di Don Alberto Fusi

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

 

19/02/12 – Ultima domenica dopo l’Epifania


Ultima Domenica dopo l’Epifania
 
È la domenica detta “del perdono” e precede immediatamente la Quaresima. Essa, pertanto, chiude, con il tempo dopo l’Epifania, il tempo liturgico avviato dall’Avvento e incentrato sul mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore.


Il Lezionario

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 54,5-10; Salmo: 129 (130); Epistola: Romani 14,9-13; Vangelo: Luca 18,9-14. Alla messa vigiliare del sabato viene letto Luca 24,13b.36-48 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della VII domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano.


Lettura del profeta Isaia (54,5-10)

In quei giorni. Isaia disse: «5Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra. 6Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha il Signore richiamata. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? Dice il tuo Dio. 7Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. 8In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il redentore, il Signore. 9Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non farti più minacce. 10Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia».

Il brano si riferisce alla volontà di Dio di ristabilire Gerusalemme dopo la sua distruzione a opera dei Persiani (597 a.C.) e la deportazione del popolo. Il ristabilimento è qui indicato nella rappresentazione di Dio come Sposo del suo popolo (v. 5) che a causa della sua perversione viene abbandonato per «un breve istante». L’amore di Dio però è più grande e, perciò, torna a mostrarsi e a prendersi cura di esso «con affetto» perenne (vv. 7-8). Un affetto a cui Dio non verrà mai più meno per nessuna ragione (vv. 9-10).


Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (14,9-13)

Fratelli, 9per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 10Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci prostreremo al tribunale di Dio, 11poiché sta scritto: «Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio» 12Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. 13Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello.

Il contesto dal quale è preso il brano è quello riguardante l’esortazione rivolta dall’Apostolo ai fedeli di Roma ad avere carità gli uni verso gli altri accogliendosi nelle diversità di osservanza di alcune pratiche ascetiche come ad esempio il digiuno o l’astinenza da alcuni alimenti. La regola dunque è la rinuncia al giudizio e al disprezzo dell’altro (v. 10) nella consapevolezza che chi giudica tutti è solo Dio (vv. 11-12, cfr. Is 45,23; 49,18).


Lettura del Vangelo secondo Luca (18,9-14)

In quel tempo. Il Signore Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

Il v. 9 dice la motivazione della parabola con la quale Gesù stigmatizza il modo di pensare di alcuni nei quali, come si vedrà al v. 10, è facile riconoscere i farisei convinti di essere giusti davanti a Dio a motivo della formale e presunta osservanza della Legge. Per questo erano portati a sentirsi superiori e, quindi, al disprezzo degli altri.

A ben guardare la preghiera del fariseo (vv. 11-12) a partire dalla posizione eretta, è in realtà un’autoglorificazione e celebrazione della devota osservanza di alcuni precetti quali il digiuno e il pagamento assai generoso delle decime dovute al Tempio (cfr. Deuteronomio 14,22-29).

La preghiera del pubblicano (v. 13), appartenente a una categoria di gente con la quale il fariseo non aveva nessun contatto perché ritenuti legalmente peccatori, denota a partire dagli atteggiamenti esterni: la distanza che pone tra sé e Dio, la faccia a terra, il percuotersi il petto, la verità delle sue parole con le quali riconosce la sua condizione di peccatore e dunque l’abbandono alla misericordia di Dio.

La conclusione di Gesù al v. 14 ribalta le posizioni iniziali: chi stava eretto viene ora abbassato mentre chi si era posto in tutta umiltà viene esaltato ricevendo la giustificazione, ossia la gratuita certificazione del perdono datagli da Dio.


Commento liturgico-pastorale

Nel mistero del suo Natale il Signore si è manifestato nel mondo come il Figlio unico rivelatore di Dio e portatore del suo disegno di universale salvezza. Ciò che egli ha effettivamente compiuto nell’ora della sua Pasqua nella quale ha rivelato Dio stesso nel cui cuore arde l’amore per tutti gli uomini a lui sottratti dal potere del male che li soggioga.

Nella Lettura il profeta non esita a paragonare Dio a uno sposo che, a motivo dell’infedeltà della sua sposa, ossia Israele suo popolo, «in un impeto di collera» l’ha «abbandonata», le «ha nascosto il suo volto». Per poco, però, per un breve istante (Isaia 54,5-10). Al suo popolo Dio stesso rivela di sentire per lui «un affetto perenne» (v. 8) che lo porta ad avere pietà di lui sempre e comunque. Un affetto così grande che «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto» (v. 10).

È questo incredibile affetto di Dio per il suo popolo come rappresentante dell’intero genere umano a indurlo a mostrare a tutti visibilmente il suo volto in Cristo suo Figlio: il volto di un Dio che largamente perdona e che a tutti vuole usare misericordia rinunziando a far ricadere, come ai tempi di Noè (Isaia 54,5-10) il meritato castigo.

Misericordia di cui ha bisogno ogni uomo senza eccezione dal momento che nessuno è in grado, con la sua forza, di ristabilire con Dio, tre volte Santo, quell’alleanza e quel rapporto di amore spezzato dall’infedeltà e dal peccato.

È quanto ha esemplarmente compreso il pubblicano protagonista della pagina evangelica che, pienamente consapevole della condizione infelice in cui si trova, non ha appigli, non ha giustificazioni a cui aggrapparsi ma, stando a debita e reverenziale distanza, con la faccia a terra, battendosi il petto si pone nelle mani della Misericordia. «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Vangelo: Luca 18,9-14).

Non così il fariseo che ama ostentare davanti a Dio e agli uomini la sua presunta giustizia, che lo porta addirittura a sostituirsi a Dio stesso in ciò che gli appartiene in esclusiva: il giudizio! Un atteggiamento questo da rifuggire all’interno dei rapporti interpersonali come ci insegna l’Apostolo avvertendoci che «tutti ci presenteremo al tribunale di Dio» davanti al quale «ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio» (Epistola: Romani 14,9-13).

Nell’imminenza della Quaresima, il tempo che ci spalanca davanti i divini misteri della nostra salvezza condensati nella Croce e nella Risurrezione del Signore, orientiamo il cuore, la mente e la vita di ogni giorno a lui, rivelatore del Padre che perdona. Impariamo così a riconoscere con tutta verità che al pari di ogni uomo, senza eccezione, siamo bisognosi del suo perdono segno del suo perenne affetto.

Un perdono che ci sorprende per generosità e assoluta gratuità e che mette più facilmente in moto il cammino di conversione e di ritorno a lui al quale ci invita proprio la Quaresima oramai vicina. Un cammino che ci vede al fianco di ogni uomo che, grazie all’autentica nostra testimonianza di fede e alla rinuncia di ogni pretesa di giudizio, si aprirà forse più facilmente alla indicibile meravigliosa certezza dell’amore sempre vivo e bruciante di Dio per tutti noi reso visibile nel Figlio.

È la testimonianza che hanno dato le nostre labbra all’avvio della celebrazione eucaristica domenicale: «Sperate in Dio, popoli di ogni luogo, aprite al suo cospetto il vostro cuore, egli è il nostro rifugio» (Canto All’Ingresso).

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12/02/12 - Penultima domenica dopo l’Epifania


12 febbraio 2012 – Penultima domenica dopo l’Epifania
 
E'  la domenica detta “della divina clemenza” destinata, con la prossima, a fare da ponte tra il mistero dell’Incarnazione e quello della Pasqua avviato dal tempo di Quaresima.
 

Il Lezionario
 
Sono riportati i seguenti brani: Lettura: Osea 6,1-6; Salmo 50 (51); Epistola: Galati 2,19-21 – 3,7; Vangelo: Luca 7,36-50. Nella messa vigiliare del sabato viene letto Luca 24,13-35 come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la messa sono quelli della VI domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano.
 

Lettura del profeta Osea (6, 1-6)
 
Così dice il Signore: «1Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza. 3Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia di autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la terra». 4Che dovrò fare per te, Efraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. 5Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6poichè voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.
 
Il testo profetico di Osea si apre ai vv. 1-3 con l’esortazione di Dio al suo popolo a ritornare a lui pronto a “guarirlo” e a “fasciarlo” subito dopo averlo castigato. I vv: 4-5 riportano il lamento di Dio che vede l’instabilità del suo popolo, la cui adesione a lui è paragonata alla «nube del mattino» e alla «rugiada che all’alba svanisce» (v. 4). Per questo Dio lo “uccide” non con la spada ma con la sua parola, che rivela un Dio che vuole l’amore del suo popolo.


Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (2,19-21 – 3,7)

Fratelli, 19 mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, 20e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. 21Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano. 1O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! 2Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola di fede? 3Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne? 4Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! 5Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede? 6Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, 7riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.
 
I vv. 19-21 concludono la parte della lettera nella quale san Paolo si difende dalle accuse di non essere un vero apostolo in quanto, al contrario di essi, non ha conosciuto e non è stato con Gesù. In particolare ai vv. 19-21 ribadisce che la Legge ha cessato il suo compito dal momento che Cristo, con la sua morte in croce, «ha consegnato sé stesso per me».

Da questo momento chi aderisce con fede al Signore Gesù, vive di lui, ed è dichiarato “giusto” agli occhi di Dio. Con i vv. 1-7 del cap. III l’Apostolo affronta con decisione proprio il problema della “giustificazione” e lo fa con un forte rimprovero ai fedeli della Galazia ai quali ha annunciato con tutta efficacia Gesù Cristo crocifisso, autore della giustificazione.

Com’è dunque possibile che essi, dopo aver ascoltato la parola della fede e aver così ricevuto lo Spirito (v. 2), tornino a confidare nel “segno della carne” ovvero alle prescrizioni della Legge?


Lettura del Vangelo secondo Luca (7,36-50)

In quel tempo. 36Uno dei farisei invitò il Signore Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!» 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due: Chi di loro dunque lo amerà di più?» 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va in pace!».

Il brano può essere così suddiviso: i vv.36-38 ambientano la scena a casa di uno dei farisei dove Gesù è stato invitato a pranzo durante il quale «una donna, una peccatrice di quella città», intollerabile per un fariseo, entra in casa con un vaso di profumo e con esso, compie sui piedi di Gesù, alcuni gesti che dicono con piena evidenza la sua fede e soprattutto il suo amore per lui.

I vv. 39-40 riportano la negativa reazione interiore del fariseo, non certo favorevole nei confronti di Gesù, e le parole dello stesso Signore capace di leggere nel cuore del suo ospite. Segue una breve parabola (vv. 41-43) su due debitori, nei quali è facile scorgere tutti gli uomini in credito davanti a Dio.

Con la sua spiegazione (vv. 44-46) Gesù fa capire al fariseo che, a differenza della peccatrice, non si è voluto aprire con fede entrando in rapporto con lui. Per questo le parole di assoluzione (v. 47) riguardano soltanto la donna peccatrice che «ha molto amato» e lei, a cui viene perdonato “molto” è anche capace, al contrario del fariseo, di amare “molto”.

Il v. 48 certifica il perdono dei peccati accordato da Gesù alla donna come salvezza.


Commento liturgico-pastorale

Va anzitutto considerata la sapiente organizzazione delle letture bibliche di questa e della prossima domenica, che ci permettono di cogliere la continuità nel dispiegarsi nel tempo dell’opera della salvezza ideata nel cuore inaccessibile della Trinità, gradualmente realizzata nella preparazione vetero-testamentaria fino al suo compimento nella persona di Gesù di Nazaret, il Figlio Unigenito di Dio.

Si tratta della continuità salvifica tra il mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore e quello centrale della sua Pasqua di morte e di risurrezione. In particolare il tempo dopo l’Epifania ci ha permesso di vedere nella venuta nel mondo del Figlio di Dio il manifestarsi in lui e grazie a lui del progetto divino di salvezza che riguarda non solo Israele, il popolo della prima alleanza, ma anche l’intera umanità.

Veniamo oggi a comprendere, dall’ascolto delle Scritture, come il Signore Gesù ha manifestato la volontà salvifica di Dio verso tutti gli uomini nel suo “stare a mensa” con i farisei osservanti dalla Legge così come con i peccatori di cui è rappresentante la donna peccatrice. Con questo suo atteggiamento, in verità, Gesù ha mostrato il volto autentico di Dio, che è buono, misericordioso, paziente, accogliente, pronto sempre al perdono più largo e generoso.

Un volto di Dio, questo, già rivelato dai Profeti. Un Dio che conosce fino in fondo il cuore del suo popolo e di ogni uomo e sa che esso è instabile e contraddittorio nei suoi confronti. Non a caso per questo si lamenta: «Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce» (Lettura: Osea, 6, 4). L’amore di Dio per il suo popolo invece è stabile e immutabile e si rivela nel sollecitarlo e trafiggerlo con le parole della sua bocca (cfr. v. 5) che proclama: «Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (v. 6).

Queste parole di rivelazione si fanno gesto concreto in Gesù che offre il perdono pieno e senza riserve alla donna peccatrice (Vangelo: Luca 7,47-50) e la trasforma in una donna capace di amare molto, ossia di consegnarsi senza riserve a lui come dimostrano le lacrime che bagnano i piedi del Signore; i baci e l’olio profumato profuso in abbondanza sui suoi piedi.

Gesù, dunque, è la “clemenza” di Dio in persona che chiede a tutti gli uomini, rappresentati dal fariseo che lo ha invitato a pranzo e dalla donna peccatrice, di rivolgersi a lui con l’animo desideroso di accogliere l’amore rigenerante di Dio. La pagina evangelica ci dice che la donna peccatrice si è rivolta a Gesù con quell’atteggiamento a tutti suggerito dal ritornello al Salmo 50(51): «Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore» e riconoscendo lui come sorgente di amore che perdona e ridà vita.

Di questi atteggiamenti si fa interprete il canto all’Ingresso: «Dalla mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha ascoltato. Ho gridato dal fondo dell’abisso e tu, o Dio, hai udito la mia voce. So che tu sei un Dio clemente, paziente e misericordioso, e perdoni i nostri peccati». Non così il fariseo, scrupoloso osservante della Legge e dunque chiuso nella convinzione di essere giusto agli occhi di Dio, rendendo così per lui vana la grazia di Dio racchiusa, come avverte l’Apostolo, nel gesto d’amore del Figlio di Dio «che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Epistola: Gàlati 2,20).

Partecipando con fede all’Eucaristia veniamo totalmente immersi nell’amore del Signore che «ha consegnato sé stesso» per tutti noi perché, dall’accoglienza del perdono che scaturisce proprio dalla sua Croce, anche noi veniamo trasformati in gente capace di un amore non passeggero come la «nuvola del mattino», ma di un amore grande come grande è quello che lui, per primo, ci ha donato.

È ciò che chiediamo nell’orazione Dopo la Comunione: «In virtù del sacrificio che abbiamo compiuto, purificaci, o Dio da ogni contaminazione del cuore e donaci desideri giusti perché tu ci possa sempre esaudire».

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5 febbraio 2012 – V domenica dopo l’Epifania

Questa domenica torna a riproporre l’Epifania del Signore come “manifestazione” della volontà di Dio di chiamare in Cristo tutte le genti alla salvezza.
 

Il Lezionario

Prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 60,13-14; Salmo: 86 (87); Epistola: Romani 9,21-26; Vangelo: Matteo 15,21-28. Alla messa vigiliare del sabato viene letto: Giovanni 28,1-8 come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti sono quelli della V domenica del Tempo “per annum” del Messale ambrosiano.
 

Lettura del profeta Isaia (60,13-14)
 
In quei giorni Isaia disse: «13La gloria del Libano verrà a te, con i cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi. 14Verranno a te in atteggiamento umile i figli dei tuoi oppressori; ti si getteranno proni alle piante dei piedi quanti di disprezzavano. Ti chiameranno “Città del Signore”, “Sion del Santo Israele”».

Il brano si riferisce al momento del ritorno in patria degli esiliati in Babilonia a seguito della distruzione di Gerusalemme a opera dei Persiani (597 a.C.). Il profeta si incarica di consolare e incoraggiare il popolo a mettere mano all’opera di ricostruzione della città e del tempio con l’apporto della “gloria del Libano” ossia del legno pregiato proveniente da quel Paese. La città così ricostruita diventa, nei disegni di Dio, un punto di convergenza e di approdo per tutti i popoli a cominciare dagli oppressori di Israele.
 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (9,21-26)
 
Fratelli 21forse il vasaio non è padrone dell’argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 22Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione, 23e questo, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso gente meritevole di misericordia, da lui predisposta alla gloria, 24cioè verso di noi, che egli ha chiamato non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani. 25Esattamente come dice Osea: «Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo e mia amata quella che non era l’amata. 26E avverrà che, nel luogo stesso dove fu detto loro: “Voi non siete mio popolo”, là saranno chiamati figli del Dio vivente».

Nel cap. 9 l’Apostolo affronta il delicato argomento della situazione di Israele in ordine alla salvezza, la quale dipende unicamente dalla misericordia di Dio che egli riversa liberamente «verso chi vuole» (v. 18). Di qui il paragone del «vasaio padrone dell’argilla», di cui può disporre a suo piacimento (v. 21).

In realtà Dio manifesta la sua misericordia verso tutti, anche verso gente che di per sé era meritevole «di collera, pronta per la perdizione» (v. 22), come per gente «da lui predisposta alla gloria» (v. 23). Si badi: gli uni e gli altri sono presenti sia «tra i Giudei ma anche tra i pagani» (v. 24). A supporto della sua tesi l’Apostolo cita il profeta Osea (2,25 e 2,1) che annuncia la chiamata dei pagani a far parte dell’unico popolo di Dio (vv. 25-26).


Lettura del Vangelo secondo Matteo (15,21-28)
 
In quel tempo. 21Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». 25Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

Il brano evangelico oggi proclamato fa seguito alla discussione sulle tradizioni farisaiche e in particolare sull’insegnamento di Gesù circa ciò che è da considerarsi puro o impuro secondo la Legge (15,10-20). Risulta ambientato fuori Genèsaret, sulla strada verso Tiro e Sidone, due città in territorio fenicio e, dunque, pagano, così com’è pagana la donna cananèa che va incontro a Gesù, sorprendentemente denominato con l’appellativo messianico “figlio di Davide” (v. 22) e al quale chiede pietà per la propria figlia.

La reazione di Gesù è di completa indifferenza, diversamente dai suoi discepoli che lo invitano a intervenire liberandosi così dal suo fastidioso gridare (v. 23). Nella sua risposta Gesù dichiara l’ambito della sua missione messianica: le «pecore perdute della casa di Israele» (v. 24).

I vv. 25-28 riportano il dialogo tra la donna cananèa che manifesta la sua fede con l’avvicinarsi e il prostrarsi davanti a Gesù e questi che ribadisce la destinazione della sua opera di salvezza e di vita, significata dal pane, ai soli membri del popolo d’Israele (cioè i figli) con l’esclusione quindi dei pagani (i cagnolini) (v. 26).

La fede della donna è così forte che dice la sua convinzione che la salvezza, paragonata a un banchetto, è così sovrabbondante che chiunque potrà trarre beneficio, fossero soltanto briciole (v. 27). Gesù non può che prendere atto della fede della donna cananèa ed esaudirla.


Commento liturgico-pastorale

A partire dalla solennità del 6 gennaio e per tre domeniche l’ascolto delle Scritture ci ha condotti a penetrare nel grande evento epifanico rappresentato dalla venuta nel mondo di Gesù, il Figlio Unigenito di Dio. Tale ascolto ci ha permesso di comprendere che quella venuta avviene secondo i prestabiliti disegni divini gradualmente rivelati e attuati negli eventi e nei personaggi dell’Antico Testamento.

L’ascolto ci ha dato modo di contemplare in Gesù il Figlio Unico, amato dal Padre, portatore dello Spirito, lo Sposo che unisce a sé la sua Sposa, la Chiesa, alla quale trasmette la sua stessa vita nel banchetto del suo Corpo e del suo Sangue. In questa domenica viene ulteriormente sviluppato il messaggio racchiuso nell’adorazione del Bambino da parte dei Magi, rappresentanti e primizia di tutte le genti che, per la fede, giungono a credere nel Signore Gesù.

L’Epifania apre i nostri cuori a uno scenario davvero esaltante e che fa salire spontanea la lode, l’adorazione e il ringraziamento a Dio che è autore nel Figlio di un disegno mirabile sintetizzato nel ritornello al Salmo 86 (87) oggi proclamato: «Verranno tutti i popoli alla città del Signore». Un simile disegno e progetto è già annunziato dai profeti che parlano dell’accorrere nel Tempio di Gerusalemme, dove Dio «poggia i suoi piedi» (Lettura: Isaia 60, 13-14), di gente prima ostile e nemica.

In ciò è messa in luce l’inesauribile ricchezza e grandezza della salvezza offerta da Dio a tutti indistintamente, sia ai meritevoli della sua ira e della perdizione sia a quelli meritevoli della sua grazia. E questo senza alcuna distinzione di razza, lingua e appartenenza (Epistola: Romani 9, 21-26). Unica condizione richiesta è credere che la salvezza, dono del tutto gratuito della misericordia di Dio, è offerta nella persona di Gesù, il suo Figlio.

La donna cananèa che, pur pagana, dice parole e fa gesti espliciti di chiara fede in Gesù, rappresenta l’avverarsi del volere di Dio che chiama tutti, in Cristo, alla salvezza come partecipazione della sua Vita. Pur non appartenendo al popolo dei “figli”, vale a dire d’Israele, essa riconosce in Gesù il “figlio di Davide”, il Messia portatore di tutti i doni di salvezza e a lui si rivolge con incrollabile fiducia sapendo che, comunque, potrà almeno usufruire di una “briciola” dalla tavola di salvezza da lui imbandita.

Ora questa tavola di salvezza, imbandita per tutte le genti, è efficacemente annunziata nel nostro raduno liturgico e specialmente nel banchetto eucaristico del Corpo e del Sangue del Signore. In esso egli riversa su quanti vi partecipano l’abbondanza senza misura di quei doni salvifici destinati in verità a tutti gli uomini, ai quali Dio ha liberamente deciso di usare misericordia.

Sedendoci alla mensa del banchetto eucaristico teniamo di conseguenza ben viva la consapevolezza che ad esso sono chiamati tutti, a cominciare da quelli che ai nostri occhi possono essere considerati nemici, oppressori (cfr. Lettura, Isaia) o votati alla perdizione (“cani” come la donna cananèa).

Perciò mentre riceviamo la pienezza della salvezza divina domandiamo con umile convinzione che alla verità dello sguardo di Dio «non abbiamo mai ad apparire indegni e ingrati dei benefici» della sua misericordia (cfr. Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola) e operiamo concretamente perché la sparsa moltitudine delle genti si raduni per abbellire con la loro presenza il luogo del santuario di Dio che è la Chiesa, Corpo santo del Signore.

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29 gennaio 2012


29 Gennaio 2012 – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe


Nel calendario liturgico ambrosiano la festa odierna è fissata all’ultima domenica di gennaio. Quest’anno tiene il posto della IV domenica dopo l’Epifania. Il Lezionario riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 45,14-17; Salmo 83 (84); Epistola: Ebrei 2,11-17; Vangelo: Luca 2,41-52. Nella messa vigiliare del sabato viene letto Giovanni 20,11-18 come Vangelo della Risurrezione.


Lettura del profeta Isaia (45,14-17)

14Così dice il Signore: «Le ricchezze d’Egitto e le merci dell’Etiopia e i Sebei dall’alta statura passeranno a te, saranno tuoi; ti seguiranno in catene, si prostreranno davanti a te, ti diranno supplicanti: “Solo in te è Dio; non c’è n’è altri, non esisteranno altri dei”». 15Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore. 16Saranno confusi e svergognati quanti s’infuriano contro di lui; se ne andranno con vergogna quelli che fabbricano idoli. 17Israele sarà salvato dal Signore con salvezza eterna. Non sarete confusi né svergognati nei secoli, per sempre. Il brano fa parte del cosiddetto “libro delle consolazioni”, comprendente i capitoli dal 40 al 55, nei quali viene annunziato il ritorno in patria degli esiliati in Babilonia e la ricostruzione di Gerusalemme, che al v. 14 viene cantata come luogo dove dovranno convenire e radunarsi tutte le nazioni della terra che giungeranno a riconoscere che solo in essa vi è Dio! Di lui, però, il v. 15 confessa la trascendenza che non gli impedisce di intervenire concretamente nella storia per umiliare gli idolatri e salvare il suo popolo Israele (vv. 16-17).


Lettera agli Ebrei (2,11-17)

11Fratelli, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; 13e ancora: «Io metterò la mia fiducia in lui»; e inoltre: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato». 14Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. 16Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. 17Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.

Il brano insiste sulla superiorità di Gesù Cristo, uomo-Dio, già sviluppata nel primo capitolo, nei precedenti vv. 1-10 e di cui si afferma la stretta comunione di lui, «che santifica» con coloro che «sono santificati» e che giustamente sono dichiarati «fratelli» (v. 11).

Fratellanza che viene sviluppata ai vv. 12-13 con il commento al salmo 22,23 e il riferimento a Isaia 8,17. Anche i vv. 14 e 15 insistono sulla stretta comunione con i santificati avendo egli assunto «il sangue e la carne» ossia la natura umana in tutta la sua portata in vista della liberazione dell’umanità soggetta al potere diabolico e al terrore della morte.


Lettura del Vangelo secondo Luca (2,41-52)

41In quel tempo i genitori del Signore Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo?Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua mare custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Il brano conclude i racconti lucani dell’infanzia di Gesù ed è ambientato nell’annuale viaggio che Maria e Giuseppe compivano a Gerusalemme per le feste di pasqua (v. 41) con la precisazione dell’età di Gesù, dodici anni, con la quale l’adolescente assumeva gli obblighi dell’adulto quanto all’osservanza della Legge (v. 42).

I vv. 43-45 riferiscono della volontaria permanenza di Gesù a Gerusalemme oltre i tre giorni della solennità pasquale, dell’angosciosa ricerca che di lui fanno Maria e Giuseppe, i quali decidono di ritornare a Gerusalemme. Il v. 46 parla del ritrovamento di Gesù che comincia a svolgere la sua missione di insegnare, qui addirittura ai maestri della Legge, suscitando, come precisa il v. 47, lo stupore e l’ammirazione di quanti erano testimoni di quella scena non certo usuale.

I vv. 48-49 riportano il dialogo di Gesù «con i suoi genitori», in realtà con Maria che gli manifesta tutta l’angoscia provata a causa della sua scomparsa provocando una risposta di non facile interpretazione. In essa, per la prima volta, Gesù afferma di avere Dio come Padre e di intrattenere con lui un rapporto che supera quello che lo lega alla sua famiglia terrena.

Di qui la non comprensione da parte di Maria e Giuseppe di quanto era accaduto e delle parole di Gesù (v. 50), quasi a sottolineare che anche per le persone più vicine egli resta come un enigma che si risolve nel progressivo cammino di fede in lui e nella sua parola. È quanto avviene in Maria che «custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (v. 51).

Il v. 51 ci dice ancora che Gesù dopo ciò fa ritorno a Nazaret e, come ogni bimbo di questo mondo, sta sottomesso ai suoi genitori e compie la sua formazione sotto ogni aspetto: «sapienza, età e grazia» (v. 52). Commento liturgico-pastorale Collocata nel tempo liturgico “Dopo l’Epifania”, la festività odierna illumina ulteriormente il mistero dell’incarnazione del Figlio unico di Dio evidenziandone la realtà e la concretezza. Egli infatti «venendo ad assumere la nostra condizione di uomini, volle far parte di una famiglia per esaltare la bellezza dell’ordine» creato all’inizio da Dio e «riportare la vita famigliare alla dignità alta e pura delle sue origini» (Prefazio).

Della famiglia di Gesù va messa in luce l’unicità e l’esemplarità rispetto alle nostre famiglie. L’unicità è data anzitutto dal fatto che Dio, in essa ha «collocato le arcane primizie della redenzione del mondo» (Prefazio). Essa infatti rientra nei piani divini che contemplano la venuta nel mondo del Figlio Unigenito come realizzatore delle promesse fatte a Davide di stabilire per sempre il suo trono e il suo regno ovvero di portare salvezza all’intera umanità. L’Unigenito di Dio doveva così venire nel mondo come vero uomo nascendo da una donna, la vergine Maria e, per il tramite di Giuseppe, fare parte della stirpe e della casa di Davide!

L’Epistola, assegnando a Gesù l’opera di redenzione e di liberazione degli uomini che Dio ritiene come figli, motiva l’incarnazione dell’Unigenito del Padre con la necessità di «rendersi in tutto simile ai fratelli» (Ebrei 2,17) che doveva liberare. Chiara allusione alla sua Pasqua di morte e di risurrezione e che, a ben guardare, fa da sfondo al brano evangelico oggi proclamato. Da esso risulta che tutti i componenti della famiglia di Nazaret accettano consapevolmente il volere di Dio su di essi.

Gesù in perfetta totale adesione alle “cose del Padre suo” (Luca 2,49), Maria e Giuseppe con un sì e un’obbedienza senza riserve, anche se non sempre e non subito hanno compreso ciò che Gesù «aveva detto loro» (Luca 2,50). Di qui l’esemplarità della Santa Famiglia per tutte le famiglie, così declinata nel Prefazio: «Nella casa di Nazaret regna l’amore coniugale intenso e casto; rifulge la docile obbedienza del Figlio di Dio alla Vergine Madre e a Giuseppe, l’uomo giusto a lei sposo; e la concordia dei reciproci affetti accompagna la vicenda di giorni operosi e sereni».

Potremmo dire che il segreto della Santa Famiglia è, di conseguenza, l’obbedienza alla volontà di Dio. È proprio l’accettazione della volontà di Dio e dei suoi grandiosi progetti sulla famiglia e sui suoi singoli componenti a far sì che tutte le famiglie si regolino al loro interno e nelle più ampie relazioni avendo come norma suprema «la legge dell’amore evangelico» (Orazione Dopo la Comunione).

È la legge che evidenzia la speciale vocazione della famiglia e le consente di sperimentare quei «dolci affetti» che sostengono nel non facile cammino della vita e che rendono più agevole da parte dei coniugi compiere «la loro missione di sposi e di educatori» e che inducono i figli a prestare loro quell’obbedienza che, appunto, «nasce dall’amore» (Orazione All’inizio dell’Assemblea liturgica).

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22 gennaio 2012 – III domenica dopo l’Epifania


È caratterizzata, nella nostra tradizione liturgica ambrosiana, per la proclamazione evangelica del miracolo della moltiplicazione dei pani inteso come segno epifanico del mistero di Cristo.


Il Lezionario


Prevede: Lettura: Numeri 11,4-7.16a.18-20.31-32a; Salmo 104 (105); Epistola: 1 Corinzi 10,1-11b;  Vangelo: Matteo 14,13b-21. Il brano di Marco 16,1-8a viene proclamato nella messa vigiliare del sabato come Vangelo della Risurrezione.


Lettura del libro dei Numeri (11,4-7.16a.18-20.31-32a)

In quei giorni. 4La gente raccogliticcia, in mezzo a loro, fu presa da grande bramosia, e anche gli Israeliti ripresero a piangere e dissero: «Chi ci darà carne da mangiare? 5Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio. 6Ora la nostra gola inaridisce; non c’è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna». 7La manna era come il seme di coriandolo e aveva l’aspetto della resina odorosa. 16aIl Signore disse a Mosè: 18«Dirai al popolo: “Santificatevi per domani e mangerete carne, perché avete pianto agli orecchi del Signore, dicendo: Chi ci darà da mangiare carne? Stavamo così bene in Egitto! Ebbene, il Signore vi darà carne e voi ne mangerete. 19Ne mangerete non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni, 20ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e vi venga a nausea, perché avete respinto il Signore che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a lui, dicendo: Perché siamo usciti dall’Egitto?». 31Un vento si alzò per volere del Signore e portò quaglie dal mare e le fece cadere sull’accampamento, per la lunghezza di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall’altro, intorno all’accampamento, e a un’altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo. 32aIl popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno dopo raccolse le quaglie.

Il brano si riferisce al dono della manna (Esodo 16,2-31) che ogni notte cadeva sull’accampamento del popolo di Israele in marcia nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto e l’alleanza al Sinai. I vv. 4-7 riportano le lamentele del popolo che brama di avere carne da mangiare al punto da rimpiangere la precedente condizione di schiavitù in terra egiziana.

Nei vv. 18-20 si ode il rammarico di Dio nei riguardi del suo popolo che lo ha respinto e al quale, comunque, promette che mangerà la carne tanto desiderata. I vv. 31-32a infatti descrivono il prodigio dell’arrivo sull’accampamento di un numero incalcolabile di quaglie che il popolo si affrettò a raccogliere con ingordigia «tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno dopo», come se diffidasse della prodigalità di Dio più volte sperimentata.


Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (10,1-11b)

1Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, 2tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, 3tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, 4tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. 5Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto. 6Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo  cose cattive, come essi le desiderarono. 7Non diventate idolatri come alcuni di loro, secondo quanto sta scritto: il popolo sedette a mangiare e a bere e poi si alzò per divertirsi. 8Non abbandoniamoci all’impurità, come si abbandonarono alcuni di loro e in un solo giorno ne caddero ventitremila. 9Non mettiamo alla prova il Signore, come lo misero alla prova alcuni di loro, e caddero vittime dei serpenti. 10Non mormorate, come mormorano alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. 11Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento.

 
Nei primi quattro versetti l’Apostolo evoca i prodigi operati da Dio in favore del suo popolo liberato dalla schiavitù d’Egitto: la nube che li accompagnava nella loro marcia nel deserto (Esodo 13,21; 14,24) era il segno della sua presenza protettrice; il passaggio del Mar Rosso (Esodo capitoli 14 e 15); il cibo miracoloso donato da Dio: manna e quaglie (Esodo 16) così come l’acqua dalla roccia (Esodo 17 e Numeri 20) identificata dall’Apostolo nella persona di Cristo.

Il v. 5 mostra come purtroppo il popolo, pur in presenza di prodigi così grandi, non si è mantenuto fedele a Dio meritando giusta punizione. Di qui l’esortazione dell’Apostolo a non cadere negli stessi errori del popolo d’Israele andando così incontro alla punizione divina (vv. 6-11b).


Lettura del Vangelo secondo Matteo (14,13b-21)

In quel tempo. 13bIl Signore Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Il brano si apre al v. 13 con la partenza di Gesù, via lago, verso «un luogo deserto» dopo aver saputo dell’uccisione di Giovanni Battista da parte del re Erode Antipa (vv. 1-12) e dove le folle tuttavia lo raggiungono. Il v. 14 mette in luce la compassione di Gesù verso la gente che lo segue che si concretizza nella guarigione dei loro malati.

Il v. 15 avvia il racconto della prima moltiplicazione dei pani ricordata dall’evangelista Matteo (cfr. 15,32-38) con il dialogo tra i discepoli e Gesù che li invita a sfamare loro stessi la folla (v. 16) e si fa portare i cinque pani e i due pesci (vv. 17-18).

La loro moltiplicazione è scandita da alcuni gesti del Signore che ritroviamo nella preghiera eucaristica: prese i cinque pani e i due pesci; alzò gli occhi al cielo; recitò la benedizione; spezzò i pani e li diede ai suoi discepoli e questi alla folla.

Il racconto si conclude ai vv. 20-21 con la constatazione dell’eccezionale numero della gente sfamata e della sovrabbondanza del gesto di Gesù: «Tutti mangiarono a sazietà»; con i pezzi avanzati vengono riempite «dodici ceste piene», numero, questo, dell’abbondanza, della completezza e della definitività del dono divino.


Commento liturgico-pastorale


La tradizione orante della nostra Chiesa ambrosiana ai “segni” epifanici di Cristo quali la rivelazione ai Magi, il Battesimo al Giordano, l’acqua mutata in vino alle nozze di Cana, aggiunge in modo originale quello della moltiplicazione dei pani. A questi doni sublimi allude il Prefazio quando rivolgendosi a Dio afferma: «Nessun momento mai trascorre senza i doni del tuo amore, ma in questi giorni, dopo che abbiamo rivissuto la venuta tra noi del Signore Gesù e tutti i prodigi della redenzione, si fa più chiara e viva la coscienza delle passate gioie e dei beni presenti».

Quello della moltiplicazione dei pani è un evento cristianamente interpretato come compimento del prodigio della manna fatta piovere da Dio sul suo popolo in marcia nel deserto (vedi Lettura) e ben noto all’Apostolo Paolo che lo cita tra gli eventi dell’Esodo nell’Epistola oggi proclamata. Se nel deserto, attraverso la mediazione di Mosè, Dio viene incontro alle lamentele del suo popolo donando con la manna anche le quaglie, ora è il suo Figlio che si rivela dotato degli stessi poteri di Dio e attento alle necessità anche terrene di quanti lo seguono.

Il testo evangelico parla espressamente dell’intima compassione avvertita da Gesù per la gente che lo cerca e viene loro incontro con la guarigione dei malati e soprattutto con il dono di un cibo prodigioso da lui procurato a partire dai cinque pani e i due pesci recuperati dai discepoli. Ben si addicono perciò a lui le parole riservate a Dio: «Misericordioso e pietoso è il Signore. Egli dà il cibo a chi lo teme, si ricorda sempre la sua alleanza» (Canto Al Vangelo).

Se il gesto compiuto da Gesù si riallaccia agli eventi dell’Esodo, questi risultano ora nettamente superati in quanto il cibo da lui distribuito, a ben guardare, rimanda a un cibo non materiale che egli darà e che noi sappiamo essere il suo Corpo e il suo Sangue, nutrimento di vita eterna.

A tale interpretazione eucaristica ci spingono infatti i gesti di Gesù sottolineati con i verbi: prese i pani; alzò gli occhi al cielo; recitò la benedizione; spezzò i pani e li diede ai discepoli. Sono i gesti e i verbi che accompagnano il momento culminante di quella Cena, l’ultima, nella quale il Signore, prima di consegnarsi alla morte, per tutti noi donò se stesso come cibo e bevanda di salvezza nei segni del pane e del vino.

Con la moltiplicazione dei pani e dei pesci Gesù si rivela pertanto pari del Dio dell’Esodo, il capo e la guida non di un popolo soltanto ma dell’intera umanità. Per amore o compassione di essa, infatti, è venuto a noi dal Padre, si è chinato premuroso a guarire le ferite dell’uomo con la predicazione del Vangelo e ha donato un cibo capace di sostenerlo nel cammino attraverso il deserto di questa vita terrena sino alla vita eterna ovvero alla comunione con lui e con il Padre. Un cibo che egli continua a donare con sovrabbondanza nella sua Parola e nei santo misteri che la sua Chiesa non cessa di annunziare e celebrare.

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15 gennaio 2012 – II domenica dopo l’Epifania


Concluso il tempo di Natale con la festa del Battesimo del Signore prende avvio il tempo “dopo l’Epifania” che si prefigge di sviluppare i diversi “misteri” concentrati nella solennità del 6 gennaio e che ci accompagnerà fino alla Quaresima. In questa domenica si legge sempre il Vangelo delle nozze di Cana, che è uno dei momenti “epifanici” sottolineati dalla nostra tradizione liturgica.


Il Lezionario

Riporta i seguenti brani: Lettura: Isaia 25,6-10a; Salmo 71 (72); Epistola: Colossesi 2,1-10a e il Vangelo: Giovanni 2,1-11 comune per il ciclo triennale. Luca 24,1-8 è proclamato quale Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato.


Lettura del profeta Isaia (25,6-10a)


In quei giorni. Isaia disse: 6«Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. 8Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. 9E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”».

Il brano segue immediatamente al canto di ringraziamento (vv. 1-5) per le opere di Dio capace di annientare una grande città nemica del suo popolo. Qui invece si espone la grandezza dei disegni di Dio che chiama tutti i popoli della terra ad accorrere a Gerusalemme per godere dei suoi doni descritti nell’immagine del banchetto (v. 6) e che culminano nell’eliminazione della morte e del dolore (v. 8).


Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
(2,1-10a)


Fratelli, 1voglio che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi, per quelli di Laodicea e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona, 2perché i loro cuori vengano consolati. E così, intimamente uniti nell’amore, essi siano arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo: 3in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. 4Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti: 5infatti, anche se sono lontano con il corpo, sono però tra voi con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo. 6Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, 7radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie. 8Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. 9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui.

Nel brano si evidenzia la preoccupazione dell’Apostolo perché i fedeli delle giovani Chiese da lui fondate mantengano integra la fede che si poggia su Gesù Cristo (vv. 2-3). Per questo li mette in guardia da mentalità seducenti (v. 4), sulle quali tornerà al v. 8, capaci di sviare dalla fede in Cristo. Al contrario occorre perseverare nella fede e rimanere “radicati” e costruiti su Cristo Gesù (vv. 6-7).


Lettura del Vangelo secondo Giovanni (2,1-11)

In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù, con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.


Il brano evangelico si premura di collocare il racconto nel terzo giorno che succede ai primi due caratterizzati dalla chiamata dei primi discepoli (vv. 35-51) e di ambientarlo in una festa di nozze nella città di Cana in Galilea senza trascurare di nominare tra gli invitati la madre di Gesù, Gesù stesso e i suoi discepoli (vv. 1-2).

I vv. 3-5 sottolineano il protagonismo della madre di Gesù che sollecita da lui un intervento a motivo dell’improvvisa mancanza di vino. L’apparente risposta negativa di Gesù che si rivolge alla madre con l’appellativo “donna”, da lui ripreso nel momento della sua morte (cfr. Giovanni 19,26), è motivata dal fatto che «non è ancora giunta la mia ora» (v. 4). L’ “ora” di Gesù è quella della sua “glorificazione” sulla Croce con il conseguente ritorno al Padre.

Di fatto Gesù interviene ordinando di riempire di acqua le anfore, di cui viene precisato il numero: sei, e la capienza: «da ottanta a centoventi litri l’una» (v. 6). Segue la constatazione da parte del direttore del banchetto della bontà del vino fatta notare allo sposo (vv. 9-10).

L’evangelista non trascura di sottolineare che colui che dirigeva il banchetto «non sapeva da dove venisse» quel vino: un non sapere, una non conoscenza che dice la necessità di aprire il cuore alla fede di Gesù, il rivelatore unico di Dio.

Il v. 11 precisa che questo «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» appunto per rivelare la sua identità e per sollecitare a credere in lui come hanno prontamente fatto i suoi discepoli.


Commento liturgico-pastorale


In questa seconda domenica le divine scritture ci invitano a guardare a Gesù che alle nozze di Cana, mutando l’acqua in vino, dà inizio ai segni rivelatori della sua identità e sollecita l’adesione di fede in lui.

Il segno di Cana vuole espressamente dire che in Gesù, nella sua Persona, sono finalmente arrivati “i tempi messianici”. Questi sono caratterizzati dall’invito rivolto a tutte le genti a prendere parte alla gioiosa comunione di vita con Dio profeticamente significata nel «banchetto di cibi succulenti e di vini raffinati» (Cfr. Lettura) e ora possibile nel suo Unico Figlio.

La partecipazione alla vita divina ha come conseguenza lo strappo del “velo” e della “coltre” che grava sull’umanità. Si tratta del velo dell’ignoranza di Dio a motivo dell’incredulità e della coltre funerea stesa sul mondo a causa del peccato, che impedisce agli uomini di conoscerlo sperimentando il suo amore, capace di eliminare «la morte per sempre», di asciugare «le lacrime su ogni volto» di far scomparire «l’ignominia del suo popolo» (Lettura).

Tutto ciò viene da Dio conseguito con l’invio nel mondo del suo Figlio e, segnatamente, nel mistero della sua morte e risurrezione, le cui conseguenze salvifiche vengono partecipate a quanti credono in lui come hanno fatto Maria e i suoi discepoli alle nozze di Cana (Vangelo).

La fede in lui è il presupposto per andare oltre i “segni” e cogliere nel Signore “il mistero di Dio” nel quale, come scrive l’Apostolo, «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e delle conoscenza» fino ad arrivare a credere che «È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Epistola). Sicché proprio dalla pienezza di Cristo è possibile attingere i doni divini insperati quali la comunione con Dio stesso e il conseguente superamento del dominio del male, del peccato e della morte. La preghiera liturgica ascrive tutto ciò alla “potenza” e alla “gloria eterna” ovvero al progetto di salvezza concepito da Dio Padre al quale così si rivolge: «Tu per alleviarci le fatiche della vita ci hai confortato con l’esuberanza dei tuoi doni e per richiamarci alla felicità primitiva ci hai mandato dal cielo Gesù Cristo tuo Figlio e Signore nostro» ( Prefazio).

Nella celebrazione eucaristica, mentre alimentiamo la nostra fede nel Signore, veniamo «radicati e costruiti su di lui» (Epistola) e fatti sedere al banchetto del suo corpo e del suo sangue, sperimentiamo l’esuberanza dei doni divini significati dal «Pane di vita» che ci rende «capaci di conseguire i beni eterni offerti alla nostra speranza» (Orazione Dopo la Comunione).

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8 Gennaio 2012 – Battesimo del Signore

La prima domenica dopo il 6 gennaio è dedicata alla celebrazione del Battesimo del Signore come “epifania” o manifestazione di Gesù quale Figlio unico di Dio e salvatore del mondo. Con questa festa si conclude il tempo liturgico di Natale e prende quindi avvio quello “Dopo l’Epifania”.

Il Lezionario

La Lettura: Isaia 55,4-7, il Salmo 28 (29) e l’Epistola: Efesini 2,13-22 vengono proclamate ogni anno mentre, per il corrente anno B, il Vangelo è preso da Marco 1,7-11. Alla Messa vigiliare del sabato sera viene letto Marco 16,9-16 come Vangelo della Risurrezione.

Lettura del profeta Isaia (55,4-7)

Così dice il Signore Dio: 4«Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. 5Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora. 6Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. 7L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona».

Il brano conclude la seconda parte del libro di Isaia con un’ultima esortazione ai membri del popolo a prendere parte ai beni della rinnovata alleanza in seguito al ritorno dall’esilio babilonese e ad essere testimone presso tutti i popoli della terra dei doni divini (vv. 4-5). Nei vv. 6-7 spicca l’invito alla conversione della mente e della condotta approfittando della vicinanza benevola di Dio.

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (2,13-22)

Fratelli, 13in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
14Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. 15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. 17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. 18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.
19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.


Il brano mette in luce la riconciliazione dei giudei e dei pagani fra di loro e con Dio come frutto della salvezza operata in Cristo ovvero, come viene detto al v. 13, «grazie al suo sangue», quello della sua Croce. In particolare nei vv. 14-15 si parla della riconciliazione tra il popolo di Dio, Israele, e i popoli pagani che la Croce del Signore ha fatto «una cosa sola». I vv. 16-18 parlano della riconciliazione degli uni e degli altri con Dio sempre «per mezzo della Croce» con la quale ha eliminato ogni «inimicizia tra Dio e gli uomini». I vv. 19-22 infine indicano le felici conseguenze per gli uomini dell’opera di salvezza compiuta dal Signore: «non più stranieri né ospiti» ma «concittadini dei santi e familiari di Dio» (v. 19), edificati su Cristo come «pietra d’angolo» (v. 20) per diventare «tempio santo del Signore» (v. 21) «abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (v. 22).

Lettura del Vangelo secondo Marco (1,7-11)

In quel tempo, Giovanni 7proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». 9Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

I vv. 7-8 riferiscono il contenuto essenziale della predicazione del Battista riguardante il Messia, del quale proclama la superiorità parlando di lui come del «più forte», detentore del battesimo «in Spirito Santo». I vv. 9-11 infine riportano l’evento “storico” del battesimo di Gesù “illustrato” dalla visione dei cieli che si aprono (v. 10) permettendo così allo Spirito di scendere e di posarsi su di lui. Alla visione segue «una voce dal cielo» (v. 11), quella di Dio che rivela l’identità di Gesù che è il Figlio, “l’amato”!

Commento liturgico-pastorale

La presente festa è da comprendere in continuità con la grande solennità dell’Epifania celebrata il 6 gennaio. Il battesimo di Gesù è, in realtà, l’evento “epifanico” per eccellenza in quanto risultano coinvolte in esso le Tre Divine Persone. La preghiera liturgica ambrosiana ama mettere in luce il ruolo delle singole Persone Divine nel battesimo al Giordano a iniziare dal Padre che in esso ha «manifestato il Salvatore degli uomini» e si è rivelato «padre della luce» (Prefazio I). Il Padre dunque è il protagonista di ciò che avviene sulle rive del Giordano. È Lui, infatti, a «schiudere i cieli» mentre il Figlio si immergeva nelle sue acque che vengono così “consacrate”. È Dio, il Padre che in esse ha «vinto le potenze del male» e ha indicato «il Figlio unigenito, su cui in forma di colomba era apparso lo Spirito Santo» (Prefazio I). Ed è proprio la solenne proclamazione e indicazione di Gesù come il Figlio, quello unico, quello amato, il vertice della rivelazione trinitaria al Giordano.
In lui si adempie la parola profetica relativa al popolo d’Israele costituito da Dio «testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni» (Lettura). Gesù, dunque, è punto di convergenza attorno al quale nei disegni divini i popoli e le nazioni tutte della terra sono destinate a radunarsi. Si tratta di un mirabile progetto ideato nel cuore della Trinità e ora visibile e riscontrabile nettamente nel Figlio unico mandato nel mondo a portare il “compiacimento” ovvero la benevolenza di Dio del quale Egli è detentore e dispensatore.
In lui l’umanità intera che ancora oggi si presenta divisa e lacerata è destinata a diventare una sola cosa! È quanto ha scritto l’Apostolo nell’Epistola oggi proclamata: «Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini». L’Apostolo, è vero, si riferisce al popolo d’Israele , i vicini e ai popoli pagani , i lontani!
In realtà viene aperta una prospettiva di ricomposizione dell’umanità in «un solo uomo nuovo» che è appunto il Signore Gesù, anzi «in un solo corpo» che è quello formato da lui e dall’intera umanità. Di tutto ciò i credenti cominciano a fare reale esperienza nella partecipazione ai sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia.
L’acqua del Battesimo, da Dio benedetta «mediante la santificazione dello Spirito» offre ai credenti la remissione di ogni peccato e genera figli di Dio, destinati alla vita eterna. Ciò che avviene per quanti con fede si immergono nell’acqua battesimale è davvero straordinario: «Erano nati secondo la carne, camminavano per la colpa verso la morte; ora la vita divina li accoglie e li conduce alla gloria dei cieli» (Prefazio), che consiste esattamente nella rigenerazione a figli di Dio nell’Unico Figlio. Partecipando quindi alla mensa eucaristica del suo Corpo e del suo Sangue, «sacrificio perfetto che ha purificato il mondo da ogni colpa» (Orazione Sui Doni), osiamo domandare al Padre del cielo di renderci «fedeli discepoli del tuo Figlio unigenito perché possiamo dirci con verità ed essere realmente tuoi figli» (Orazione Dopo la Comunione). Saremo allora credibili nell’annunciare il messaggio orante che contiene il significato profondo dell’Epifania al Giordano: «Tutto il mondo è santificato nel battesimo di Cristo e sono rimessi i nostri peccati. Purifichiamoci tutti nell’acqua e nello Spirito» (Canto Alla Comunione).

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1 Gennaio 2012 – Ottava del Natale


Questo giorno “ottavo della nascita del Salvatore” fa memoria della sua Circoncisione, avvenuta  in conformità alla Legge di Mosè e nella quale la Chiesa vede l’annunzio del compimento della salvezza che ha il suo fondamento nell’Incarnazione e nella Natività del Figlio unigenito di Dio.

Il Lezionario

Le lezioni bibliche proclamate sono: Lettura: Numeri 6,22-27; Salmo 66 (67); Epistola: Filippesi 2,5-11; Vangelo: Luca 2,18-21. Il Vangelo della Risurrezione per la messa vigiliare del sabato è preso da Giovanni 20,19-23.

Lettura del libro dei Numeri
(6,22-27)

In quei giorni. 22Il Signore parlò a Mosè e disse: 23«Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: 24Ti benedica il Signore e ti custodisca. 25Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. 26Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. 27Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

Si tratta della formula di benedizione che Dio stesso trasmette ai sacerdoti tramite Mosè e che è rivolta al popolo d’Israele liberato dall’Egitto e in marcia nel deserto verso la terra promessa. La benedizione è per tutti e per i singoli membri del popolo, sui quali viene invocato per tre volte il nome divino assicurando così la benevolenza, la presenza e la protezione di Dio.


Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (2,5-11)

Fratelli, 5abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

Il brano paolino, noto come “inno cristologico”, è elaborato secondo lo schema biblico dell’umiliazione del giusto sofferente (vv. 2-8) che poi viene esaltato da Dio (vv. 9-11). In particolare l’umiliazione del Signore consiste nella sua spoliazione della connaturale gloria divina per assumere, diventando uomo, la condizione di servo!

Il v. 8 sottolinea che tale umiliazione ha avuto il suo culmine nella morte in croce, segno supremo dell’obbedienza filiale di Gesù al Padre. È per questa obbedienza che il Padre ha esaltato il suo Figlio con la sua risurrezione e dandogli il suo stesso nome, quello di Signore; un nome che gli sarà riconosciuto da tutti gli esseri viventi «in cielo, sulla terra e sotto terra».


Lettura del Vangelo secondo Luca (2,18-21)

In quel tempo. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Il testo riporta nei vv. 18-20 la conclusione del racconto della natività del Signore sottolineando lo stupore provocato dalle parole dei pastori su ciò che avevano visto dopo essere andati a Betlemme dietro rivelazione dell’angelo del Signore (vv. 9-17).

Di Maria si dice invece che custodiva tutte le cose che erano accadute «meditandole nel suo cuore». Il v. 21 parla della circoncisione compiuta sul bambino e della concomitante “imposizione del nome”, precisando che ciò viene fatto secondo la prescrizione della Legge di Mosè (cfr. Levitico 12,3). La circoncisione è segno di appartenenza al popolo di Israele , già adottata da Abramo come segno dell’Alleanza con Dio (Genesi 17,10-13; 21,4). Quanto al nome, viene eseguito ciò che era stato detto dall’angelo Gabriele a Maria (cfr. Luca 1,31).


Commento liturgico-pastorale

L’odierna domenica conclusiva dell’Ottava del Natale pone in rilievo due eventi a esso legati ed entrambi fondati nelle divine scritture: la circoncisione e l’imposizione del nome, fissati come abbiamo appena detto dalla Legge di Mosè proprio l’ottavo giorno della nascita di un bambino. La circoncisione, in particolare, evidenzia l’appartenenza al popolo d’Israele e la sua alleanza con Dio significata dal sangue che viene versato.

Il rapido accenno che l’evangelista fa al rito al quale viene sottoposto il bambino Gesù porta con sé un contenuto teologico di straordinaria importanza, da collegare a ciò che abbiamo letto nell’Epistola riguardante l’assunzione della «condizione di servo» di colui che è nella stessa «condizione di Dio».

Tale condizione di servo rimanda all’obbedienza del Figlio che si consegna senza riserve al volere del Padre. Un volere che, inspiegabilmente per la nostra ragione, contempla lo svuotamento e l’umiliazione estrema del Figlio fino alla morte obbrobriosa «di croce» che, in qualche modo, è annunciata nel sangue e nei gemiti del bambino sottoposto alle prescrizioni della Legge. Nei piani e nei misteriosi disegni divini, dunque, la salvezza passa dall’umiliazione e dalla morte del Figlio che l’evento della circoncisione annunzia e anticipa.

L’alto valore salvifico della circoncisione del Signore è messo in luce dalla preghiera liturgica ambrosiana per la quale egli, sottoponendosi a essa, «affermò così il valore dell’antico precetto, ma al tempo stesso rinnovò la natura dell’uomo liberandola da ogni impaccio e da ogni residuo del peccato. Senza disprezzo per il mondo antico diede principio al nuovo; nell’ossequio della legge divenne legislatore e, portando nella povertà della nostra natura umana la sua divina ricchezza, elargì nuova sostanza al mistero dei vecchi riti» (Prefazio).

L’obbedienza del Figlio, la sua sottomissione al Padre è la nuova Legge del mondo nuovo che da lui prende principio ed è causa e motivo della salvezza e della riconciliazione del mondo con Dio e insieme è la “via” obbligata per quanti credono in lui e intendono seguirlo.

La conformazione a Cristo nella via dell’obbedienza e dell’umiliazione è, di conseguenza, la testimonianza più credibile ed efficace che noi, discepoli del Signore, possiamo offrire a questo mondo perché «tutti gli uomini riconoscano, come unico nome che la nostra speranza può invocare» (Orazione A Conclusione Della Liturgia Della Parola) il nome di Gesù dato da Maria al bambino su indicazione dell’angelo. Nome che ne proclama la missione: portare salvezza!

Ed è nel suo nome che invochiamo da Dio ogni grazia per il mondo intero all’inizio del nuovo anno e per noi quella di non rimanere avviluppati dal fascino perverso del male, «di perdere ogni gusto per i piaceri che danno la morte e di volgerci con animo puro al banchetto della vita senza fine» (Orazione Dopo La Comunione).

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25 Dicembre 2011 – Natale del Signore


Viene celebrato a partire dalla solenne Liturgia vigiliare nel pomeriggio del 24 dicembre, nella Messa “nella notte” , “all’aurora” e in quella “nel giorno” che qui proponiamo.


Il Lezionario

Per la Messa “nel giorno” di Natale che, nella tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana è quella caratterizzata da una maggiore solennità, sono prescritti i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 8,23b-9,6a; Salmo 95 (96); Epistola: Ebrei 1,1-8a; Vangelo: Luca 2,1-14.


Lettura del profeta Isaia (8,23b-9,6a)

23bIn passato il Signore Dio umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. 1Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. 2Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. 3Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian. 4Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. 5Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. 6Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.

Il brano profetico è inserito nella sezione denominata “Il Libro dell’Emmanuele”, che occupa i capitoli dal 6 al 12. In particolare il v. 23 annunzia un futuro glorioso capace di riscattare le regioni del nord della Palestina (Zàbulon e Nèftali) da un’esperienza di oppressione e di umiliazione. Segue, con il capitolo 9 un oracolo con il quale tale riscatto è annunziato come l’apparizione di una “grande luce” che provoca gioia ed esultanza nel popolo (v. 2). Si tratta, in realtà, dell’intervento liberatore di Dio per porre fine all’oppressione che grava sul popolo (v. 3) e soprattutto alla violenza della guerra (v. 4). I vv. 5-6 annunciano la nascita di un bambino, al quale sarà dato ogni potere insieme al trono e al regno di Davide destinato, con lui, a durare per sempre.


Lettera agli Ebrei (1-1-8a)

Fratelli, 1Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. 3Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, 4divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. 5Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? 6Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio». 7Mentre degli angeli dice: «Egli fa i suoi angeli simili al vento, e i suoi ministri come fiamma di fuoco», 8al Figlio invece dice: «Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli».

Il brano riporta quasi per intero il prologo della Lettera e si apre con la solenne affermazione dei vv. 1-2 riguardante il fatto che Dio non “parla” più tramite suoi portavoce quali sono stati i profeti ma tramite il Figlio incarnato. Il v. 3 esprime l’identità della natura divina pur nella distinzione delle Persone tra il Padre e il Figlio descritto come «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza». Del Figlio viene detta in sintesi l’opera salvifica da lui compiuta venendo al mondo e che si conclude con la sua intronizzazione «alla destra della Maestà nell’alto dei cieli». I vv. 5-8, infine, attraverso continui ricorsi a citazioni scritturistiche veterotestamentarie, evidenziano l’unicità del Cristo che è il Figlio, il Primogenito, al quale il Padre consegna il trono «nei secoli dei secoli», e dunque la sua superiorità sugli angeli e su ogni creatura.


Lettura del Vangelo secondo Luca (2,1-14)

1In quei giorni. Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme; egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che gli ama».

Nei vv. 1-3 l’evangelista offre alcune coordinate storico-geografiche nelle quali colloca il racconto della natività del Signore. Il censimento deciso dall’imperatore romano obbliga Giuseppe a recarsi con Maria sua sposa a Betlemme, la città che ha dato i natali a Davide dal quale egli discende. In tal modo la nascita del Signore è collocata nell’alveo delle promesse fatte da Dio a Davide e alla sua “casa” (vv. 4-5) e delle quali è compimento.

Il racconto vero e proprio della nascita del Signore, in verità assai stringato, occupa i vv. 6-7 e ne sottolinea l’estrema povertà. I vv. 8-12 riportano l’apparizione nella notte dell’angelo del Signore ai pastori, ai quali viene dato per primi l’annunzio del “vangelo”, vale a dire della bella e buona notizia riguardante la nascita di un bambino qualificato come “salvatore”, “Cristo” ossia Messia e “Signore”.

Il racconto si conclude ai vv. 13-14 con l’apparizione ai pastori di «una moltitudine dell’esercito celeste» che con riferimenti biblici proclamano la “glorificazione” di Dio e la pace per gli uomini (cfr. Zaccaria 1,79) oggetto della benevolenza divina resa visibile e tangibile proprio nella natività del suo unico Figlio.


Commento liturgico-pastorale

Nella preghiera Dopo la Comunione domandiamo a Dio di «intuire con fede più penetrante la bellezza salvifica» del mistero della natività del Signore «e di possederne la grazia con amore più vivo». Più in generale sono proprio i testi del Messale che sintetizzano in maniera insuperabile il contenuto dei brani biblici oggi proclamati a darci l’opportunità di intuire con l’intelligenza della fede il mistero salvifico oggi celebrato.

La natività del Signore è dunque anzitutto un mistero, ovvero un evento centrale della storia della salvezza che procede dal disegno divino gradualmente rivelato nelle Scritture. Esso rappresenta qualcosa di inimmaginabile per noi uomini. Dal momento della sua incarnazione nel seno della Vergine il Figlio di Dio accetta di condividere con noi la condizione di uomo permettendo in tal modo all’uomo di diventare «partecipe della vita divina» (Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola).

Tale partecipazione produce in noi una più intima conformazione a Cristo, che proprio con la sua nascita «ha innalzato l’uomo accanto a sé nella gloria» (Orazione Sui Doni), ossia all’esperienza del rapporto filiale con il Padre (Orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica). Tutto ciò va sperimentato «con amore più vivo» proprio a partire dall’esperienza liturgica del mistero. In essa, infatti, partecipando al pane e al vino eucaristici, diveniamo sempre più partecipi della vita divina in Cristo, sempre più conformi a lui nella relazione filiale con il Padre e, dunque, suoi familiari ed eredi.

Che cosa comporti tutto ciò nella vita concreta di ogni uomo è facile intuirlo. Il Natale è anzitutto fondamento della dignità dell’uomo, della sua sacralità e inviolabilità. Questo perché il Verbo è diventato uomo! Il Natale è fondamento del nostro indistruttibile legame con il Figlio fatto uomo. Lui e noi una sola cosa. A lui abbiamo dato la nostra umanità, lui ci ha dato la sua divinità. Il Natale è fondamento della nostra condizione di figli, su cui si poggia e cresce la convinzione di prendere parte un giorno alla comunione di vita perenne con il Padre, con Dio.

Il Natale è fondamento della fraternità umana. Tutti figli nel Figlio e, perciò, tutti fratelli in Cristo Signore. Esemplare nell’intuizione di fede del mistero e nel vivere la grazia che da esso proviene è la Vergine Maria che «credette alla parola dell’angelo e concepì il Verbo in cui aveva creduto» (Prefazio). A lei, la Madre, diciamo con l’esultanza del cuore: «Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei l’esultanza degli angeli, sei la Vergine madre, la gioia dei profeti! Tu, per l’annuncio dell’angelo, generasti la gioia del mondo, il tuo Creatore e Signore. Gioisci perché fosti degna di essere madre di Cristo» ( Canto Alla Comunione)

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18 Dicembre 2011 – VI domenica di Avvento


Questa domenica riveste una grande importanza nella nostra tradizione liturgica, che nell’imminenza del Natale celebra il mistero dell’Incarnazione e della Divina Maternità della Beata Vergine Maria. Il Lezionario Propone ogni anno i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 62,10-63,3b; Salmo: 71 (72); Epistola: Filippesi 4,4-9; Vangelo: Luca 1,26-38a.

Il vangelo della Risurrezione, da leggere nella messa vigiliare del sabato, è preso da Giovanni 20,11-18.


Lettura del profeta Isaia (62,10-63,3b)

In quei giorni. Isaia disse: 10«Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli». 11Ecco ciò che il Signore fa sentire all’estremità della terra: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede”. 12Li chiameranno “Popolo santo”, “Redenti del Signore”. E tu sarai chiamata Ricercata, “Città non abbandonata”». 1«Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza?». «Sono io, che parlo con giustizia, e sono grande nel salvare». 2«Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». 3«Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me».


Il testo profetico è composto da una prima parte (vv. 62,10-12) che fa da conclusione ai capitoli 60-62 dove vengono riprese le tematiche proprie del cosiddetto Libro della consolazione (Isaia capitoli 40-55), destinato a rianimare negli esuli la speranza di fare ritorno in patria. Nei vv. 1-3b del cap. 63 nell’immagine del misterioso personaggio «che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso» è raffigurato Dio stesso che libera il popolo dai suoi nemici.


Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (4,4-9)

Fratelli, 4siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. 8In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. 9Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi! Il brano si apre al v. 4 con l’invito di Paolo alla gioia.

Un invito riscontrato in tutti i capitoli di questa lettera e che secondo l’Apostolo rappresenta un aspetto proprio dell’esistenza del cristiano. Motivo essenziale della gioia è la vicinanza del Signore. I vv. 8-9 sono da alcuni definiti il “manifesto” dell’umanesimo cristiano. L’Apostolo ci insegna ad apprezzare tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile... da qualunque uomo ciò provenga.


Lettura del Vangelo secondo Luca (1,26-38a)

In quel tempo. 26L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». 29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Il testo, che fa parte del cosiddetto “vangelo dell’infanzia” (Luca capitoli 1 e 2), presenta anzitutto i protagonisti del racconto: l’angelo Gabriele «mandato da Dio», una «vergine», Maria, prossima alle nozze con Giuseppe, discendente del casato del re Davide portatore delle promesse messianiche, e la precisazione del luogo dove è ambientato: Nazaret, una città della Galilea, regione settentrionale della Palestina.

I vv. 28-33 riportano il saluto dell’Angelo a Maria che crea in lei in un primo momento del turbamento (v. 29), a cui fanno seguito le parole di rivelazione che la riguardano (v. 30) e quelle che le annunciano la maternità e il parto di «un figlio», Gesù (v.31). Queste rimandano a quanto si legge in Isaia 7,14, a proposito del concepimento e del parto della «vergine» predetto al re Acaz. I vv. 32-33 riportano quanto viene detto a Maria a proposito del figlio che nascerà da lei e che sarà riconosciuto come «Figlio dell’Altissimo».

Sarà lui a realizzare finalmente la promessa fatta da Dio al re Davide: sarà un suo discendente a inaugurare un regno che «non avrà fine». I vv. 34-38, infine, registrano il dialogo tra Maria e l’Angelo. Questi ascrive all’azione dello Spirito Santo il concepimento in lei di colui che è in tutta verità figlio suo e figlio di Dio (v. 35) e le parla della sorprendente maternità della sua cugina Elisabetta, molto avanti nell’età e considerata sterile (Luca 1,8-25).

Il brano si chiude al v.38 con la consegna senza riserve di Maria ai disegni mirabili di Dio. Commento liturgico-pastorale In questa ultima domenica di Avvento le Scritture ci invitano a scrutare con occhio di fede l’avverarsi del disegno divino che riguarda la nostra salvezza. Disegno che si concretizza nell’evento per noi inimmaginabile dell’incarnazione del figlio unico del Dio invisibile e tre volte Santo nel seno della Vergine Maria. Disegno reso possibile dal sì che Maria ha detto all’Angelo portatore del messaggio divino.

Un sì che ha aperto la via all’effettivo dispiegarsi nella storia degli uomini della volontà salvifica di Dio e che i testi profetici hanno annunciato in un primo tempo come riservata al popolo dell’Antica Alleanza. Qui, invece, nell’assunzione da parte del Figlio di Dio della nostra natura e condizione umana, è evidente che la salvezza annunciata è per l’uomo. Ogni uomo. L’umanità intera che da Adamo si è succeduta fino ad oggi e da oggi si succederà sulla faccia della terra fino alla consumazione del tempo.

I disegni di Dio, cosa davvero straordinaria, sono posti nelle mani della Vergine che è totalmente riempita della grazia, del favore e della benevolenza dell’Altissimo. Si comprende perciò come l’espressione della preghiera liturgica ambrosiana nel dire infallibilmente la fede cattolica nei riguardi di Maria, vera Madre di Dio e sempre Vergine, si abbandoni a un insuperabile lirismo riscontrabile specialmente nei due Prefazi proposti a scelta. Con l’annunzio dell’Incarnazione, il testo evangelico rivela, mediante il nome che Maria dovrà dare al Figlio, Gesù, la missione propria del Signore: recare salvezza al mondo intero e instaurare così il Regno «che non avrà fine».

Per questo dovrà anzitutto salvare l’uomo dai suoi peccati esemplarmente condensati nel peccato dei nostri Progenitori Adamo ed Eva e dal quale è venuta per tutto il genere umano la rovina e «ogni miseria». (cfr. Prefazio II). Il peccato, da intendere come un voler sottrarsi alla mano creatrice di Dio per affermarsi orgogliosamente davanti a lui, spalanca la voragine dei peccati che sprofondano l’uomo nell’abisso tenebroso di sofferenza dove regnano i suoi mortali nemici, satana e la morte! Gesù dunque salverà il mondo dai suoi peccati e da questi implacabili nemici che lui stesso dovrà affrontare, combattere e vincere nell’ora della Croce fino a macchiare di rosso la veste immacolata con la quale la Vergine ha rivestito la sua divinità (Lettura: Isaia 63,1-3).

In tal modo egli potrà sedersi sul trono e regnare «per sempre» non solo «sulla casa di Giacobbe» (Luca,33), ma sull’intera umanità. Posti davanti a tanta grandezza ci viene spontaneo fare nostra l’esortazione apostolica: «Siate lieti, ve lo ripeto, siate lieti» (cfr. Epistola: Filippesi 4,4). La rivelazione dei disegni divini che tutti ci riguarda diventa necessariamente motivo di gioia. Una gioia diversa da quella comunemente sperimentata nella nostra vita. Una gioia e una letizia interiori che sono lì nonostante l’esperienza della sofferenza, della morte e del potere del male! Il Signore, il Figlio di Dio, il Figlio della Vergine Madre è uno di noi ed è con noi!

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11 dicembre 2011 – V domenica di Avvento

Nell’approssimarsi della solennità Natalizia questa domenica intende porre in rilievo la figura di Giovanni Battista, il Precursore del Signore.

 

Il Lezionario

 

Vengono proclamati i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Isaia 11,1-10; Salmo 97; Epistola: Lettera agli Ebrei 7,14-17.22.25; Vangelo: Giovanni 1,19-27a. 15c. 27b-28. Alla messa vespertina del sabato si legge Giovanni 21,1-14 come Vangelo della Risurrezione.

 

Lettura del profeta Isaia (11,1-10)

 

In quei giorni. Isaia disse: «1Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. 2Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d'intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. 3Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; 4ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. 5La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. 6Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. 7La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. 8Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. 9Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. 10In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa».

 

Il brano profetico oggi proclamato è noto come “poema messianico” in cui vengono descritti alcuni tratti distintivi ed essenziali del Messia promesso da Dio ed atteso dal suo popolo.

Viene anzitutto indicata la stirpe “davidica” del Messia tramite la menzione di Iesse, padre del re Davide (v. 1). Si afferma che su di Lui si poserà lo Spirito profetico nella sua totalità (v. 2) e che egli porterà nel mondo la “giustizia” (vv. 3-5) e ristabilirà la condizione di pace e di armonia che regnava alle origini della creazione (vv. 6-9).

 


Lettera agli Ebrei (7,14-17.22.25)

 

Fratelli, 14è noto che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. 15Ciò risulta ancora più evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchisedek, un sacerdote differente, 16il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile. 17Gli è resa infatti questa testimonianza: «Tu sei sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchisedek». 22Per questo Gesù è diventato garante di un'alleanza migliore. 25Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.

 

Il brano è preso dal capitolo 7 in cui l'Autore sviluppa il tema di Cristo “sacerdote”. Un sacerdozio che viene a Lui conferito pur non appartenendo alla tribù sacerdotale di Levi ma a quella di Giuda (v. 14) e la cui origine, come per il misterioso personaggio vetero-testamentario Melchisedek (cfr. Gen 14,18-20), va ricercata in Dio stesso (vv. 15-17). Si tratta di un sacerdote “eterno” e perciò Gesù è nella sua stessa persona mediatore di una “alleanza” tra Dio e l'uomo che non avrà fine, capace perciò di operare “salvezza” in ogni tempo (vv. 22.25).

 

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (1,19-27a. 15c. 27b-28)

 

In quel tempo.19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». 24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27acolui che viene dopo di me, 15ced era prima di me: 27ba lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

 

Il brano segue il “prologo” del Vangelo secondo Giovanni e riporta la “testimonianza” offerta da Giovanni il Battista al Verbo di Dio fatto uomo, a Gesù di Nazaret. Il brano è articolato in due parti: vv. 19-23 riportano l'interrogatorio del Battista da parte di “sacerdoti e leviti” volto ad investigare sulla sua persona in prospettiva messianica. La risposta del Battista in cui si autodefinisce “voce” è presa dal profeta Isaia 40,3 dove si parla di un personaggio inviato da Dio a preparare il popolo all'imminente venuta del Messia. Nella seconda parte: vv. 24-27 Giovanni viene ulteriormente interrogato sulla sua opera di battezzatore. La risposta (vv. 26-27) distingue nettamente il battesimo “con acqua” dato da Giovanni all'opera di Colui che deve venire, ossia il Messia del quale viene confessata da Giovanni la superiorità su di lui. Il v. 28 infine colloca geograficamente il luogo dove avviene l'interrogatorio.

 


Commento liturgico-pastorale

 

Nella storia d’Israele i Profeti si sono succeduti nel tener viva nel popolo l'attesa del Messia promesso da Dio. E’ un annuncio che sentiamo risuonare anche oggi nella nostra assemblea liturgica : “Non temere,Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente, per te esulterà di gioia” (Canto Dopo il Vangelo). L’ultimo dei Profeti, Giovanni il Battista ha il compito non solo di preparare il popolo ad accogliere il Cristo ma di additarlo oramai presente. Giovanni adempie la missione ricevuta in tutta verità e fedeltà. Egli sa di non essere lui l’Inviato del quale invece riconosce la superiorità:” a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo” (Giovanni,1,27b) e ne confessa la divinità dichiarando che :”colui che viene dopo di me” (v.27a), in verità “era prima di me”(cfr.Prologo 1,15c) Il Cristo inoltre non ha a disposizione come Giovanni un battesimo “nell’acqua”ma la capacità di immergere l'umanità nella salvezza che viene a portare nella potenza dello Spirito che Egli ha ricevuto in pienezza (cfr.Lettura: Isaia 11,2). Il Battista sa di essere “voce di uno che grida” non certo la Parola e perciò non intende attirare si di sé l’aspettativa del popolo.

Il suo compito è quello di sollecitare ogni uomo a preparare “la via del Signore” ossia a smettere di camminare sulla strada dell’incredulità e della malvagità e ad aprire il cuore a Colui che viene per condurre il mondo intero sulla “via del Signore” che è la via che conduce alla pace, alla gioia, alla comunione con Dio e, quindi, alla felicità.

La missione del Precursore continua oggi attraverso la Chiesa, la Comunità dei Credenti che deve dire al mondo la “verità”: il Messia atteso è Gesù e non ve né un altro! Egli è il Figlio di Dio venuto nel mondo rivestito della potenza dello Spirito per ristabilire un'era di riconciliazione e di pace tra Dio e l'uomo, tra l'uomo e il creato.

Un'era intravista dal Profeta (cfr. Isaia 11, 6-9) e che è già riscontrabile in quanti accolgono il Signore Gesù e camminano sulla sua “via”. Un'era che non tramonterà più perché inaugurata da Gesù come “sacerdote eterno” che nella sua persona umano-divina, ha stretto Dio e l'uomo in un'alleanza “migliore”. Per questo Egli “può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” ( Epistola: Ebrei,7,25). E’ quanto sperimentiamo con fede nella celebrazione eucaristica nella quale “ l’antica speranza è compiuta; appare la liberazione promessa e spunta la luce e la gioia dei santi” (Prefazio).

A noi dunque il compito e la responsabilità di “testimoniare” al mondo che tutto ciò non è un sogno e un'utopia ma, davvero, con la sua venuta il Signore ha reso possibile l’impossibile vale a dire che il lupo dimori finalmente in pace con l'agnello (Cfr. Isaia 11,6-8) in un mondo che comincia a sperimentare quella riconciliazione e quella pacificazione frutto dell’alleanza stipulata nel sangue dell’Agnello.

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4 dicembre 2011 – IV domenica di Avvento


La quarta domenica di Avvento è incentrata su “l’ingresso del Messia”, a motivo della proclamazione evangelica dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme che la caratterizza, secondo l’antica e costante tradizione liturgica ambrosiana.

Il Lezionario

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 16,1-5; Salmo 149; Epistola: 1Tessalonicesi 3,11-4,2; Vangelo: Marco 11,1-11. Nella messa vigiliare del sabato si legge: Matteo 28,8-10 quale Vangelo della Risurrezione.


Lettura del profeta Isaia
(16,1-5)

In quei giorni. Isaia disse: «1Mandate l’agnello al signore della regione, da Sela del deserto al monte della figlia di Sion. 2Come un uccello fuggitivo, come una nidiata dispersa saranno le figlie di Moab ai guadi dell’Arnon. 3Dacci un consiglio, prendi una decisione! Rendi come la notte la tua ombra in pieno mezzogiorno; nascondi i dispersi, non tradire i fuggiaschi. 4Siano tuoi ospiti i dispersi di Moab; sii loro rifugio di fronte al devastatore. Quando sarà estinto il tiranno e finita la devastazione, scomparso il distruttore della regione, 5allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine, vi siederà con tutta fedeltà, nella tenda di Davide, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia».

Il testo profetico fa parte della sezione che raccoglie gli “oracoli” di Isaia contro le nazioni nemiche di Israele (capitoli 13-23), in questo caso di Moab. Si tratta di popolazioni confinanti sovente in competizione con Israele. Qui sembra che Moab chieda invece l’aiuto al re di Giuda per ricevere protezione da potenziali nemici.

Il v. 1 nell’invio dell’agnello a Gerusalemme pare significare la sottomissione di Moab al re di Giuda. La tradizione della Chiesa ha dato all’agnello un’interpretazione “messianica” fatta propria dalla lettura liturgica del testo profetico. I vv. 2-4 riportano le suppliche dei Moabiti, che si concludono al v. 5 con una dichiarazione di fiducia sull’avvenire del popolo d’Israele a motivo delle divine promesse riguardanti la stabilità del trono di Davide qui indicato come «stabilito sulla misericordia».


Prima lettera di San Paolo apostolo ai Tessalonicesi
(3,11-4,2)

Fratelli, 11voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore nostro Gesù guidare il nostro cammino verso di voi! 12Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, 13per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. 1Per il resto, fratelli, vi preghiamo e vi supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. 2Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

Il brano si inserisce in un contesto di rallegramenti dell’Apostolo alla comunità di Tessalonica (oggi Salonicco) per le belle notizie ricevute da Timoteo, inviato da Paolo in quella città nella quale egli stesso esprime il vivo desiderio di recarsi di persona (3,1-11). Ai membri della comunità Paolo augura di crescere nell’amore «fra voi e verso tutti» (v. 12) e di vivere la vita cristiana in maniera irreprensibile in vista della venuta finale del Signore (v. 13) sulla quale ritorna nei primi due versetti del cap. 4.


Lettura del Vangelo secondo Marco
(11,1-11)

In quel tempo. 1Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, il Signore Gesù mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. 3E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». 4Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». 6Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. 7Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!». 11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.

Il racconto dell’ingresso in Gerusalemme (vv. 8-11a) è avviato al v. 1a con l’ambientazione geografica riferita all’avvicinamento di Gesù a Gerusalemme, a cui fanno seguito le disposizioni date a due discepoli in vista del reperimento e della preparazione della cavalcatura (vv. 1b-7) . Il v. 11b serve a concludere con il riferimento all’uscita di Gesù dalla città nella quale tornerà per dare inizio alla sua Passione.

In particolare le disposizioni impartite ai due discepoli vanno lette alla luce del profeta Zaccaria 9,9, non esplicitamente citato: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina».

Anche la scena dell’ingresso in città (vv. 8-11) ricorda quelle dell’intronizzazione del re d’Israele (cfr. 1Re 1,38-40; 2Re 9,13). Le acclamazioni che le folle indirizzano a Gesù rimandano alle parole del Salmo 117 (118) 25-26 da cui viene anche il termine osanna, che letteralmente significa: il Signore «dà salvezza». Va anche evidenziato il riferimento al Regno «del nostro padre Davide» che qui viene visto realizzato in Gesù!


Commento liturgico-pastorale


È evidente che il brano evangelico dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, proclamato nel tempo di Avvento, vuole mettere in primo piano la natura messianica della venuta del Signore in questo nostro mondo. È certo che nell’epoca storica in cui egli è vissuto era vivissima nel popolo l’attesa che Dio compisse le sue promesse inviando il Messia, ovvero il Cristo, per riscattare il suo popolo dall’oppressione straniera e per avviare il Regno che non avrà mai fine secondo la promessa fatta al re Davide.

I riferimenti biblici scelti dall’evangelista Marco per tracciare i lineamenti di Gesù quale Messia non vanno nella direzione sopra esposta, ma lo descrivono nella linea di un Messia “umile” già annunziato nella Lettura profetica: «Allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine, vi siederà con tutta fedeltà, nella tenda di Davide, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia» (Isaia 16,5).

Mentre ci avviciniamo al Natale impariamo a riconoscere con fede che tutte le aspirazioni dell’umanità alla pace, alla giustizia, alla fraternità e, più in profondità, alla salvezza come liberazione dall’oppressione del potere maligno che grava sui cuori e sulla storia, sono realizzate in colui che è venuto in questo mondo non con potenza e forza, ma nell’umiltà e nella debolezza del Bambino di Betlemme, nell’uomo della Croce che è il vero agnello dell’alleanza prefigurato dalla Lettura profetica.

La preghiera liturgica, in perfetta sintonia con la Parola proclamata, nel rendere grazie al Padre per aver mandato nel mondo il suo Verbo, ne indica così le motivazioni essenziali: «Perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci infondesse di nuovo la vita eterna del cielo» (Prefazio).

Con il suo ingresso messianico nella storia degli uomini il Signore Gesù ha in realtà stabilito il suo trono «sulla mansuetudine» e ha inaugurato quel Regno che nulla e nessuno potranno mai abbattere. Tutto ciò deve rappresentare per noi, suoi discepoli in questo mondo e in questo tempo, la via da percorrere senza indugio, la via della mansuetudine e dell’umiltà che rende testimonianza autentica al Signore Gesù che per primo l’ha percorsa venendo per noi dal Cielo.

Concretamente siamo esortati a mettere in pratica ciò che l’apostolo Paolo dice ai fedeli della comunità di Tessalonica i quali, in attesa della «venuta del Signore con tutti i suoi santi», devono rendere saldi i loro cuori ed essere «irreprensibili nella santità» della vita che consiste nel crescere e sovrabbondare «nell’amore fra voi e verso tutti» (Epistola). Non a caso, nel canto Allo spezzare del Pane così preghiamo: «O Dio con noi, nostro sovrano, che ci hai dato la legge dell’amore, tu che le genti attendono, tu che le puoi redimere, vieni a salvarci».

Il mite re che fa il suo ingresso su un’umile cavalcatura, il Bambino nato a Betlemme, l’Agnello immolato sull’altare della Croce, Cristo Signore, è lui il Messia, l’unico, e non ve ne sarà un altro. A lui possiamo gridare con l’intera umanità: «Osanna», tu che sei “in alto”, vieni ad aiutarci e a salvarci

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27 novembre 2011 – III domenica di Avvento

Questa terza domenica di Avvento intende mettere in luce il fatto che nella “venuta” del Signore tutte le profezie e le antiche promesse si sono adempiute.

Il Lezionario

Propone i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 51,1-6; Salmo 45(46); Epistola: 2Corinzi 2,14-16a; Vangelo: Giovanni 5,33-39. Il testo evangelico di Giovanni 20,1-8 viene letto come Vangelo della Risurrezione alla messa vigiliare del sabato.


Lettura del profeta Isaia (51,1-6)


Così dice il Signore Dio: «1Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. 2Guardate ad Abramo, vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai. 3Davvero il Signore ha pietà di Sion, ha pietà di tutte le sue rovine, rende il suo deserto come l’Eden, la sua steppa come il giardino del Signore. Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e melodie di canto! 4Ascoltatemi attenti, o mio popolo; o mia nazione, porgetemi l’orecchio. Poiché da me uscirà la legge, porrò il mio diritto come luce dei popoli. 5La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza; le mie braccia governeranno i popoli. In me spereranno le isole, avranno fiducia nel mio braccio. 6Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra di sotto, poiché i cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e i suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta».

Il testo profetico oggi proclamato è preso dal “libro di consolazione”, come vengono comunemente chiamati i capitoli 40-55 del profeta Isaia.

La tematica di fondo è la salvezza che Dio darà al suo popolo dopo l’esperienza della deportazione e della schiavitù per rimanere fedele alle sue promesse ad Abramo e a Sara, progenitori di Israele, esemplari nella loro fedeltà a Dio (v.2).

Da qui la parola profetica si apre alla dimensione universale annunciando che le “braccia” di Dio «governeranno i popoli» (v. 5b). Il brano si chiude con l’invito ad alzare al cielo gli occhi perché solo la salvezza di Dio «durerà per sempre» (v. 6b) mentre questa non potrà avvenire dalle realtà terrene destinate a logorarsi come un vestito (v. 6a).


Seconda lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (2,14-16a)

Fratelli, 14siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! 15Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; 16per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita.

Il breve brano riporta alcune considerazioni di Paolo sul ministero apostolico che vede come una partecipazione al “trionfo di Cristo” (v. 14), allusione questa della vittoria pasquale del Signore risorto riportata sulla morte.

Riferendosi forse a ciò che avveniva a Roma in occasione del “trionfo” riservato ai generali vittoriosi, Paolo descrive l’apostolo che annunzia l’evangelo come il “profumo di Cristo” (v. 15) che ha un duplice effetto: di “morte” per quanti “si perdono” a motivo della loro incredulità e di “vita per la vita”, ossia di partecipazione alla sua risurrezione, per quanti si aprono alla fede.


Lettura del vangelo secondo Giovanni (5,33-39)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. 36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me».

Il brano è preso dal più ampio discorso di rivelazione (5,19-47) che fa seguito alla polemica con i Giudei (vv. 16-18), i quali contestano a Gesù la guarigione, fatta in giorno di sabato, di un paralitico presso la piscina Betzatà in Gerusalemme (vv. 1-15).

In particolare i presenti versetti parlano della “testimonianza” che Dio stesso, il Padre, dà nei riguardi di Gesù che è il Figlio. In tale contesto Gesù parla dapprima della “testimonianza” data da Giovanni Battista, definito «lampada che arde e risplende», alla verità, vale a dire alla presenza del Messia nel popolo. Ma invano (vv. 33-35).

Nel v. 36 viene detto che Gesù ha a suo favore una “testimonianza” superiore a quella del Battista, capace di accreditarlo come Messia inviato da Dio. Essa consiste nelle “opere” che il Padre “ha dato da compiere”, ben più grandi di quelle del Precursore. Esse infatti riguardano la rivelazione di Dio avvalorata dai miracoli come quello appena compiuto della guarigione del paralitico.

Come in un crescendo è ora messa in campo la diretta “testimonianza” del Padre (v. 37) già resa nelle Divine Scritture, che dunque parlano di lui, del Figlio inviato nel mondo (v. 39), e alle quali essi non hanno mai creduto (vv. 37-38).


Commento liturgico-pastorale

In questa terza domenica di Avvento le Scritture ci sollecitano ad accogliere in esse la “testimonianza” di Dio sul suo Figlio da lui mandato nel mondo a dare compimento alle “promesse” che le stesse Scritture contengono e trasmettono. Nella lettura profetica abbiamo ascoltato le parole di consolazione e di incoraggiamento di Dio al suo popolo in esilio e, dunque, sottomesso a un potere iniquo e ingiusto. Dio manifesta così la sua premurosa “pietà” impegnandosi a far ritornare gli esuli nella loro terra che, da desertica e stepposa, egli trasformerà in luogo splendido come l’Eden, il meraviglioso “giardino” delle origini. La promessa si allarga inaspettatamente ad abbracciare “ i popoli” sui quali Dio promette di far brillare la sua “legge” e il suo “diritto” riservati prima al solo Israele e, quindi, di governarli personalmente con il suo “braccio” potente. Alla luce della “testimonianza” evangelica comprendiamo che tali promesse sono portate a realizzazione nelle “opere” compiute da colui che il Padre ha “mandato”, ossia in Gesù di Nazaret.

Nella sua natività secondo la carne e segnatamente nella sua Pasqua il Signore Gesù ha effettivamente liberato l’umanità intera dalla sua condizione di oppressione sotto il potere del male e l’ha ricondotta sotto il “diritto” e la “legge” di Dio che egli ha promulgato nell’ora solenne della sua morte sulla Croce e che si riassume nella carità.

Davvero nel Signore Gesù la “giustizia” di Dio si è resa “vicina” a tutti i popoli e a ogni uomo. In Cristo crocifisso e risorto Dio ha infatti dichiarato “giusti” gli uomini del tutto “gratuitamente”, facendoli partecipi del suo “trionfo” in Cristo (Epistola: 2Corinzi 2,14), strappandoli al potere del male e della morte e restituendoli così al suo amore paterno in un’autentica relazione filiale. Per questo egli si attende che il cuore dell’uomo si apra all’adesione di fede in «colui che egli ha mandato» (Giovanni 5, 37).

Ed è questa l’opera che l’Avvento chiede ora anche a noi: credere che tutte le Scritture parlano di Cristo, danno “testimonianza” di lui come rivelatore e attuatore della “pietà” di Dio sull’intera umanità, che una volta sottratta alla condizione di oppressione, di abiezione e di morte nella quale viene trascinata dal potere fascinoso del male, è destinata a fiorire come un meraviglioso “giardino”.

Tutto ciò viene ricordato nel cuore della celebrazione eucaristica con il canto Allo Spezzare del Pane: «Popolo di Sion, ecco il Signore viene a salvare tutte le genti; il Signore manifesterà la sua gloria e avrete la gioia nel cuore». Nella sua “venuta” nel mistero liturgico il Signore, mentre apre la nostra intelligenza alla comprensione delle Scritture, ci fa sperimentare il risultato concreto dell’“opera” salvifica che il Padre gli ha affidato inviandolo nel mondo.

Tale “esperienza” motiva il «giubilo, la gioia, i ringraziamenti e le melodie di canto» (Isaia 51,3) che contraddistingue il nostro raduno eucaristico attorno al Signore che “è venuto” e che “verrà” e che ci spinge alla preghiera: «Accesi dal fuoco dello Spirito, o Dio, e saziati del dono divino, i nostri cuori siano pervasi dal desiderio di risplendere come luci festose davanti al Cristo, il Figlio tuo che viene» (Orazione Dopo la Comunione).

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20 Novembre 2011 – II domenica di Avvento

Questa seconda domenica sviluppa il senso più profondo della venuta del Signore concepita in vista dell’universale salvezza e per impiantare in questo mondo il Regno, del quale tutti gli uomini sono chiamati a diventare figli.

 

Il Lezionario

 

Sviluppa la peculiare tematica appena accennata proponendo i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 51,7-12a; Salmo 47 (48); Epistola: Romani 15,15-21; Vangelo: Matteo 3,1-12.

Alla messa vigiliare del sabato viene proclamato Luca 24,1-8, quale Vangelo della Risurrezione.

 

Lettura del profeta Isaia (51,7-12a)

 

Così dice il Signore Dio: «7Ascoltatemi, esperti della giustizia, popolo che porti nel cuore la mia legge. Non temete l’insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni; 8poiché le tarme li roderanno come una veste e la tignola li roderà come lana, ma la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione. 9Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, che hai trafitto il drago? 10Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, e hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti? 11Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri. 12Io, io sono il vostro consolatore».

 

Il brano fa parte di una serie di capitoli (40-55) che riflettono la situazione del popolo d’Israele deportato a Babilonia dopo la distruzione di Gerusalemme (587 a.C.) al quale Dio, per bocca dei profeti, annunzia il prossimo ritorno in patria, a Gerusalemme, che sarà riedificata ancora più splendida. In particolare nei vv. 7-8 il Popolo viene esortato a non temere nessun nemico perché Dio ha deciso di garantirgli «salvezza di generazione in generazione». Essa viene tradotta ai vv. 9-11 con la decisione divina di rinnovare le antiche gesta prodigiose per riportare in patria il suo popolo. Il v. 12, infine, contiene la mirabile autorivelazione di Dio come Dio di consolazione.

 

Epistola: Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (15,15-21)

 

Fratelli, 15su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio 16per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. 17Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. 18Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, 19con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. 20Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo per non costruire su un fondamento altrui, 21ma, come sta scritto: «Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno».

 

Il brano è preso dall’epilogo dell’importante lettera ai Romani, nel quale l’Apostolo tiene a precisare lo specifico mandato missionario che lo contraddistingue dagli altri, che è la predicazione del Vangelo ai pagani perché anch’essi diventino «un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (v. 16). In ciò l’Apostolo si dichiara strumento di Cristo, che agisce in lui «con la potenza di segni e  di prodigi» (v. 19). Paolo tiene inoltre a precisare che ha scelto come campo di apostolato quello non evangelizzato da altri perché nessuno rimanga privo dell’annuncio del «nome di Cristo» (vv. 20-21).

 

Vangelo: Lettura del Vangelo secondo Matteo (3,1-12)

 

1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».

3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.

5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 

Il brano evangelico può essere così suddiviso: i vv. 1-2 presentano il Battista, il luogo della sua attività e il contenuto essenziale della sua predicazione riguardante l’avvicinarsi del regno dei cieli, che esige da parte dell’uomo la conversione, ossia un cambiamento profondo della mente e della prospettiva di fondo della vita. È lo stesso essenziale messaggio che troviamo sulla bocca di Gesù all’inizio della sua attività missionaria (Matteo 4,17).

Il v. 3 applica al Battista il testo profetico di Isaia 40,3 relativo al “precursore” che deve precedere l’arrivo del Messia.

I vv. 4-5 presentano rispettivamente la figura del Battista, il cui abbigliamento e la cui dieta corrispondono a quella dei profeti, e l’enorme ripercussione tra il popolo della sua predicazione che suscitava il pentimento dei peccati, significato esteriormente dall’immersione nell’acqua del Giordano.

I vv. 7-10 espongono la predicazione del Battista volta alla conversione dei cuori, che si caratterizza per la veemenza del dire, volta ad annullare ogni presunzione e per l’annunzio minaccioso dell’ira di Dio che incombe su ogni essere umano a causa del peccato. All’ira di Dio si sfugge con la conversione del cuore e con una condotta di vita contrassegnata da comportamenti paragonati ai buoni frutti di un albero.

I vv. 11-12 riguardano la predicazione del Messia che viene e di cui il Battista riconosce la precedente superiorità e l’irresistibile forza capace di immergere il popolo nello «Spirito Santo e nel fuoco» ossia di compiere la piena e definitiva “purificazione” degli spiriti, cosa che l’acqua non è certo in grado di fare.

Il Messia che viene, infine, è il giudice supremo, che compie il giudizio come separazione tra i buoni raffigurati nel frumento e i cattivi nella pagliaI primi sono destinati alla salvezza eterna (= granaio), i secondi alla rovina eterna significata nel fuoco inestinguibile.

 


Commento liturgico-pastorale

 

In questa seconda domenica di Avvento viene posta al centro dell’annunzio evangelico e della preghiera della Chiesa la parola di esordio del ministero profetico proprio del Precursore del Signore: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

L’avvento del Signore segna dunque l’introduzione nel mondo del Regno dei cieli. È questo l’annunzio formidabile che deve risuonare dalla comunità del Signore in tutti gli ambienti di vita in questi giorni di preparazione al Natale e così formulato nel canto Dopo il Vangelo: «Sta  per venire il tempo del Salvatore, e i suoi giorni non tarderanno. Ecco: il Signore avrà misericordia, disperderà le tenebre con la sua luce». Il Bambino che ci è donato nella notte di Betlemme porta dunque in questo nostro mondo il Regno. Anzi lui stesso è il Regno dei cieli piantato come germoglio di speranza e di vita in questa nostra terra dalla sapiente «bontà misericordiosa del nostro Dio». Nel Regno che viene in Cristo occorre vedere anzitutto un chiaro segno di fiducia, di speranza e di consolazione che Dio vuole dare a tutti gli uomini che sono suoi.

Nella pagina profetica di Isaia abbiamo sentito come egli prepara per il suo popolo schiavo in Babilonia un ritorno glorioso nella loro terra, nella città di Gerusalemme e una «felicità perenne sul loro capo» (Lettura: Isaia, 51,11). Per questo egli è disposto a rinnovare i prodigi meravigliosi dell’Esodo al fine di far sperimentare al suo popolo la sua «salvezza di generazione in generazione» (v. 8). Sappiamo che in queste parole profetiche si fa già strada una dimensione sopra-nazionale della salvezza che a partire da Israele deve interessare l’intera umanità e più volte ribadita nel ritornello al Salmo: «Il tuo nome, o Dio, si estende ai confini della terra». Nel suo avvento Gesù ha infatti realizzato l’oracolo profetico riguardante la vittoria sul “drago” trafitto da Dio (v. 9c) liberando così il mondo intero dal suo tenebroso potere e dall’insidia del male.

È dunque questo il messaggio di cui ha bisogno anche l’umanità del nostro tempo, che non è certo esclusa dalla salvezza posta da Dio nel Cristo suo Figlio. Questa umanità del nostro tempo così provata, percorsa e sottomessa da vangeli mortiferi, questa umanità sbandata, smarrita deve sentire risuonare dai figli della Chiesa la parola divina fatta carne in Cristo: «Io, Io sono il vostro consolatore» (v. 12a).

Ci spinge la parola apostolica e l’esempio di Paolo, convinto di dover annunciare alle “genti”, e soprattutto là dove ancora nessuno è arrivato, il Vangelo di Dio perché «le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (Epistola: Romani 15,16).

La nostra partecipazione all’Eucaristia, mentre ci dona di sperimentare attiva la salvezza che è Cristo Signore, venuto nel mondo nell’umiltà della natura umana, morto e risorto, e ci offre la grazia di essere noi stessi, uniti a lui, trasformati in un’offerta gradita a Dio, ci fa capire che noi siamo il segno riconoscibile delle cose grandi che Dio, nel suo Figlio, primizia del Regno, vuole compiere nel mondo intero affidando a tutti noi «il sacro ministero di annunciare» questa bella e buona notizia.

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13 novembre 2011 – I domenica di Avvento

Con due settimane di anticipo su quella romana la nostra tradizione liturgica ambrosiana dà inizio, con l’Avvento, al nuovo anno liturgico destinato ad attualizzare il mistero dell’universale salvezza che è nel Figlio di Dio fatto uomo, nato dalla Vergine Maria, morto sulla Croce e risorto.

L’Avvento, che ha la durata di sei settimane, ha il compito di preparare la celebrazione dell’annuale memoria della Natività del Signore quale sua prima venuta nell’umiltà e di tenere desta nella Chiesa l’attesa della seconda e definitiva venuta del Signore con «grande potenza».

La celebrazione eucaristica, specialmente quella domenicale, è il luogo privilegiato dove è possibile, nella “venuta sacramentale”, fare esperienza viva dell’incontro con il Signore «nell’attesa della sua venuta». Veicolo primario di tale esperienza è la Parola divina proclamata nelle Scritture e la preghiera della Chiesa che ascolta e accoglie, nella Parola e nei santi segni eucaristici, il Verbo di Dio fatto uomo, il Crocifisso/Risorto.  


Il Lezionario

I testi biblici per questa prima domenica di Avvento sono rintracciabili nel primo dei tre volumi di cui si compone il Lezionario ambrosiano dal titolo: Mistero dell’Incarnazione del Signore. Esso accompagna il nostro cammino fino alle soglie della Quaresima. Per la presente domenica le lezioni bibliche sono prese dal ciclo dell’Anno B e sono: Lettura: Isaia 24,16b-23; Salmo 79(80); Epistola: 1 Corinzi 15,22-28; Vangelo: Marco 13,1-27. Nella messa vigiliare del sabato si legge: Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione

Lettura del profeta Isaia (24,16b-23)  

16bIo dico: «Guai a me! Guai a me! Ohimè!». I perfidi agiscono perfidamente, i perfidi operano con perfidia. 17Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o abitante della terra.18Avverrà che chi fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi risale dalla fossa sarà preso nel laccio, poiché cateratte dall’alto si aprono e si scuotono le fondamenta della terra. 19A pezzi andrà la terra, in frantumi si ridurrà la terra, rovinosamente crollerà la terra. 20La terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una tenda; peserà su di essa la sua iniquità, cadrà e non si rialzerà. 21Avverrà che in quel giorno il Signore punirà in alto l’esercito di lassù e in terra i re della terra. 22Saranno senza scampo incarcerati, come un prigioniero in una prigione sotterranea, saranno rinchiusi in un carcere e dopo lungo tempo saranno puniti. 23Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e a Gerusalemme, e davanti ai suoi anziani risplende la sua gloria.  

Il brano fa parte di quella che viene chiamata la “grande apocalisse” di Isaia, nella quale viene annunziato il giudizio di Dio sull’intera umanità travolta dall’ingiustizia e dalla violenza. Il giudizio è descritto con il ricorso a immagini catastrofiche che riguardano le realtà terrene (vv. 18-20) e celesti (vv. 21-23). Esse intendono far capire che Dio non è indifferente a ciò che avviene nel mondo e che niente e nessuno può resistere e sottrarsi al suo giudizio.  

Epistola: Prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (15,22-28)  

Fratelli, come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.

È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.
Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
 

Il brano fa parte della sezione della lettera nella quale l’Apostolo vuole rafforzare nella comunità di Corinto la certezza che la risurrezione del Signore Gesù dai morti offre ai credenti la garanzia della loro risurrezione «alla sua venuta» (v. 23) espressione questa del vocabolario cristiano delle origini che sta a indicare il ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi o parusia. Essa segnerà il definitivo annientamento di tutti i nostri nemici, il più implacabile dei quali è la morte (v. 26) e la riconsegna a Dio Padre di ogni cosa, «perché Dio sia tutto in tutti» (v.28).  


Vangelo: Lettura del Vangelo secondo Marco (13,1-27)  

1In quel tempo. Mentre il Signore Gesù usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».
3Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4«Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».
5Gesù si mise a dire loro:«Badate che nessuno v’inganni! 6Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. 7E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. 8Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori.
9Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. 10Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. 11E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. 13Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
14Quando vedrete l’abominio della devastazione presente là dove non è lecito – chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, 15chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, 16e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!
18Pregate che ciò non accada d’inverno; 19perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall’inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni. 
21Allora, se qualcuno vi dirà:”Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci; 22perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti.
23Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.
24In quei giorni, dopo quella tribolazione, “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, 25le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. 26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo».


Il testo riporta quasi per intero il discorso escatologico, riguardante cioè gli avvenimenti finali della storia e della definitiva venuta del Figlio dell’uomo. Si può così suddividere: vv.1-4: scena d’introduzione che prende spunto dall’ammirazione del tempio di Gerusalemme del quale Gesù predice la distruzione come segnale che avvia la fine; vv. 5-8: Gesù invita i suoi a guardarsi nel frattempo dai seduttori e predice l’inizio delle sofferenze che preludono la fine; vv. 9-13: Gesù esorta i suoi discepoli a perseverare tra persecuzioni e tribolazioni fino alla fine; vv. 14-23: descrizione dell’ultima e più grande “tribolazione”, accompagnata da straordinari fenomeni celesti; vv. 24-27: descrivono la parusìa del Figlio dell’uomo per il giudizio con il conseguente raduno davanti a lui dei suoi eletti.  


Commento liturgico-pastorale
 

Questa prima domenica, con i testi biblici oggi proclamati, pone il tempo dell’Avvento, essenzialmente orientato al mistero salvifico dell’Incarnazione e della Natività del Signore, nel più ampio contesto degli ultimi eventi, della sua venuta cioè alla fine dei tempi (parusìa) che rappresenta il compimento ultimo e definitivo della salvezza che ha il suo esordio proprio nella sua Natività e il suo apice nella sua Pasqua.

I brani biblici ci dicono che la prima venuta del Figlio di Dio nel mondo ha effettivamente introdotto in esso la salvezza, che dovrà però compiersi definitivamente con il suo ritorno alla fine dei tempi. Le immagini a tinte forti della Lettura profetica dicono la condizione anche attuale della storia umana contrassegnata dall’iniquità, dalla violenza, dal peccato che provoca nell’uomo sofferenza e dolore di cui si fa interprete il Salmo 79(80): «Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza», e che lo spinge a implorare: «Dio degli eserciti, ritorna!».

La decisione da parte di Dio di intervenire con forza per porre fine a tanto sfacelo si concretizza nella “prima venuta” del suo Figlio fatto uomo. Egli si presenta come la mano tesa da Dio agli uomini invitati ad abbandonare ogni empietà e a ritornare a lui con decisa determinazione. L’Avvento ci stimola ogni anno ad accogliere in Cristo l’intervento salvifico di Dio nel mondo.

Rifiutarlo o misconoscerlo comporterebbe l’impossibilità a sopportare l’inevitabile crollo delle umane certezze delle quali, come ci avverte il Signore, non rimarrà «pietra su pietra che non venga distrutta» (Vangelo), e l’incapacità a resistere, come ci viene detto, saldi nella fede alle altrettanto inevitabili prove e persecuzioni così come alla “grande tribolazione” che attraversa normalmente la nostra storia e la nostra vita.

In essa, come ben sappiano per esperienza diretta e personale, la fanno da padroni quelli che l’Epistola paolina chiama i «nostri nemici», per noi invincibili, il più terribile dei quali è la morte! Rifiutare il dono di salvezza che viene dall’alto comporterebbe infine, cosa più grave e irrimediabile, l’esclusione dal gruppo degli eletti che il Signore radunerà «dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo» (Vangelo).

Di qui l’annuale invito dell’Avvento a volgere il nostro sguardo e il nostro cuore al Volto di Dio che brilla benevolo nel suo Figlio nato da Maria e mentre attendiamo la sua “seconda venuta” nella quale pronuncerà, come speriamo, il giudizio definitivo della nostra salvezza, impariamo a riconoscerlo e ad accoglierlo nella sua incessante “venuta” nell’assemblea liturgica radunata nel suo nome.

In essa è attualizzato ciò che egli ha compiuto con la sua prima venuta «nell’umiltà della carne», nella quale «portò a compimento l’antica speranza e aprì il passaggio all’eterna salvezza» e dove è tenuta desta la certezza che «quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio).

Illuminati dalle divine Scritture sperimentate alla mensa eucaristica dove annunciamo la morte e la risurrezione del Signore «nell’attesa della sua venuta» sale spontanea in noi la gioia e l’esultanza che, come ci suggerisce l’antifona Alla Comunione, coinvolge il cielo e la terra: «Gioite cieli, esulta o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».

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