31 luglio 2011 – VII domenica dopo Pentecoste


1. La settima domenica “dopo Pentecoste”
   

La tappa nella storia della salvezza rappresentata dall’ingresso nella terra promessa del popolo d’Israele sotto la guida di Giosuè annunzia e prelude l’ingresso nel regno di Dio sotto la guida del Signore Gesù. Il Lezionario ambrosiano propone: Lettura: Giosuè 4,1-9; Salmo: 77; Epistola: Romani 3,29-31; Vangelo: Luca 13,22-30. Nella Messa vespertina del sabato viene letto Giovanni 20,11-18, quale Vangelo della risurrezione. Le orazioni e i canti sono quelli della XVIII domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano. 


2. Vangelo secondo Luca 13,22-30    

In quel tempo. Il Signore Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».     


Commento liturgico-pastorale    

Il brano evangelico odierno è sapientemente inquadrato nel “cammino” di Gesù verso Gerusalemme dove si deve compiere il suo destino di Messia e di predicatore del Regno. L’evangelista tiene a sottolineare che l’attività principale di Gesù in marcia verso Gerusalemme è l’“insegnamento” di cui ci viene fornito un saggio nei versetti oggi proclamati dalla tonalità tipicamente “profetica”.

L’occasione gli è presentata nella domanda postagli da “un tale” (v. 23) riguardante il problema della “salvezza”: «sono pochi quelli che si salvano?». Essa riflette il dibattito, presente nel giudaismo del tempo di Gesù, che si poneva con serietà il problema della “salvezza” di tutti i membri del popolo di Israele. Sono davvero tutti membri del popolo “eletto” e dunque del popolo dei salvati?

La risposta di Gesù indica al suo interlocutore e, dunque, anche a noi che ascoltiamo, l’urgenza di “sforzarsi”, vale a dire di mettere ogni impegno per entrare nella “salvezza” immaginata come una grande aula a cui si accede, però, attraverso un’unica “porta stretta” (v. 24). Un’immagine questa che richiama con forza l’esigenza della “conversione” essenziale per la “salvezza”.

La forza del richiamo del Signore è ulteriormente indicata nella sottolineatura che: «molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» e soprattutto dal gesto del “padrone di casa” che chiude l’unica “porta” e misconosce quanti sono rimasti fuori (v. 25). A nulla varrà vantarsi di essersi intrattenuti con il Signore e di aver ascoltato i suoi insegnamenti.

La realtà è questa: nella sala è allestito un grande “banchetto” che è un’immagine cara ai Profeti per indicare la realizzazione definitiva della salvezza nel regno di Dio. Ciò che deve essere tenuto presente è che coloro che si credono i naturali “commensali” al banchetto della salvezza ne rimangono esclusi a differenza di altri ritenuti “esclusi” per principio che invece sono contemplati seduti «a mensa nel regno di Dio» (v 29).

Ne viene che bisogna fare di tutto, mettendosi continuamente in gioco davanti al Signore e al suo Vangelo, al fine di poter accedere, per la “porta stretta” alla mensa del Regno, alla “salvezza”. Occorre, inoltre, tenere presente che a nulla gioverà rivendicare l’appartenenza alla comunità ecclesiale qualora la nostra condotta pratica di vita risulti in dissonanza con gli “insegnamenti” del Signore.

Egli offre la “salvezza” a ogni uomo che si apre con sincerità e verità al suo Vangelo e, per questo, fa di tutto perché la propria vita sia sempre in sintonia con la sua Parola.

Questa domenica, nel presentare una tappa singolare della storia della salvezza qual è l’ingresso del popolo d’Israele nella terra promessa con il passaggio del fiume Giordano sotto la guida di Giosuè (Lettura: Giosuè 4,1-9) successore di Mosè, mette in luce come quella ”terra“ è annunzio profetico anticipatore del regno di Dio, nel quale si accede seguendo Gesù nel passaggio “stretto” vale a dire nella sua croce che per noi comporta la conversione del cuore e della vita.

Al Regno sono in verità chiamati e destinati, nel mirabile disegno di colui che non  è Dio solo dei “Giudei” ma di tutte “le genti” (Epistola: Romani  3,29), tutti gli uomini che seguono il vero Giosuè, ossia il Signore Gesù nel suo “passaggio” attraverso la croce da questo mondo al Padre e così sedersi «a mensa nel regno di Dio» temporaneamente ma efficacemente anticipata nella nostra assemblea eucaristica.

In essa  così preghiamo: «Sostieni, o Dio, il popolo dei credenti con la molteplice azione della tua grazia e preservaci da ogni inciampo del male; non lasciarci mancare mai gli aiuti necessari alla quotidiana esistenza e guidaci  alla gioia della dimora eterna» (A Conclusione della Liturgia della Parola).

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24 luglio 2011 – VI domenica dopo Pentecoste


1. La sesta domenica “dopo Pentecoste”
   

Tra i personaggi di spicco che hanno scandito la storia della salvezza un posto importante va riconosciuto a Mosè guida del suo popolo. Egli, in verità, preannunzia nella sua persona e nella sua opera quella del vero e definitivo capo, profeta e guida dell’intera umanità, vale a dire di Cristo Signore. Il Lezionario riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Esodo 33,18-34,10; Salmo 76; Epistola: 1Corinzi 3,5-11; Vangelo: Luca 6,20-31. Il Vangelo della risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da Matteo 28,8-10. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XVII domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.  


2. Vangelo secondo Luca 6,20-31    

In quel tempo. 20Il Signore Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24Ma guai a voi ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro chevi trattano male.
29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’  a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
   


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano odierno è preso da quella che possiamo chiamare la predicazione “pubblica” di Gesù che l’evangelista Luca ambienta, a differenza di Matteo, «in un luogo pianeggiante» (6,17-49) e si presenta diviso in due parti: vv. 20-26 e vv. 27-31.

La prima parte è composta da una serie di quattro “beatitudini” (vv. 20-22) a cui fanno riscontro quattro “guai” (vv. 24-26). In particolare le “beatitudini” riguardano coloro che nell’ambiente sociale e anche nella comunità ecclesiale sono gli ultimi, i disprezzati i respinti, gli isolati. La loro situazione descrive quella del Signore stesso il quale, pur essendo Figlio di Dio, si è “umiliato” ed è stato relegato tra gli ostracizzati, addirittura i “maledetti” da Dio! La loro condizione di vita, quaggiù, fatta di povertà, di sofferenza, di lacrime, di disprezzo e di odio è la garanzia di un radicale mutamento che si prepara per essi davanti a Dio, ovvero nel Regno.

E' quanto si è esemplarmente verificato in colui che è il prototipo di quanti sono “odiati”, messi al bando e “disprezzati” nella loro persona perché si sono a lui identificati. Dio, il Padre, ha totalmente ribaltato il giudizio degli uomini esaltando e facendo “sedere alla sua destra” il suo Figlio.

Al contrario le minacce espresse con i quattro “guai”, che ricordano da vicino le invettive dei Profeti, colpiscono in primo luogo i “ricchi” i quali, a motivo della sicurezza che deriva loro dai beni, si considerano al riparo da tutto e assumono sovente un atteggiamento di arroganza e di prepotenza nei confronti degli altri e di “indifferenza” nei confronti di Dio e dei suoi precetti. Anche per costoro si prepara un radicale mutamento nel regno di Dio.

Nell’ultima parte (vv. 27-31) sono racchiuse alcune esortazioni «a voi che mi ascoltate» ossia a coloro che hanno udito la Parola, l’hanno accolta nel loro cuore, facendosi così “discepoli”. A essi, nei quali speriamo di poter essere anche noi annoverati, Gesù dà una serie di comandi che hanno al centro quello della carità vale a dire dell’amore del tutto gratuito, disinteressato e che non si attende il contraccambio.

L’amore, che è proprio di Dio, si manifesta come avviene in lui nella benevolenza verso  tutti, compresi i nemici e i malvagi. Questa misura alta della carità è la norma data dal Signore stesso ai suoi discepoli, i quali “devono” letteralmente «amare i nemici, fare del bene a coloro che li odiano, benedire chi li maledice, pregare per chi li maltratta» (cfr. vv. 27-28). Si tratta di una “norma” alla quale ogni discepolo dovrà tendere, domandando a Dio incessantemente la grazia di poterla vivere concretamente nell’esistenza quotidiana.

Occorre inoltre comprendere che nessun’altra regola o norma di vita può precedere o mettere in ombra questa uscita dal cuore del Signore, il primo ad averla osservata fino a porgere non soltanto la “guancia” ma tutto sé stesso a chi lo percuote e lo umilia fino alla morte.

Letto nel contesto liturgico del Tempo “dopo Pentecoste” incaricato di ripercorrere le più importanti tappe della storia della salvezza così come di presentarne i personaggi più significativi, il brano evangelico evidenzia come Gesù abbia portato a pieno compimento ciò che era annunziato nella figura di Mosè.

La Lettura, infatti, sottolinea il ruolo di guida, di maestro, di profeta e di intercessore proprio di Mosè che sul monte Sinai poté vedere la gloria di Dio che consiste di fatto nella sua grande bontà (cfr. Esodo 33,18-23) e dal quale ha ricevuto la promessa: «Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione» (Esodo 34,10).

Noi crediamo che la “gloria di Dio” ovvero la rivelazione di lui come bontà e amore verso tutti è stata manifestata in pienezza dal Signore Gesù nelle sue parole e nelle sue opere, segnatamente nella sua croce.

Così è dell’“alleanza”, della comunione indissolubile cioè che lega Dio stesso all’uomo. Quella stabilita con Mosè sul Sinai scritta su “due tavole di pietra” (Esodo 34,1) fu un vero “patto” tra Dio e il suo popolo Israele, stipulato, però, come annunzio profetico dell’alleanza “nuova ed eterna” nel suo Figlio Gesù il cui Spirito la incide per sempre nel cuore dei fedeli.

Essa ha come unica norma e clausola l’osservanza della carità, quella di Dio, usata da lui nei riguardi di tutti anche degli empi e dei malvagi. Per questo l’Orazione all’Inizio dell’Assemblea Liturgica così prega: «O Dio, che nell’amore verso di te e verso il  prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa che, osservando i tuoi comandamenti, meritiamo di entrare nella vita eterna».

E' la carità, dunque, il “fondamento” sul quale viene costruito l’“edificio di Dio” (Epistola: 1Corinzi 3,9) vale a dire la Chiesa quale comunità dei credenti e su di esso devono continuare a costruire coloro che nella Chiesa si succedono come “servitori” (v. 5) nel compito di guida dei fratelli. Ed è quanto ci esorta a fare l’antifona Alla Comunione: «Camminiamo nella carità, come anche Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, offrendosi in sacrificio di soave profumo».

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17 luglio 2011 – V domenica dopo Pentecoste


1. La quinta domenica “dopo Pentecoste”   
 

Presenta, nella graduale riproposizione della storia della salvezza propria di questo tempo liturgico, la figura di Abramo come esemplare per i credenti e i discepoli di tutti i tempi. Il Lezionario riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 11,31.32b-12,5b; Salmo: 104; Epistola: Ebrei 11,1-2.8-16b; Vangelo: Luca 9,57-62. Alla Messa vespertina del sabato si legge Giovanni 20,1-8 come Vangelo della risurrezione. Le orazioni e i canti sono quelli della XVI domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Luca 9,57-62    

In quel tempo. 57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò:«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».    


3. Commento liturgico.pastorale      

Il brano odierno è preso dal racconto del viaggio di Gesù verso Gerusalemme avviato dalla solenne affermazione del v. 51: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». In tale racconto l’Evangelista incornicia la vicenda storica del Signore come un deciso andare incontro alla passione e morte nella città santa di Gerusalemme.

In particolare il brano si apre con la dichiarazione entusiastica di un anonimo accompagnatore di Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada» (v. 57). è degno di nota il fatto che egli si senta spinto a seguire Gesù senza porre alcuna condizione. Con la sua risposta (v. 58) Gesù fa capire che la sequela esige una dedizione senza riserve e senza umane aspettative.

Nella seconda parte del nostro brano (vv. 59-61) è Gesù stavolta a chiamare alla sua sequela, ottenendo una risposta positiva accompagnata da una richiesta: «permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Questa, oltre a indicare l’amore filiale verso il proprio genitore, è un’esigenza precisa che discende dalla Legge la quale, com’è noto, prescrive di “onorare il padre e la madre”.

La sorprendente risposta di Gesù sottolinea che, con la chiamata, si riceve una “nuova vita” per cui chi non lo “segue” è come “morto”! La nuova “vita” è contraddistinta dalla dedizione esclusiva all’annunzio del regno di Dio collaborando, in questo, alla missione stessa di Gesù. Per questo non è consentito attardarsi e indugiare in altro.

I vv. 61-62 infine registrano un’adesione spontanea alla “sequela” anch’essa, però, subordinata in qualche modo a pur legittime umane esigenze come quella di prendere congedo “da quelli di casa mia”. La risposta del Signore si rifà da una parte alla chiamata di Eliseo al quale il profeta Elia permette di andare a salutare i suoi genitori (cfr. 1Re 19,20), ma dall’altra la supera con l’esigenza ancora più forte posta da Gesù in ordine alla dedizione totale di sé per il regno di Dio.

La Scrittura  offre al riguardo una testimonianza esemplare valida per tutti i tempi: quella di Abramo. Egli diventa il modello e il prototipo di quanti ricevono una chiamata divina e a essa rispondono con una disponibilità piena, senza condizioni o riserve. è ciò che abbiamo ascoltato a proposito della prima chiamata di Dio ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Lettura: Genesi 12,1) e l’immediata reazione di questi: «Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore» (v. 4).    
L’autore della Lettera agli Ebrei indica nella “fede” descritta come «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Epistola: Ebrei 11,1) la motivazione interiore che muove Abramo a rispondere con risoluzione pronta e decisa alla chiamata che viene dall’alto. Dobbiamo, al riguardo, confessare che siamo come spiazzati dalle forti esigenze della “sequela” che  spesso ci chiede di “ partire senza sapere dove andare“, ossia di consegnarci senza comprensibili umane “garanzie” alla volontà di Dio che ha grandi progetti su ognuno di noi, chiamati a collaborare per l’annunzio e la diffusione del suo Regno.

Nella celebrazione eucaristica teniamo davanti agli occhi il Signore Gesù che per primo si consegnò prontamente e senza condizioni al volere del Padre, anche quando tale volere gli additava la croce. Da lui, perciò, accogliamo l’invito a fare altrettanto e la grazia necessaria per “andare” effettivamente sulle vie misteriose e grandi della volontà divina.  

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10 luglio 2011 – IV domenica dopo Pentecoste


1. La quarta domenica “dopo Pentecoste”   
 

Presenta il “mistero” del male e del peccato che sembrano dominare la storia e il cuore dell’uomo e che il Signore Gesù ha vinto con la sua Pasqua di morte e di risurrezione. I brani biblici proposti nel Lezionario ambrosiano sono: Lettura: Genesi 6,1-22; Salmo: 13; Epistola: Galati 5,16-25; Vangelo: Luca 17,26-30.33. Il Vangelo della risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da: Luca 24,9-12. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XV domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Luca 17,26-30.33    

In quel tempo. 26Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: 27mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. 28Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; 29ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. 30Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. 33Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva».      


3. Commento liturgico-pastorale    

I versetti oggi proclamati sono presi dal brano che riporta gli insegnamenti di Gesù relativi al regno di Dio e alla fine dei tempi (17,20-37) e occasionati dalla domanda a lui rivolta dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?» (v. 20).

In particolare il brano odierno riferisce alcuni di quegli “insegnamenti” destinati da Gesù ai suoi “discepoli” (v. 22) a quanti, cioè, hanno deciso di seguirlo. Va anche evidenziato come egli tiene a precisare che la sua “manifestazione” gloriosa alla fine dei tempi è preceduta dalla «necessità che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione» (v. 25).

Si comprende così come Gesù, citando gli eventi drammatici della storia di Noè riportata nella odierna Lettura, esorti i suoi discepoli a non mettersi nell’atteggiamento di “questa generazione” che è identico a quello degli uomini del tempo di Noè. I quali, tutti intenti e occupati esclusivamente nelle realtà proprie di questo mondo provvisorio, «prendevano moglie, prendevano marito», dimostravano di essere in nulla preoccupati della subitaneità della manifestazione ultima del Signore continuando, perciò, come nulla fosse, a “mangiare e a bere” (v. 27). In questo caso la venuta del Signore sarà distruttiva così come alla venuta del diluvio che «li fece morire tutti» (v. 27).

La stessa esortazione è ripresa con forza ai vv. 28-29 dove si fa memoria del tempo di Lot contrassegnata, stando a quanto leggiamo nel libro della Genesi cap. 19, da una impressionante degenerazione morale degli abitanti di Sodoma e Gomorra, tutti intenti alle cose materiali (v. 28) e incuranti del giudizio di Dio evocato da Gesù con l’immagine della «pioggia di fuoco e zolfo dal cielo» che «li fece morire tutti» (v. 29).

La conclusione del v. 30: «Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà» appare un’ulteriore esortazione del Signore rivolta ai suoi discepoli perché si guardino da quella “noncuranza” del giudizio divino che ha decretato la rovina degli uomini al tempo di Noè e di Lot e che si manifesterà in pienezza con la manifestazione gloriosa del Signore.

Non facciamo difficoltà a sentire diretta anche a noi, discepoli del Signore, in questo nostro momento storico l’esortazione a guardarci dal concepire l’esistenza terrena sganciata dalla superiore necessità di essere anche disposti a “perdere la vita” per poterla in verità “salvare” (v. 33).

In questo caso significa non solo e non tanto essere pronti a “dare” la nostra vita per il Signore, ma soprattutto non cadere nell’errore che essa dipenda e si regga sulle cose e sulle realtà di questo mondo così esemplificate ai vv. 27 e 28: «mangiavano, bevevano, compravano, vendevano,  costruivano, prendevano moglie e marito», il cui possesso sembra garantirci la “vita”.

Proprio un simile modo di pensare e di vivere non soltanto espone l’uomo al pericolo di “perdere la vita” e per sempre nella rovina eterna, ma introduce fatalmente nel tessuto sociale la corruzione, la perversione e la violenza (Lettura: Genesi 6,5.11-12) causa del rigetto di Dio stesso così espresso: «Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti» (v. 7).

L’alternativa proposta dalla parola di Dio al fine di sfuggire al potere distruttivo del male è quella espressa così dall’Apostolo: «camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne» (Epistola: Galati 5,16). La partecipazione all’Eucaristia celebrata «finché il Signore venga» tiene desta nella Chiesa e in tutti noi credenti la convinta disponibilità a “perdere” la nostra vita, ovvero a non anteporre nulla al Signore Gesù. Egli nel dono incessante dello Spirito ci dona anche di «camminare secondo lo Spirito» rifuggendo dalle “opere” mortifere della “carne” che ci escludono dall’eredità del regno di Dio unica nostra vera e definitiva prospettiva di salvezza.

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3 luglio 2011 – III domenica dopo Pentecoste


1. La terza domenica “dopo Pentecoste”
   

Nella graduale riproposizione della storia della salvezza che ha il suo culmine nella Pasqua del Signore Gesù questa domenica presenta la creazione dell’uomo come segno dell’amore di Dio che avrà la sua piena manifestazione nel dono del suo Figlio unigenito. Il Lezionario, di conseguenza, propone: Lettura: Genesi 2,4b-17; Salmo: 103; Epistola: Romani 5,12-17; Vangelo: Giovanni 3,16-21. Alla Messa vespertina del sabato il Vangelo della risurrezione è preso da Marco 16,1-8a. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XIV domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Giovanni 3,16-21    

In quel tempo. Il Signore Gesù 16disse a Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».    


3. Commento liturgico-pastorale
   

Il brano fa parte del discorso di Gesù a Nicodemo che l’evangelista dice essere uno dei “notabili giudei” (Gv 3,1). In particolare i versetti oggi proclamati, conclusivi del discorso, appaiono in verità come un monologo, un parlare di Gesù tra sé e sé, il quale – dopo aver annunziato ciò che lo attende: il suo “innalzamento” ovvero la sua morte sulla Croce (vv. 13-15), iscritta nel più ampio disegno salvifico di Dio al quale sta molto a cuore il mondo (vv. 16-18) – pone all’ascoltatore la necessità di schierarsi davanti a lui (vv. 19-21).

In particolare il v. 16a dice la motivazione che soggiace all’invio del Figlio da parte di Dio: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». Si tratta di un’affermazione di decisiva importanza perché su di essa poggia l’intero progetto divino di salvezza e ogni suo sviluppo. Una parola quindi da assaporare e da accogliere nella profondità del nostro spirito e sulla quale fondare l’intera nostra esistenza di credenti.

Dio dunque “ama il mondo” ossia l’intera umanità e per questo nutre nel suo cuore un progetto di salvezza e di vita per attuare il quale “manda” il suo Figlio unico. I vv. 16b-17 dicono le finalità essenziali di tale invio. La prima delle quali è il dono della “vita eterna”, da intendere come comunione profonda con Dio che è già qui avviata in colui che “crede” nel Figlio inviato! è questa, perciò, la “salvezza” che il Figlio viene a portare e che ha come conseguenza pratica, per chi crede, di sfuggire al “giudizio” ossia di non andare incontro alla “condanna”.

Come avviene per il dono della “vita eterna” che è fin d’ora accordata a colui che accoglie il Figlio mandato nel mondo, così è del “giudizio” che è già dato da ora come condanna per chi “non crede” ovvero non accoglie Gesù!

In sintesi, chi “crede” ha fin d’ora la “vita eterna”, chi “non crede” va incontro fin da ora al giudizio di condanna che, in ultima analisi, consiste nella privazione della comunione di vita con Dio e, di conseguenza, alla rovina eterna, alla morte!

L’ultima parte, perciò, del nostro brano (vv. 19-21) mette tutti noi che ascoltiamo la parola evangelica davanti a una scelta: “credere o non credere” nel Figlio unico inviato dal Padre e alle conseguenze che da essa concretamente derivano.

Comprendiamo, alla luce delle sublimi parole del Signore, come tutto procede dall’amore assoluto di Dio. Questi manda l’unico suo Figlio per recare all’uomo la “luce”, ovvero la “rivelazione” che reclama la nostra adesione di fede. E nella fede ci fa fin d’ora partecipi della vita divina. D’altra parte la parola del Signore ci fa capire che tutto è lasciato alla libera decisione dell’uomo, il quale è invitato a rifuggire dalle tenebre dell’incredulità e ad aprirsi alla fede nel Figlio unigenito di Dio.

Proclamato nel peculiare contesto liturgico del tempo “dopo Pentecoste”, il brano evangelico vuole soprattutto mettere in luce il mistero di per sé incomprensibile della bontà di Dio e dell’incrollabile sua volontà salvifica nei confronti dell'uomo, per la cui realizzazione non esita a “dare” il suo Figlio, quello unico, quello che lui “ama”.

L’iniziale rivelazione trasmessa nelle Scritture veterotestamentarie documenta come l’amore di Dio per l’uomo  ha la sua prima essenziale manifestazione nel “plasmarlo” come “un essere vivente” mediante il “soffio “ di vita a lui concesso e nel collocarlo in un “meraviglioso giardino” (Cfr: Lettura: Genesi 2,7-8).

Tutto ciò va considerato e compreso come un annunzio rivelatore di quell’amore di Dio testimoniato in modo insuperabile dall’aver “dato” per l’uomo il suo Figlio unico portatore della “vita eterna” che in lui e per mezzo di lui Dio vuole donare al “mondo”.

Un amore questo che non viene meno di fronte alla trasgressione da parte dell’uomo del comando di Dio (Genesi 2,17) e che, stando al commento dell’Apostolo ha sì introdotto «il peccato nel mondo e, con il peccato, la morte» (Epistola: Romani 5,12), ma ha dato modo a Dio di riversare su tutti gli uomini in maniera sovrabbondante il “dono” di grazia   «concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo» (Romani 5,15d).

La preghiera del Prefazio traduce il potente annunzio udito nelle Scritture in una preghiera di ringraziamento e di lode che fa discendere, nel dono eucaristico, quella pienezza di vita e di grazia che Dio ha riversato e non cessa di riversare sul mondo nel suo unico Figlio. Così infatti ci rivolgiamo al Padre che,  “con sapienza mirabile”, ha redento il mondo “nel sangue di Cristo”:  «Amandoci oltre ogni nostro pensiero e ogni attesa, hai inviato al mondo il tuo Figlio unigenito perché nell’umiliazione della morte in croce riconducesse alla gloria l’uomo che dalla tua bontà era stato creato e per la propria superbia si era perduto».

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26 giugno 2011 – II domenica dopo Pentecoste


1. La seconda domenica dopo Pentecoste
   

Con questa domenica si fa evidente la proposta del Lezionario ambrosiano per il presente tempo liturgico, vale a dire quella di ripercorrere l’intera storia della salvezza prevista nel cuore della Trinità, attuata nella Pasqua del Signore, prolungata dalla grazia dello Spirito che riempie di efficacia la predicazione evangelica e l’economia sacramentale con al centro l’Eucaristia. I brani biblici oggi offerti sono: Lettura: Siracide 17,1-4.6-11b.12-14; Salmo: 103; Epistola: Romani 1,22-25.28-32; Vangelo: Matteo 5,2.43-48. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato Luca 24,1-8 come Vangelo della risurrezione.  Le orazioni e i canti sono quelli della XIII Domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Matteo 5,2.43-48   

In quel tempo. 2Il Signore Gesù si mise a parlare e insegnava loro dicendo. 43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.    


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano evangelico oggi proclamato fa parte del più ampio discorso della montagna avviato dalle beatitudini (Mt 5,1-16) e dalla solenne dichiarazione riguardante ciò che Gesù è venuto a compiere sulla terra: portare a compimento “la legge e i profeti” (v. 17).

Di fatto, nel suo discorso, Gesù chiede ai suoi ascoltatori una “giustizia” superiore a quella di scribi e farisei (v. 20), ossia una obbedienza e una fedeltà al volere di Dio più grande. Di questa “giustizia” si tratta anche nel brano odierno che prende l’avvio dal detto di Gesù sull’amore del prossimo (v. 43).

A tale riguardo Gesù cita un passo della Scrittura (Levitico 18,18) che prescrive di “amare” il proprio amico e di “odiare” il proprio nemico ossia di non interessarsi e di non prendere a cuore le sorti di un avversario.

L’insegnamento di Gesù supera di gran lunga la citata prescrizione vetero-testamentaria e dice con tutta chiarezza che l’amore deve essere esteso fino ad abbracciare anche i “nemici”. Una simile estensione dell’amore denota in chi è in grado di praticarlo la sua somiglianza e la sua origine da Dio stesso, in pratica la condizione filiale che traduce il comportamento stesso di Dio che, unico, è il “misericordioso”, al punto da non avere preferenze di persone, ma di riversare su tutti la grandezza della sua bontà: «egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (v. 45).

I vv. 46-47 dicono in concreto come deve essere intesa la “giustizia più grande” che Gesù esige da coloro che lo seguono e che lui, per primo, ha praticato offrendo tutto di sé non per i buoni o i giusti, ma per i suoi nemici, per chi lo tradisce e lo uccide, per coloro che percorrono la via malvagia del peccato.

Si comprende, così, l’esortazione finale a essere «perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (v. 48), la cui “perfezione” vale a dire l’amore senza misura e senza richiesta di reciprocità in qualche modo si rende evidente nella creazione dell’uomo da lui rivestito «di una forza pari alla sua» e formato a «sua immagine» (Lettura: Siracide 17,3). Perfezione nell’amore che è stata fatta brillare davanti alla storia e al mondo nel suo Figlio crocifisso, dato proprio per la salvezza del mondo.

Va detto e ripetuto con chiarezza e determinazione che l’osservanza di queste parole del Signore è ciò che caratterizza essenzialmente i discepoli di Gesù in ogni tempo. è evidente, d’altra parte, che nessuno è in grado di perseguire con le sole sue forze la pienezza della carità. Si tratta di una “capacità” che possediamo “per grazia” essendo stati rigenerati dallo Spirito come “figli” di quel Padre buono e magnanimo  con tutti che Gesù ci ha rivelato.

Lo Spirito Santo, perciò, perennemente attivo nel cuore della Chiesa spinge ogni discepolo del Signore non solo a guardarsi «da ogni ingiustizia» (Siracide 17,14) , ma soprattutto ad accogliere il dono della “giustizia” più grande, quella che assimila al Figlio unigenito, che nel suo amore senza limiti rende accessibili a tutti l’invisibile mistero di Dio che è amore.

È proprio questa l’“adeguata conoscenza” di Dio di cui parla l’Epistola paolina (Romani 1,28) che ci salva dal diventare “stolti” al punto di adorare e servire le creature anziché il Creatore (v. 25) e da quella “intelligenza depravata” che porta inevitabilmente a commettere quelle “azioni indegne” enumerate dall’Apostolo  e significativamente così concluse: ”senza cuore, senza misericordia” (vv. 28-31). Si tratta , a ben guardare, di una perfezione nella malvagità.

La celebrazione eucaristica - che ci permette di “vedere” e di toccare con mano  l’amore senza misura di Dio che è il suo Figlio crocifisso - è il luogo dove ci è dato di crescere nella perfezione della carità e di  esprimere il nostro ammirato stupore: «Ogni epoca tramanda, o Dio, le tue opere e proclama le tue gesta mirabili. Dolce nella memoria resta il ricordo della tua bontà e l’esultanza per la tua giustizia» (Antifona  All’Ingresso).

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23 giugno 2011 – Corpo e Sangue di Cristo


1. Il giovedì successivo alla prima Domenica dopo Pentecoste
   

E' il giorno dedicato fin dal Medioevo alla celebrazione dell’odierna solennità legata alla contemplazione e all’adorazione della presenza vera, reale e sostanziale del Signore Gesù nel sacramento dell’altare. La nostra tradizione liturgica ambrosiana propone per la solennità un proprio ciclo di lezioni bibliche e un formulario completo di orazioni e di antifone nel Messale.      

  • Il Lezionario
Per l’anno A prevede come Lettura: Deuteronomio 8, 2-3.14b-16°, che evoca la cura di Dio per il suo popolo in marcia nel deserto, al quale offre in cibo la “manna” figura profetica del “pane eucaristico”. Il Salmo 147 celebra la grandezza dei doni di Dio al suo popolo, mentre l’Epistola 1Corinzi 10,16-17 mette in luce come il “calice” e il “pane” eucaristici sono fondamento dell’unità dei fedeli in “un solo corpo”.  Il brano evangelico che viene qui riprodotto è preso da Giovanni 6,51-58:      

In quel tempo. 51Il Signore Gesù disse alle folle dei Giudei: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».    
52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la  vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.
57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato  me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
     

Il v. 51 riporta le parole di autorivelazione del Signore che si dichiara il «pane vivo disceso dal cielo» in grado di nutrire per la vita eterna a differenza della “manna” di cui si legge nella Lettura. Segue, a partire dal v. 53, provocata dalla domanda dei Giudei, un’ulteriore chiarificazione dell’affermazione iniziale con la quale Gesù fa dipendere la “vita” eterna, ovvero la vita di comunione con Dio, dal “mangiare” la sua “carne” e dal “bere” il suo sangue. Un simile nutrimento reca in chi lo mangia la garanzia della risurrezione ed è principio di comunione stabile di vita con Gesù espressa con il verbo “dimorare”.

Il brano si conclude al v. 58 con la ripresa della dichiarazione iniziale sul “pane disceso dal cielo” e la conseguente affermazione sull’effetto della sua manducazione: la vita eterna.   Il Messale    

  • Il Messale
Riportiamo qui l’orazione A conclusione della Liturgia della Parola e il canto Alla Comunione, propri della liturgia ambrosiana:  

- A conclusione della Liturgia della Parola    
«Accendi in cuore, o Dio, il desiderio del cielo e dona una sete ardente di vita eterna a  noi che ci siamo radunati a onorare con profonda venerazione il mistero del corpo e del sangue di Cristo Signore, che vive e regna nei secoli dei secoli».  

- Alla  comunione    
«Ti lodiamo, Signore onnipotente,
glorioso re di tutto l’universo.
Ti benedicono gli angeli e gli arcangeli, ti lodano i profeti con gli apostoli.
Noi ti lodiamo, o Cristo, a te prostrati, che venisti a redimere i peccati.
Noi ti invochiamo, o grande Redentore, che il Padre ci mandò come pastore.
Tu sei il Figlio di Dio, tu il Messia che nacque dalla vergine Maria.
Dal tuo prezioso sangue inebriati, fa’ che siamo da ogni colpa liberati».

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19 giugno 2011 – Santissima Trinità


1. La prima Domenica dopo Pentecoste


E' dedicata alla celebrazione della solennità della Santissima Trinità. Le lezioni bibliche, a partire da questa domenica e sino alla conclusione del presente Anno liturgico, sono  reperibili nel III Libro del Lezionario ambrosiano dal titolo Mistero della Pentecoste. Oggi sono previsti i seguenti brani: Lettura: Esodo 3,1-15; Salmo 67: Epistola: Romani 8,14-17; Vangelo: Giovanni 16,12-15. Nella Messa vespertina del sabato viene letto: Marco 16,9-16, quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 16,12-15    

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 12«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.    


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano evangelico contiene l’ultimo “insegnamento” sullo Spirito Santo, impartito da Gesù ai suoi discepoli nel discorso di “addio” pronunciato nel Cenacolo di Gerusalemme. Il v. 12 si riferisce all’opera di rivelazione compiuta da Gesù che, stando alle sue parole, non è del tutto completa perché i suoi discepoli non sono ancora in grado di aprirsi totalmente a essa.

Dal v. 13 al v. 15 le parole di Gesù spostano l’attenzione sul Paraclito indicato come “Spirito della verità” e sulla sua venuta nella comunità dei discepoli nell’ora del suo ritorno al Padre. L’azione dello Spirito nella comunità dei discepoli è descritta al v. 13 come un compito di “guidare a tutta la verità”, portare cioè a conoscenza dei discepoli quanto lo Spirito ha udito da Gesù (v. 14) e fare partecipi i discepoli di ciò che appartiene propriamente al solo Gesù (v. 15).

La funzione di “guidare a tutta la verità” consiste perciò nel donare ai  discepoli di comprendere in pieno ciò che Gesù ha detto e ha fatto nella sua vita terrena sino all’ora suprema della sua “glorificazione” sulla croce. Riguarda anche la capacità di guardare a Gesù come al “Figlio glorificato” e al quale il Padre ha dato ogni potere in cielo e in terra.

Con queste parole pronunciate nella sua “ultima cena” Gesù intende, tramite i discepoli, riferirsi a tutti coloro che avrebbero creduto in lui, formando in tal modo la sua Chiesa. Il Signore, pertanto, si riferisce anche a tutti noi e ci assicura che, essendo già in atto il tempo dello Spirito, siamo in grado di “ascoltare”  e di “accogliere” “tutta la verità” ossia l’intera rivelazione che è stata portata nel mondo dal Figlio di Dio e che ha il suo centro nel mistero della sua morte e risurrezione.

Lo Spirito infatti tramite l’ascolto delle divine Scritture di cui è l’autore, ci dona in realtà di udire in esse come viva e attuale la parola stessa di Gesù. Lo Spirito Santo, del resto, non ha un suo “messaggio” personale. Egli ci «dirà tutto ciò che avrà udito» da Gesù, ossia dal Figlio il quale, a sua volta, dice le parole che ha udito dal Padre.

Lo Spirito Santo inoltre comunicherà al cuore dei credenti l’intelligenza delle “cose future” ovvero quanto accade lungo il volgere dei secoli e soprattutto li metterà a contatto di tutta la ricchezza di grazia e di vita divina che il Figlio possiede. Cosa questa che si attua concretamente e sommamente nella celebrazione eucaristica.

In una parola, lo Spirito Santo che fino alla fine dei secoli compirà la sua funzione di guida della comunità dei credenti, renderà viva in essa “tutta la verità”, vale a dire il mistero di Dio rivelato e portato a compimento dal Signore Gesù.

Mistero la cui iniziale rivelazione a Mosè dal fuoco del roveto ardente «e che non si consuma» (cfr. Lettura: Esodo 3,2), ci presenta un Dio che ha a cuore un rapporto concreto con l’uomo, un Dio che si rivela attento e vicino a suo popolo, un Dio che non esita a intervenire di persona a favore del suo popolo (cfr. Esodo 3,7-10).

Mistero che, essendo stato “confidato” al Figlio, è stato da lui annunziato e attuato nella sua Pasqua come mistero di grazia e di salvezza per ogni uomo.

Mistero  dunque dell’amore paterno di Dio che è brillato nel suo Figlio fatto uomo, in Gesù di Nazaret, e che lo Spirito assicura essere il nostro destino al punto di spingerci a gridare: «Abbà! Padre!» (Epistola: Romani 8,15c). Comprendiamo così come nell’inaccessibile mistero della vita di Dio, Trinità Santissima, ha origine il mirabile disegno divino di salvezza, storicamente realizzato nell’incarnazione del Figlio unigenito e sommamente nella sua Pasqua e che consiste nel fare di ogni uomo un “figlio” nel Figlio, grazie all’incessante efficace azione del suo Santo Spirito.

Radunati per la celebrazione dei divini misteri, veniamo dallo Spirito guidati alla pienezza della verità che tutti ci riguarda e da lui fatti partecipi di ciò che è proprio di Gesù, vale a dire della relazione filiale con il Padre, facciamo salire dal cuore della Chiesa la confessione di fede: «Questa è la fede cattolica: credere in un solo Dio nella Trinità beata e adorare la Trinità nell’unico Dio» (Canto Alla Comunione).

Con la professione di fede sale dal cuore della Chiesa la preghiera di lode e di adorazione: «Sia lode al Padre che regna nei cieli e al Figlio che è sovrano con lui; cantino gloria allo Spirito Santo tutte le creature beate» (Canto Dopo il Vangelo).

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12 giugno 2011 – Domenica di Pentecoste


La solennità di Pentecoste
   

Celebra il mistero dell’effusione dello Spirito Santo che è il “dono” dato da Dio alla Chiesa come frutto della Pasqua del suo Figlio, coronata con il suo “ritorno” al Padre. Con questa solennità si conclude il Tempo Pasquale. Nella tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana l’importanza dell’odierna solennità è resa visibile dalla Liturgia vigiliare vespertina e naturalmente dalla Messa “nel giorno”.  

1. Liturgia vigiliare vespertina    
Viene celebrata la sera del sabato ed è organizzata sul modello della Veglia pasquale comprendente un’ampia proclamazione di scelti brani biblici e la celebrazione dell’Eucaristia.      

  • L'ordinamento delle letture bibliche
Sono previste quattro letture prese dall’Antico Testamento: Genesi 11,1-9; Esodo 19,3-8.16-19; Ezechiele 37,1-14; Gioele 3,1-5. Esse rappresentano l’annunzio “profetico” del “dono” dello Spirito Santo frutto della Pasqua del Signore Gesù. Ad esse segue l’Epistola: 1Corinzi 2,9-15a nella quale l’Apostolo afferma che, grazie al dono dello  Spirito noi tutti possiamo arrivare a «conoscere ciò che Dio ci ha donato» nel suo Figlio. Il brano evangelico è preso da Giovanni 16,5-14:      

In quel tempo. 5Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. 6Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. 8E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9Riguardo al peccato, perché non credono in me; 10riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; 11riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato.     12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.        

Con queste parole Gesù intende preparare i suoi discepoli al distacco da lui, segnato con il suo ritorno “da colui che lo ha mandato”. Essi così come anche noi che con fede seguiamo il Signore non siamo abbandonati a noi stessi, nella nostra incapacità a “portare il peso” della rivelazione del Signore. Al contrario, una volta tornato al Padre, Gesù “manderà” alla sua Chiesa lo Spirito Santo Paràclito, il quale, «conoscendo le profondità di Dio» secondo le parole dell’Apostolo (Epistola: 1Corinzi 2,10) è, lo “Spirito della verità” che le permetterà di comprendere in tutta la sua portata e in tutte le sue conseguenze salvifiche la “verità”, vale a dire la rivelazione recata dal Verbo di Dio fatto uomo, Gesù di Nazaret, crocifisso, risorto e asceso al Cielo.       

  • Il formulario della Messa
Comprende le orazioni, il prefazio e i canti ovvero le antifone che scandiscono la celebrazione eucaristica. Di questo “tesoro” orante riproduciamo l’orazione A conclusione della Liturgia della Parola e il Prefazio.  

A conclusione della Liturgia della Parola  
  
«A chi per la forza della tua grazia e per l’azione trasformante dello Spirito Santo è interiormente rinato nel Battesimo, dona, o Padre, di vivere senza pentimenti e senza stanchezza come figli del regno dei cieli».  

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, renderti grazie, Dio onnipotente. A coloro che nella comunione di vita col Signore risorto hai prescelto a diventare tuoi figli, tu concedi, o Padre, con l’effusione dello Spirito Santo i tuoi doni di grazia, portando a compimento il mistero pasquale e anticipando al popolo dei credenti le primizie dell’eredità eterna, che sono chiamati a condividere con Cristo redentore. Così diviene tanto più certa la loro fiducia di incontrarsi con lui nella gloria, quanto più chiara è per essi la coscienza del loro riscatto, e l’esperienza dello Spirito è più inebriante e più viva».    

2. La Messa “nel giorno”    
E' quella che si celebra la domenica e propone un distinto ordinamento delle letture bibliche e di un proprio formulario.      

  • L'ordinamento delle letture bibliche
La Lettura: Atti degli Apostoli 2,1-11 riporta il racconto dell’evento della Pentecoste, culmine della Pasqua. Il Salmo 103 è cantato intercalando il ritornello: «Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra». L’Epistola: 1Corinzi 12,1-11 illustra i “doni” recati dallo Spirito “per il bene comune”. Primo dei doni è quello di poter affermare con piena consapevolezza: «Gesù è il Signore», vale a dire il vincitore della morte, il vero unico salvatore.

Il brano evangelico è preso da Giovanni 14,15-20 l’evangelista che ci ha accompagnato nella preparazione quaresimale alla Pasqua (dalla II Domenica) fino a oggi.      

In quel tempo. 15Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Prima di separarsi dai suoi, Gesù promette loro che una volta tornato al Padre si prenderà a cuore la loro situazione ottenendo l’invio dello Spirito Santo che succederà a lui nell’ufficio di “paràclito” ossia di assistenza e guida “per sempre”.

Anche oggi, perciò, noi che formiamo la Chiesa del Signore, non possiamo e non dobbiamo sentirci “orfani”! Gesù è continuamente vivo e presente tra noi grazie all’azione dello Spirito che rende viva la sua Parola e attiva il dono di sé compiuto dal Signore una volta per tutte sulla croce principio della nostra comunione con lui e, tramite lui, con il Padre.

  • il formulario della Messa
      Vengono qui riportati il Prefazio che esalta la ricomposizione di fede e di amore dell’intera umanità opera della Pasqua del Signore e che lo Spirito Santo estende, dilata e realizza incessantemente fino alla fine dei tempi; e il canto Allo Spezzare del Pane che riporta le sublimi parole del Signore riguardanti l’effetto del dono dello Spirito nei credenti (cfr. Giovanni 7,37-39).  

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta renderti grazie, o Dio di infinita potenza, e allietarci in questo giorno solenne, che, nel suo numero sacro e profetico, ricorda arcanamente la raggiunta pienezza del mistero pasquale. Oggi la confusione che la superbia aveva portato agli uomini è ricomposta in unità dallo Spirito Santo. Oggi gli apostoli, al fragore improvviso che viene dal cielo, accolgono la professione di un’unica fede e, con diversi linguaggi, a tutte le genti annunziano la gloria del tuo Vangelo di salvezza. Per questa effusione dello Spirito esulta la Chiesa ardente di riconoscenza e d’amore, e, unendo la sua voce di sposa al coro senza fine del cielo, eleva, a te, o Padre, con tutte le creature felici il suo inno di lode».  

Allo Spezzare del Pane    
«Nell’ultimo giorno della festa Gesù proclamava:
“Dal seno di chi crede in me
scaturiranno fiumi d’acqua viva”.
Questo disse parlando dello Spirito
che avrebbero ricevuto i credenti in lui, alleluia, alleluia».

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5 giugno 2011 – domenica dopo l’Ascensione

1. La settima domenica di Pasqua    

Intende porre in evidenza come, dopo l’Ascensione, la presenza del Signore va essenzialmente ricercata nel raduno eucaristico della Chiesa. Per questo il Lezionario prescrive le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,9a.12-14; Salmo 132; Epistola: 2Corinzi 4,1-6; Vangelo: 24,13-35. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 20,1-8 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Luca 24,13-35    

13In quello stesso giorno due discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere  e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui.     28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.      


Commento liturgico-pastorale    

Il brano si riallaccia a ciò che leggiamo al v. 11 riguardante il sostanziale rifiuto da parte degli apostoli e dei discepoli a dare credito a ciò che avevano loro riferito “le donne” a proposito dell’incontro con il Risorto presso il sepolcro.

Anche i due discepoli protagonisti dell’odierno racconto, come è facile riscontrare al v. 21, non danno credito alla testimonianza delle donne. Essi sono presentati mentre, in cammino verso Emmaus, parlano tra di loro degli eventi tragici accaduti in Gerusalemme al loro Maestro, vale a dire la sua morte in croce e la scoperta della sua tomba vuota (v. 14). Senza ulteriori precisazioni viene detto che «Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (v. 15), ma, come è facile capire, non erano in grado di riconoscere Gesù (v. 16) a motivo della loro poca fede che li ha gettati nella delusione e nello sconforto.

Alla domanda a essi rivolta dallo sconosciuto compagno di viaggio (v. 17) segue ai vv. 21-24 la risposta di uno dei discepoli che rappresenta un annunzio “evangelico” incentrato sulla condanna a morte di Gesù, che essi sono per ora in grado di definire come «profeta potente in opere  e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (v. 19) e a quanto sembra come il Messia atteso quale liberatore potente e restauratore del Regno d'Israele.

Al v. 24 apprendiamo che anche altri “discepoli” pur avendo visto il sepolcro vuoto come avevano detto le donne, vivono la stessa delusione dei due mesti viandanti e rimangono chiusi all’adesione di fede a quanto il Signore aveva pure tante volte detto loro circa l’ineluttabilità della sua “morte” e, dunque, della sua risurrezione, peraltro, annunziata dai Profeti.

Proprio questo è il compito assunto dal misterioso compagno di viaggio: ricordare loro, non senza averli rimproverati come «stolti e lenti di cuore a credere» (v. 25) come il Cristo “doveva patire queste cose», quelle che essi avevano richiamate al viandante (v. 20) vale a dire le sofferenze, il ripudio della sua gente e la morte obbrobriosa sulla croce e che, in realtà, sono il passaggio per «entrare nella sua gloria», quella del Signore risorto.    
Con queste parole il Signore apre ai due discepoli di Emmaus l’intelligenza delle Scritture, rivelatrici essenzialmente dei divini disegni di salvezza, che hanno la loro sintesi e il loro compimento nella Pasqua di morte e di risurrezione del Figlio unigenito.

Questo atteggiamento del Signore è stato così consegnato alla Chiesa, la quale specialmente nel suo raduno eucaristico legge e interpreta autorevolmente le Scritture alla luce dell’“insegnamento” ricevuto dallo stesso suo Signore e continuamente reso vivo in essa dal dono dello Spirito Santo.

Una chiara testimonianza in tal senso è oggi data nel Prefazio che rilegge così il mistero della nostra salvezza in Cristo: «Per riscattare la famiglia umana il Signore Gesù si degnò di nascere in mezzo a noi e vinse il mondo con il suo dolore e la sua morte. Risorgendo nella gloria, ci aprì il cammino della vita eterna e nel mistero della sua ascensione ci ridonò la speranza di entrare nel regno dei cieli».

Si comprende così l’ardire dei due viandanti che quasi costringono il loro interlocutore a “restare” con loro, essendo oramai calata la notte (v. 29), nella quale è lecito vedere qualcosa di più della concreta mancanza di luce. è l’intera comunità dei credenti che attraversando i tempi sperimenta l’ora oscura della prova, della persecuzione e, perciò, supplica il Signore: «Resta con noi, perché si fa sera».

L’intero racconto ha il suo culmine nei vv. 30-32 che mostrano Gesù a mensa con i due discepoli nell’atto di compiere quei gesti a essi familiari, quali il prendere il pane nelle sue mani, pronunziare su di esso la preghiera di benedizione, spezzarlo e distribuirlo. Sono questi i gesti che hanno aperto “i loro occhi” e sono i gesti che nel raduno eucaristico aprono i nostri occhi, ovvero ci donano di riconoscere in quel pane spezzato e donato il Signore Gesù che ha “sofferto” e che è “entrato nella sua gloria” mostrando così anche a tutti i suoi discepoli la “via”.

Se la spiegazione delle Scritture apre l’intelligenza della fede, sono le parole e i santi segni eucaristici a permettere di “vedere” il Signore e ad avvertire un fuoco d’amore per lui che, come avviene per i due discepoli, dà le ali al nostro cuore e all’esigenza insopprimibile di annunziare ciò che abbiamo “ascoltato” e “visto” e che ci fa dire: «Davvero il Signore è risorto» (v. 34).

La mensa attorno alla quale siedono Gesù e i due discepoli, pertanto, sta all’origine di ogni adunanza dei credenti. La Lettura infatti mostra la prima comunità formata anzitutto dagli apostoli come perseveranti e concordi nel raduno e nella preghiera insieme «ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (Atti degli Apostoli 1,14).

A questa comunità noi ancora guardiamo e a essa ci ispiriamo quando non anteponiamo alcuna cosa al nostro stare insieme, non solo fisicamente ma uniti nel cuore e nello spirito, perché il Signore continui a far ardere il nostro cuore mentre ascoltiamo le divine Scritture, a stare con noi nell’ora oscura della storia, a offrirci il pane di vita che è il suo corpo offerto sulla croce e che ora vive immortale.

A tale proposito accogliamo il monito dell’apostolo Paolo che, esortandoci a cercare unicamente sul volto di Cristo, il Crocifisso|Risorto, la «conoscenza della gloria di Dio» ci avverte di non farci accecare la mente dal «dio di questo mondo», in modo da poter annunciare con efficacia «lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo che è immagine di Dio» (Epistola: 2Corinzi 4,3.6).       

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2 giugno 2011 – Ascensione del Signore


1. La solennità dell’Ascensione

Celebra il compimento della Pasqua con il ritorno del Signore vittorioso al Padre dal quale “era venuto” per la nostra salvezza. La recente riforma del Calendario liturgico della nostra Chiesa ambrosiana (2008) ha sapientemente riportato questa grande solennità nel “quarantesimo giorno” della letizia pasquale, segnata dalla gioia della presenza del Risorto tra i suoi ai quali promette, una volta tornato al Padre, di mandare lo Spirito Santo per tener viva la sua Parola e l’efficacia della sua Pasqua fino alla consumazione dei tempi. L’importanza dell’odierna solennità nella nostra tradizione liturgica è riscontrabile nella proposta di una speciale Lettura vigiliare per la Messa vespertina che inaugura la solennità e nei due formulari completi per questa Messa e per la Messa “nel giorno”.


1. Messa della Vigilia

Presentiamo le letture bibliche e il formulario liturgico.

Le letture bibliche
Sono caratterizzate dalla Lettura vigiliare presa dagli Atti degli Apostoli 1,1-11 . Essa riporta l’“insegnamento” del Signore risorto impartito ai suoi, ai quali «si mostrò vivo... durante quaranta giorni», e riguardante “il regno di Dio” da lui inaugurato con la sua Pasqua e che la Chiesa grazie alla “forza dello Spirito Santo”, dovrà annunciare ed estendere “fino ai confini della terra”. Il brano si conclude con il racconto dell’ascensione e dell’annunzio ai discepoli di “due uomini in bianche vesti” che annunciano il ritorno del Signore dal cielo nel giorno della Parusia, alla fine dei tempi. L’Epistola e il Vangelo sono quelli della Messa “nel giorno”.

Il formulario della Messa
Proponiamo l’orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica e il Prefazio che rende grazie a Dio perché nell’ascensione il suo Figlio porta “a compimento il tuo disegno di grazia”.

All'inizio dell’Assemblea Liturgica
«Concedi a noi, Padre onnipotente, di tendere con tutte le nostre forze alle altezze del cielo, dove il tuo Figlio oggi è entrato glorioso, e donaci di pervenire con l’integrità della vita là dove si dirige il cammino della fede».

Prefazio
«È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, esaltarti, o Padre, sempre e specialmente in questo giorno, in cui Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, portò a compimento il tuo disegno di grazia. Così fu vinto e umiliato il demonio, e fu restituito al genere umano lo splendore dei doni divini».


2. Messa “nel giorno”

Presenta un proprio ordinamento delle Letture bibliche e un proprio formulario liturgico.

Le letture bibliche

La Lettura
:
Atti degli Apostoli 1,6-13a completa ciò che è stato letto nella Lettura vigiliare, dicendo che gli apostoli, testimoni dell’elevazione “in alto” del loro maestro e Signore, una volta tornati a Gerusalemme, «salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Si tratta di un particolare di grande importanza perché il loro essere riuniti insieme è immagine della Chiesa, quella del Signore, sulla quale egli ha promesso di far scendere “la forza dello Spirito Santo” che la abilita a “dare testimonianza” a Gesù ovunque e fino al suo ritorno “glorioso” dal cielo.

L’Epistola:
Efesini 4,7-13 sottolinea come il Signore «asceso in alto ha portato con sé prigionieri» ossia l’intera umanità schiava del peccato, di satana, della morte, e da lui liberata nel mistero della sua Pasqua. Contemporaneamente egli ha distribuito doni agli uomini mediante, s’intende, il “dono” dello Spirito Santo.


Il Vangelo, infine, è preso da Luca 24,36b-53:

In quel tempo. 36BIl Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma . 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. 44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». 50Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo. 52Ed essi di prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Il brano segue immediatamente quello dei due discepoli di Emmaus. Esso appare diviso in tre parti: nella prima (vv. 36-43) viene narrata l’apparizione del Signore agli Undici e ai discepoli radunati insieme, nella quale si dà a conoscere nella verità di Crocifisso/Risorto, il Vivente.

Nella seconda parte (vv. 44-49) come già con i discepoli di Emmaus, Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture» che concordano nell’annunziare come il Cristo, ossia il Messia, «patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno», secondo l’ineffabile disegno di Dio di universale salvezza.

Nei versetti finali (50-53) l’evangelista riferisce l’evento glorioso dell’Ascensione del Signore che produce nel cuore dei discepoli “grande gioia” e la lode a Dio.


Il formulario della Messa
Riportiamo soltanto l’orazione A Conclusione della Liturgia della Parola e il Prefazio che condividiamo con la tradizione liturgica romana.

A Conclusione della Liturgia della Parola
«Guarda, o Padre, a quale dignità è stato oggi elevato l’uomo che tu creasti; continua a purificarci con la tua grazia e a renderci ogni giorno più degni del mistero del tuo amore infinito».

Prefazio
«È veramente cosa buona e giusta che tutte le creature si uniscano nella tua lode, o Dio di infinita potenza. Gesù tuo Figlio, re dell’universo, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al di sopra dei cieli tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non ci ha abbandonato nella povertà della nostra condizione umana, ma ci ha preceduto nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria».

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29 maggio 2011 – VI Domenica di Pasqua

1. La sesta domenica di Pasqua    

Come la precedente è tesa al vertice della Pasqua segnata dall’Ascensione del Signore al Cielo ossia dal suo “glorioso” ritorno al Padre. Il Lezionario prevede  i seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 4,8-14; Salmo 117; Epistola: 1Corinzi 2,12-16; Vangelo: Giovanni 14,25-29. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 21,1-14 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 14,25-29
   

In quel tempo. 25Il Signore Gesù disse: «Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.    
27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate».
   


3. Commento liturgico-pastorale  
  

I versetti del capitolo 14 oggi proclamati seguono immediatamente quelli che abbiamo udito domenica scorsa (vv. 21-24) e riportano le parole di Gesù sul Paraclito (vv. 25-26) e quelle che annunziano il suo ritorno al Padre (vv. 27-29). Sono parole proiettate sugli eventi che riguardano il compimento della Pasqua e che, pertanto, dovranno essere lette e comprese dalla sua comunità, quella che radunerà lungo i secoli coloro che crederanno in lui.    
Esse, infatti, sono le “cose” che Gesù ha “detto” ai suoi discepoli nella sua permanenza tra di loro (v. 25), vale a dire la “rivelazione” di Dio, il Padre dal quale  egli è uscito e dal quale è stato mandato. Con il suo definitivo ritorno al Padre i discepoli non resteranno comunque privi della sua Parola rivelatrice e del suo “insegnamento”.    
A lui, infatti, subentrerà lo Spirito Santo, qui indicato con il termine greco Paraclito che significa anzitutto: difensore, consolatore! Egli che, al pari di Gesù, sarà “mandato” dal Padre, non porterà una nuova rivelazione, né aggiungerà qualcosa a quella recata da Gesù (v. 26), perché è mandato “nel nome di Gesù”. La sua missione, pertanto, consiste essenzialmente nell’“insegnare ogni cosa” e nel “ricordare” ai discepoli la rivelazione recata da Gesù.      
Sono parole queste di portata fondamentale per la vita della Chiesa di tutti i tempi. Essa possiede la certezza che lo Spirito Santo è perennemente presente e attivo nel condurre i credenti a cogliere il significato autentico delle parole di Gesù e a perseverare nella fede in lui. Queste, infatti, non vanno soggette a interpretazione soggettive ma sono unicamente comprese grazie all’“insegnamento” dello Spirito Santo che parla nel cuore della Chiesa e dei singoli credenti.    
Lo Spirito Santo inoltre “ricorderà” ai credenti le parole dette da Gesù (v. 26). Non si tratta certamente di un semplice ricordo di parole e di eventi appartenenti oramai al passato ma di una penetrazione viva del loro più profondo significato salvifico che perdura con efficacia nelle azioni sacramentali della Chiesa.    
Tutto ciò è stato autorevolmente commentato e sviluppato nella prima predicazione cristiana di cui abbiamo testimonianza nell’Epistola. L’apostolo Paolo dice infatti che l’annunzio evangelico è predicato  «con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali» (1Corinzi 2,13). è proprio l’“insegnamento” dello Spirito trasmesso ovunque dalla predicazione evangelica a garantire alla comunità dei credenti la consapevolezza di possedere «il pensiero di Cristo” (v. 16).    
I vv. 27-29 infine riportano le parole conclusive del “discorso di addio” che essendo pronunciate nell’imminenza della Pasqua, sono destinate a imprimere nel cuore dei discepoli quella “pace” che Gesù, quale Principe della pace (cfr. Isaia 9,5) “lascia” e “dona” a essi perché non si disorientino e non si smarriscano quando, una volta ritornato al Padre, non sarà più fisicamente tra loro (v. 28).    
La “pace” è il dono della felicità piena che arde nel cuore dei credenti, e di cui tutti abbiamo bisogno perché il nostro cuore «non si turbi e non abbia timore» di fronte alle difficoltà, alle prove, alle persecuzioni a cui il “mondo” ci sottoporrà così com’è avvenuto per il Signore Gesù, per i suoi apostoli e i suoi discepoli.    
L’assenza fisica del Signore inaugura pertanto la continua universale permanenza della sua Parola e della sua Pasqua di salvezza nell’“insegnamento” e nel “ricordo” di lui ad opera del Paraclito, dello Spirito Santo. è lui che pone sulla bocca di Pietro un uomo «semplice e senza istruzione», ma “colmato di Spirito Santo” (Lettura: Atti degli Apostoli 4,8) la potente parola evangelizzatrice, quella stessa proclamata da Gesù, come ben mostrano di capire gli ascoltatori riconoscendo in Pietro come in Giovanni «quelli che erano stati con Gesù» (v. 13b).    
La celebrazione eucaristica è l’ambiente privilegiato della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. è lui a rendere viva la parola che ascoltiamo nelle Scritture. è lui a far germogliare in noi l’adesione di fede e di amore a colui che ci parla in esse. Ed è sempre lo Spirito a dare efficacia alla Parola nel “ricordo” liturgico di ciò che il Signore ha fatto per noi nella sua morte e risurrezione.    
Per questo preghiamo: «Sii tu, o Dio, il nostro maestro interiore, guidaci sulla strada della giustizia e, donandoci il desiderio di una vita più perfetta, rendi perenne in noi la grazia del mistero pasquale» (All’inizio dell’Assemblea Liturgica).

1. La solennità dell’Ascensione    

Celebra il compimento della Pasqua con il ritorno del Signore vittorioso al Padre dal quale “era venuto” per la nostra salvezza. La recente riforma del Calendario liturgico della nostra Chiesa ambrosiana (2008) ha  sapientemente riportato questa grande solennità nel “quarantesimo giorno” della letizia pasquale,  segnata dalla gioia della presenza del Risorto tra i suoi ai quali promette, una volta tornato al Padre, di mandare lo Spirito Santo per tener viva la sua Parola e l’efficacia della sua Pasqua fino alla consumazione dei tempi. 
L’importanza dell’odierna solennità nella nostra tradizione liturgica è riscontrabile nella proposta di una speciale Lettura vigiliare per la Messa vespertina che inaugura la solennità e nei due formulari completi per questa Messa e per la Messa “nel giorno”.


1.     Messa della Vigilia
Presentiamo le letture bibliche e il formulario liturgico.       
°   Le letture bibliche    
Sono caratterizzate dalla Lettura vigiliare presa dagli Atti degli Apostoli 1,1-11 .
Essa riporta l’“insegnamento” del Signore risorto impartito ai suoi, ai quali «si mostrò vivo... durante quaranta giorni», e riguardante “il regno di Dio” da lui inaugurato con la sua Pasqua e che la Chiesa grazie alla “forza dello Spirito Santo”, dovrà annunciare ed estendere “fino ai confini della terra”.    
Il brano si conclude con il racconto dell’ascensione e dell’annunzio ai discepoli di “due uomini in bianche vesti” che annunciano il ritorno del Signore dal cielo nel giorno della Parusia, alla fine dei tempi. L’Epistola e il Vangelo sono quelli della Messa “nel giorno”.

Il formulario della Messa
Proponiamo l’orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica e il Prefazio che rende grazie a Dio perché nell’ascensione il suo Figlio porta “a compimento il tuo disegno di grazia”.  

All'inizio dell’Assemblea Liturgica    
«Concedi a noi, Padre onnipotente, di tendere con tutte le nostre forze alle altezze del cielo, dove il tuo Figlio oggi è entrato glorioso, e donaci di pervenire con l’integrità della vita là dove si dirige il cammino della fede».  

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, esaltarti, o Padre, sempre e specialmente in questo giorno, in cui Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, portò a compimento il tuo disegno di grazia. Così fu vinto e umiliato il demonio, e fu restituito al genere umano lo splendore dei doni divini».    


2.      Messa “nel giorno”    

Presenta un proprio ordinamento delle Letture bibliche e un proprio formulario liturgico.   Le letture bibliche    

Le Letture bibliche
La Lettura: Atti degli Apostoli 1,6-13a completa ciò che è stato letto nella Lettura vigiliare, dicendo che gli apostoli, testimoni dell’elevazione “in alto” del loro maestro e Signore, una volta tornati a Gerusalemme, «salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Si tratta di un particolare di grande importanza perché il loro essere riuniti insieme è immagine della Chiesa, quella del Signore, sulla quale egli ha promesso di far scendere “la forza dello Spirito Santo” che la abilita a “dare testimonianza” a Gesù ovunque e fino al suo ritorno “glorioso” dal cielo.    
L’Epistola: Efesini 4,7-13 sottolinea come il Signore «asceso in alto ha portato con sé prigionieri» ossia l’intera umanità schiava del peccato, di satana, della morte, e da lui liberata nel mistero della  sua Pasqua. Contemporaneamente egli ha distribuito doni agli uomini mediante, s’intende, il “dono” dello Spirito Santo.      

Il Vangelo, infine, è preso da Luca 24,36b-53:    
In quel tempo. 36BIl Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma . 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho».  40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione  di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.     
44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».    
50Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo. 52Ed essi di prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.  
   
Il brano segue immediatamente quello dei due discepoli di Emmaus. Esso appare diviso in tre parti: nella prima (vv. 36-43) viene narrata l’apparizione del Signore agli Undici e ai discepoli radunati insieme, nella quale si dà a conoscere nella verità di Crocifisso/Risorto, il Vivente.    
Nella seconda parte (vv. 44-49) come già con i discepoli di Emmaus, Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture» che concordano nell’annunziare come il Cristo, ossia il Messia, «patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno», secondo l’ineffabile disegno di Dio di universale salvezza.    
Nei versetti finali (50-53) l’evangelista riferisce l’evento glorioso dell’Ascensione del Signore che produce nel cuore dei discepoli “grande gioia” e la lode a Dio.      

Il formulario della Messa
Riportiamo soltanto l’orazione A Conclusione della Liturgia della Parola e il Prefazio che condividiamo con la tradizione liturgica romana.      

A Conclusione della Liturgia della Parola
   
«Guarda, o Padre, a quale dignità è stato oggi elevato l’uomo che tu creasti; continua a purificarci con la tua grazia e a renderci ogni giorno più degni del mistero del tuo amore infinito».      

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta che tutte le creature si uniscano nella tua lode, o Dio di infinita potenza. Gesù tuo Figlio, re dell’universo, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al di sopra dei cieli tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non ci ha abbandonato nella povertà della nostra condizione umana, ma ci ha preceduto nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria».

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22 maggio 2011 – V domenica di Pasqua

1. La quinta domenica di Pasqua    

Comincia a orientare l’attenzione orante della Chiesa al mistero dell’Ascensione del Signore ossia del suo ritorno al Padre culmine della Pasqua. Le lezioni bibliche offerte dal Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 10,1-5.24.34-36. 44-48a; Salmo 65; Epistola: Filippesi 2,12-16; Vangelo: Giovanni 14,21-24. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Matteo 28,8-10 quale Vangelo della risurrezione.  
 

2. Vangelo secondo Giovanni 14,21-24    

In quel tempo. 21Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».    
22Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». 23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato».
 
 

3. Commento liturgico-pastorale     

Il brano oggi proclamato è preso dal primo lungo “discorso di addio” pronunciato da Gesù durante l’ultima cena consumata con i suoi discepoli nel cenacolo (13,33-14,31) e ne costituisce come il vertice a cui esso tende.    
Prende avvio al v. 21 con l’iniziale precisazione relativa alla relazione d’amore con lui che possono intrattenere non solo i discepoli ma ogni uomo che tiene come norma di vita l’osservanza dei “comandamenti” dati da Gesù e che sono racchiusi nell’unico comandamento relativo all’amore del “fratello”. Un amore che, sul suo esempio, esige e arriva fino alla donazione della propria vita.    
L’osservanza  dei comandamenti del Signore è però resa possibile nell’uomo soltanto dall’iniziativa del tutto gratuita di Dio Padre che per primo ha dimostrato concretamente il suo “amore” per tutti noi nel “dare” il suo unico Figlio!    
Accogliere con fede Gesù riconoscendo in lui il dono supremo della carità di Dio abilita il credente a sperimentare l’indicibile relazione d’amore che contraddistingue in maniera irripetibile quella del Padre e del suo unico Figlio. Egli, infatti, promette di “amare” coloro che “amandolo”, ossia credendo in lui e osservando i suoi comandamenti, sono oggetto della compiacenza e della carità del Padre. In concreto Gesù ama i “suoi” “manifestando” a essi proprio la sua relazione filiale con il Padre alla quale anch’essi sono chiamati.    
La domanda dell’apostolo Giuda Taddeo (cfr. Matteo 10,3): «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (v. 22) dimostra che inizialmente gli apostoli hanno faticato a comprendere come la “manifestazione” di Gesù che ha avuto il suo momento più alto nella Pasqua, sia in realtà destinata a raggiungere il “mondo” ossia ogni uomo che aprendo il suo cuore alla fede in Gesù, accoglie, di fatto, la sua “venuta” entrando in comunione con lui.    
Anzi, come leggiamo al v. 23, con il Signore Gesù colui che, in obbedienza alla sua parola vive nella carità, entra anche in comunione con il Padre diventando addirittura “dimora” del Padre e del Figlio, vero tempio e casa di Dio.    
Questa è la prospettiva aperta per ogni uomo dalla Pasqua del Signore. Da allora la comunità dei credenti dovrà continuamente annunciare la Parola e attualizzare la Pasqua “manifestazione” definitiva al mondo dell’“amore” del Padre e del Figlio e potente appello ad accogliere il dono della carità divina che vuole “dimorare” stabilmente in coloro che lo accolgono.    
La Lettura ci offre una esemplificazione concreta di tutto ciò nella vicenda di «Cornelio, centurione della coorte detta Italica» (Atti degli Apostoli 10,1) nella quale l’apostolo Pietro può facilmente riconoscere che «Dio non fa preferenza di persona, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (vv 34-35).    
E' un linguaggio diverso per dire ciò che abbiamo letto nel brano evangelico: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Giovanni 14,23).  Cornelio, infatti, nel quale Dio stesso ha suscitato «il volere e l'operare secondo il suo disegno di amore» (cfr. Epistola: Filippesi 2,13) ha “osservato” la parola del Signore facendo «molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio» (Atti degli Apostoli 10,2) vivendo cioè il comandamento della “carità”.    
La celebrazione eucaristica nella quale «Gli angeli stanno attorno all’altare e Cristo porge il Pane dei santi e il Calice di vita» (Canto Alla Comunione) è lo spazio santo nel quale viene “manifestato”  ai nostri occhi, nel segno sacramentale del pane e del vino, il Signore Gesù nell’atto di compiere la sua donazione filiale al Padre che fonda e motiva non solo la nostra salvezza ma la nostra stessa capacità di “amarlo” e, in lui, arrivare all’esperienza decisiva e ultima: quella della nostra relazione filiale con Dio.

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15 maggio 2011 – IV domenica di Pasqua


1. La quarta domenica di Pasqua


E' caratterizzata, nell’anno A, dalla lettura evangelica riguardante l’autorivelazione di Gesù quale “Buon Pastore”. Un’immagine capace di descrivere l’intera opera di salvezza da lui compiuta nella Pasqua. Le lezioni bibliche proposte nel Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 6,1-7; Salmo 134; Epistola: Romani 10,11-15; Vangelo: Giovanni 10,11-18. Il Vangelo della risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da: Luca 24,9-12.    


2. Vangelo secondo Giovanni 10,11-18    

In quel tempo. 11Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.    
14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto; anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».    



3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano si apre con la solenne dichiarazione con la quale il Signore Gesù si autodefinisce il Pastore “buono” del quale avevano parlato i Profeti, ponendolo spesso in contrapposizione ai “cattivi” pastori, quali si erano rivelati i capi del popolo. Egli può definirsi “buono” perché è pronto a mettere in gioco la sua stessa vita per proteggere il gregge a lui affidato, a differenza del “mercenario” che, non avendo un rapporto personale con il gregge se non di interesse, non ha nessuna intenzione di mettere a repentaglio la propria vita al sopraggiungere di un pericolo mortale per le pecore che, di conseguenza, vengono “disperse”.

Con queste immagini subito comprensibili ai suoi uditori Gesù annunzia l’essenza della sua opera di salvezza, anzitutto nei riguardi del popolo d’Israele che, a ragione, può essere raffigurato come un gregge disperso a motivo dell'incredulità e del traviamento operato dai cattivi suoi pastori.. Egli, dunque, è stato mandato a “radunare i figli di Dio dispersi” cosa da lui compiuta nell’ora in cui “offre” la sua vita per essi, nell’ora cioè della croce.

A ragione perciò il Signore può ulteriormente ribadire: «Io sono il buon pastore» (v.14) e sottolineare il suo speciale rapporto con le “sue pecore” con coloro, cioè che credono in lui e lo seguono;  un rapporto, come fa capire il verbo “conoscere”, che è essenzialmente rapporto di amore. Un amore reciproco del Pastore per le sue pecore e di queste per il Pastore modellato fino a riprodurre in qualche modo l’indicibile rapporto d’amore che lega il Padre a Gesù e questi al Padre.  Un amore ben visibile e riconoscibile nel fatto che Gesù dà la sua vita per le pecore (cfr. v. 15).

Al v. 16 viene aperta la prospettiva universale propria alla missione “pastorale” di Cristo che raggiunge il suo scopo nell’ora del dono della sua vita sulla croce perché, non solo il popolo della prima Alleanza, ma tutti gli uomini nel disegno divino sono chiamati a radunarsi nell’unico gregge, quello guidato dall’unico pastore, Gesù.

Con ciò il Signore mostra come il frutto della sua morte, vale a dire il dono della sua vita, segno del suo amore per il Padre e per le pecore, è il raduno universale di tutte le genti chiamate, mediante l’“ascolto” della sua “voce”, ossia mediante l’adesione di fede in lui, a formare l’unico “gregge”.

Questa prospettiva continua a realizzarsi, sotto i nostri occhi, nell’azione pastorale del Signore prolungata nella sua Chiesa tramite l’annuncio evangelico e l’attualizzazione della sua morte, segno del suo amore senza limiti e senza confini.

Tutti, infatti, senza distinzione “fra Giudeo o Greco” sono chiamati a sperimentare l’amore di Gesù che «è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano» (Epistola: Romani 10,12b) avendo “ascoltato la sua voce” ossia accolto con fede la predicazione evangelica che è l’attività essenziale e primaria, ieri come oggi e sempre, della comunità ecclesiale (cfr. Lettura: Atti degli Apostoli, 6,4).

Questa predicazione dilata lungo i secoli e sino ai confini della terra la “voce” del Buon Pastore perché tutti “aderiscano alla fede” facendo così estendere “il numero dei discepoli”  (At 6,7) ovvero delle “pecore” del Signore che “ascoltano la sua voce” e lo amano seguendo lui solo.

L’ultima parte (vv. 17-18) incornicia l’intero brano nella manifestazione del “comando” dato dal Padre a Gesù e che egli non solo condivide ma, facendolo proprio, lo mette in pratica. Il comando riguarda la “sua vita” che lui “offre” con libera decisione per amore delle sue pecore. Vita che, una volta data, Gesù “riprende” nell’ora della sua risurrezione per poterla donare senza misura e senza limiti perché tutta l’umanità diventi “un solo gregge”.

Con altre parole, la preghiera liturgica, esprime tutto ciò evocando il significato dell’intera esistenza terrena del Figlio di Dio il quale: «Mosso a compassione per l’umanità che si era smarrita, egli si degnò di nascere dalla vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunica la vita immortale» (Prefazio).

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8 maggio 2011 – III domenica di Pasqua


1. La terza domenica di Pasqua    

Ha il compito di tratteggiare e illuminare con l’immagine biblica dell’agnello di Dio l’opera salvifica compiuta dal Signore Gesù nella sua Pasqua. Il Lezionario riporta i seguenti brani scritturistici: Lettura: Atti degli Apostoli 19,1b-7; Salmo: 106; Epistola: Ebrei 9,11-15; Vangelo: Giovanni 1,29-34. Alla Messa vespertina del sabato viene letto: Marco 16,1-8a quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 1,29-34    

In quel tempo. 29Giovanni vedendo il Signore Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».     
32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».    


3. Commento liturgico-pastorale    

La prima parte del brano è occupata dalla dichiarazione di Giovanni Battista che indica Gesù come «l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». Si tratta di una dichiarazione di grande rilievo non solo per Israele che attende da Dio l’invio del Messia liberatore, ma per l’intera umanità che attende di essere liberata dal giogo opprimente del male e del peccato che la tiene separata da Dio.

In una parola viene qui detto che, in Gesù, Dio offre al mondo la pienezza del perdono e della riconciliazione che una volta era profeticamente annunciata nell’offerta dei “sacrifici” di animali inconsapevoli, automaticamente e definitivamente aboliti.

Egli, perciò, venendo in questo mondo non solo, toglie di mezzo la moltitudine dei peccati che estraniano l’uomo dal suo vitale rapporto con Dio, ma toglie di mezzo il potere stesso esercitato dal peccato su di essi e stabilendo “nel suo sangue” un’alleanza nuova con Dio.

La catechesi cristiana delle origini ha sviluppato quanto appena detto mostrando come l’immagine biblica dell’agnello è stata portata a compimento da Gesù nella sua Pasqua di morte e di risurrezione e il cui sangue, a differenza di quello di “capri e di vitelli”, è in grado di purificare «la nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivente» (Epistola: Ebrei 9,14).

Gesù è in grado di compiere tutto ciò perché, come afferma il Battista: «è avanti a me, perché era prima di me» (v. 30), confessando così, la preesistenza di Gesù che nel prologo del Vangelo abbiamo imparato a identificare nel Verbo eterno che Dio manda nel mondo per compiere l'opera di salvezza. A lui, dunque, è orientata l’intera attività del Battista, che consiste nel preparare il popolo a rivolgersi e ad accogliere Gesù come l’inviato di Dio (v. 31), ovvero, come chiarisce l’apostolo Paolo: «Giovanni battezzò con un battesimo di conversione, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù» (Lettura: Atti degli Apostoli 19,4).

La seconda parte del brano (vv. 32-34) è occupata dalla “testimonianza” che Giovanni Battista dà a Gesù, una testimonianza che procede da quanto lui stesso “ha visto”, s'intende, nel momento del suo battesimo: «Ho contemplato lo Spirito discendere dal cielo e rimanere su di lui» (v. 32).

Proprio la “contemplazione” dello Spirito Santo che si posa stabilmente su Gesù permette al Battista di riconoscerlo quale Messia sul quale, stando alla parola dei profeti, si sarebbe posato lo Spirito del Signore (cfr. Isaia 11,2). Egli inoltre capisce che Gesù, portatore dello Spirito, «è lui che battezza nello Spirito Santo» (v. 33) per la più profonda trasformazione dell'uomo che il battesimo “nell’acqua” poteva soltanto preparare e in qualche modo anticipare.

La Lettura presa dagli Atti degli Apostoli mostra nell’attività missionaria di san Paolo come la Chiesa delle origini ha da subito praticato il “battesimo nello Spirito” inaugurato dal Signore Gesù perché anche sui credenti si posasse stabilmente lo Spirito Santo, non solo per il perdono dei peccati, ma per la loro trasformazione profonda in Cristo e divenire partecipi in lui della sua missione profetica e di universale evangelizzazione.

L'affermazione conclusiva: «E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» rappresenta il vertice della testimonianza resa dal Battista a Gesù sulla base di ciò che lui stesso ha visto e contemplato, testimonianza che deve essere quella di tutti coloro che, avendo creduto, sono stati immersi nello Spirito del Risorto.

La partecipazione all’Eucaristia, mentre ci inserisce sempre di più nell’alleanza, ovvero nella comunione con la vita divina, inaugurata nel sangue dell’Agnello, ci invita a tornare al fonte battesimale, nostra prima immersione nello Spirito del Signore Gesù, per contemplare con rinnovato stupore le meraviglie di cui siamo stati fatti partecipi e che la preghiera liturgica così traduce: «Dalla terra lo avevi formato, ma rigenerandolo nel battesimo gli hai infuso una vita che viene dal cielo. Da quando l’autore della morte è stato sconfitto per l’azione redentrice di Cristo, l’uomo ha conseguito il dono di un’esistenza immortale e, dispersa la nebbia dell’errore, ha ritrovato la via della verità» (Prefazio).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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