Don Sciortino

di Suor Eugenia Bonetti

Missionaria della Consolata, è stata per 24 anni in Kenya. Dal 2000 è responsabile dell'Ufficio tratta dell'Unione superiori maggiori italiane (Usmi). Coordina una rete di 250 suore di 70 diverse congregazioni, che operano in più di cento case di accoglienza. Il presidente Ciampi l'ha nominata Commendatore della Repubblica italiana.

30
dic

2012, prospettive al femminile

Al termine di ogni anno le varie istituzioni e il mondo imprenditoriale fanno un bilancio consuntivo e si apprestano a guardare, inserendo nuove strategie per mettere in atto misure di ripresa e di maggior profitto. È ciò che attualmente stanno facendo anche i governi di tutto il mondo per far fronte alla crisi economico-finanziaria e offrire ai loro Paesi garanzie di crescita e maggior sicurezza economica. Non sempre, però, le molte aspettative dei cittadini trovano riscontro positivo quando ci si concentra solo sulle questioni economiche e non si pensa a investire sulle persone che sono pur sempre il capitale più prezioso da custodire, sviluppare e valorizzare.

L’ultimo rapporto dell’Istat ci prospetta il futuro demografico del nostro Paese, che richiede una seria riflessione per una maggior consapevolezza e un cambiamento di mentalità e di politiche sociali e familiari. L’Italia si presenta, anche a livello mondiale, come un Paese di persone anziane. Si legge, infatti, nel rapporto che: “la popolazione è destinata a invecchiare gradualmente, gli ultra 65enni, oggi pari al 20,3 per cento del totale, costituiranno quasi il 33 per cento nel 2059”. Similmente la popolazione sino a 14 anni, oggi pari al 14 per cento del totale, scenderà sino a raggiungere un minimo del 12,7 per cento.

Ma come prevedere un futuro, in cui si possa far fronte alle necessità di cura e assistenza di una popolazione che invecchia tanto rapidamente e massicciamente? Dove si possono trovare chiavi di lettura per prevenire e trovare risposte adeguate a tali bisogni? Forse dovremmo allargare un po' lo sguardo. Di fronte a un continente Europa che sta invecchiando c’è invece un continente Africa che cresce dal punto di vista demografico (e non solo), nonostante le grosse difficoltà in cui versano molti Paesi. Nel 2050, infatti, una persona su quattro nel mondo sarà nata in Africa. Mentre noi occidentali saremo una minoranza. Per di più vecchia.

Attualmente, l’età media in Africa si aggira attorno ai 18-20 anni. In Italia siamo a 43, ma, secondo l’Istat, arriveremo nel 2059 a quasi 50. Già oggi la presenza di migranti, molti dei quali africani e giovani, sta contribuendo all’abbassamento dell’età media e soprattutto al tasso di natalità del nostro Paese, che per le donne italiane è tra i più bassi al mondo (1,2 figli per donna) mentre per le africane è ancora del 5,7. E sono proprio le donne immigrate - non solo africane - che contribuiscono in tanti modi alla crescita del nostro Paese.


Dobbiamo quindi apprezzare la loro presenza e investire sui ricongiungimenti familiari che offrono stabilità e sicurezza. A tal scopo c’è bisogno di un accurato e urgente lavoro di integrazione per una convivenza pacifica e rispettosa di diritti e doveri. Purtroppo, i progetti di accoglienza e integrazione sono ancora molto carenti e in molte regioni inesistenti. In questi ultimi anni le migrazioni in Italia hanno assunto un volto sempre più femminile: le donne sono sempre più presenti nelle nostre famiglie, dove lavorano particolarmente nell’assistenza domiciliare dei nostri anziani, che a volte nemmeno i figli riescono gestire.

«L’aumento delle donne - commenta Brizida Haznedari, albanese, avvocato e mediatrice culturale - ha provocato un positivo riequilibrio della popolazione migrante, che fa bene sia alla realtà immigrata sia a quella italiana. Aiuta nel percorso di integrazione, soprattutto quando ci sono dei figli che creano legami e aperture con altre famiglie. Spesso le donne migranti vivono le stesse problematiche di quelle del posto, come la scarsità di asili nido a basso costo o le difficoltà scolastiche. E a anche per gli uomini è una presenza più rasserenante. Oggi non ci troviamo più di fronte solo all’individuo migrante, ma alla famiglia. Anche molte badanti e collaboratrici domestiche stanno facendo i ricongiungimenti con mariti e figli».

La presenza di famiglie immigrate, ben inserite nella nostra società, crea equilibrio e armonia. All’inizio del nuovo anno 2012 auguriamo a tutte le donne italiane e immigrate e ancor più a tutti i giovani a cui il Papa Benedetto XVI ha dedicato il messaggio per la Giornata mondiale della Pace, di essere davvero strumenti di coesione, solidarietà e comunione per la costruzione di un Paese che più che mai ha bisogno di riprendere fiducia e speranza.

Infatti il Santo Padre ci ricorda che “sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi”. E ancora: “Guardiamo con maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a vicenda nel nostro cammino, lavoriamo per dare al nostro mondo un volto più umano e fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità verso le giovani generazioni presenti e future, in particolare nell’educarle ad essere pacifiche e artefici di pace.”.

Pubblicato il 30 dicembre 2011 - Commenti (0)
24
dic

Natale per chi non trova posto

Da circa nove anni l’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’Unione delle superiore maggiori d’Italia (USMI) è presente al CIE di Ponte Galeria, dove centinaia di immigrati sono in attesa di identificazione ed espulsione perché privi di documenti.


      Un gruppo di una ventina di religiose di diverse Congregazioni e nazionalità visita settimanalmente il reparto riservato alle donne per offrire una presenza di consolazione e di speranza, in quella situazione così difficile e dolorosa. Specialmente a durante questo periodo di feste. Queste donne, sempre oltre il centinaio, vedono il proprio sogno migratorio frantumarsi  e subiscono l’umiliazione di ritornare a casa a mani vuote, invece di continuare ad aiutare la famiglia, come avevano cercato di fare venendo in Italia.

     Purtroppo molte di queste giovani donne, specialmente le nigeriane e quelle provenienti dall’Europa dell’Est, sono spesso anche vittime della terribile tratta di esseri umani sia per sfruttamento lavorativo ma soprattutto per sfruttamento sessuale. Sono gli anelli più deboli di una terribile catena di schiavitù che tiene soggiogate milioni di giovani vittime ingannate, trasportate nei Paesi di “consumo”, messe sul mercato del sesso, da cui è difficile sganciarsi per ricostruirsi una nuova vita. 

      Nel Centro di Ponte Galeria, come in tutti i Cie d’Italia, gli ambienti sono di uno squallore indescrivibile. Non esistono luoghi di aggregazione e le giornate trascorrono nella più totale inerzia. Terribile per giovani piene di vita, costrette a passare lunghe ore sdraiate sul letto, a volte in preda alla disperazione, sognando un futuro di libertà e normalità. L’unico momento della settimana che fa la differenza è la presenza delle suore il sabato pomeriggio. 

     Le incontriamo in gruppetti a seconda della loro provenienza e conoscenza della lingua, per stare con loro, ascoltare le loro storie, far uscire la loro rabbia e offrire un momento di riflessione e di preghiera, con canti e letture che richiamano la ricchezza e bellezza delle loro culture e tradizioni. Uno dei momenti più belli e significativi, che si ripete ogni anno, è stata certamente la celebrazione del Natale, attraverso un momento di preghiera ecumenica, con canti in varie lingue e un momento di festa per tutte. 

     Anche quest’anno si è ripetuta questa celebrazione, giacché Gesù vuole nascere anche nel Cie di Ponte Galeria, in un ambiente non molto diverso da quello in cui è nato duemila anni fa, in una stalla di Betlemme. Celebrare il Natale con le ragazze e le donne che sono a Ponte Galeria è sempre un’esperienza unica e toccante. Un’esperienza di vita, gioiosa e dolorosa, al tempo stesso. Gioiosa, perché permette di donare la gioia di Betlemme a chi non ha nulla. Dolorosa per il dramma che vivono queste ragazze, lontane dal loro Paese e dalle loro famiglie, dal loro mondo giovanile e dagli affetti più cari. 

      È in questa atmosfera che siamo tornate quest’anno a Ponte Galeria, con una quindicina di suore. Abbiamo incontrato una settantina di donne, pronte a riunirsi nella sala mensa per celebrare insieme il Natale e cogliere il suo messaggio di gioia, di pace, di condivisione e fratellanza: i doni che il Redentore vuole donare ancora ai poveri, agli ultimi, agli emarginati. Quest’anno ci ha profondamente colpito l’annuncio della nascita di Gesù proclamato in ben dieci lingue: italiano, spagnolo, portoghese, inglese, francese, russo, ucraino, rumeno, albanese, e infine in cinese. Dopo l’annuncio della Parola, i canti e le preghiere, ogni ragazza si dispone a preparare la culla dove deporre il Bambinello.

     Purtroppo non hanno nulla all’infuori delle mani aperte e vuote dove possono ricevere e contemplare un Bambinello splendente di luce. Le donne non possiedono nulla qui al Cie. Hanno solo la loro storia personale, fatta di violenze subite, a volte di ferite profonde incise nel cuore. Sicuramente il piccolo Gesù va volentieri da loro, per santificare e sanare le loro vite distrutte. Vita che rimane ugualmente e sempre un dono di Dio. Questo momento è sempre vissuto dalle donne e anche da noi con molta commozione.

     Al termine della celebrazione ecumenica, è seguito il momento di festa con l’arrivo di Babbo Natale che distribuisce a tutte doni utili e graditi: una grande borsa, una tuta calda, vestiario e abbigliamento intimo, nonché dolci tipici di Natale insieme a un bellissimo peluche, donato dagli alunni di due scuole: Marymount di Roma e da un Liceo statale di Ariccia.
Il tutto distribuito tra tanta allegria, con musica e canti natalizi. Solo in questa condivisione il Natale ha senso. Ancora oggi il Piccolo Bambino si fa presente nelle “stalle” odierne, per portare un messaggio di gioia e di pace, proprio come duemila anni fa, quando aveva sperimentato il rifiuto dell’accoglienza nei palazzi dei potenti, giacché anche oggi, come allora, “non c’è posto per Lui nell’albergo”.

Pubblicato il 24 dicembre 2011 - Commenti (0)
21
dic

Giustizia e di pace: largo ai giovani

Papa Benedetto XVI in compagnia di alcuni giovani.
Papa Benedetto XVI in compagnia di alcuni giovani.

Il Messaggio del Papa per la XLV Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il prossimo 1° gennaio, si inserisce in una prospettiva educativa molto interessante e di grande attualità: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace».
La convinzione del Santo Padre è che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possano offrire una nuova speranza al mondo e per questo vanno adeguatamente valorizzati.
È quanto cerchiamo di fare anche noi, nel nostro piccolo, con incontri formativi e informativi, provando a raggiungere il maggior numero possibile di giovani, ancora sensibili alle tematiche sociali, per far conoscere in particolare il dramma della tratta di esseri umani e soprattutto per aiutarli a riscoprire e a vivere il grande valore del rispetto della dignità di ogni persona. Solo così, ciascuno potrà essere protagonista di uno sviluppo personale, sociale e cristiano equilibrato, che si esprime attraverso gesti concreti di giustizia e di pace.

Recentemente ho partecipato a un incontro molto bello, consolante e promettente in un Liceo Statale di Ariccia (Roma), organizzato quale preparazione alternativa a un Natale commerciale. Le insegnanti di religione si erano documentate sul problema della tratta di esseri umani e avevano preparato i giovani nelle varie classi attraverso informazioni, documenti e filmati. I ragazzi erano entusiasti di poter incontrare qualcuno che vive a diretto contatto con queste donne e che ha condiviso i loro drammi. E si sono interrogati su cosa potevano fare anche loro.

A questo proposito ho parlato loro del momento di preghiera e di festa che ogni anno organizziamo per Natale nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria con donne in attesa di essere rispedite a casa perché prive di documenti. Normalmente regaliamo loro una borsa viaggio, perché possano rientrare in maniera dignitosa e non con le loro poche cose buttate in un sacco della spazzatura. Portiamo degli abiti caldi e un po’ di dolci. I ragazzi, però, sapevano che queste donne, molte delle quali giovanissime, avrebbero gradito anche qualcosa di “speciale”. E allora i 400 studenti della scuola si sono attivati e con grande sorpresa e commozione ho visto il palco letteralmente coperto di bellissimi peluche. Era il loro dono per le ragazze di Ponte Galeria.

Questo gesto, ma anche le loro domande e il silenzio che accompagnava le risposte, mi ha confermato ancora una volta della necessità di investire sui giovani specie nelle scuole per un vero cambiamento di mentalità e per creare una società basata sui valori di giustizia ed equità. Spetta, però, anche a noi adulti, educatori e genitori, accogliere ancora l’invito del Papa che ci sollecita a «comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima persona».

Il Santo Padre inoltre aggiunge: «Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone». Questa è proprio la nostra sfida di oggi: essere testimoni che propongono una meta da raggiungere ma che sanno anche camminare al fianco di chi sta intraprendendo il cammino della vita.

Pubblicato il 21 dicembre 2011 - Commenti (0)
10
dic

Diritti umani, non basta una firma

Sbarchi a Linosa, scene di vita quotidiana tra gli immigrati.
Sbarchi a Linosa, scene di vita quotidiana tra gli immigrati.

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite firmava a Parigi la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Per la prima volta nella storia dell’Umanità, venne prodotto un documento riguardante il mondo intero, dove tutti sono riconosciuti come persone, senza distinzioni di genere, razza, provenienza, lingua e religione.

Nel Preambolo della dichiarazione viene considerato prima di tutto il riconoscimento della dignità dı tutti i membri della famiglia umana e i loro diritti, uguali e inalienabili, che costituiscono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. Per la prima volta veniva scritto che esistono diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la sola ragione di essere al mondo.

Eppure la Dichiarazione è tuttora disattesa in molti contesti e in troppe situazioni, perché non applicata o rispettata, se non addirittura perché apertamente violata. Purtroppo nel 64° anniversario di questo prezioso documento, assistiamo ancora oggi, sempre più di frequente, in svariati angoli di mondo, alla limitazione o alla totale negazione dei diritti umani in essa sanciti e ribaditi. Spesso si tratta dei diritti riguardanti le donne, del rıspetto che dovrebbe essere loro dovuto, della valorizzazione del loro ruolo nella famıglıa e nella società.

Ma penso anche a molte minoranze e al loro diritto a esistere come popoli nelle loro terre di origine; agli immigrati con il diritto di lasciare la loro terra per cercare lavoro e condizioni dı vita migliore altrove; ai richiedenti asilo alla rıcerca di un po’ di sicurezza in Stati democratici; a quanti sono perseguitati a causa della religione o in nome di un Dio che talvolta viene usato per giustificare i nostri interessi personali; nonché tutte le altre forme di violenza e discriminazione ancora esistenti in varie parti del mondo.

Riflettendo su ciò che ogni giorno sentiamo e vediamo nei nostri ambienti di famiglia e di lavoro non è difficile scoprire come questi diritti non siano spesso riconosciuti e garantiti neppure da noi. Infatti all’ Articolo 4 della Dichiarazione leggiamo: «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù. La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma».

Eppure la tratta delle schiave, specie di donne e bambini per sfruttamento sessuale, continua ad essere praticata nonostante sia stata definita dall’Onu un “crimine contro l’umanità” e continua a produrre benefici enormi per traffıcani senza scrupoli: oggi rappresenta il terzo business illegale al mondo, dopo il traffico di armi e droga. Ogni anno schiavizza milioni di persone, l’80 per cento donne e minori per una cifra d’affari globale che si aggira attorno ai 32 miliardi di dollari. Molte di queste persone trafficate continuano a soffrire e a morire sulle nostre strade, uccise dalle malattie, dagli incidenti, dai trafficanti o dai clienti, ma soprattutto uccise dalla nostra indifferenza.

Come Joy, uccisa a Novara all’età di 21 anni, Lillian morta a 23 anni per un terribile cancro, o Issi, deceduta due mesi fa al pronto soccorso per un ictus celebrale e ancora in attesa di una degna sepoltura. La comunità che l’aveva accolta e aiutata a spezzare le sue catene di schiavitù si sta organizzando per offrirle un loculo che accolga il suo giovane corpo usato e martoriato da tanti uomini, che hanno ucciso anche i suoi sogni e le speranze di un avvenire sicuro per se stessa e la propria famiglia.

Oggı, dunque, celebrare l’anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani ha senso solo se insieme continueremo a lavorare per riconoscere il dono della dignità, identità e libertà dı ogni persona così com’è stata pensata e voluta dallo stesso Creatore: “Fatta a sua immagine”.

Pubblicato il 10 dicembre 2011 - Commenti (1)
25
nov

La violenza che ho conosciuto

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Un’occasione di riflessione e sensibilizzazione contro la violenza perpetrata sulle donne in molti modi: da quella più frequente, che purtroppo resta ancora oggi la violenza domestica, sino a quella più subdola e umiliante, ovvero la tratta di donne e minori per lo sfruttamento sessuale.

     I Governi e le organizzazioni internazionali e non governative sono stati invitati oggi a promuovere incontri e iniziative per sensibilizzare l'opinione pubblica su questa terribile piaga sociale che sta dilagando e distruggendo generazioni di giovani donne. Nella mia lunga vita di missionaria, prima in Africa per 24 anni e dal 1993 qui in Italia, sono venuta a contatto con tante storie di donne. Spesso drammatiche. Ma è nel nostro stesso Paese che ho conosciuto la violenza e lo sfruttamento più degradante a cui moltissime donne, specialmente immigrate, sono costrette.

     Donne impoverite e sfruttate dai nostri sistemi di vita. Nelle nostre città ho incontrato il mondo della violenza, dell’emarginazione e dello sfruttamento. Qui sono diventata una “missionaria della notte e della strada”. E qui mi è stato chiesto con forza di prendermi cura di tante giovani vittime del traffico di esseri umani per lo sfruttamento sessuale: le nuove schiave del XXI secolo.  Ancora oggi le nostre case-famiglia sparse un po’ in tutta Italia accolgono queste giovani vite sfuggite alla criminalità organizzata e allo sfruttamento per cercare di guarirle dalle profonde ferite causate dalle molte violenze subite ogni notte. Ferite che portano non solo sul loro giovane corpo, ma soprattutto nel loro essere profondo di donne.

     Sovente i nostri mezzi di comunicazione danno giustamente molta attenzione e informazione per i casi di donne o giovani violentate o stuprate in modi assai brutali, ma purtroppo quasi mai si pensa e si parla di chi ogni notte vive questa stessa esperienza ripetutamente. Una volta, una ragazza minorenne, mi diceva che in una notte aveva avuto 13 clienti. Per lei era come se essere violentata per 13 volte! In un’altra occasione una giovane dell’Est, rinchiusa in un appartamento al terzo piano e continuamente violentata dai suoi schiavisti per costringerla ad andare in strada a prostituirsi, stanca e disperata ha chiesto di andare in bagno e si è buttata dalla finestra. È stata trovata sul prato sottostante con tutte le ossa fracassate, ma miracolosamente viva.

     Quante giovani ancora oggi vengono uccise brutalmente sulle nostre strade, non solo da brutali assassini, ma anche dalla nostra stessa indifferenza. L’ultimo caso che ho incontrato è quello di Joy, nigeriana di 21 anni. Il suo corpo è stato gettato via come spazzatura e trovato nell’Agogna nel Novarese. Casi come questi sono ancora assai numerosi. Purtroppo non si trovano quasi mai i colpevoli perché non vengono ricercati o adeguatamente puniti dalla giustizia e non ci sono mai risarcimenti per le vittime e le loro famiglie lontane e povere.

     Molte di queste vittime sono madri e lasciano le loro creature in assoluta povertà, quasi sempre a carico della famiglia materna che certamente non vive nell’abbondanza. Oggi, in occasione di questa giornata contro la violenza sulle donne, vorrei rivolgere un appello in particolare ai giovani delle nostre famiglie, scuole e parrocchie, nonché ai loro educatori. C’è bisogno di più testimonianza, di esempio e di maggiore formazione. C’è bisogno di più rispetto della dignità della persona, di relazioni più ricche di senso tra uomini e donne, che portino all’apprezzamento reciproco, alla comunicazione e alla vera amicizia, e che contribuiscano a promuovere i valori più autentici che ciascuno racchiude in sé per il bene personale e della società.

     Spero anche che le tre donne di grande valore e capacità che sono oggi presenti nel nuovo governo - Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno, Paola Severino, ministro della Giustizia, e Elsa Fornero, ministro del Welfare con delega alle Pari Opportunità - possano contribuire a dare all’Italia una nuova speranza per un futuro più solidale. Ci auguriamo che, insieme ai loro colleghi uomini, possano fare un buon lavoro a favore di tutto il Paese, ma in modo particolare per un maggior riconoscimento e apprezzamento del ruolo e della dignità delle donne, lottando con decisione contro ogni forma di violenza, discriminazione, manipolazione e sfruttamento.

Pubblicato il 25 novembre 2011 - Commenti (0)
23
nov

Donne, “spina dorsale” della Chiesa africana

Papa Benedetto XVI durante la sua ultima visita in Benin.
Papa Benedetto XVI durante la sua ultima visita in Benin.

Durante la sua visita in Benin, Benedetto XVI ha consegnato alla Chiesa d’Africa l’Esortazione apostolica post-sinodale: Africae Munus (“L'impegno dell'Africa”). Nel capitolo dedicato alle donne, molti sono i passaggi in cui si riconosce alle donne africane il loro ruolo insostituibile nella famiglia, nella società e nella Chiesa. Molte delle affermazioni che i vescovi avevano usato nelle loro raccomandazioni finali sono state elaborate e inserite come linee guida per una Chiesa chiamata a essere al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Le donne, in particolare, sono proprio la “spina dorsale” di questo continente così ricco di valori umani, culturali e religiosi, ma altrettanto impoverito da troppi interessi sia locali, che del mondo occidentale che reitera vecchie e nuove logiche di sfruttamento e oppressione. Tutto questo crea povertà, malattie, discriminazione, ingiustizia e tanta violenza. Le prime a soffrirne sono proprio le donne.

Il Papa si auspica e chiede ai suoi pastori che la stessa Chiesa e la società diano alle donne il posto che spetta loro e incoraggino la formazione delle donne affinché esse assumano «la loro propria parte di responsabilità e di partecipazione nella vita comunitaria della società e della Chiesa. Esse contribuiranno così all’umanizzazione della società». Il documento fa pure emergere l’importanza dell’educazione della donna giacché, «se è innegabile che dei progressi sono stati compiuti per favorire la promozione e l’educazione della donna in certi Paesi africani, ciononostante, nell’insieme, la sua dignità, i suoi diritti così come il suo apporto essenziale alla famiglia ed alla società continuano a non essere pienamente riconosciuti, né apprezzati». Il documento ribadisce che «troppo numerose sono ancora le pratiche che umiliano le donne e le avviliscono, in nome della tradizione ancestrale». C’è quindi bisogno di un vero cambiamento di mentalità e questo può avvenire solo se siamo convinti che «bisogna riconoscere, affermare e difendere l’uguale dignità dell’uomo e della donna». Purtroppo, aggiunge il Papa, «l’evoluzione delle mentalità in questo campo è eccessivamente lenta».

Nella sua Esortazione apostolica, Africae munus il Santo Padre non parla specificamente delle nuove forme di schiavitù del XXI secolo e della terribile piaga della tratta di esseri umani che distrugge la vita di moltissime donne e minori dei Paesi africani. Questo mi è molto dispiaciuto, anche perché nelle proposizioni finali del secondo Sinodo per l’Africa, questa piaga veniva esplicitamente denunciata, così come tanti altri abusi come la schiavitù sessuale ed il turismo sessuale. I Padri sinodali avevano inoltre proposto «la creazione di “case di accoglienza” per ragazze e donne vittime di abusi perché trovino riparo e consulenza, nonché la stretta collaborazione tra Conferenze Episcopali per porre fine al traffico delle donne».

Per chi, come me e come molte altre religiose, lavora qui e in Africa per combattere questo vergognoso traffico, si tratta purtroppo di un’ottima occasione persa. Chi ha vissuto per molti anni in Africa - come ho avuto la gioia di farlo io per 24 anni - a contatto con tante donne africane, piene di vita e di coraggio, sa molto bene il valore di queste donne, ma anche le difficoltà e le sofferenze che esse continuano a vivere e subire. E dunque, nonostante non sia stato fatto alcun riferimento alle vittime della tratta, condividiamo con Benedetto XVI il grido di speranza per tutte le donne africane, affinché possano continuare a essere sempre di più nella Chiesa, nella società e nella famiglia una presenza di vita e di comunione: «La Chiesa conta su di voi per creare una “ecologia umana” attraverso l’amore e la tenerezza, l’accoglienza e la delicatezza, e infine la misericordia, valori che voi sapete trasmettere ai figli e di cui il mondo ha tanto bisogno. Così, con la ricchezza dei vostri doni propriamente femminili, favorirete la riconciliazione degli uomini e delle comunità».

Pubblicato il 23 novembre 2011 - Commenti (0)
09
nov

Donne, la preoccupazione del Papa

Lunedì 7 novembre, Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il nuovo ambasciatore della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede, Reinhard Schweppe. Durante l’udienza, il Santo Padre ha pronunciato un discorso in cui riafferma con forza che la Chiesa, “forte della verità sull’uomo”, è chiamata a impegnarsi per “quei valori che sono validi per l’uomo in quanto tale, a prescindere dalle singole culture”.

     Egli richiama il popolo tedesco (e non solo) al senso del rispetto e della dignità della persona, valori mai negoziabili. Il Papa rileva che ancora oggi, purtroppo, alcuni “valori fondamentali dell’esistenza umana sono nuovamente messi in discussione”. Per questo, avverte, che la Chiesa ha il dovere di “difendere la dignità dell’uomo” quando “è messa a rischio”. E aggiunge: “Solo una società che rispetti e difenda incondizionatamente la dignità di ogni persona, dal concepimento fino alla morte naturale, può dirsi una società umana”.

     Ma soprattutto con molta forza si esprime contro la discriminazione di genere, la prostituzione e la mancanza di rispetto della dignità di ogni persona. Così il Papa si esprime: “A questo punto, vorrei affrontare un altro aspetto preoccupante che, a quanto pare, dilaga attraverso tendenze materialistiche ed edonistiche soprattutto nei Paesi del cosiddetto mondo occidentale, ovvero la discriminazione sessuale delle donne. Ogni persona, sia uomo, sia donna, è destinata a esserci per gli altri. Un rapporto che non sia fondato sul fatto che l'uomo e la donna hanno la stessa dignità, costituisce un grave crimine contro l'umanità. È ora di arginare in maniera energica la prostituzione che costringe migliaia di ragazze trafficate a vendere il proprio corpo come schiave, ma anche l'ampia diffusione di materiale pornografico, soprattutto in Internet".

     La preoccupazione del Santo Padre trova piena sintonia con quanti si chinano ogni giorno su tante donne e minorenni vendute e comprate, usate e ferite per aiutarle a guarire e a ritrovare il senso della propria vita e dignità, ma offre pure un grande incoraggiamento alle tante donne che in modi diversi subiscono violenze, sia psicologiche che fisiche, specialmente tra le mura domestiche. Mai come in questo tempo è diventata diffusa la discriminazione e la violenza di genere che distrugge rapporti familiari e tra colleghi e toglie sicurezza e serenità. Certamente le parole del Papa vogliono essere anche un forte richiamo alle varie istituzioni laicali e religiose, pubbliche e private, perché ciascuno è chiamato a confrontarsi con la realtà e ad assumersi le proprie responsabilità.

     Solo così potremo contribuire insieme alla costruzione di relazioni nuove non basate su interessi e guadagni o sulla sopraffazione, ma sul rispetto della persona e del vero bene comune. Solo così potremo creare una vera famiglia umana, dove ognuno svolge un ruolo specifico per il bene di tutti. Quante donne in questi ultimi mesi, specialmente mamme con bimbi, hanno trovato rifugio nelle nostre comunità di accoglienza! Lontane dall’incubo dello sfruttamento e da maltrattamenti di ogni tipo, sono desiderose di trovare serenità, sicurezza e stabilità. Ma quanto è difficile guarire certe ferite causate da relazioni violente, dal disprezzo o dall’abuso. Solo l’accoglienza e l’amore disinteressato che non giudica o condanna può aiutare ogni persona a ritrovare se stessa e a riscoprire quella forza interiore che viene da Dio che è Padre di tutti, specialmente delle persone più vulnerabili.

Pubblicato il 09 novembre 2011 - Commenti (0)
31
ott

La ricchezza delle donne immigrate

Giovedì  27 ottobre è stato presentato a Roma, e in contemporanea in tutte le regioni italiane, il 21° Rapporto sull’Immigrazione: “Oltre la crisi, insieme”. Come ogni anno, il dossier statistico di Caritas Italiana, Migrantes e Caritas Roma viene presentato con dati accurati che ci parlano in modo concreto e reale del variegato mondo dell’immigrazione e che ci aiutano a riflettere e valorizzare la presenza di tante persone che noi chiamiamo ancora stranieri, ma che sono ormai parte integrante del nostro tessuto sociale.


     Vorrei soffermarmi in modo particolare sulla presenza delle donne la cui percentuale supera ormai quella degli uomini. Su quasi 5 milioni gli immigrati residenti nel nostro Paese - pari al 7,5% della popolazione italiana - e le donne con un regolare permesso di soggiorno costituiscono il 51,8 per cento della popolazione immigrata. Ma dove sono tutte queste donne? Che cosa fanno? Che contributo offrono alla nostra società?


     È stato più volte affermato che le donne immigrate sono un elemento fondamentale di crescita, sviluppo e integrazione: primo fra tutti, contribuiscono fortemente e concretamente al tasso di fecondità nazionale. Il Dossier statistico mette in risalto il contributo delle donne straniere alle nascite e quindi alla ripresa demografica del Paese. I figli dovrebbero essere considerati la prima grande ricchezza su cui investire perché sono proprio loro che offrono stabilità, crescita e sicurezza di futuro per ogni Paese che vuole avere continuità. E le donne immigrate che portano con sé le ricchezze delle loro culture di origine, amanti della vita e della maternità, ci offrono questo dono. 

   

Esse sono pure portatrici di un tesoro di saperi e di competenze che Paesi come il nostro hanno tutto l’interesse a conoscere e assorbire. Abbiamo quindi bisogno di scoprire maggiormente e valorizzare le preziose risorse che ci vengono offerte, come l’enorme contributo di esperienza e di umanità che le immigrate portano con sé dai loro Paesi di provenienza.

     Queste donne le troviamo principalmente nelle nostre case, nella cura dei nostri bambini oppure nell’assistenza ai nostri genitori anziani e ammalati. Proprio a loro affidiamo le persone più preziose e care: la vita che nasce e cresce e quella che volge al tramonto. A loro va quindi la nostra riconoscenza e il nostro affetto. Ma anche la consapevolezza di quanto possa essere duro e difficile per ciascuna di loro il distacco dal loro Paese e dal loro mondo di affetti, relazioni, lingua e cultura per avere in cambio un lavoro remunerativo che permetta a se stesse e alle famiglie lasciate nei luoghi di origine di avere una vita più dignitosa. Molte di loro, infatti, sono fuggite dalla povertà o da situazioni di conflitti nella speranza di trovare un po’ di benessere e di dare un futuro ai propri, spesso bambini lasciati in custodia agli anziani genitori per prendersi cura dei nostri bambini.

     Ma ci sono anche migliaia di donne immigrate che non sono state considerate numericamente in questo Dossier, perché prive di documenti. Molte di loro sono ancora in balìa di trafficanti che sfruttano la loro situazione di illegalità per costringerle a vendere il loro corpo sulle nostre strade. Altre le troviamo rinchiuse per lunghi mesi nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE)  dove vivono la sofferenza di un futuro incerto e di un rimpatrio forzato. Altre ancora, purtroppo, continuano a morire sulle nostre strade: come Joy, che lo scorso mese di ottobre è stata trovata in un torrente alle porte di Novara, ammazzata a soli 21 anni.

     Ora mi sto occupando del caso di Jessica, morta nei giorni scorsi per un’emorragia celebrale a poco più di trent’anni. Chi l’aveva conosciuta ha commentato: «La strada e gli aguzzini hanno rubato la vita a questa creatura». Anche loro come tutte le donne avevano dei sogni da realizzare. Nel giorno dedicato ai nostri defunti, abbiamo dunque un ricordo speciale, una preghiera e una richiesta di perdono per tutte le vittime uccise anche dalla nostra indifferenza.

Pubblicato il 31 ottobre 2011 - Commenti (0)
29
set

In ricordo di Wangari Maathai

Mentre aspettiamo e speriamo che il prossimo Nobel per la pace - che verrà reso noto tra qualche giorno, il 7 ottobre - venga assegnato alle donne africane, la notizia della scomparsa, domenica 25 settembre, di Wangari Maathai, 71 anni, mi ha particolarmente colpito e commosso, come donna e come missionaria della Consolata. Prima donna africana premio Nobel per la pace nel 2004, Wangari Maathai era un’autentica figlia dell’Africa. E un po’ la sentivamo anche figlia nostra, di noi missionarie della Consolata. È infatti presso una delle nostre scuole elementari di Nyeri, dove era nata, che ha cominciato il suo percorso formativo che l’ha portata successivamente a diventare la prima donna keniana a conseguire un dottorato in Scienze biologiche, la prima a ottenere una cattedra di veterinaria all’università di Nairobi, la prima a creare, nel 1977, un’associazione per la salvaguardia dell’ambiente, il Green Belt Movement che ha piantato più di trenta milioni, dagli anni Ottanta ad oggi in diversi Paesi africani.

«Quando cominci a lavorare seriamente per la causa ambientalista - diceva - ti si propongono molte altre questioni: diritti umani, diritti delle donne, diritti dei bambini». E così, mentre piantava milioni di alberi, coinvolgeva migliaia di donne in un processo di consapevolezza non solo del rispetto della natura ma della propria dignità e del proprio valore, affinché diventassero protagoniste del loro riscatto e di un reale cambiamento della qualità della vita. L’esempio e la tenacia di questa donna kikuyu mi hanno sempre affascinato e mi sono stati di grande ispirazione. Purtroppo non l’ho mai conosciuta personalmente, ma l’ho sempre ammirata sia durante la mia permanenza in Kenya, come pure in questi anni di servizio missionario in Italia, rivolto in particolare alla donna immigrata, soprattutto africana. «Nel gennaio del 2010 - ricordano le mie consorelle che stanno in Kenya - abbiamo celebrato a Nyeri, prima missione dei missionari e delle missionarie della Consolata, il Centenario della nostra fondazione.


Fra le persone invitate, spiccava una donna dal sorriso pronto e dalla parola arguta: era Wangari Maathai, che volentieri aveva voluto partecipare all’evento, perché aveva frequentato la nostra scuola elementare nel 1952 e aveva avuto come insegnanti proprio le missionarie della Consolata». Ed ecco il ricordo commosso di Wangari Maathai: «Sono venuta qui all’età di dodici anni, in questo luogo dove siamo ora; dormivo nel dormitorio che ancora si vede nell’area dietro al podio. Poi sono andata alla Loreto School di Limuru per le scuole superiori e infine all’università negli Stati Uniti, dalle suore Benedettine. Quindi ha fatto tutto il mio percorso formativo dalle suore. E ciò che sono oggi si fonda in modo particolare su quanto ho ricevuto negli anni della mia fanciullezza, da quelle insegnanti che non potrò mai dimenticare».

La Maathai ha messo poi l’accento sul significato che ha avuto per lei la missione: consolare e riconciliare. «Siamo parte dell’ambiente - ha detto - e dobbiamo consolare e riconciliarci con l’ambiente... Per favore, continuiamo a piantare alberi, a costruire terrazze per evitare l’erosione che distrugge e porta via il terreno fertile, a ridare vita alle nostre foreste». La sua battaglia per la conservazione dell’ambiente ha trovato, proprio nei giorni della sua agonia, piena sintonia con ciò che Benedetto XVI ha detto, lo scorso 22 settembre, al Parlamento di Berlino: «L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Ma esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere.


L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana». Queste parole sono un richiamo e un monito per tutti noi. Che attenzione e cura abbiamo della natura? Che rispetto abbiamo dei luoghi in cui viviamo? Non solo i nostri ambienti naturali, ma anche le nostre città sono sporche e trascurate. Persino le meravigliose opere d’arte e i monumenti di cui è ricchissimo il nostro Paese sono spesso imbrattati o assediati dalla spazzatura. Non è questo un indice di noncuranza e menefreghismo? Da parte di tutti: autorità e singoli cittadini.

Tutto questo degrado non rivela forse il disagio di un Paese allo sbando, senza regole, valori e rispetto del creato, di ciò che ci circonda e anche delle persone? Che cosa potrebbe rimproverarci o stimolarci a fare oggi una donna come Wangari Maathai se camminasse per le strade delle nostre città in paese che si dice “civile”?

Pubblicato il 29 settembre 2011 - Commenti (0)
12
set

Caro ministro, non ti è lecito

Il ministro Sacconi.
Il ministro Sacconi.

Mi trovo in Polonia, ed esattamente a Cracovia, dove è in atto, dal 4 al 9 settembre, un importante Convegno per religiose, che si occupano di tratta di esseri umani, particolarmente di donne e minori per lo sfruttamento sessuale. Lo scopo e il tema di questo incontro è “ascoltare il grido di aiuto” di centinaia di migliaia di giovani donne, vittime di violenza e di sopruso, che vivono e soffrono nei nostri Paesi. Ascoltare il loro grido per ridonare a loro dignità, rispetto e libertà.     

     Le ottanta religiose, partecipanti al convegno, provengono da 19 Paesi dell’Europa dell’Est e dell’Ovest; si sono ritrovate insieme per un confronto, per cercare strategie comuni, per un serio “lavoro di rete” tra Paesi di origine, transito e destinazione. L’Italia vede una presenza di otto religiose, tutte coinvolte nel contrasto alla tratta in campi diversi, che portano l’esperienza di un capillare lavoro di rete in tutta Italia, specie nel delicato lavoro di recupero e reintegrazione sociale e legale di tante giovani donne.      

     Vi lascio immaginare il nostro sconcerto nell’apprendere la “barzelletta” del ministro Sacconi. Come è possibile che, ancora oggi, persone con alte cariche politiche e di governo banalizzino in questo modo la dignità della persona? Come è possibile che si permettano di scherzare con paragoni blasfemi persino sulle suore? Non si rende conto che, in questo modo, ferisce la parte più intima e sacra della loro vita di donne consacrate? Una vita vissuta nella donazione a Dio e a quanti attendono un servizio di amore gratuito e disinteressato, che spesso cerca di rimediare anche alle carenze di appropriati interventi governativi.     

     Al ministro Sacconi va l’indignazione non solo delle religiose italiane presenti a questo Convegno europeo, ma anche quella di tutte le ottanta religiose che vi partecipano, e che si sono unite a noi per gridare insieme: «Non ti è lecito!». Non ti è lecito, caro ministro, usare paragoni blasfemi nei riguardi di donne e della loro dignità. Non ti è lecito strumentalizzare la storia, usandola a tuo uso e consumo personale. Non ti è lecito ergerti a giudice della vita di altre persone. E non ti è lecito, soprattutto, infangare, usando frasi senza criterio e buon senso, la vita di donne consacrate, che ogni giorno, con il loro servizio disinteressato e amorevole, ridanno speranza e vita nuova a decine di donne stuprate, usate, gettate nella spazzatura o persino uccise.

     Caro ministro, “essere donne” è un grande dono e vorremmo che anche il popolo italiano e tutte le classi politiche e sociali ne rispettassero la dignità, ne apprezzassero la ricchezza, ne condividessero i valori, il servizio che offrono e la gratuità che è nel loro cuore.

Pubblicato il 12 settembre 2011 - Commenti (11)
25
ago

La Gmg e la storia di Florence

Mentre abbiamo ancora negli occhi le immagini di centinaia di migliaia di giovani di tutto il mondo, radunati a Madrid per celebrare la Gmg e riscoprire la loro appartenenza di cristiani «radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (Col 2,7), penso con emozione e sofferenza a chi non ha potuto essere in mezzo a quella folla di giovani pieni di entusiasmo e di vita. Ripenso alle centinaia di giovani donne immigrate, che incontro ogni sabato pomeriggio - insieme ad altre religiose di diverse congregazioni e vari Paesi -, nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, relegate per 18 mesi e in attesa di espulsione con l’unica colpa di essere in Italia senza documenti.

E ripenso alle migliaia di altre giovani e minorenni costrette a vendersi lungo le nostre strade e che non possono godere con altre ragazze e ragazzi la bellezza di creare una forza di comunione e solidarietà, accomunati dallo stesso ideale e ricerca di verità. Rivedo quella moltitudine di giovani in attesa dell’incontro con Benedetto XVI, pronti ad ascoltare la sua parola che li stimola all’incontro con Cristo, unica speranza che non delude mai, e il mio pensiero ritorna alla Gmg dell’Anno Santo del Duemila, celebrata a Roma.

Ecco allora che rivivo con commozione la storia di Florence, una giovane nigeriana che ha avuto la forza e il coraggio di spezzare le sue catene e di ritornare a essere persona libera. A quel tempo, Florence era costretta a lavorare ormai da due anni lungo una strada di Roma. Da alcuni suoi clienti abituali venne a sapere che giovani di tutto il mondo stavano invadendo Roma per celebrare il Giubileo. Colpita da questa presenza festosa, Florence s'interroga su s{ stessa e la propria vita. Pure lei era giovane e veniva dalla Nigeria, dov’era stata battezzata da piccola nella Chiesa cattolica. Quindi l’invito a partecipare a quello straordinario evento era rivolto anche a lei.

Da tempo, però, non era più in sintonia con la sua fede cristiana perché, come in un fiume in piena, era stata trascinata nel mercato dello sfruttamento sessuale e segnata con il marchio di “prostituta”. Anche lei era stata sequestrata da un “pappone” che la soggiogava e la maltrattava se non guadagnava abbastanza, vendendo il suo corpo insieme alla sua giovinezza, femminilità e dignità. Ormai si sentiva estranea a quel mondo giovanile, così vibrante di gioia e di entusiasmo, che da aveva lasciato alle spalle per vivere un'umiliante e degradante esperienza.

Eppure, Florence, sentiva impellente nel cuore il richiamo di quell’evento, perché il Giubileo era proprio per chi, come lei, attendeva la liberazione da una vergognosa e nuova forma di schiavitù. Nonostante i dubbi e le paure, una forza interiore la spingeva a incamminarsi verso il grande raduno. E così ha lasciato la casa, e si è affiancata ai tanti pellegrini, titubante e sperduta. Si è ritrovata vicino al grande palco. Sorpresa e confusa si è seduta in attesa di vivere il più grande miracolo della sua vita. Alcuni giovani hanno notato la sua solitudine e si sono interessati a lei, offrendole la loro amicizia insieme a viveri e bevande.

Florence si è unita a loro con il canto, la danza e l’entusiasmo che fioriva nel suo povero corpo martoriato e segnato dallo sfruttamento sessuale. A poco a poco si è sentita a suo agio e ha preso coscienza che quell’evento aveva un significato profondo proprio per lei che aveva sperimentato la paura, la solitudine, l’inganno, la delusione, la rabbia, la violenza, la schiavitù e la morte. Florence ha vissuto intensamente quelle ore, lunghe quanto la sua vita di sofferenza, di sfruttamento, di dolore e di delusione, ma altrettanto corte, troppo corte per gustare fino in fondo la gioia della sua giovinezza e dignità ritrovata. Per Florence, il Giubileo si stava realizzando pienamente e in tutta la sua forza, integrità e bellezza.

L’incontro con l’Eucaristia del giorno seguente ha segnato il culmine di tutta la sua esperienza di fede e di misericordia del Signore e Florence ha trovato il coraggio di dire: «Basta!». Due giorni dopo è scappata, lasciando alle spalle, non solo la sua vita di miseria e di umiliazione, ma anche le sue poche cose: non ha portato nulla con sé, all’infuori della sua nuova esperienza interiore, che da quel momento in poi è stata la sua unica forza e ricchezza.

Ricordando Florence, chiediamo a Cristo, che continua a parlare al cuore di tanti giovani assetati di verità, di gioia, di giustizia, di pace e di solidarietà, di continuare a percorrere le strade del mondo, specialmente là dove la dignità della persona, soprattutto di donne e minori, è costantemente disprezzata e calpestata. Lui solo può spezzare le catene di ogni forma di schiavitù per aiutare le persone a vivere in liberà e verità.

Pubblicato il 25 agosto 2011 - Commenti (1)
16
ago

Il meraviglioso dono di Maris

Siamo in piena estate, tempo di riposo e di incontri con vecchi e nuovi amici, di contatti con la natura e di scoperta di luoghi e culture nuove, occasione di tante esperienze e conoscenze che arricchiscono il nostro bagaglio di vita che poi desideriamo condividere. Anch’io sento il bisogno di condividere una storia vera, che mi ha toccato profondamente. Una storia drammatica, ma anche di grande umanità e ricchezza.

La storia di Maris, che ha fatto un cammino di liberazione e guarigione, prima di morire a soli 36 anni. Il 16 luglio 2011 questa giovane donna nigeriana, vittima di tratta, è volata in cielo, dopo aver lottato contro un male incurabile. Ora continua a vivere attraverso i suoi occhi e il suo cuore che ha donato a chi ne aveva bisogno. Ma soprattutto vive ancora attraverso l’esempio del suo coraggio e della sua determinazione, che le hanno permesso di rompere le catene che la rendevano schiava per poi vivere da donna liberata anche l'esperienza difficile della malattia, senza mai arrendersi.

Cosciente del suo male, ha deciso di raccontare la sua storia vera per liberarsi dal macigno che si portava dentro da troppi anni. Storia che ha condiviso su Facebook e che immediatamente è stata letta da migliaia di persone. Dal suo stesso racconto stralcio alcuni passi salienti che costituiscono la trama della sua giovane vita, nonché della sua ricchezza e bellezza interiore che nemmeno la mafia è riuscita a distruggere.

Maris racconta: «Da piccola, alla periferia di Benin City, sognavo che il papà la smettesse di maltrattare mamma che era la sua seconda moglie. La mamma sopportava tutto pur di farci mangiare… Nove tra fratelli e sorelle, cinque dalla prima moglie e quattro dalla seconda, mia madre che doveva provvedere a tutti. Un angelo, la nonna materna, mi ha portato via da quell’inferno. Se non fosse stato per lei avrei subìto l’odiosa pratica dell’infibulazione come le mie sorelle. Questa grande donna mi ha fatto studiare pagando i miei studi fino al diploma. Finiti gli studi, sognavo l’Europa, e allora mio padre, per farmi contenta, mi ha “VENDUTA” in cambio di pochi dollari a dei “signori eleganti” e ben vestiti che mi hanno fatto arrivare in Italia (1995). Prima città Torino, e quei “signori eleganti” mi presero a forza e, alla presenza della mia prima madam, mi violentarono (ripetutamente per tre giorni di seguito), mi dissero che dovevo imparare il mestiere. Non avevo ancora compiuto i miei 21 anni».

Comincia così il calvario di Maris, che si trascina penosamente tra Italia e Spagna sino alla fine del 2003, quando, dopo aver pagato il suo debito, viene lasciata libera dai suoi sfruttatori. Ma ormai è malata ed esausta ed ha subito un intervento chirurgico in conseguenza delle tante violenze passate, che non le avrebbe più permesso di essere mamma. Nonostante tutto, Maris ha avuto il coraggio di raccontare la sua storia. Per se stessa e per tutte le ragazze trafficate, vendute e sfruttate come lei.

Sì, cara Maris, mentre ti ringraziamo per il grande esempio e la forza che ci hai trasmesso e lasciato in eredità vogliamo augurarti la pienezza della felicità che ormai hai già raggiunto. Continua ad essere presente in mezzo a noi per continuare insieme a combattere la tratta di esseri umani, specie per sfruttamento sessuale, affinché più nessuna donna sia venduta e comperata, ma solo apprezzata e rispettata nella sua dignità.

P.S.: L’account su Facebook è: http://it-it.facebook.com/people/Maris-Davis-Joseph/100001332626392

Pubblicato il 16 agosto 2011 - Commenti (1)
05
ago

Prostituzione, educare alla dignità della vita

Nei giorni scorsi, i media hanno dato rilievo a una particolare iniziativa del sindaco di Roma, riguardante un’operazione di polizia avvenuta nella notte del 29 luglio Lo stesso primo cittadino, Gianni Alemanno, vi ha partecipato per rendersi conto personalmente della situazione, dopo varie ordinanze emesse per eliminare la prostituzione dalle strade. L’azione di polizia, denominata “Operazione Decoro, contrasto alla prostituzione”, ha visto impegnati cento agenti e una trentina di pattuglie che per tre ore hanno fermato e identificato 60 donne dell’Europa dell’Est. Di queste 2 erano incinte e 3 minorenni.

Il sindaco ha potuto constatare in prima persona che queste ragazze erano tutte giovanissime e provenienti dai Paesi dell’Est, in particolare dalla Romania, perciò cittadine comunitarie. Ha quindi ammesso che si tratta di un problema che continua a essere presente anche nella città di Roma, nonostante i vari interventi delle forze dell’ordine, le telecamere e le ordinanze fatte per diminuire queste presenze sulle strade, nonché delle multe date alle ragazze stesse e ad alcuni clienti. Il sindaco ha auspicato l’approvazione di una legge che dichiari la prostituzione su strada un reato, così da poter intervenire in modo più decisivo: non solo in termini repressivi, ma in maniera forte anche dal punto di vista sociale.

L’idea di togliere le donne dalla strada è buona solo se questo permette di metter fine al loro sfruttamento da parte di persone senza scrupoli. Altrimenti si finisce ancora una volta per punite unicamente le vittime della tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento sessuale. Ovvero solo ed esclusivamente le donne che vengono costrette a vendere il proprio corpo sulle nostre strade. I nostri interventi dovrebbero mirare soprattutto a colpire con più serietà e forza sia i trafficanti che obbligano queste giovani a prostituirsi, sia coloro che di notte e di giorno le cercano, per usare e abusare del corpo di queste giovani vittime senza speranza e senza futuro.

Purtroppo, sulla base della nostra esperienza, abbiamo constatato che la repressione e le multe date a prostitute e clienti non risolvono il problema se non si lavora seriamente su politiche educative che aiutino le persone ad acquisire la consapevolezza del valore e del rispetto della propria e altrui vita e dignità. Se da un lato, infatti, ci sono migliaia di ragazze costrette a vendere il loro giovane corpo, dall’altro ci sono migliaia di uomini che pensano che con i soldi si può acquistare tutto, anche il corpo di una minorenne indifesa e senza alternative. L’auspicio delle nostre organizzazioni che operano quotidianamente a difesa e protezione di queste giovani vittime di tratta e sfruttamento è quello di creare tavoli di coordinamento per poterci confrontare con tutte le forze che operano sul territorio per il contrasto della prostituzione forzata e per trovare insieme risposte adeguate per risolvere il problema alla radice, in modo che lo sfruttamento non si trasferisca semplicemente dalla strada ai luoghi chiusi.

Pubblicato il 05 agosto 2011 - Commenti (0)
26
lug

Quando la mafia non perdona

Sono nei nostri occhi le immagini dei barconi carichi di esseri umani che in questi ultimi mesi si susseguono con ritmi a volte giornalieri sulle coste di Lampedusa. Uomini, donne, talvolta bambini, che fuggono dalla guerra e dalla povertà in cerca di accoglienza, sicurezza e di un po’ di benessere per se stessi e per i propri familiari. Purtroppo molti di loro non sono nemmeno giunti alla meta dei loro desideri, perché sepolti nel mare. Sui volti di quelli che arrivano si nota ancora tanta sofferenza mentre certamente ognuno di loro porta dentro di sé l’esperienza di drammi vissuti, di relazioni stroncate, di sogni infranti.

Mentre rifletto sulla realtà di tanti immigrati disperati, rivivo la triste storia di una delle tante donne accolte nelle nostre case-famiglia. Due anni fa, proprio in questi giorni, ricevo una telefonata da un’ispettrice di polizia che mi chiede se conosco una certa Jennifer. Aveva trovato il mio numero di telefono sul suo cellulare e sperando di poter avere qualche notizia mi aveva telefonato. Immediatamente ho pensato che fosse successo qualche cosa di grave. L’ispettrice mi conferma che Jennifer è stata barbaramente uccisa. La mia prima reazione è stata: “Si sono vendicati!”.

Conoscevo bene la triste storia di Jennifer, dei suoi due bambini lasciati in Nigeria per venire in Italia dopo un lungo e faticoso viaggio durato tre mesi, attraverso il deserto, dove ha sofferto la fame, la sete, il caldo e la stanchezza e dove si è accorta di essere incinta di suo marito. Poi il viaggio su un gommone con 52 migranti che si è capovolto e si sono salvate solo tre persone, scaraventate sugli scogli e soccorse dalle motovedette. Jennifer era una di queste.

Giunta in Italia, la madam che l’aveva contattata e le aveva promesso un lavoro in un negozio la costringe ad andare sulla strada. Quando si accorge che è incinta cerca a più riprese di farla abortire. Jennifer riesce a scappare e porta avanti la sua gravidanza, ma a causa dei tanti maltrattamenti subiti il bimbo nasce prematuro. Mamma e figlio vengono accolti in una delle nostre strutture. Naturalmente Jennifer si rifiuta di pagare i 40 mila euro richiesti dalla madam, per cui iniziano i contatti e le minacce alla famiglia in Nigeria. Jennifer è decisa a non cedere alle ritorsioni perché vuole pensare ai suoi bambini. Un mese dopo, di fronte alla determinazione di Jennifer di non pagare, è scattata la tremenda vendetta. La mafia nigeriana colpisce sempre e senza pietà. Jennifer è stata uccisa e i suoi tre bambini sono rimasti orfani. Dopo due anni di indagini, come spesso capita in questi casi, non si è ancora trovato nessun colpevole, anche se alcuni connazionali potrebbero conoscere i responsabili. Ma hanno paura di dire la verità perché essendo tutti stranieri e la maggior parte clandestini temono pure loro le ritorsioni della mafia nigeriana o di essere rimpatriati perché privi di documenti.

Purtroppo non c’e mai nessun risarcimento per questi omicidi e questi tre bambini oggi sono a carico della famiglia di origine, molto povera. Stiamo cercando, attraverso alcune nostre istituzioni caritative, di offrire almeno un sostegno per la scuola e per dare un futuro a questi piccoli, anche loro vittime di una mafia e di una società corrotta che ha perso il senso e il valore della vita e della dignità della persona.

Pubblicato il 26 luglio 2011 - Commenti (0)
30
giu

Fanciulla, alzati!

Sono da poco rientrata da un lungo viaggio negli Stati Uniti dove ho avuto diversi incontri a vari livelli e con gruppi di persone per far emergere ancora una volta il volto, i drammi, il grido e le sofferenze di tante donne e minorenni che in ogni parte del mondo, particolarmente nei Paesi cosiddetti del benessere, dello sviluppo e del consumo, vivono ancora l’umiliazione dello sfruttamento, della sopraffazione e della mercificazione del loro corpo.

     In modo particolare ho avuto modo di condividere la ricchezza e l’impegno di tante donne religiose che ogni giorno lavorano con amore e coraggio per ridonare dignità e libertà, vita e speranza a quanti sono stati derubati dei loro stessi sogni di ricerca e di affermazione come persone e non come oggetti. 


    Durante questi incontri era viva in me l’esperienza appena vissuta a Roma, durante un importante seminario, che ha visto la partecipazione di una trentina di religiose, coordinatrici di varie reti nazionali e continentali. L’incontro si è svolto nella sede delle Superiore generali delle Congregazioni internazionali femminili (Uisg) e aveva il preciso scopo di rafforzare una rete internazionale di religiose chiamata Talitha Kum. Scopo di questa vasta rete è quello di coordinare e condividere gli stessi obiettivi per operare insieme e far fronte all’emergenza della tratta a scopi prostituzionali, intervenendo sia nei Paesi di origine, che in quelli di transito e di destinazione di questo mercato infame, dove ciò che conta non è la persona, bensì la sete di guadagno, di potere e di piacere a ogni costo.

     I trafficanti sono molto ben organizzati nel trasportare e mettere sul mercato la loro “merce”, ma anche noi vogliamo essere altrettanto efficienti nel contrastare questo “commercio” e nel rompere tutti gli anelli di questa catena di schiavitù. Talitha Kum non vuole essere solo un nome qualsiasi dato alla rete internazionale, ma vuole essere un programma di azione concreto per poter dire a ogni donna curva sotto il peso della propria umiliazione: alzati! Alzati e riscopri la tua bellezza e dignità, la tua voglia di vivere, di danzare e di cantare il canto della vita e dell’amore. Accompagnata in questo suo cammino di liberazione troverà la forza di sognare ancora un futuro di speranza e di pace.

     Al termine di questo incontro, un gruppo di 23 religiose ha vissuto l’esperienza concreta di una visita a una casa famiglia, dove diverse donne uscite da questa spirale di violenza e di morte possono guardare al loro futuro e a quello dei loro figli, giacché hanno trovato nelle religiose che gestiscono la comunità una mano tesa e una voce amica che ha ripetuto le stesse parole e lo stesso gesto di Gesù rivolto alla figlia di Giairo: “Fanciulla, alzati! Talitha kum!”.

 

Pubblicato il 30 giugno 2011 - Commenti (0)
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati