata questo Venerdì Santo presso il Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria a Roma. È stato come un regalo di Gesù per me, questo cammino vissuto con le donne e le ragazze del Cie. Come gruppo di religiose, ogni sabato pomeriggio visitiamo la sezione femminile di questo Centro, per conoscerle, ascoltarle, stare con loro; condividere le loro sofferenze e dare speranza; pregare con loro, ridando fiducia e affidandole al Signore Risorto. Essere con loro, perché non si sentano sole e abbandonate.

Oggi, Venerdì Santo, è stato un appuntamento tutto speciale con il “Primo Clandestino” della storia, Gesù Cristo Crocifisso, per celebrare il rito liturgico della Via Crucis. Il Crocifisso è stato visibilmente presente in mezzo a loro e ha preso tutta l’attenzione e il raccoglimento delle ragazze. Anche solo la sua presenza dava tanta serenità, consolazione e forza.

«Chiunque volgerà il suo sguardo verso di Lui, sarà salvo»,dice la Scrittura. Non ci sono volute parole speciali. Abbiamo ascoltato con il cuore i racconti evangelici della sua passione e morte nelle diverse lingue. Era facile intuire come ogni ragazza vedesse e sentisse con il cuore e la mente; mentre con i gesti adorava colui che conosce tutto il patire umano, di fronte al quale Gesù non è mai stato indifferente. Anzi si è offerto con amore.

E allora anche l’adorazione alla croce con il bacio è stato un affidare al Crocifisso la loro vita, la loro storia, il loro futuro: un grande atto di abbandono, perché da quel luogo di reclusione e di snervante attesa venga presto la libertà e la possibilità di vivere una vita libera, serena e dignitosa. Nella meditazione delle sei stazioni che erano state scelte, seguendo un breve cammino all’interno della struttura, le ragazze e le donne si sono lasciate tutte coinvolgere pienamente. Mi è sembrato di avvertire come questo luogo venisse alleggerito e purificato, riempito di speranza e di coraggio, nella certezza che il Signore non abbandona mai nessuno, ma assicura a tutti la sua presenza che salva e sostiene.

Non posso dimenticare queste donne. Hanno, volti, nomi, storie… Sono scappate dai loro Paesi per trovare una vita più degna e sicura. Si ritrovano invece in Europa e in Italia in mezzo a infinite difficoltà, tra cui il mancato riconoscimento della loro dignità di persone. È anche per loro, che il “Primo Clandestino” della storia si è lasciato crocifiggere per assicurare vita piena per tutti. L’Amore è più forte della morte - ci ricorda l’apostolo Paolo - e questo forte e fecondo Amore divino ci dà la capacità di resistenza per non mollare mai di fronte alle prove della vita.

Sappiamo tutti che dopo ogni Venerdì Santo c’è sempre la Pasqua di Risurrezione. Lui ha spezzato le catene di ogni schiavitù, oppressione, ingiustizia, discriminazione e sfruttamento. Con la sua risurrezione affida alle donne il grande annuncio di speranza e liberazione per tutte le persone che soffrono e sperano in un futuro di pace e armonia, un futuro dove ogni persona possa venire rispettata nella sua dignità. Cristo è vivo e ci rende oggi capaci di essere risurrezione anche nel Cie di Ponte Galeria.

Pubblicato il 06 aprile 2012 - Commenti (0)
02
apr

Euroafrica, la sofferenza di essere donna

Da sinistra: i premi Nobel 2011 per la Pace Leymah Gbowee, liberiana, e Tawakkol Karman, yemenita.
Da sinistra: i premi Nobel 2011 per la Pace Leymah Gbowee, liberiana, e Tawakkol Karman, yemenita.

Euroafrica, la voce delle donne è il titolo di un libro a cura da Marina Piccone, fortemente voluto dall’europarlamentare Silvia Costa. È stato presentato lo scorso 30 marzo a Roma, in Parlamento, luogo istituzionale di grande importanza e significato che richiama lo Stato e i suoi doveri di difendere e proteggere tutti i suoi cittadini, sia di nascita che di adozione. Il libro è stato dedicato in modo particolare alle tre donne Premio Nobel per la Pace, Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee and Tawakkul Karman, ma vuole raccontare la vita e l’impegno di tante altre donne africane e italiane nel dialogo euro-africano.

Nel libro sono raccolte le storie di alcune donne africane immigrate in Italia e altre storie di donne italiane legate all’Africa. Insieme raccontano la bellezza e ricchezza del mondo africano femminile, ma anche la difficoltà di essere donna, africana e immigrata, a volte emarginata e anche svantaggiata, specialmente per quanto riguarda l’inserimento in una nuova realtà sociale e lavorativa. Grazie, però, alle loro capacità e tenacia queste donne hanno raggiunto traguardi molto importanti, non solo per loro e le loro famiglie, ma soprattutto per la nostra stessa società, dove sono inserite e sono pure un esempio e uno stimolo per altre donne africane e non solo.

Alcune di loro erano presenti e hanno dato la loro testimonianza di donne che hanno rischiato, lottato e sofferto per ottenere una posizione e offrire a loro volta un contributo valido e prezioso nel mondo dell’immigrazione e di interazione nel nostro Paese. Tra queste donne, che hanno saputo raggiungere una posizione di rilievo, favorendo un vero scambio di valori umani e culturali, erano presenti Suzanne Diku Mbiye e Muanji Pauline Kashale della Repubblica Democratica del Congo; Maria Josè Mendes Evora e Dulce Araujo, capoverdiane; Marguerite Lottin, camerunese.

Quando mi hanno chiesto di parlare della mia esperienza di donna e missionaria italiana che opera a contatto con tante donne immigrate, specialmente africane, non ho potuto fare a meno di parlare della sofferenza di tante giovani venute in Italia con il miraggio di un lavoro onesto per aiutare le loro famiglie e che purtroppo sono finite nelle mani di nuovi schiavisti che le hanno derubate di tutto, dei loro sogni, della loro giovinezza e persino della loro dignità. Molte sono poi finite in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) perché prive di documenti, dove vengono trattenute in condizioni disumane per 18 mesi e vengono espulse senza un minimo di rispetto per la loro dignità. In uno di questi centri, quello di Ponte Galeria di Roma - che visito ogni sabato dal 2003, insieme a un gruppo di religiose di diversi Paesi e congregazioni - scopro ogni volta la sofferenza, la delusione e la rabbia di tante giovani donne, che si trovano rinchiuse un ambiente di uno squallore indescrivibile, fatto solo di cemento e sbarre di ferro.

Queste donne esigono di essere trattate come esseri umani e non come “criminali” o “clandestine”. Molte di loro vivono momenti di profonda disperazione, specie quando sono consapevoli che presto verranno espulse e dovranno tornare a casa a mani vuote, con il rischio di venir rifiutate anche dalla famiglia. Aisha, per esempio, era una donna tunisina terrorizzata dall’idea di tornare a casa. Sapeva che nel suo Paese l’avrebbero di certo uccisa e spesso ripeteva che piuttosto avrebbe preferito togliersi lei stessa la vita. Quando le hanno comunicato che il giorno dopo sarebbe stata rimpatriata, a nulla sono valsi i consigli e l’occhio attento delle amiche, che hanno vegliato con lei per quasi tutta la notte: il mattino presto, il suo corpo privo di vita è stato ritrovato appeso alla doccia. Sconvolte e addolorate, non ci è rimasto che interrogarci su cosa avremmo potuto fare per prevenire questo dramma e salvare quella giovane vita.

All’inizio i migranti potevano essere trattenuti per trenta giorni; poi i giorni sono stati raddoppiati fino ad arrivare a sei mesi. Oggi una nuova normativa prevede di prolungare la loro permanenza in questi centri addirittura sino a diciotto mesi. Un anno e mezzo di detenzione. È un’ingiustizia! Una terribile violazione dei diritti umani e un’inutile sofferenza inflitta a degli innocenti. Mi sconcerta e mi indigna che, ancora una volta, siano loro a pagare il prezzo più alto di politiche ingiuste che confondono le vittime coi carnefici. Intanto trafficanti e clienti rimangono impuniti, se non addirittura protetti dalla stessa legge, semplicemente perché in possesso di un permesso di soggiorno, magari ottenuto tramite corruzione, o di documenti in regola.

Pubblicato il 02 aprile 2012 - Commenti (0)
22
mar

L'amore non si compra

Ieri sera, presso il Centro Pime di Milano, mi hanno chiesto di intervenire sul tema “Fame di relazioni” nell’ambito del ciclo di Quaresima, dedicato alle “fami dell’anima”. Un tema che mi sollecita molto, dal momento che da molti anni ormai mi occupo di relazioni spezzate, negate, abbruttite, quelle che riguardano il rapporto tra cliente e prostituta.
Relazioni fatte spesso di potere, di sopraffazione e di possesso. Relazioni in cui l’altro è privato della propria dignità, non è più persona, viene annullato, ridotto a oggetto, a merce.
Che si compra e che si vende, che si usa e che si getta.

Eppure, anche in questi luoghi di relazioni negate è possibile intraprendere percorsi di rottura delle catene di questa vergognosa schiavitù contemporanea e di liberazione, mettendo al centro la dignità della persona e la possibilità di costruire relazioni nuove e vere, ricche di senso e significato. La Beata Madre Teresa di Calcutta soleva affermare che la più grande povertà nel mondo non è la mancanza di cibo, bensì la carenza di amore. E l’amore si costruisce e si manifesta nella relazione, nel vedere e capire i bisogni dell’altro, del fratello e della sorella che mi vivono accanto. Ma dove trovare i punti di riferimento e di riflessione per scoprire e vivere la bellezza e ricchezza della relazione umana?
L’essere umano non può esistere da solo, giacché il bisogno di amore è profondamente radicato nel suo cuore, ma molte sono le difficoltà nel viverlo. L’abbé André-Marie Talvas affermava che «la peggiore tragedia per un persona è l’essere chiuso in se stesso e incapace di comunicare». Fondatore in Francia del movimento Le Nid (“Il Nido”) a favore di prostitute ed emarginati, conosceva bene la desolante mancanza d’amore che si cela dietro il mercanteggiamento sessuale; parlando di clienti e prostitute sosteneva che «la maggior parte di essi ricercano non tanto il piacere sessuale quanto l’affetto e il rapporto personale. Sotto la ricerca di sessualità genitale, c’è un vivo desiderio di essere amati». È dunque possibile che i clienti, quando si rivolgono alle prostitute, rivelino un silenzioso e inappagato bisogno di relazione, amore, amicizia e attenzione. E questa triste costatazione ci interpella tutti.

Ma l’amore non può essere comprato, bensì presuppone un mutuo rispetto, comprensione, accoglienza e soprattutto perdono. Un uomo e una donna sono in grado di esprimere la profondità del loro amore quando nel matrimonio divengono «una sola carne». Nell’unione dei corpi e nell’intimità dell’amore, la coppia esprime la reciproca e totale donazione di sé. La prostituzione invece nega tutto questo: nega l’uguaglianza e la reciprocità tra l’uomo e la donna e pone il rapporto sessuale sullo stesso piano di un qualsiasi prodotto commerciale. La donna è vista come un oggetto. E questo purtroppo non accade solo nell’ambito della prostituzione, ma anche più in generale, nella rappresentazione che viene fatta dai media e dalla pubblicità. La donna - o, meglio, il suo corpo - serve per vendere (a volte anche prodotti che non hanno niente a che vedere con una fisicità gratuitamente esibita); più o meno “implicitamente”, però, è la donna stessa ad essere messa in vendita. In una società in cui domina la cultura del permissivismo e dell’edonismo, l’amore e l’educazione sessuale dovrebbero essere la preoccupazione di ogni famiglia, scuola e parrocchia. Tutti coloro che sono responsabili dell’educazione hanno infatti un ruolo vitale nel formare nei giovani la capacità di rispettare la propria sessualità, di distinguere e controllare i propri sentimenti ed emozioni, di saper discernere ciò che è bene da ciò che è male, ciò che costruisce da ciò che distrugge.

Pubblicato il 22 marzo 2012 - Commenti (2)
09
mar

Quella violenza ancora nascosta

Le numerose comunità gestite da religiose in tutta Italia rappresentano in molti casi dei luoghi-protetti, case-famiglia nel vero senso della parola, luoghi di accoglienza dove, in un clima di relazioni familiari vere, molte donne trovano sostegno e voglia di ricominciare una vita nuova. Nate per accogliere specialmente le vittime di tratta, sempre più queste case accolgono donne, spesso italiane, con i loro bambini, che fuggono da minacce e violenze quasi sempre domestiche. Vittime dei loro uomini, violenti e pericolosi, che non accettano sconfitte e mediazione di conflitti. Sono molti i casi in cui, per evitare che i continui conflitti si traducano in veri drammi della follia umana, queste mamme con i loro bambini vengono allontanate da casa. Purtroppo non sempre si interviene in tempo. E troppo poco si fa per la prevenzione, per spezzare schemi di potere e di dominio ancora troppo radicati nella nostra società e per denunciare l’inerzia di chi - e siamo tutti noi - è responsabile del disagio umano e sociale che lacera il nostro Paese.

Un'attivista del gruppo Femen protesta contro la violenza sulle donne a Istambul (foto Reuters).
Un'attivista del gruppo Femen protesta contro la violenza sulle donne a Istambul (foto Reuters).

Quello della violenza domestica è un fenomeno ancora troppo nascosto; si consuma il più delle volte in modo silenzioso e oscuro tra le mura delle nostre case. Salvo quando drammatici fatti di cronaca  vengono alla ribalta sporadicamente sulle prime pagine dei nostri giornali.

Ma non basta. Perché il sensazionalismo non crea coscienza e consapevolezza. Occorre invece dare a questo fenomeno più profonda e costante attenzione.

Purtroppo quella della violenza sulle donne pare essere una piaga che sta dilagando non solo in Italia, ma in tanti altri Paesi. Poco tempo fa ho ricevuto la visita della moglie del Governatore dell’Alaska che chiedeva di poter visitare una delle nostre case-famiglia per donne vittime di tratta e di violenza domestica. Voleva confrontarsi con i nostri modelli di intervento e capire come cerchiamo di far fronte alle tragiche conseguenze di tali abusi

Durante la visita, a cui ha preso parte anche il marito Governatore, ci siamo imbattuti in una giovane mamma straniera in attesa di un bimbo. Aveva subìto pesantissime violenze fisiche da parte dell’uomo che l’aveva messa incinta perché abortisse. Non riuscendo nell’intento l’aveva letteralmente abbandonata lungo una strada. Trovata di notte da una delle nostre unità di strada, è stata accolta in comunità, dove ha ritrovato una casa e una famiglia.

Commovente il nostro incontro con lei. Parlando in un inglese stentato, in lacrime, mi chiedeva di ringraziare le suore che l’avevano presa con loro. Lei, donna musulmana, si sentiva accolta tra quelle religiose cristiane. Lei, senza casa e senza famiglia, aveva trovato un tetto e l’affetto e le cure delle suore. Lei, senza soldi e con un bimbo in arrivo, poteva adesso contare su qualcuno.

La sua testimonianza, così sincera e commossa, ha fatto breccia nel cuore dei nostri visitatori: hanno costatato l’importanza di creare luoghi adatti per accogliere queste donne con i loro bambini, luoghi in cui possano prendere il tempo per guarire le profonde ferite che si portano dentro e poter sperare e costruire un futuro sereno per loro e per i loro piccoli.

In questa giornata della donna, vorrei ricordare particolarmente queste mamme, che hanno subito troppe violenze. Non hanno bisogno di una mimosa, ma di un gesto di accoglienza, solidarietà, rispetto e amore per ricominciare ad avere fiducia in se stesse, nella vita, e in chi sta loro accanto.

Pubblicato il 09 marzo 2012 - Commenti (1)
15
feb

“Se non ora, quando?”, un anno dopo

“Se non ora, quando?”. Questo, lo slogan che il 13 febbraio dello scorso anno è risuonato in molte piazze d’Italia, gremite di donne (e non solo) che finalmente riprendevano coscienza del loro ruolo e delle loro potenzialità e manifestavano per riappropriarsi di quella loro identità e dignità così vilipesa e calpestata, specialmente dai mezzi di comunicazione. Era tempo di prendere atto di ciò che stava capitando in tanti modi e forme nel nostro Paese e di dire “basta” alla strumentalizzazione e allo sfruttamento della donna.

Questa manifestazione era stata organizzata in un momento in cui la donna veniva sempre più svuotata dai nostri media e dai nostri stili di vita dei suoi valori intrisici e dal suo ruolo di persona, chiamata a costruire con le sue peculiarità e talenti una società più umana e umanizzante, attraverso rapporti veri e sinceri e non strumentali e mercantili.

In una di quelle piazze, quella di Roma, c’ero anch’io, religiosa e missionaria, ma pur sempre donna, per condividere con tante altre donne di diverse posizioni e schieramenti lo stesso sdegno contro la mercificazione del corpo femminile, ma soprattutto per lanciare un grido e un appello a nome e a favore di tante giovani, soprattutto immigrate, che non avevano diritto di parola. Ero lì anche in rappresentanza di tante altre religiose, che ogni giorno devono confrontarsi con le conseguenze causate dalle discriminazioni di genere, dalla violenza fisica e psicologica che si scatena in tantissimi modi contro le donne, dall’oppressione e dallo sfruttamento derivanti dall’orribile traffico di esseri umani per lo sfruttamento sessuale…

In quell’occasione avevo lanciato un forte un appello per dire “basta” all’indegno mercato del corpo della donna e ricordare a tutti gli enti, istituzioni e persone coinvolte che ciascuno di noi ha una grande responsabilità ma anche un dovere: eliminare tutte le forme di compravendita del corpo della donna mascherati sotto diversi camuffamenti: prostituzione, pornografia, pubblicità, trasmissioni televisive, carriera, ecc…

Numerosissimi sono stati i messaggi ricevuti, soprattutto di approvazione ma anche di biasimo. Come se le suore - e tanto più le missionarie - dovessero rimanere richiuse nei conventi o impegnarsi contro le numerose povertà di cui si occupano, possibilmente senza parlare pubblicamente. A un anno di distanza, e di fronte ai molti messaggi che continuo a ricevere, vorrei ringraziare le tante persone che hanno avuto parole di sostegno per il coraggio di presentarmi come donna e religiosa sul quel palco e soprattutto per aver toccare una piaga che sta logorando e distruggendo le nostre stesse famiglie e il nostro tessuto sociale. Mi sento però di dire a quanti hanno trovato fuori posto la mia presenza in quella piazza che sono stata spinta solo dal desiderio di difendere e dar voce pubblicamente a tutte quelle donne e quei bambini, che continuano ad essere vittime di una società dove tutto si può vendere e comprare, persino il corpo di una minorenne indifesa, povera, immigrata e in cerca di un futuro dignitoso.

A un anno da quella manifestazione che cosa è cambiato nella politica, nella società, nella Chiesa e soprattutto nel mondo femminile? È difficile fare un vero bilancio in termini di risultati visibili ed eclatanti, che forse non si notano ancora. Tuttavia da quel giorno si scorgono alcuni segnali importanti, piccole luci che indicano un cammino nuovo specialmente per le future generazioni. In questi ultimi mesi, abbiamo avuto tre donne Premio Nobel per la pace, due africane e una yemenita, altre sono elette come Capi di Stato o di governo, altre ancora sono responsabili di importanti ministeri. Soprattutto, però, riscontro più consapevolezza e desiderio di riflessione tra le donne comuni, che in mille modi e luoghi ogni giorno svolgono la loro missione nella famiglia, nella società, nel mondo del lavoro e della politica, e anche negli ambienti religiosi o di volontariato, mettendo a disposizione i loro talenti e valori, le loro intuizioni e la loro formazione umana, cristiana e professionale per far crescere il nostro Paese. Ed è proprio nel quotidiano che la donna deve essere presente e può fare la differenza. Questa è la nostra responsabilità di donne che vogliono e devono costruire una società non più basata solo sul consumo e su uno sviluppo squilibrato, bensì sulla dignità, la grandezza e la bellezza interiore di ogni persona a servizio del bene comune.

Pubblicato il 15 febbraio 2012 - Commenti (0)
06
feb

No alla legalizzazione della prostituzione

Nei giorni scorsi, mentre ero a Torino per presentare il libro: “Spezzare le Catene. La battaglia per la dignità della donna” (Rizzoli), il Consiglio comunale approvava un ordine del giorno, presentato alcuni mesi fa dalla Lega Nord, che chiede al Parlamento di discutere alcune proposte di legge sulla prostituzione. La Lega, in sintesi, chiede la regolamentazione della prostituzione e la possibilità di riaprire le “case di tolleranza”, motivandola col fatto che questo provvedimento potrebbe far entrare ingenti guadagni nelle casse dello Stato. L'ordine del giorno ha ricevuto 22 voti favorevoli a fronte di 9 astensioni.

Dure e tempestive sono state le reazioni di alcune associazioni che da anni si occupano di tratta di esseri umani, specialmente per lo sfruttamento sessuale. Dai loro comunicati si coglie lo sgomento e l’indignazione di fronte a decisioni prese con molta leggerezza e senza cognizione di causa circa le implicazioni di tali proposte e le conseguenze per tante persone. È rischioso e vergognoso che nel 2012 si continui a considerare le donne come semplice merce da usare a piacimento e a pagamento. Tanto più se si auspica pure un guadagno per lo Stato.

L'Associazione Iroko e la Coalizione internazionale contro la tratta delle donne (Italia), insieme agli Amici di Lazzaro - organizzazioni non governative senza fini di lucro, senza appartenenze politiche e/o religiose - esprimono il loro forte dissenso rispetto a questa proposta, in quanto la prostituzione è violenza contro le donne, rappresenta il più antico degli sfruttamenti e non può essere mai considerata un'attività lavorativa. Infatti, il lavoro, pur semplice e umile che sia, mira a nobilitare la persona e a mettere a disposizione della società le sue capacità professionali e creative, di mente e di cuore.

Questa presa di posizione si basa su molti anni di esperienza e impegno a favore delle donne vittime di tratta e costrette a prostituirsi e di ricerche e di studio del fenomeno in tutto il mondo. La nostra posizione non è dunque basata solo su motivi religiosi o di etica religiosa, bensì sull’etica dei diritti umani e soprattutto dei diritti delle donne. Il livello spaventosamente alto di violenza a danno delle donne in Italia è allarmante e ben noto. Non possiamo permetterci di aggiungere altra violenza per di più legalizzata. Una delle peggiori violenze contro la donna, in tutte le società, è proprio la prostituzione e poco vale la scusa che le donne abbiano “scelto” o meno di prostituirsi. Ricordo molto bene l’espressione sovente usata dal caro don Oreste Benzi, che tanto si è battuto contro il terribile flagello della tratta e della prostituzione: «Nessuna donna nasce prostituta, ma c’è sempre qualcuno che la fa diventare tale o qualche situazione che la induce».

Oggi, ancora, alla nostra società civile e religiosa viene chiesto di debellare tutte quelle situazioni che possono indurre le donne a dover vendere il proprio corpo per vari motivi: povertà o indigenza, ma anche per un posto di lavoro, per far carriera e soprattutto per fare spettacolo o entrare nel mondo della moda e della pubblicità. Questo non è più tollerabile, e sono le donne, prima di tutto, a doverne prendere atto e a non prestarsi a questo squallido mercato che degrada sia chi provoca e sia chi passivamente accetta e subisce.

Inutile combattere la tratta di esseri umani come nuova e terribile forma di schiavitù - che ancora oggi produce un fatturato annuo di 32 miliardi di dollari - se allo stesso tempo non combattiamo la prostituzione in tutte le sue forme. Quante volte, incontrando donne immigrate costrette a prostituirsi sulle nostre strade di notte, mi sono sentita dire: «Se nessuno venisse a cercarci e a usarci noi non saremmo qui».

La legalizzazione della prostituzione e la sua promozione come attività lavorativa è una delle cause dirette della tratta internazionale di donne e bambini per lo sfruttamento sessuale. In una società ancora fortemente maschilista e patriarcale, che tollera l'uso maschile del corpo femminile come merce usa e getta, esprimere indignazione e chiedere la fine della tratta di giovani donne e bambini è contraddittorio e incoerente se prima non poniamo fine alla commercializzazione del corpo delle donne. Per questo con forza e determinazione rifiutiamo le varie proposte di legalizzazione della prostituzione che equivale per molti versi a legalizzare la tratta di esseri umani per l’industria del sesso. Ovvero una delle peggiori schiavitù del XXI secolo.

Pubblicato il 06 febbraio 2012 - Commenti (7)
17
gen

Schiave di oggi, spezziamo le catene

Spezzare le catene. Quante volte lo ripetuto! Spezzare le catene che tengono schiave tante immigrate, trafficate e sfruttate, ma anche tante donne italiane, impegnate a lottare per riappropriarsi del proprio ruolo e della propria dignità e femminilità. Spezzare le catene di modelli mercantili che mercificano il corpo della donna e la riduco a un oggetto usa e getta. Spezzare le catene per ridonare alla famiglia, alla società e alla Chiesa la bellezza e la ricchezza del nostro “genio femminile”.

La donna deve ritornare ad essere protagonista: capace di stimolare, umanizzare e trasformare ancora questo nostro mondo globalizzato, bisognoso di relazioni vere, di accoglienza dell’altro e del diverso, di solidarietà che costruisce ponti, di impegno quotidiano per una convivenza serena e pacifica di cui sentiamo tutti una grande necessità. Spezzare le catene è ora anche il titolo del nuovo libro edito dalla Rizzoli. Con un sottotitolo molto significativo e a cui tengo molto: La battaglia per la dignità della donna. È stato scritto con Anna Pozzi, redattrice della rivista “Mondo e Missione” del Pime e collaboratrice di Famiglia Cristiana, con la quale avevo già collaborato per il precedente libro “Schiave” delle Edizione San Paolo, uscito nel 2010.

“Spezzare le catene” ha appena visto la luce, lo scorso 9 gennaio, giorno del mio 73° compleanno, per cui lo accolgo come un dono, che a mia volta condivido con tante altre persone. La gestazione, però, è stata lunga, iniziata inconsciamente il 13 febbraio dello scorso anno in Piazza del Popolo di Roma, quando in rappresentanza delle religiose, ho accettato di essere presente per prendere atto prima di tutto della nostra responsabilità di donne a servizio del bene comune e poi per ricordare alla nostra società, che sembra aver smarrito il senso della persona con i suoi valori profondi e indiscutibili, che è tempo di reagire: “Se non ora quando?”.

Alla richiesta della Rizzoli di scrivere un libro, la mia prima reazione è stata di un rifiuto categorico e per diversi motivi: prima di tutto per mancanza di tempo. Non potevo trascurare il mio quotidiano servizio all’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’USMI, fatto di incontri, comunicazioni e corrispondenza, per dare risposte a tante richieste: i contatti con le comunità e le persone in difficoltà, il creare reti tra i Paesi di origine, transito e destinazione, per sostenere il servizio prezioso di tante religiose e ong che cercano di contrastare la compravendita di esseri umani, sono pur sempre la mia priorità. Tuttavia, questa richiesta aveva i suoi lati positivi e validi, per cui mi sono arresa nella speranza di offrire un ulteriore servizio per una più corretta conoscenza del fenomeno con i suoi risvolti negativi ed anche positivi e per condividere con tante altre donne e non solo la nostra battaglia per la dignità della persona. Chiunque essa sia.

Un secondo ostacolo da superare è stata la difficoltà di rileggere la mia storia personale e soprattutto di condividere le esperienze di cinquant’anni di vita missionaria a servizio delle donne, prima in Africa - affiancandomi a loro nel cammino di sviluppo, educazione ed emancipazione - e poi in Italia, per prevenire, proteggere e recuperare tante donne e minorenni straniere, cadute nelle maglie dei trafficanti e di quanti abusavano della loro povertà e vulnerabilità per interessi personali. Alla fine mi sono arresa e ha prevalso il desiderio di offrire un contributo in più come donna, religiosa e missionaria con il solo scopo di aiutare in particolare i giovani a cogliere la sfida educativa nell’oggi, attraverso una formazione ai valori e principi umani fatta di relazioni autentiche e serie, basate sul rispetto e l’apprezzamento della persona, evitando sfruttamento e mercificazione.

Questo libro è un altro pezzo di questo impegno. Racconta le situazioni e le storie di tante persone, soprattutto donne, che ho incrociato sul mio cammino di “missionaria della notte e della strada” per consolare e camminare insieme verso la conquista della propria dignità e libertà, spezzando le catene della povertà, degli sfruttatori, della nostra società opulenta che perde i suoi valori, anche dei nostri governi e di tutte le istituzioni, che non fanno il necessario per combattere le nuove forme di schiavitù del XXI secolo.

Anche la Chiesa e tutti noi che ci diciamo cristiani spesso siamo complici con il nostro silenzio e la nostra indifferenza. Ciascuno di noi ha un ruolo da svolgere con responsabilità a secondo delle proprie competenze: autorità sociali e religiose, funzionari dell’ordine pubblico e operatori del settore privato, insegnanti e genitori, religiosi e religiose, missionari e missionarie, uomini e donne che mirano al bene comune basato sul valore e rispetto di ogni persona. Solo unendo i nostri sforzi potremo finalmente… spezzare le catene!

Pubblicato il 17 gennaio 2012 - Commenti (0)
09
gen

India, nel segno delle adozioni

Ogni anno le Missionarie della Carità organizzano a Roma una giornata per tutte le famiglie che hanno adottato bambini dall’India e che sono seguite con particolare attenzione e sostegno dalle stesse Missionarie. Sono loro infatti che hanno fatto da tramite per facilitare queste adozioni. Non è difficile per loro aiutare genitori italiani che desiderano allargare il loro cuore e la loro casa per accogliere bambini abbandonati per vari motivi e dare a loro una famiglia e un futuro. In India le Missionarie hanno molte istituzioni, dove accolgono questi bambini e sono ben consapevoli della necessità di trovare famiglie che possano adottare questi bambini. L’accoglienza diventa davvero un dono reciproco che arricchisce moltissimo sia la coppia di genitori, che per vari motivi non può avere figli, sia gli stessi bambini che trovano una famiglia e di conseguenza hanno un futuro più sereno e sicuro. E ogni anno vengono adottati dai 70 ai 100 i bambini da coppie italiane, tramite le Missionarie della Carità.


Queste famiglie si ritrovano durante l’anno a livello regionale per incontri formativi e scambi di esperienze, che li aiutano a confrontarsi e a crescere come genitori adottivi. Il giorno dell’Epifania invece si incontrano per un grande momento di festa con tutti i bambini adottati. Un’esperienza che si ripete da molti anni e che all'inizio del 2012 si è svolta a Roma presso una grande scuola Salesiana dove si sono radunate circa 400 persone tra genitori e bambini. Quest’ultimi, in particolare, erano pieni di vita e lieti di potersi incontrare, giacché molti di loro hanno vissuto per mesi o anni nello stesso Istituto a Calcutta in attesa di adozione. Molti di questi bambini se non avessero trovato una famiglia che li ha accolti e adottati sarebbero certamente finiti nelle maglie della criminalità organizzata per essere usati per ogni tipo di sfruttamento, specie per guadagni illeciti, distruggendo così le loro potenzialità e impedendoli di affermarsi nella vita e diventare protagonisti del loro futuro.


Quest’anno il tema dell’incontro è stato: “L’accoglienza dell’altro”. Trovandomi di fronte a una simile assemblea di genitori che, attraverso l’adozione di bambini stranieri hanno dato un senso nuovo alla loro vita di coppia, non è stato difficile condividere una riflessione sulla ricchezza e la bellezza dell’accoglienza dell’altro, del diverso, del bambino indifeso, gracile e bisognoso di affetto e di speranza, pur nelle difficoltà quotidiane che certamente non mancano. Ho incontrato coppie con quattro bambini adottati, altre con tre, altre ancora che, dopo averne adottato uno, hanno già fatto la richiesta di un’altra adozione, nonostante le difficoltà finanziarie che molte famiglie stanno vivendo.


Queste coppie hanno invece sperimentato la gioia dell’accoglienza che offre non tanto cose materiali bensì l’apertura del cuore, attraverso l’attenzione, la disponibilità di tempo più che di beni di consumo, consapevoli che i figli hanno bisogno di relazioni umane fatte di affetto e di fiducia, di attenzione e di disponibilità, di accoglienza vera, soprattutto senza essere usati come oggetti da possedere per soddisfare le proprie esigenze di compensazioni affettive. Questo favorisce la costruzione di un’umanità nuova, dove davvero ci riconosciamo tutti figli dello stesso Padre, senza pregiudizi o discriminazioni. L’accoglienza è un grande dono reciproco, giacché nell’accoglienza dell’altro, del diverso, dello straniero c’è lo scambio del dono, della gratuità, dell’interesse e del vero bene, che poi diventa bene di tutta la famiglia e della comunità.

Pubblicato il 09 gennaio 2012 - Commenti (0)
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati