di Suor Eugenia Bonetti
Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Dal 2000 è responsabile dell'Ufficio tratta dell'Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l'ha nominata Commendatore della Repubblica italiana.
02 nov
La presentazione del dossier Caritas sull’immigrazioni nel nostro Paese ci spinge ancora una volta a riflettere sulla mobilità umana: popoli in cammino alla ricerca di sicurezza e benessere, dignità ed emancipazione; milioni di persone con i loro inalienabili diritti e doveri, che contribuiscono a creare a una società sempre più cosmopolita, multietnica, multiculturale e interreligiosa.
Anche il messaggio del Santo Padre per la Giornata del migrante e del rifugiato (che sarà celebrata il prossimo 13 gennaio) si inserisce in questo particolare contesto. Benedetto XVII, citando il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha ricordato che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (n. 40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (ibid., 1).
In tale contesto, Benedetto XVII ha voluto dedicare la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato al tema: “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza”. Ovvero, tutta la Chiesa è chiamata a vivere con impegno l’Anno della fede, raccogliendo con entusiasmo la sfida della nuova evangelizzazione.
Il Santo Padre ci ricorda che purtroppo ancora oggi le migrazioni sono viste quasi esclusivamente sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che, non di rado, producono drammi e tragedie. Ci ricorda pure come, nel contesto socio-politico attuale, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a vivere in condizione dignitose nella propria terra.
A questo proposito già il Beato Giovanni Paolo II affermava che il «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione».
Quali sono, dunque, le cause principali che spingono tante persone a lasciare il proprio Paese, i loro affetti, le loro sicurezze per andare in una terra straniera dove si parla una lingua sconosciuta, non si hanno punti di riferimento, non si trova accoglienza bensì, sovente, si sperimenta ostilità, rifiuto e a volte il disprezzo e sfruttamento?
Purtroppo, ancora oggi le migrazioni di tanti popoli sono la conseguenza di una grande precarietà economica, di mancanza di beni essenziali, di calamità naturali, guerre e disordini sociali, che costringono le persone a spostarsi, rischiando la vita nella traversata di deserti o di mari, con la speranza di raggiungere una terra promessa per un’esistenza più umana e solidale.
Il Santo Padre ci ricorda tutto questo e ci invita all’ accoglienza, alla condivisione, all’apertura del cuore e al rispetto di ogni persona che vive nel bisogno e nella precarietà. Ma perché nel nostro mondo globalizzato è ancora così marcata la disparità tra ricchi e poveri? Perché ancora oggi il venti per cento della popolazione consuma l’ottanta per cento delle risorse mondiali, lasciando interi Paesi a vivere nell’indigenza? Noi che ci professiamo cristiani non possiamo dimenticare tutta questa sofferenza umana. Specialmente in questo anno, in cui siamo chiamati a scoprire e a vivere in pienezza la nostra fede di seguaci di Cristo, dobbiamo riscoprire il valore dell’accoglienza e della solidarietà con i popoli duramente provati e impoveriti che cercano attenzione e aiuto.
Nel messaggio per la Giornata del Migrante e Rifugiato 2013 il Santo Padre si sofferma ancora a riflettere su una realtà che ci sta particolarmente a cuore, ossia la tratta di esseri umani con tutte le sue conseguenze che ben conosciamo e per cui offriamo ogni giorno il nostro impegno.
Benedetto XVI afferma che «a tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini.
Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici.
Sono, infatti, quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, contromisure efficaci per debellare il traffico di persone, programmi organici dei flussi di ingresso legale, maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico. Alle adeguate normative deve essere associata una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze».
Possa questo messaggio così attuale trovare specialmente nelle nostre comunità cristiane e religiose risposte di apertura e di accoglienza affinché nessuno, nella Chiesa di Cristo, venga considerato uno straniero né ospite, bensì tutti possano sentirsi «concittadini dei santi e familiari di Dio edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti» (Efesini 2, 19).
Pubblicato il 02 novembre 2012 - Commenti (0)
24 ott
Il 18 ottobre si è celebrata in tutti i Paesi europei la sesta giornata contro la tratta di esseri umani. Come più volte è stato costatato e affermato, il traffico di esseri umani è un’industria illegale che genera miliardi di dollari sfruttando uomini, donne e bambini.
In modo particolare si ritiene che quasi l’80 per cento del racket mondiale della tratta sia per lo sfruttamento sessuale, con circa il 20 per cento di vittime minorenni. Il traffico di persone è un vero business globale, che non si limita a determinate aree geografiche, come i “Paesi in via di sviluppo”, ma interessa quasi tutte le regioni del mondo, per reclutamento, passaggio o immissione sul mercato del sesso.
Purtroppo anche l’Italia è fortemente colpita da questo fenomeno, finalizzato non solo allo sfruttamento sessuale, ma anche per quello lavorativo e l’accattonaggio. Uno scenario drammatico e vergognoso, che mostra con evidenza come la nostra società ricca e moderna risulti in realtà assai impoverita dei suoi stessi valori umani, cristiani e culturali.
Un momento dell'incontro svoltosi a Londra.
Nel suo ultimo rapporto annuale, pubblicato recentemente, l’organo anti-tratta del Consiglio d’Europa esorta tutti i Paesi a intensificare la lotta per contrastare questo fenomeno. Lo stesso Segretario generale, Thorbjørn Jagland, ha affermato che «la tratta degli esseri umani è una tragedia europea.
Numerose vittime non sono ancora adeguatamente riconosciute come tali e non ricevono il sostegno di cui hanno bisogno. Inoltre, le difficoltà delle indagini e dei procedimenti giudiziari fanno sì che i trafficanti non siano debitamente puniti per i loro crimini». Per questo esorta le organizzazioni internazionali, le autorità nazionali e gli organi non governativi a «lavorare insieme per porre fine a queste rivoltanti violazioni dei diritti umani inaccettabili nell’Europa del XXI secolo».
Quest’ultima esortazione si è concretizzata il 16 e 17 ottobre presso il Parlamento di Londra, dove si è tenuto un importante seminario interparlamentare organizzato dalla stessa Unione Europea. Questo incontro voleva essere un segnale concreto per sensibilizzare e preparare la Giornata contro la tratta di esseri umani.
Vi hanno partecipato 80 persone, tra cui parlamentari di 12 Paesi europei e una quindicina di esperti e rappresentanti di organizzazioni non governative. L’Italia era rappresentata dal senatore Maritati, da Marco Scarpati presidente di Ecpat-Italia (End Child Prostitution and Trafficking) e dalla sottoscritta in rappresentanza di tante organizzazioni religiose che da anni si occupano di questa nuova forma di schiavitù. Per me è stata la seconda volta, dopo l’incontro al Senato di Roma nel mese di marzo 2012, tra parlamentari europei.
Questo progetto, della durata di due anni, ha lo scopo di promuovere una rete di parlamentari di diversi Paesi per sviluppare una fattiva cooperazione per il controllo delle frontiere e l’implementazione di strategie adeguate per prevenire il reclutamento, offrire protezione e sicurezza alle vittime e punire sia le organizzazioni criminali come pure quanti lucrano su questo indegno mercato.
Il programma iniziale prevedeva l’organizzazione di seminari di riflessione per i parlamentari di 18 Paesi europei che avevano aderito all’iniziativa con l’obiettivo di far emergere il problema, conoscerne i meccanismi, condividere informazioni sul fenomeno in costante evoluzione e sui risultati delle azioni di contrasto.
A loro volta i parlamentari avrebbero dovuto riportare ai loro rispettivi Paesi di provenienza i risultati e i suggerimenti emersi da questi incontri. Purtroppo, si è più volte notato come gli stessi onorevoli conoscano poco il fenomeno e soprattutto come non ci sia coesione e collaborazione tra le varie forze che operano per il contrasto della tratta di esseri umani.
Anche la giurista Maria Grazia Giammarinaro - dal 2009 Rappresentante Speciale all’Osce per la sicurezza e la cooperazione per il contrasto alla tratta di esseri umani in Europa - ha parlato dell’importanza del lavoro in rete di tutti coloro che lavorano sul territorio. Ci ha ricordato che le direttive europee che saranno implementate nel 2013 da tutti i Paesi dell’Unione devono offrire un forte segnale di contrasto a queste forme di mafia e corruzione.
Questa comune legislazione dovrebbe anche favorire l’identificazione e la protezione delle vittime, offrendo opportunità di accompagnamento, reinserimento e di punizione dei trafficanti.
Che dire poi della confisca dei beni dei criminali per un serio risarcimento dei danni subiti dalle vittime? E cosa fare soprattutto di fronte all’uccisione di tante persone, i cui colpevoli non sono mai individuati o adeguatamente puniti?
La normativa europea potrebbe offrire una adeguata risposta. Come pure sarebbe auspicabile la creazione di nuovi tavoli di confronto e collaborazione tra governi e istituzioni non governative, tra le forze dell’ordine e associazioni del privato che si occupano di prevenzione o reintegrazione. Solo lavorando insieme, ciascuno con la propria specificità si possono trovare soluzioni umane ed efficaci.
Pubblicato il 24 ottobre 2012 - Commenti (0)
10 ott
Dall’1 all’8 ottobre una speciale delegazione delle Nazioni Unite per la salvaguardia della dignità e dei diritti umani degli immigrati ha visitato diverse realtà esistenti nel nostro Paese, incontrando personalità di governo e operatori sociali che gestiscono vari progetti per immigrati, quali i Centri di accoglienza richiedenti asilo (Cara) e i Centri di identificazione ed espulsione (Cie).
Lo speciale Rapporteur dell’ONU François Crépeau ha voluto incontrare anche un ristretto numero di persone, una quindicina in tutto, appartenenti ad alcune organizzazioni non governative che si occupano in modi diversi di immigrati.
Alcune Congregazioni religiose internazionali maschili e femminili, appartenenti al gruppo “Vivat International” che si occupano di progetti di giustizia, pace, sviluppo ed ecologia e che hanno rappresentanze presso l’ONU, mi hanno chiesto di partecipare all’incontro di Roma nella sede dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Volentieri ho condiviso l’esperienza di molte religiose che operano a contatto con tanti immigrati in situazioni di disagio e discriminazione nelle nostre città. La nostra presenza e le nostre esperienze di religiose sono particolarmente significative e preziose, in particolare perché vissute a contatto con moltissime donne trattenute nel Cie di Ponte Galeria di Roma.
Lo speciale Rapporteur era particolarmente interessato a conoscere la complessità dei nostri sistemi legislativi riguardanti il settore dell’immigrazione, con particolare attenzione alla protezione degli immigrati e richiedenti asilo che entrano in Europa attraverso le nostre frontiere, via terra e soprattutto via mare.
Il punto cruciale sul quale eravamo tutti in piena sintonia riguardava la situazione dei richiedenti asilo e più ancora di coloro che sono trattenuti nei Cie in attesa di identificazione ed espulsione. Realtà ormai diventata insostenibile, dopo che sono stati prolungati i tempi di reclusione fino a 18 mesi. Tutto questo crea sofferenza inutile, reazioni di disperazione e tanta violenza a volte non più contenibile e giustificata. La permanenza nei Cie è di gran lunga peggiore di quella nelle carceri, perché non ci sono progettualità e attività per impegnare le energie fisiche e mentali. Tutto questo distrugge la persona. Tutti sono concordi nell’affermare l’inutilità di tali misure punitive e restrittive sia da un punto di vista umano ma anche da un punto di vista economico. E allora ci domandiamo: a che cosa servono questi Centri?
Quanto personale viene impiegato per garantire sbarre di ferro e porte ermeticamente chiuse perché nessuno scappi da un simile inferno? È ingiusto e inumano costringere persone giovani a vivere le loro lunghe giornate senza uno scopo, assicurando loro solo il cibo e un letto, dove trascorrono molte ore del giorno e della notte, perché non hanno altra scelta.
Noi, con il nostro gruppo di 15 religiose di diverse nazionalità e congregazioni visitiamo, dal 2003, ogni sabato, la sezione femminile del Cie di Ponte Galeria (Roma). E possiamo confermare e denunciare con forza la triste realtà di questo luogo e l’inumanità del trattamento riservato agli immigrati. Giovani donne, piene di voglia di vivere e di aiutare le famiglie lontane, sono costrette a rimanere rinchiuse in una stanza tutto il giorno, sul loro misero letto senza potersi impegnare in una minima attività educativa, ricreativa o lavorativa. E questo per lunghi mesi, nell’incertezza totale circa la loro sorte.
Molte di loro, specialmente le nigeriane, nella speranza di poter trovare una via d’uscita si affidano ad avvocati senza scrupoli, che promettono loro di aiutarle (certamente in cambio di notevoli somme di denaro) facendo richiesta di asilo politico. Una richiesta che rarissimamente andrà a buon fine.
Nei primi anni della nostra presenza a Ponte Galeria, in sintonia con chi operava nel Cie e attraverso i nostri contatti con le detenute, riuscivano a far uscire alcune di queste giovani vittime di tratta per iniziare un progetto di reintegrazione e legalizzazione, ridonando loro dignità, libertà e legalità.
Oggi, invece, questo è molto più difficile perché i trafficanti e gli avvocati consigliano di far richiesta di asilo politico, anche se la nostra esperienza ci dice che nel 95 per cento dei casi questo status non sarà mai concesso. Intanto, si prolunga di qualche mese l’illusione di una legalità che non sarà mai ottenuta.
Il sottosegretario al ministero dell’Interno, Saverio Ruperto, ha recentemente dichiarato che entro la fine dell’anno i Cie avranno miglioramenti organizzativi e gestionali con l’obiettivo di «dare uniformità alle varie prassi che si sono stabilizzate» al loro interno. Personalmente non sono molto ottimista e penso che non cambierà nulla se non c’è la volontà di mettersi in ascolto anche di chi da anni conosce il problema e continua ad offrire la propria esperienza e presenza, mirando al vero bene delle persone.
Quante volte abbiamo chiesto alle autorità competenti di visitare con noi questi luoghi di disperazione e sofferenza; abbiamo fatto proposte per ottenere un locale che servisse per l’aggregazione dei gruppi e per attività formative e ricreative; abbiamo suggerito di poter costituire tavoli di riflessione e coordinamento dove discutere di queste situazioni e trovare insieme soluzioni degne di esseri umani, con diritti e doveri assunti da tutte le parti; abbiamo insistito perché queste persone vengano rimpatriate senza inutili ritardi e in modo dignitoso; abbiamo suggerito rimpatri assistiti che salvaguardino la dignità della persona che torna a casa a mani vuote dopo il fallimento del suo sogno migratorio...
Purtroppo, tutto questo non è ancora stato recepito, ma noi continuiamo a entrare ogni sabato al Cie di Ponte Galeria per essere almeno una presenza di ascolto, comprensione e consolazione di chi vive nella disperazione.
Il Rapporteur ha ringraziato e ha chiesto proposte concrete. Dal canto nostro, abbiamo di nuovo ribadito con forza alcuni punti: un’accoglienza nel nostro Paese fatta con progettualità e competenza in linea con le norme e gli standard internazionali; la chiusura dei Cie e la ristrutturazione dei Cara; la revisione delle procedure nelle nostre ambasciate all’estero per concedere i visti di ingresso regolari, quando ci sono tutti i presupposti per farlo, altrimenti si rischia di favorire l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani; la creazione di tavoli di confronto e discussione con quanti sono particolarmente impegnati e senza interessi nel vasto mondo degli immigrati e del loro futuro di persone.
Solo lavorando in rete con tutte le forze che si occupano di questa emergenza e del vasto fenomeno dell’immigrazione si potranno trovare risposte adeguate per costruire insieme il futuro nuovo di una società multiculturale.
Pubblicato il 10 ottobre 2012 - Commenti (0)
01 ott
Il commissario europeo Cecilia Malmström, incaricata degli Affari interni, ha reso noto un rapporto sul traffico degli esseri umani specialmente per lo sfruttamento sessuale che ci conferma, una volta di più, l’enormità di questo dramma e l’urgenza di intervenire. «Il traffico degli esseri umani è la schiavitù dei nostri tempi - ha denunciato la commissaria Ue -: soprattutto il traffico delle donne sfruttate per il commercio del sesso. Romania e Bulgaria sono i Paesi più colpiti. I dati sono in aumento. Le cause? Certamente la crisi economica ha reso queste stesse vittime ancora più deboli. E noi avremmo dovuto fare molto di più nel passato, per aiutarle».
Il rapporto precisa che tre quarti delle vittime di traffico di esseri umani sono oggetto di sfruttamento sessuale; le donne sono il 79 per cento del totale, e il 12 per cento di queste sono ragazze minorenni, 2 su 10 sono maschi.
È vero, molto è stato fatto ma la legislazione non basta se non si crea una cultura del rispetto e del vero valore della dignità di ogni persona. In Italia, ad esempio, abbiamo una delle migliori legislazioni europee per la protezione e la reintegrazione sociale delle vittime di sfruttamento e riduzione in schiavitù alle quali viene pure dato un permesso di soggiorno per motivi sociali o umanitari. (art. 18 del T.U sull’immigrazione del 1998).
Da allora oltre 6.000 vittime di tratta hanno usufruito di questa legislazione e sono state aiutate a reintegrarsi nel nostro tessuto sociale. Oggi però, sempre di più, facciamo fatica a far applicare questa legge agli stessi enti preposti, anche quando le vittime sporgono denuncia. Molte di queste giovani sfruttate devono attendere parecchi mesi e a volte anni prima di ottenere i dovuti documenti e prima di poter riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro in modo dignitoso.
Le nostre istituzioni e case di accoglienza si sono molto rallegrate lo scorso anno quando l’Unione europea ha emanato una nuova normativa per le persone vittime di tratta, approvata nel febbraio del 2011. Questo nuovo testo, che fissa i principi generali sulla prevenzione del fenomeno della tratta e sulla protezione delle vittime, dovrebbe entrare in vigore nell’aprile 2013. Questo potrebbe favorire una maggior cooperazione tra gli Stati europei in particolr per il contrasto della criminalità organizzata.
Purtroppo, come sovente abbiamo costatato e denunciato, dopo tanti anni di impegno da parte di enti pubblici e privati, nonché di organizzazioni di volontariato, Caritas e congregazioni religiose, soprattutto femminili, il problema non tende a diminuire, anzi. Il meccanismo di questa nuova e moderna schiavitù, particolarmente di donne e minori, cambia strategie e modalità di reclutamento, trasporto e gestione pur di sostenere un grande “business” fatto di interessi e corruzione e di assicurare al tempo stesso la richiesta di sesso a pagamento.
Ciò che ci preoccupa maggiormente in questo momento sono i dati che riguardano soprattutto le minorenni, menzionati dal commissario perché le cifre potrebbero essere notevolmente in difetto.
Lo scorso 19 settembre l’Italia ha finalmente ratificato la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, con la condanna categorica della pedofilia e pedopornografia. Ci sono voluti tre anni perché il Senato desse il via libera definitivo al provvedimento contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale sui bambini. Entra così nel codice penale la parola “pedofilia” per cui è prevista la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni per chi si macchia di questo orribile reato. Ciononostante, la realtà di sfruttamento che incontriamo ogni giorno sulle nostre strade, nei night club e negli appartamenti continua a essere molto triste e allarmante.
Ci auguriamo che la nuova normativa approvata nelle scorse settimane dal governo italiano sullo sfruttamento sessuale dei minori trovi piena applicazione, senza scuse e senza remore, e che includa anche il fenomeno del “turismo sessuale”, che riguarda tre milioni di persone in tutto il mondo, molte delle quali dei veri e propri pedofili. Questo mercato molto proficuo non conosce crisi e vede gli italiani in prima fila. Li chiamano travelling sex offender, viaggiano in cerca di esperienze sessuali, soprattutto con minori.
Le risposte date dai diversi Paesi dell’UE si differenziano a secondo delle situazioni economiche sociali e culturali, mentre tutti i Paesi sono d’accordo sul fatto che si debba agire subito per trovare soluzioni adeguate. La Commissaria ha lanciato una consultazione tra i vari Stati per integrare efficacemente la direttiva europea già approvata. A tutti viene chiesto di fare molto di più dando maggior attenzione a cinque punti prioritari per una vera strategia quinquennale e globale: prevenzione del traffico; punizione sicura dei responsabili; identificazione e protezione delle vittime; coordinamento interstatale, anche con Paesi fuori dalla Ue; aumento dell’informazione sul fenomeno.
Io sento il bisogno di aggiungere un altro punto, forse il più strategico di cui molto raramente si parla: il contrasto della richiesta di sesso a pagamento da parte del nostro mondo maschile e maschilista, che non vuole mai mettersi in discussione. È proprio la richiesta costante e per molti versi in crescita, che alimenta la catena di queste nuove schiave. Fino a quando ci sarà la richiesta i trafficanti troveranno i modi per importare e tenere imprigionate migliaia di giovani donne che sognano una vita migliore per loro e i loro cari e si trovano letteralmente a vivere l’inferno.
Pubblicato il 01 ottobre 2012 - Commenti (1)
14 set
Una giovane donna romena di 22 anni è stata aggredita nella notte dell’11 settembre su una delle strade di Roma, dove si trovava con altre compagne in attesa di “clienti”. Due persone, a volto coperto, hanno avvicinato la ragazza e dopo averla colpita più volte l'hanno cosparsa di liquido infiammabile e poi data alle fiamme. La ragazza è stata soccorsa da alcune connazionali e ricoverata in condizioni gravissime, con il 52 per cento del corpo ustionato.
Gli investigatori ritengono che ad aggredirla siano stati due suoi connazionali, forse sfruttatori della ragazza, che la costringevano a prostituirsi su quella strada. Ma non è escluso che possano essere stati dei “clienti”.
Questo ennesimo episodio di violenza ha riaperto il dibattito sulla sicurezza delle nostre strade e ancor più sulla prostituzione, fenomeno dilagante, spesso legato alla criminalità organizzata e al racket. È urgente dare impulso alla lotta contro trafficanti e sfruttatori. Ma anche lavorare su politiche sociali e culturali, per contrastare questo fenomeno alla radice, ovvero a livello della crescente domanda di sesso a pagamento. Argomento, questo, che difficilmente viene preso in considerazione.
I nostri media, infatti, sono più propensi a focalizzare l’attenzione sull’offerta. Quasi mai si parla dell’incredibile numero di clienti: nove-dieci milioni di uomini (che si dicono in gran parte cristiani) usano e abusano ogni mese del corpo di queste donne, molte delle quali minorenni. Questi “consumatori” di sesso a pagamento sostengono e alimentano, con la loro richiesta, questo enorme mercato, e si rendono complici di gravi violazioni dei diritti umani di queste donne, ridotte a schiave.
Quando le incontriamo sulle strade spesso ci ripetono: «Non saremmo qui se nessuno venisse a cercare il nostro corpo». Legalizzare la prostituzione per renderla più accessibile e sicura non risolve il problema del rispetto della dignità della donna, della sicurezza e del decoro di una città o di Paese. Legalizzare la prostituzione in Italia, in questo momento, vuol dire legalizzare la tratta di esseri umani e quindi una delle peggiori schiavitù moderne.
Le stesse multe non sono la soluzione del problema. Serve piuttosto un programma di informazione, formazione ed educazione sessuale seria, rivolto soprattutto ai giovani. E qui, la famiglia, la scuola, le parrocchie, la società e i media hanno un grande ruolo da svolgere e una grande responsabilità.
Perché non si parla mai della “domanda”? Perché anche la Chiesa, garante di valori umani e cristiani, non denuncia con forza questo enorme mercato di corpi umani?
L’episodio della giovane romena mi fa tornare alla mente un’altra aggressione di alcuni anni fa. Tre giovani nigeriane, accovacciate attorno a un fuocherello, vengono aggredite da alcuni giovani che lanciano una lattina di liquido infiammabile su quei tizzoni di carbone che immediatamente si incendiano, ustionando gravemente le tre giovani. Una di queste, con il 60 per cento del corpo ustionato, è stata affidata a una delle nostre comunità di accoglienza, seguita per anni con amore e gratuità e aiutata non solo a guarire il suo giovane corpo sfigurato ma soprattutto aiutata a ritrovare la serenità e la voglia di vivere. Un lavoro difficile, delicato e lungo, ma Grace ce l’ha fatta. Ora è sposata ed è diventata mamma di una bella bambina.
Purtroppo non tutte le storie di questo tipo giungono a buon fine.
Pubblicato il 14 settembre 2012 - Commenti (0)
04 set
Ho seguito in televisione la commovente cerimonia di addio che la diocesi ambrosiana e la Chiesa tutta ha tributato al cardinal Carlo Maria Martini nel duomo di Milano. Anch’io come migliaia di persone mi sono sentita particolarmente unita a quella folla di persone che nei giorni scorsi ha ricordato e riconosciuto l’arcivescovo come Padre e Pastore, maestro e testimone, profeta e comunicatore. Ciascuno lo vede, lo ricorda e lo riconosce da angolature diverse, giacché Martini era una persona di grande cultura, ma anche di grande semplicità e chiarezza di rapporti. Per me era soprattutto una persona di grandi visioni e intuizioni, che si confrontava costantemente con la “Parola” viva ed efficace, capace di trasformare il quotidiano di ogni persona, della società e della Chiesa.
Martini, che amava tanto parlare in parabole, capirle, interpretarle e presentarle può essere paragonato a quel servo del Vangelo al quale il padrone aveva affidato dieci talenti: lui li ha messi a servizio dell’umanità e della Chiesa, a volte smarrita e confusa, ma che ha saputo guidare con saggezza e fedeltà alla Parola che proclamava e soprattutto viveva.
Mentre osservavo, ascoltavo e mi commuovevo, vedendo quella folla di autorità e di gente semplice, di uomini di Chiesa e di rappresentanti di altre religioni, il mio pensiero è volato lontano nel tempo e nello spazio, e sono emersi nella mia memoria ricordi vividi e semplici di tre particolari momenti di incontro con il cardinal Martini.
Il primo è stato nel 1985, quando in occasione del 43° Congresso eucaristico internazionale, tenutosi per la prima volta in un Paese africano, e precisamente a Nairobi in Kenya, ho avuto modo di partecipare a un corso di esercizi spirituali da lui predicati a un centinaio di missionari e missionarie. Il Cardinale aveva colto con gioia l’occasione del Congresso eucaristico per visitare e incontrare missionari e missionarie, sparsi per il Kenya, e in particolar modo quelli provenienti dalla diocesi ambrosiana: un Pastore dal grande cuore missionario, aperto all’annuncio evangelico del mistero pasquale di Cristo, fonte di vita e trasformazione per tutti i popoli e le culture.
Prima del grande Congresso eucaristico, conclusosi con la presenza di Giovanni Paolo II, il cardinale aveva visitato tante nostre missioni, anche quelle più lontane del Nord del Kenya e si era reso conto di come il Vangelo, per penetrare nei cuori e nella vita di tanta gente povera e semplice, aveva bisogno di incarnarsi nelle tradizioni e nelle culture di quelle popolazioni, ricche di valori e significati. Dopo queste giro di visite e incontri, cambiò il titolo del suo ritiro spirituale che divenne: Perché Gesù parlava in parabole. Infatti, confrontandosi con un contesto in cui era ancora molto forte la cultura orale - molto simile a quello che Gesù trovò nella Palestina del suo tempo - ci propose di riflettere sul fatto che, forse, più che presentare dogmi di fede e principi di catechismo, sarebbe stato meglio raccontare storie e diventare esperti di una “teologia narrativa”.
Questa provocazione ha aiutato noi missionari a riscoprire la Parola proclamata e vissuta nella quotidianità, a contatto con la gente, proprio come aveva fatto Gesù.
Due anni dopo, e precisamente nel maggio 1987, sono ritornata in Italia per le mie vacanze e per celebrare nella mia parrocchia il 25° anniversario di professione religiosa e il ventesimo di servizio alla missione in Kenya. Per l’occasione il mio parroco, don Antonio Guadagnini, che lui pure celebrava nello stesso giorno - 22 maggio - il 25° di sacerdozio, aveva chiesto l’opportunità di un incontro con il cardinale. Martini ci invitò a partecipare a una celebrazione eucaristica nella sua cappella privata per ringraziare insieme il Signore per il dono di questa mia vita tra le Missionarie della Consolata. Dopo la celebrazione, l’incontro e il saluto personale, cordiale e paterno, carico di ricordi, interessamento e auspicio per il nostro servizio alla Chiesa e alla missione. Con semplicità, mi ha consegnato un ricordo di questo incontro: un Crocifisso dorato custodito in un astuccio di velluto rosso con le sue insegne episcopali insieme a un biglietto personale di augurio.
Il terzo incontro avuto è avvenuto a Galloro, Roma, nella casa dei Gesuiti dove era di passaggio per Gerusalemme. Io mi trovano lì per i miei esercizi spirituali annuali. Sono andata a salutarlo ed egli ancora si ricordava di quell’incontro in arcivescovado per il 25°, insieme al mio parroco, che in quel momento era molto malato. Il cardinale mi disse di portargli i suoi saluti e il suo ricordo e aggiunse: «Come sarebbe bello se gli mandassimo una cartolina con i nostri saluti». Desiderio immediatamente esaudito, che ha lasciato in me, e certamente anche in don Antonio, il ricordo di un Padre che non dimentica i suoi figli e che sapeva sempre offrire gocce di consolazione e speranza.
Grazie padre Martini per ciò che ci hai donato e insegnato con la coerenza della tua vita tutta spesa per il Vangelo, per la Chiesa, per l’umanità, per i poveri e gli ultimi, colmando le nostre solitudini e dando luce e forza alle nostre difficoltà e incertezze.
Pubblicato il 04 settembre 2012 - Commenti (0)
30 ago
Domenica 26 agosto è calato il sipario sul grande evento del Meeting di Rimini dal tema: “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”. La presidente Emilia Guarnieri si è detta molto soddisfatta. Infatti, gli stand sono stati visitati da 800 mila persone, provenienti da oltre 40 Paesi. Anche quest’anno il Meeting ha ospitato 9 mostre, 21 spettacoli e 98 incontri, con 271 relatori: uomini politici e di Chiesa, di pensiero e di alto profilo sociale. Ma, appunto, uomini. O quasi esclusivamente. Sono rimasta infatti molto delusa nel costatare che la presenza delle donne era assai insignificante, attorno al 10 per cento.
Ancora una volta mi sono chiesta che tipo di società e governo, di istituzioni e di Chiesa, di leadership e di modelli stiamo presentando e proponendo soprattutto ai nostri giovani? In un tempo in cui le donne stanno emergendo, anche se con tanta fatica, in tutti i campi, questa loro presenza dovrebbe essere presa maggiormente in considerazione e valorizzata, se vogliamo costruire un mondo più armonico, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, dei diritti e dei doveri, fedele ai principi etici ed evangelici.
Non mancano esempi e testimonianze bellissime da proporre ancora oggi alla nostra società e soprattutto alle future generazioni che devono imparare a scoprire, rispettare e apprezzare le capacità, il dono e la bellezza di ogni persona, maschio o femmina che sia, giacché così ci ha pensato e voluto il Creatore: «Marchio e femmina li creò… a sua immagine li creò…» (Gen. 1,27).
Che dire poi della valorizzazione di quel genio femminile, di cui è stato promulgatore quel grande uomo e Papa, il Beato Giovanni Paolo II? Per tutta la sua vita ci ha comunicato con le parole e più ancora con la sua testimonianza come vivere il Vangelo oggi e cosa vuol dire essere persona, uomo e donna in rapporto con l’infinito.
Tra un mese la stessa città di Rimini vivrà un altro importante evento: “Il Festival Francescano”. Dal 28 al 30 settembre, la famiglia francescana vuole ricordare l’VIII centenario della consacrazione religiosa di Chiara d’Assisi. Si tratta di un avvenimento di particolare rilevanza soprattutto per il messaggio di grande attualità che vuole riproporre attraverso la vita e l’esempio di due giovani, Francesco e Chiara che, innamorati di Cristo, iniziano insieme a vivere l’avventura della radicalità evangelica.
Lo scopo è quello di riflettere e di raccontare il ruolo e l’apporto - decisivo e plurale - delle donne nella società, nell’economia, nella cultura, nelle professioni, nelle religioni, nella Chiesa. Il messaggio di Chiara e di Francesco è più che mai attuale e autentico, perché attraverso la loro testimonianza di vita, veramente radicale ed evangelica, rappresentano ancora un modello da proporre alla società e alla Chiesa, ma soprattutto ai giovani, per un vero rinnovamento della nostra società. Anche loro, dopo oltre otto secoli, continuano a dirci che “la natura dell’uomo e della donna è rapporto con l’infinito”.
Pubblicato il 30 agosto 2012 - Commenti (2)
13 ago
La copertina di "Io sono qui. Il mistero di una vita sospesa" (Mondadori, 2012) di Mariapia Bonanate.
Durante il periodo estivo, quando tutti cercano di trascorrere alcuni giorni di riposo e vacanza, penso spesso alle tante persone, in maggioranza donne e madri di famiglia, pronte a sacrificare il loro tempo e il loro riposo per rimanere accanto a persone care anziane o ammalate, bisognose di cure o assistenza in ospedale o in famiglia.
Sono soprattutto le donne che vivono questa esperienza di presenza, amore e conforto, di donazione e sicurezza per alleviare il dolore, il disagio, la malattia o la solitudine di altre persone.
Mi ha fatto molto riflettere su queste situazioni di sofferenza e di amore la lettura del libro “Io sono qui”. Il mistero di una vita sospesa (Mondadori, 2012), scritto da Mariapia Bonanate, giornalista e scrittrice di Torino, con la quale abbiamo condiviso tante riflessioni e campagne per la dignità, bellezza e ricchezza che ogni donna porta in sé e che esprime in tanti modi.
In questo libro Mariapia racconta l’esperienza vissuta in prima persona di presenza accanto al marito infermo da oltre sei anni, colpito dalla sindrome Locked-in. Sotto le sembianze di un Cristo Velato, nell’immobilità assoluta della malattia, Mariapia percepisce così, in modo profondo e umanissimo, la presenza-assenza del marito. E in questo libro condivide lo smarrimento suo e di tutta la famiglia, ma fa emergere anche la consapevolezza che esiste un altro modo di stare accanto e di essere in relazione, come moglie e madre.
Nelle pagine e nei capitoli che scorrono ricchi di espressioni piene di amore e di sapienza evangelica, l’autrice coglie nel vivo ed esprime con efficacia il senso vero del silenzio che parla più di tante parole. Allora anche il vuoto diventa pienezza e la notte e il buio si fanno chiari come il giorno.
Questo è ciò che è accaduto e continua a vivere Mariapia da quando suo marito, il compagno di una vita, all'improvviso, è stato colpito da una malattia che lascia la persona cosciente, ma totalmente immobile, senza la possibilità di comunicare con chi gli è accanto, se non con il battito delle ciglia e spesso neppure con quello. Un genere di coma di cui si conosce molto poco.
Da quel momento niente è stato più come prima. Poi la decisione consapevole e difficile di portarlo a casa dall’ospedale e di accudirlo in famiglia. È così che “la stanza sulla piazza”, come ama definirla Mariapia, quella in cui lui vive, è diventata il cuore pulsante della casa, un luogo dell'anima dove ogni giorno accadono fatti straordinari. Quella stanza è ora un crocevia di destini e d'incontri, di arrivi e di partenze che insegnano a guardare le cose con occhi diversi, a percepire sensazioni mai provate prima. A scoprire verità nuove o dimenticate, significati importanti, talvolta perduti, in un rapporto intimo con le persone e le situazioni. Tutto diventa novità perché ogni momento è un dono di eternità.
È stato proprio in questa ricerca di senso e nella riscoperta di questo Cristo Velato che entra in scena la sorprendente e misteriosa empatia con Etty Hillesum, giovane donna scomparsa ad Auschwitz, che scrisse un indimenticabile Diario, riscoperto e valorizzato solo molti anni dopo la sua morte. Attraverso questa lettura e un dialogo ideale con Etty, l'autrice si sente sostenuta e incoraggiata nel suo viaggio interiore: le sue parole rivelano momenti di eternità, disegnano un filo luminoso, una comunione di vita e di grandi ideali, dove anche la sofferenza più intima e profonda trova un senso e il coraggio di continuare ad amare, a sperare e a lottare, nonostante tutto.
Io sono qui è la forza dell’amore che non conosce barriere o limiti. È il resoconto delle varie stazioni di un calvario che si è trasformato in un inno alla vita e che ha scoperto un linguaggio nuovo, quello dei sensi riportati all’integrità e alla sacralità delle origini. Non è solo un libro, un racconto, una testimonianza.
È la vita stessa che ha preso una forma inaspettata, più vera: una vita che si è trovata all’improvviso di fronte allo specchio dell’Altrove, dell’Invisibile e, dunque, del “miracolo”. Una vita che si è trasformata, rovesciata, lasciando l’essenza di una umanità ferita ma viva, che sanguina e si rimargina ogni giorno misteriosamente.
Tutto questo grazie alla forza dell’amore e della visione di quel Cristo Velato, che si fa ancora una volta compagno di viaggio sulle strade del mondo per dare un senso alla vita, alla malattia ed anche alla stessa morte, perché alla fine il velo verrà tolto e apparirà la bellezza e la ricchezza dell’amore che oltrepassa malattia e morte per una vita nuova piena di luce e di grazia.
Mariapia e tutte le donne, che vivono in questo momento il mistero della sofferenza accanto a persone care da accudire e amare con tenerezza di madre, sono un esempio illuminante per la nostra società del benessere e del consumo, che troppo spesso dimentica il valore della dignità della persona e il senso vero e umano del prendersi cura di chi è più debole e bisognoso di attenzione e di amore più che delle stesse terapie mediche.
Pubblicato il 13 agosto 2012 - Commenti (0)
02 ago
Durante il programma televisivo “Cominciamo bene” di Rai3, andato in onda giovedì 26 luglio e condotto da Giovanni Anversa e Arianna Ciampoli, è stato trattato un argomento assai controverso che ogni tanto torna alla ribalta: “Legalizzazione e tassazione della prostituzione”. Prendevano parte alla discussione Antonio Morina, Tributarista, l’on. Carolina Lussana, deputata della Lega, Bia Sarasini, scrittrice e giornalista e Pia Covre del movimento per i diritti civili delle prostitute.
La trasmissione è iniziata con la presentazione di alcune cifre, frutto di una delle ultime inchieste che ha messo ancora una volta in evidenza un dato impressionante: oggi in Italia ci sono circa settanta mila prostitute e circa nove milioni di clienti al mese, per un giro d’affari mensili di novanta milioni di euro. Un “business” che potrebbe fruttare allo Stato 260 milioni di entrate in tasse all’anno.
Durante la trasmissione si è discusso della prostituzione - ossia della vendita del corpo di una persona - come se si trattasse di un qualsiasi lavoro autonomo, quindi soggetto alle leggi di mercato. Di conseguenza, si sosteneva la necessità di un pagamento delle tasse come avviene per tutti i lavoratori autonomi.
Il dibattito si è svolto con serietà, ma anche con diversità di approcci e di vedute. Ancora una volta era predominante il bisogno e la richiesta di una normativa per colmare il vuoto legislativo lasciato dalla legge Merlin del 1958, quando, dopo dieci anni di discussione, è stata decisa la chiusura delle case di tolleranza in cui le donne erano schedate come meretrici.
Si è messo, inoltre, in evidenza - e con forza - il fatto che molta gente, di fronte a quello che continua a essere chiamato “il mestiere più vecchio del mondo”, sostenga con molta superficialità che il problema potrebbe essere regolamentato e risolto con una legislazione appropriata, a tutela di quante scelgono questa forma di “lavoro”, con tutti i diritti e doveri previsti per qualsiasi altra professione. La prostituzione, intesa come vendita del proprio corpo in piena libertà di scelta, entrerebbe quindi a far parte della categoria di lavoro autonomo, con relative tutele sindacali e contribuzione fiscale.
Di fronte a queste considerazioni, sento il bisogno di condividere alcune riflessioni, basate sulla mia ventennale esperienza di lavoro e di lotta contro la tratta di esseri umani, specialmente donne e minori per lo sfruttamento sessuale. Un fenomeno che sta distruggendo non solo una generazione di giovani donne immigrate provenienti da Paesi poveri, ma che sta anche logorando il nostro tessuto sociale con risvolti assai deleteri sui nostri giovani e ancor più sulle nostre famiglie.
Cosa dire ad esempio dell’enorme numero di richieste di sesso a pagamento in un Paese cosiddetto civile come l’Italia, dove il 70 per cento dei clienti sono persone sposate o conviventi? E si può davvero parlare di 70 mila donne che hanno scelto liberamente e volontariamente di fare la prostituta? Siamo proprio sicuri che queste donne considerino il loro esser lì sulle nostre strade, negli appartamenti o nei locali come un lavoro autonomo alla stregua di qualsiasi altra libera professione?
Sappiamo bene, invece, che oltre l’80 per cento di queste donne sono immigrate e sono state trafficate, comprate e vendute da trafficanti che gestiscono un “business” internazionale miliardario. Un “business” che frutta alla criminalità organizzata (anche di casa nostra) enormi guadagni. Le giovani immigrate, coinvolte nella prostituzione, sono spesso partite dai loro Paesi, lasciando situazioni di grande povertà, con la speranza di poter lavorare nel nostro ricco Occidente per migliorare le proprie condizioni di vita e aiutare le loro famiglie. Molte si sono ritrovate invischiate nelle maglie di trafficanti senza scrupoli, che usano queste donne come merci, con la “complicità” dei clienti che con la loro richiesta di sesso a pagamento sostengono e alimentano questi ignobili traffici.
Queste donne non hanno certamente scelto di fare la prostituta, ma sono state costrette con l’inganno e con la coercizione - psicologica oltre che fisica - a vivere nella clandestinità, nella paura e nell’ignoranza dei loro diritti e doveri in un Paese straniero. Perché allora non pensare, prima di tutto, a rompere gli anelli di questa terribile catena di schiavitù che sfrutta e opprime migliaia di donne? Sono loro le nuove schiave del XXI secolo. Vittime di un sistema che toglie alla persona libertà e dignità.
Purtroppo questa catena di schiavitù è formata da tanti anelli: le vittime, con la loro povertà e mancanza di scelta; gli sfruttatori con i loro ingenti guadagni; i clienti con le loro frustrazioni e richieste; la nostra società con la sua carenza di valori, di etica morale, civile e familiare; il consumismo sfrenato, che pretende che tutto si possa vendere e comprare, compreso il corpo di una donna e ancor più di una minorenne; i governi con i loro sistemi di corruzione e di connivenze; ma noi, come singoli cittadini con il nostro silenzio e la nostra indifferenza.
Purtroppo oggi il bene comune viene confuso con la libertà indiscriminata di scelta, di opinioni, di interessi personali. Forse abbiamo dimenticato che l’etica morale si fonda sul rispetto e la dignità della persona, che vive nella società, in sintonia con elementi culturali e tradizionali che rappresentano il bagaglio di un Paese civile, rispettoso di valori veri e duraturi.
Le conseguenze di questo “libertinaggio” non sono affatto da sottovalutare, perché creano una grande povertà di valori e di relazioni. Quante infedeltà matrimoniali, quante rotture di impegni e promesse, quante famiglie sfasciate! E le conseguenze più disastrose spesso le pagano i figli.
Quale esempio e quale formazione alla responsabilità e al rispetto della propria e altrui dignità stiamo offrendo ai nostri giovani? Quali saranno le conseguenze psicologiche sulla vita di tanti adolescenti che sono spinti a giustificare tutto in nome della libertà personale? Non ci accorgiamo che stiamo pericolosamente abbassando il nostro stesso livello valoriale e culturale e che proponiamo sempre più modelli non finalizzati alla costruzione del bene comune, ma semplicemente al perseguimento dell’interesse personale di ciascuno?
Anche il lavoro dovrebbe essere considerato per il contributo positivo che può offrire per il bene della persona e della società. Ogni lavoro, per umile e semplice che sia, dovrebbe nobilitare la persona, aiutarla a offrire il suo contributo di intelligenza, capacità e competenza alla costruzione di un mondo migliore. Com’è possibile considerare la prostituzione come lavoro dignitoso e onesto? Perché le nostre donne che incontriamo sulle strade o accogliamo nelle nostre case-famiglia provano tanta vergogna a raccontare le loro storie di sopruso e umiliazione? Perché una volta che hanno lasciato questo losco mercato vogliono solo dimenticare questo capitolo della loro vita?
Durante una recente conferenza in Canada, mi è stato dato di ascoltare la testimonianza di una donna che ha esercitato la prostituzione per oltre vent’anni come mezzo di sostentamento per lei e per i suoi figli. Dopo aver condiviso la sua triste esperienza, seguita da un profondo silenzio da parte dell’assemblea presente, ha aggiunto: “Nessuno osi dire che le prostitute lo fanno perché lo vogliono e lo scelgono. Io non l’avrei mai fatto se avessi avuto altre opportunità o se avessi incontrato una persona disponibile ad aiutarmi a trovare un altro lavoro”.
Termino queste riflessioni ribadendo ancora una volta con forza che legalizzare la prostituzione e riconoscerla come lavoro autonomo può diventare sinonimo della legalizzazione della stessa tratta di esseri umani, la nuova schiavitù del ventunesimo secolo conclamata e vissuta da tante donne
Pubblicato il 02 agosto 2012 - Commenti (4)
28 lug
In queste settimane, diversi media italiani hanno dato molto rilievo e attenzione all’“indegno mercato” di esseri umani, come è stato chiamato in un editoriale di Giuseppe Anzani su Avvenire.
Notizie e informazioni sconcertanti, che segnalano la vastità e la crudeltà di questo fenomeno, ancora così poco conosciuto. E che richiede risposte adeguate e urgenti alla nostra società civile e religiosa. Non possiamo più tacere di fronte a tanta ipocrisia e continuare a ripetere il ritornello che «questo è il mestiere più vecchio del mondo». E non possiamo più far finta di credere che le prostitute sono sulle strade o nei locali notturni per libera scelta, perché possono e desiderano fare del loro corpo una fonte di guadagno facile. Niente di più falso. Dobbiamo ritrovare il coraggio dell’onestà e della verità e chiamare questo fenomeno con il proprio nome: “schiavitù”.
Non possiamo però dimenticare che questo fenomeno sta distruggendo pure tante nostre famiglie. Infatti, il 70 per cento dei clienti che vanno in cerca di sesso a pagamento sulle strade hanno a casa moglie e figli, oppure sono conviventi. Quanto mi fa riflettere, durante le mie frequenti visite all’ambasciata nigeriana, vedere uomini italiani già anziani in compagnia di ragazze ventenni in attesa del loro turno per chiedere il nulla osta per un matrimonio, certamente basato più su convenienze e interessi personali che sul vero amore e su un progetto di vita insieme. Quanto tempo possono durare simili matrimoni combinati?
Sovente mi domando anche che cosa stiano veramente cercando questi uomini sulle nostre strade, di giorno o di notte, incuranti di chi li può vedere e riconoscere come clienti di “prostitute”. A quanto pare non se ne fanno più nemmeno un motivo di vergogna o di disagio. Ormai tutto è lecito e lo si giustifica come un diritto e una qualsiasi scelta personale. Ormai è diventato parte di una nuova cultura. Non ci si mette nemmeno più in discussione, giacché ciascuno può semplicemente fare ciò che vuole. Specialmente se ha denaro e con questo si sente autorizzato ad acquistare tutto, compreso il corpo di una donna, come se fosse una merce qualsiasi.
Se c’è da puntare il dito allora è sempre nei riguardi della donna, della sua spudoratezza, volgarità, provocazione, nonché dei suoi atti di indecenza e mal costume. Ma “lui”, il cliente che la cerca, la usa e poi la rigetta sulla strada non è mai colpevole.
Dopo tanti anni di lavoro e di lotta per contrastare questa terribile piaga e questa nuova forma di schiavitù il fenomeno non arretra, anzi, cambia strategie e si rinforza. Le donne dell’Est Europa sono sempre più giovani e assai confuse, specialmente se hanno saltato la loro adolescenza e sono state buttate sulle strade in pasto agli affamati di sesso. Mentre le nigeriane sono tenute in ostaggio con lo stratagemma della richiesta di asilo politico per cui, in attesa dell’inchiesta della commissione proposta a tale scopo (che non sarà favorevole nella maggioranza dei casi), i trafficanti e le madame continuano a trarre i loro enormi profitti.
Ben venga allora un dibattito politico e istituzionale serio e tempestivo per riproporre legislazioni ponderate che mirino prima di tutto a liberare le molte schiave costrette a vendersi nel nostro Paese. Riprendiamo in mano seriamente il famoso art. 18 del T.U (286/98) sull’immigrazione e proponiamo a queste giovani la possibilità di una via di uscita dalla schiavitù, attraverso programmi di recupero di una nuova vita sicura e dignitosa basata sul lavoro onesto.
Le toglieremo così ai trafficanti e ai clienti, diminuendo il numero delle prestazioni e dei rispettivi guadagni. Da quando è stato emanata questa lungimirante legislazione, apprezzata anche da molti Paesi Europei, nelle case-famiglia gestite dalle religiose, in collaborazione con altri enti, abbiamo offerto accoglienza, sicurezza e legalità a oltre 6.000 donne, tra le quali moltissime mamme con bimbi che ora si sono inserite nel nostro tessuto sociale.
Purtroppo, oggi troviamo molto più difficile ottenere i permessi da parte delle autorità competenti. Di conseguenza, noi stesse non siamo più credibili quando proponiamo alle donne di lasciare la strada e iniziare un vero percorso di integrazione e liberazione. Le stesse comunità di accoglienza gestite da associazioni finanziate da enti pubblici o governativi, si trovano ora in gravi difficoltà finanziarie e stanno chiudendo, mentre le nostre comunità - pure nelle difficoltà - aumentano di numero, cercando di far fronte alle stesse difficoltà di mantenimento e reinserimento sociale e lavorativo.
Pubblicato il 28 luglio 2012 - Commenti (0)
24 lug
Recentemente due suore nigeriane sono venute in Italia a un seminario internazionale per religiose provenienti da diversi Paesi del mondo per rafforzare la rete di Talitha Kum. Insieme, si è cercato di trovare strategie comuni per incidere sui Paesi di origine, transito e destinazione di migliaia di giovani donne, vittime di organizzazioni criminali internazionali che le trafficano e le costringono alla prostituzione.
Dalle diverse esperienze è emerso prima di tutto il grande problema della povertà endemica in tanti Paesi d’origine che facilita il compito dei trafficanti di esseri umani, che usano varie strategie - tra cui i riti voodoo - per “adescare” e soggiogare le loro prede.
Ma i trafficanti sono presenti pure nei Paesi di transito per monitorare il passaggio delle vittime e non rischiare di perdere il loro “investimento”. Ogni donna vittima di tratta, costretta a prostituirsi in Europa, frutta dai 60 agli 80 mila euro.
Nei Paesi di destinazione, invece, i trafficanti sono ancora in azione per pianificare l’offerta e rispondere alla domanda di milioni di uomini, in cerca di sesso a pagamento. Purtroppo la crisi economica non incide su questo mercato.
Una delle due religiose nigeriane venute in Italia è stata diverse sere sulle nostre strade per incontrare le ragazze e rendersi conto della loro triste situazione. Incontrando un giornalista durante una conferenza stampa, che le chiedeva che cosa l’aveva colpita di più durante quegli incontri notturni sulla strada, diede una risposta agghiacciante: «Ho notato che voi italiani siete molto amanti degli animali e li trattate molto bene», disse con molta convinzione e pacatezza. «Come avrei voluto vedere le nostre ragazze trattate almeno come animali».
Quanto mi ha colpita quella risposta e quanto mi ha fatto riflettere quella drammatica a verità. Proprio in questi giorni, leggendo le polemiche legate a un allevamento di animali destinati presumibilmente alla vivisezione, mi sono tornate in mente le parole di quella religiosa. E ho pensato che, come è giusto indignarsi per l’atroce fine che fanno quegli animali, allo stesso modo dovremmo alzare il nostro grido di denuncia e di indignazione per il trattamento bestiale che viene riservato a molte giovani immigrate, che subiscono ogni giorno le peggiori violenze sulle strade del nostro Paese.
Pubblicato il 24 luglio 2012 - Commenti (1)
14 lug
Sono di questi giorni le notizie
di arresti di trafficanti di esseri umani sia a La Spezia che a Sassari. Penso
sia giunto il momento di essere molto più severi con i trafficanti di merce
umana e cercare di confiscare i loro proventi e risarcire le donne ridotte a
schiave dei danni subiti.
“Finalmente giustizia è fatta”, è stata una bella
notizia emanata dalla Corte d’Assise d’appello dell’Aquila a favore di
diciassette donne nigeriane costrette a prostituirsi sulla Bonifica del Tronto in
condizioni di grave sfruttamento: 50.000 euro di provvisionale immediata per
ogni ragazza, la revoca della confisca dei beni sequestrati agli imputati in
favore dello Stato e il sequestro conservativo in favore delle vittime.
Queste notizie e risoluzioni potrebbero incoraggiare molto le stesse vittime a
collaborare con la giustizia per mettere fine al commercio di esseri umani così
come viene fatto per il traffico di droga.
Ben venga allora la proposta di
una legge in Italia come quella della Svezia e della Norvegia, che mira a
colpire e a multare anche il cliente in modo che serva da deterrente.
Questo
provvedimento, però, deve essere accompagnato da una vera educazione e
formazione al rispetto e alla dignità della persona. La donna non può essere
ridotta a mero oggetto, che si può mercanteggiare, specialmente se vive in
stato di paura o di vulnerabilità.
La nostra proposta va ben oltre la
punizione. Quest’ultima, se non è accompagnata da un cambiamento di mentalità e
di valori, non porta certamente i frutti desiderati e duraturi in un mondo dove
la differenza di genere deve essere accolta e vissuta nella quotidianità e
nella complementarietà pur nella diversità dei ruoli.
Le nuove legislazioni possono
essere efficaci se discusse tra le varie componenti sociali e specialmente con
chi opera a diversi livelli e con diversi ruoli per contrastare il traffico di
esseri mani per lo sfruttamento sessuale, al fine di trovare comuni accordi per
proporre e attuare leggi adeguate ed efficaci.
È importante e necessaria la
collaborazione di quanti sono coinvolti in prima persona nella lotta alla
criminalità organizzata, nonché nella protezione delle vittime e persino nel recupero
del cliente, perché anche lui è un anello saldo della catena di questa nuova
schiavitù che deve essere spezzato affinché lui stesso possa riappropriarsi
della sua dignità.
Facciamo campagne informative e
formative, puntando specialmente sui giovani nelle scuole e nelle parrocchie e
ridurremo di molto la richiesta. Solo allora le nostre leggi punitive saranno
efficaci e durature, perché basate su convinzioni e su valori veri di una
convivenza umana e rispettosa della dignità propria e altrui.
Pubblicato il 14 luglio 2012 - Commenti (1)
09 lug
Non passa giorno, o quasi, che non si abbiano notizie di violenze (spesso domestiche) nei confronti delle donne. Purtroppo anche i dati - resi noti recentemente dall’Associazione nazionale Telefono Rosa -, confermano una situazione molto preoccupante e sconcertante. L’inchiesta rivela che l’87 per cento delle violenze avviene in famiglia, tra le mura domestiche, giustificata sovente in nome della stessa affettività; in realtà è esclusivamente violenza inaudita e ingiustificabile. Basti pensare che solo nei primi sei mesi del 2012 sono state uccise in Italia 61 donne. Certamente, in queste statistiche non vengono incluse le donne vittime di tratta e di violenza sulle nostre strade, di cui poco o nulla si dice, perché loro, donne immigrate cosiddette prostitute, non fanno notizia e purtroppo non si cercano e non si trovano mai i colpevoli.
Il rapporto di Telefono Rosa segnala invece con forza la tragica e terribile conferma che, a commettere i reati, sono in gran parte gli stessi familiari: mariti, ex compagni o persone nella cerchia affettiva delle mura domestiche. La violenza è spesso causata da gelosia, dal non saper accettare un confronto, da un rifiuto o da un fallimento, oppure dalla paura di perdere un bene, un affetto che si ritiene una proprietà privata di cui si può fare ciò che si vuole.
Ma la donna, in famiglia - ma anche in strada - non è mai un oggetto “usa e getta” come molti vorrebbero farci credere, specialmente attraverso la rappresentazione che ne viene fatta dai mezzi di comunicazione. Purtroppo l’immagine che viene enfatizzata dai media educa spesso alla sopraffazione, alla violenza, all’uso del corpo solo come merce.
D’altro canto, i bambini hanno sempre meno esempi positivi da seguire all’interno delle loro famiglie. È quanto emerge anche dal rapporto ed è un aspetto inquietante molto evidenziato dalla stessa presidente di Telefono Rosa, Gabriella Moscatelli: si tratta della cosiddetta “violenza assistita”, ossia la violenza della quale i bambini sono spettatori all’interno delle mura domestiche. Il che li rende da un lato vittime, dall’altro potenziali soggetti violenti. I bambini vedono e assorbono lo stesso modo di agire, reagire e giudicare che sperimentano all’interno della famiglia. E, una volta diventati adulti, tendono a riprodurre gli stessi atteggiamenti.
Oggi sentiamo con urgenza la necessità di aiutare la coppia a maturare e a vivere insieme con atteggiamenti di rispetto reciproco, di accoglienza del diverso, di dialogo, di perdono, di amore sincero e non possessivo. Quante volte invece le coppie sono lasciate sole a far fronte alle loro difficoltà e ai loro drammi, fatti di incomprensioni, paure, gelosie, tradimenti, solitudine. Purtroppo a farne le spese sono quasi sempre le donne e i bambini.
Ben venga allora anche la formazione integrale dei giovani nelle parrocchie e nelle scuole, basata soprattutto sul grande valore del rispetto della dignità della persona, sia maschile che femminile. I nostri giovani devono essere formati e aiutati a saper cogliere e accogliere le differenze, ad apprezzare capacità e ruoli, mirando a un’affettività equilibrata e responsabile.
A questi giovani, noi dovremmo avere il coraggio di proporre esempi positivi ed edificanti, come quello di Maria Goretti, dodicenne uccisa il 6 luglio del 1902 per non aver accettato le richieste di un giovane che la molestava. Marietta, così veniva chiamata, ha avuto l’esempio di una mamma che l’aveva educata al rispetto, al dovere, alla propria dignità e integrità.
E proprio a Nettuno, dove riposa il suo piccolo corpo nella basilica a lei dedicata, abbiamo voluto aprire una comunità di accoglienza per donne che hanno subito violenza in modi diversi, tra cui donne vittime di tratta. Questa casa, aperta grazie alla collaborazione di diverse comunità religiose, parrocchie e diocesi, vuole essere un punto di riferimento e di incoraggiamento per quante si portano dentro segni di violenza e umiliazione, affinché possano ritrovare speranza e serenità e la voglia di riprendere in mano la propria vita per diventare protagoniste del loro futuro.
Pubblicato il 09 luglio 2012 - Commenti (0)
30 giu
“Femminile, plurale” è il titolo del prossimo Festival Francescano, la cui quarta edizione si terrà a Rimini dal 28 al 30 settembre. Si tratta di un avvenimento di particolare rilevanza soprattutto per il messaggio di grande attualità che vuole riproporre attraverso la vita e l’esempio di due giovani, Francesco e Chiara che, innamorati di Cristo, iniziano insieme a vivere l’avventura della radicalità evangelica.
La manifestazione dei francescani italiani ha lo scopo di riflettere e di raccontare il ruolo e l’apporto - decisivo e plurale - delle donne nella società, nell’economia, nella cultura, nelle professioni, nelle religioni, nella Chiesa… E questo per ricordare l’VIII centenario della consacrazione religiosa di Chiara d’Assisi.
Per questa occasione il Festival Francescano sarà particolarmente presente nelle strade e nelle piazze del centro storico di Rimini, non solo per ricordare il mondo femminile ai tempi di Chiara, ma soprattutto per aiutare anche il nostro mondo contemporaneo a scoprire le sue ricchezze fatte di relazioni umane, visione, profezia e intuizioni, semplicità, gioia e coraggio.
La mia presenza e il mio intervento in occasione della presentazione del Festival voleva offrire un particolare contributo sulle donne consacrate che, anche nell’oggi, cercano di rivivere lo stesso messaggio di attenzione ai «lebbrosi» del nostro tempo, con il coraggio e la determinazione di Francesco, sostenuto dalla presenza e dell’incoraggiamento di Chiara.
D’altro canto, questa occasione ha offerto anche a me la possibilità di approfondire il valore, la ricchezza e la bellezza della relazione umana di questi due protagonisti: Francesco e Chiara. Insieme, hanno incarnato nella loro vita la radicalità evangelica, basata su un rapporto di profonda amicizia spirituale e confermata dalla comune passione per il Regno, vissuta con gioia e letizia, apprezzando il creato che li circondava.
Questo continua a dirci che l’uomo e la donna sono fatti per una sincera complementarietà e reciprocità, vissuti nella diversità di ruoli, ma sempre a servizio del Regno di Dio.
Grande è il valore della collaborazione e del sostegno reciproco e questo non solo nella vita sociale e familiare, ma anche nella Chiesa, chiamata a rispondere alle nuove esigenze e alle tante sfide, che in ogni tempo emergono e richiedono risposte. Quanta ricchezza potrebbe scaturire da una simile relazione e comunione di ideali e di carismi!
Francesco e Chiara sono un chiaro esempio e richiamo dell’importanza di vivere anche all’interno della Chiesa di oggi l’esperienza della relazione uomo-donna, con semplicità, chiarezza di intenti e motivazioni come lo è stato per loro.
Quanto sarebbe più povera la Chiesa senza la presenza e l’intuizione del genio femminile. Sono infatti moltissime le testimonianze di donne intuitive, equilibrate, semplici e generose. Perché allora non riconoscerle e valorizzarle come è stato per Francesco e Chiara?
Perché ancora oggi si tende a eludere o a misconoscere la collaborazione responsabile della donna negli ambienti ecclesiali? Eppure il messaggio evangelico passa anche oggi attraverso la presenza e il coinvolgimento della donna. Questo è un dato di fatto ed è un forte segno dei tempi.
Dobbiamo tutti prenderne atto, specialmente in vista della sfida odierna riguardante la “nuova evangelizzazione”.
Le donne, religiose comprese, sono ancora oggi gli agenti privilegiati della trasmissione della fede sia attraverso la catechesi anche spicciola, sia con la testimonianza della loro vita e delle loro istituzioni caritative.
Francesco e Chiara hanno saputo rompere gli schemi antichi: la prima comunità francescana, itinerante e mendicante, sconvolge i benpensanti cittadini di Assisi e circondario, così come la scelta della nobile Chiara di ritirarsi a vivere la contemplazione nella povertà più estrema di San Damiano, crea una rottura rispetto alle consuetudini del suo tempo.
Chiara e Francesco ci spingono oggi a essere, in perfetto spirito missionario, segni profetici di una Chiesa che continua a guardare al mondo con attenzione e simpatia, prendendosi cura in particolare di quelle fasce della popolazione che rimangono sempre ai margini della storia.
Allora ben venga il Festival Francescano con il suo slogan “Femminile, plurale” per farci riscoprire la grande forza che il mondo femminile può e deve offrire al mondo d’oggi, non attraverso la passiva subordinazione o strumentalizzazione, ma da protagonista e in un autentico spirito di collaborazione e comunione.
Pubblicato il 30 giugno 2012 - Commenti (1)
12 giu
Da parecchio tempo mi porto in cuore un grande sogno e desiderio, che spero possa diventare presto realtà per il vero bene della Chiesa e della società, delle parrocchie e delle famiglie e soprattutto delle donne. Da molti anni, la mia vita missionaria è ricca di contatti e di impegni in favore di tante persone, specialmente donne con le loro aspirazioni e le loro rivendicazioni, con il loro desiderio di essere maggiormente valorizzate nel tessuto sociale e familiare, di governo e di Chiesa.
Più volte mi sono chiesta quali potrebbero essere le conseguenze e l’impatto di un Sinodo Speciale “sulla donna, per la donna e con la donna”. Durante questi ultimi anni i vari Sinodi dei vescovi hanno rivolto la loro attenzione a diverse realtà o tematiche inerenti il magistero e il ministero della Chiesa.
Vedi il Sinodo dei vescovi sui catechisti e la catechesi (30 settembre-29 ottobre 1977); sulla famiglia (2-26 settembre 1980); sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (1-30 ottobre 1987); quello sulla vita consacrata (2-28 ottobre 1994) e infine il prossimo Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione (7-28 ottobre 2012). Perché quindi non sognare la realizzazione di un Sinodo dei vescovi sulla “donna” quale elemento fondamentale e indispensabile per la vita e lo sviluppo della Chiesa stessa?
Guardando alla nostra attuale società civile e religiosa, in cui si parla molto di pari opportunità, nonché di parità di diritti e dignità, la donna fa ancora tanta fatica a emergere e a far valere le sue capacità di intelligenza e di cuore.
E fa ancora tanta fatica a contribuire alla formazione di una società e di una Chiesa più umana e paritaria, pur mantenendo ed esprimendo ruoli precisi e diversi, non affatto in competizione o in contraddizione, bensì vissuti e realizzati in modo complementare e in comunione.
Chi più della donna potrebbe aiutarci a capire il significato di una “Chiesa come Madre”, lei che è chiamata a essere genitrice e portatrice di vita?
Anche la Chiesa, che è chiamata per sua vocazione e missione a essere madre e maestra, potrebbe riscoprire e presentarsi davvero con un volto nuovo di Madre per un’umanità nuova come Cristo l’ha pensata e voluta. Questo, grazie anche alla presenza nella Chiesa della sua stessa Madre e, di conseguenza, di tante altre donne che come Maria possono e vogliono vivere lo stesso dono di maternità.
La realizzazione di intuizioni, desideri e speranze avvengono quasi sempre attraverso la maturazione di avvenimenti, di paziente attesa, ma anche attraverso stimoli e provocazioni. Questo mio sogno ha trovato una maggior speranza e forza in un inserto speciale dell’Osservatore Romano uscito lo scorso 31 maggio.
Il fatto che il l’Osservatore Romano abbia pubblicato il primo inserto dedicato a “Donne Chiesa Mondo” mi ha molto incoraggiato in questo senso. Questo inserto, che dovrebbe uscire ogni mese, è tutto dedicato alle donne e alla loro presenza nella Chiesa e nel mondo. Finalmente anche attraverso i media ufficiali del Vaticano si inizia a dare attenzione e voce a quel mondo femminile così ricco di bellezza, intuizione, iniziative e coraggio, ma che purtroppo fa ancora fatica a trovare il proprio spazio e il dovuto riconoscimento.
Certamente una simile iniziativa potrebbe offrire spunti di riflessione a tanti livelli, e mi auguro che ne raggiunga lo scopo, a cominciare dagli organismi decisionali e operativi specialmente dei vari dicasteri della Curia romana, nonché nelle diocesi e più ancora nelle parrocchie, dove la presenza delle donne è assai operativa ma quasi sempre con ruoli marginali e più raramente decisionali. Eppure, la presenza e il coinvolgimento delle donne nelle nostre chiese è di gran lunga superiore a quella maschile.
Perché allora le donne, religiose comprese, hanno sempre un ruolo di secondo piano?
Scorrendo i titoli degli articoli di questo primo inserto, ho letto con particolare interesse “L’inchiesta tra le suore che salvano le nuove schiave” e mi sono ritrovata a pensare alla grande testimonianza che offrono moltissime religiose in Italia e nel mondo, dedicando la loro vita alla donna e alla sua dignità spesso abusata, sfruttata e calpestata.
La grande rete internazionale “Talitha Kum”, che unisce migliaia di religiose operanti in tutti i continenti, sta svolgendo un ruolo assai importante perché vuole essere ponte di collegamento tra i Paesi di origine, transito e destinazione. Il lavoro di rete e di squadra è la nostra più grande forza.
Nell’inserto, c’è anche la testimonianza bella, profonda e attuale di suor Rita Giaretta, della Comunità Rut di Caserta. Suor Rita opera da molti anni, con alcune consorelle, in una casa famiglia per accogliere e aiutare tantissime giovani immigrate sfuggite da trafficanti e madam (donne nigeriane che sfruttano altre donne). In questa comunità, queste giovani donne ritrovano una famiglia e la voglia di riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro. Sono molte anche quelle che arrivano incinte e che, per non perdere il bimbo, ritrovano la forza e il coraggio di scappare. E proprio grazie a quella loro creatura che volevano salvare, loro stesse hanno trovato la salvezza e una vita nuova e degna.
In generale, vedo in questo nuovo inserto un tentativo di far emergere sempre più il volto femminile e materno della Chiesa. E sono le donne stesse, la cui missione è quella di generare la vita e aiutarla a crescere in tutti i suoi aspetti, che dovrebbero saper incarnare e presentare l’esperienza di Dio come “Madre” e non solo come “Padre”.
Auspico dunque che questo mio sogno e desiderio, che certamente sarà condiviso da tante altre donne, possa trovare nelle autorità competenti la sua attenzione e che possa un giorno trovare piena realizzazione, affinché la Chiesa tutta riscopra il dono e la missione di ogni donna, nonché la ricchezza e la bellezza di tale dono e presenza.
Pubblicato il 12 giugno 2012 - Commenti (2)
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