Don Sciortino

di Don Sciortino

Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.

 
14
set

Giovani abbandonati al loro destino

Ho sentito alla radio un ragazzo sostenere che i giovani non si sposano e non fanno figli perché c’è la crisi. Ma i concerti rock sono affollatissimi. Così come le discoteche, dove si ubriacano e fanno uso di droga. Da dove prendono il denaro per telefonini e abiti firmati? Quanto costa il motorino, e chi mantiene le auto per ogni componente della famiglia? Nessuno rinuncia alle vacanze. Le ragazzine fanno ricorso a costosi ritocchi chirurgici. Nessun pensiero, invece, ai figli. Almeno fino a quarant’anni, quando scatta il raptus di maternità. Cinque milioni di immigrati hanno trovato lavoro in Italia. La litania sugli aiuti ai giovani è deviante, quasi quanto le quote rosa. Chi vuole farcela, si rimbocchi le maniche. Come hanno fatto i nostri nonni nel dopoguerra.

Paolo B.

Analisi impietosa la tua, caro Paolo. Ma anche poco generosa nei confronti dei giovani, di cui salvi proprio ben poco. Non hai torto nell’invocare uno stile di vita più sobrio. E nel denunciare che viviamo al di sopra delle nostre possibilità. Come dimostra la crisi economica, da cui facciamo fatica a risollevarci. Ma il vero problema non sono i giovani. Prima di puntare il dito, dovremmo interrogarci sugli squallidi modelli di vita che stiamo loro offrendo. Gli stiamo “rubando” il futuro e la speranza. Vivono e si sfogano di notte, tra discoteche e bar, forse perché di giorno non li facciamo sentire protagonisti. Li abbiamo abbandonati al loro destino.

Pubblicato il 14 settembre 2011 - Commenti (9)
07
set

Senza preti e parrocchie si blocca l'Italia

Ho apprezzato molto la risposta che ha dato, la settimana scorsa, alla signora Gaia, una “pecorella smarrita”. È un periodo in cui la Chiesa è attaccata su molti fronti, dall’Ici all’8 per mille. Ma il bene che fa è così invisibile? Eppure, le case d’accoglienza, le mense per i poveri, sono diffuse su tutto il territorio. Nella mia città ce ne sono tre, una gestita dalla Caritas, le altre due da suore. In una ha operato come volontario anche mio marito. Conosco stranieri che grazie alle suore sono riusciti a trovare un lavoro e a integrarsi. La Chiesa fa tanto per chi soffre, per gli emarginati, per gli ultimi. Dà da mangiare agli affamati, eppure si vuole cercare “il pelo nell’uovo”. In questi tempi, si sta impegnando per i profughi che arrivano a Lampedusa. Ma questa notizia non interessa i media nazionali, hanno altro cui pensare. È facile puntare il dito. Più difficile l’impegno personale. Propongo a Gaia di rimboccarsi le maniche, forse si sentirà meno smarrita.

Alma B. - Lodi

La Chiesa non è fatta solo di santi. Ci sono peccati e peccatori.Ma spararle addosso, come avviene periodicamente, prendendo a pretesto false notizie su presunti privilegi, ormai è stucchevole. Se non fosse ancora chiaro, lo ribadiamo: solo i luoghi di culto e le attività destinate ad attività sociali non pagano tasse. E questo vale anche per le altre confessioni che hanno intese con lo Stato. Voler tassare la solidarietà è aberrante. Se per un giorno si fermassero preti e parrocchie, si bloccherebbe l’Italia.

d.A.

Pubblicato il 07 settembre 2011 - Commenti (9)
05
set

Una pubblicità che offende

Ho quarantacinque anni, abito a Pomezia, in provincia di Roma, e fin da ragazzo sono un vostro abbonato. Conservo gli articoli del teologo, utili per la mia formazione e l’animazione in parrocchia. La disturbo perché, in questi giorni, ho avuto modo di vedere una pubblicità di Sky, che utilizza alcuni miracoli di Gesù per vendere i suoi servizi. Sminuendo così il significato profondo di episodi religiosi. Mi permetto di alzare la voce per chiedere se si può fare qualcosa per far smettere questo brutto spettacolo.

Stefano B.

È sempre valido il detto: «Scherza coi fanti e lascia stare i santi». Anche l’ironia deve avere un limite, che è il rispetto del sentimento religioso delle persone. Fare la caricatura di Dio e della fede denota mancanza di fantasia per i creativi pubblicitari. È una via troppo scontata, che stride sapendo che per la fedeltà a questi valori religiosi ci sono migliaia di cristiani perseguitati e uccisi nel mondo. C’è, poi, una domanda: perché si prende di mira solo la religione cristiana e non anche Maometto e l’islam? La risposta la conosciamo. Anche se la tolleranza è un valore che dovrebbe appartenere a tutte le religioni.

d.A.

Pubblicato il 05 settembre 2011 - Commenti (3)
31
ago

Quando il figlio è omosessuale

Caro don Antonio, sono un suo fedele abbonato. Sposato felicemente (così, almeno, credevo) da trent’anni, ho un bravo figlio, infermiere professionale nel reparto di rianimazione. Nell’agosto dello scorso anno abbiamo appreso che “mio” figlio è omosessuale. Dico “mio” perché da quando mia moglie ha saputo del suo orientamento sessuale, ha alzato un muro anche con me. Ora io mi divido tra mio figlio e il suo compagno e casa nostra. Il problema più grande per mia moglie è stata la vergogna. Era preoccupata di cosa potevano dire parenti e amici. E dove abbiamo sbagliato nel crescerlo. Colpe che, onestamente, io come padre non condivido.

Quando ho invitato mio figlio a parlarne tranquillamente (mia moglie si è rifiutata a un confronto), mi sono accorto di avere davanti una persona a me sconosciuta. Ha raccontato di aver avuto certezza del suo orientamento all’età di sedici anni. Mi ha confidato di non avercelo mai detto per non darci un dolore. Ma io come ho fatto a non capire e a non capirlo? Ha parlato delle sue tante sofferenze e derisioni. A volte, sino a sfiorare il razzismo. E anche della non facile scelta nel trovare un compagno che, come lui, coltiva sani princìpi morali e cristiani. Ora mio figlio convive con questo ragazzo, un medico del suo stesso reparto, che ho conosciuto a casa loro, durante una cena. Mia moglie mi ha dato del pazzo per aver accettato quell’invito. Inutile dirle che per me, al contrario di mia moglie, la cosa più importante è sapere mio figlio sereno e felice.

Posso io giudicare? In casa, però, ora vivo da separato con una moglie che si è dimenticata di essere anche madre. E tuttora fa la catechista. Ci parliamo poco. E, per sua volontà, dormiamo anche in camere separate. Come può un genitore dimenticarsi del proprio figlio? Certo, tutto si può dire delle coppie omosessuali: che non sono legalizzate, che non dureranno nel tempo, che danno scandalo… ma dimentichiamo che sono anche due esseri umani. Tutti siamo figli di Dio. Le coppie eterosessuali danno sempre il buon esempio? Non aggiungo altro. Forse, in un futuro non troppo lontano, anch’io andrò a far parte di quelle coppie “eterosessuali separate”.

Lettera firmata

Un figlio rivela ai genitori di essere omosessuale e di convivere con un compagno. Non l’ha detto prima per non recare dolore. La reazione è di profondo sconcerto. I genitori si dividono. Anzi si oppongono tra loro. Al punto da far prefigurare una possibile separazione. Nel frattempo, si pongono tante domande. Soprattutto il padre. Interrogativi comprensibili ma inconcludenti. Perché non me ne sono accorto? Cosa avrei dovuto fare? Dove abbiamo sbagliato?

In base alle acquisizioni scientifiche finora disponibili, non sappiamo ancora se l’orientamento omosessuale è attribuibile a fattori biologici o psicologici. Vale a dire, se è innato o acquisito. Una cosa è certa, ed è il presupposto da cui partire: l’orientamento o la tendenza omosessuale non è una libera scelta dell’individuo che, invece, si scopre tale con profonda difficoltà a farsene una ragione. Quel che conta è aiutare la persona a riconciliarsi con sé stessa e ad accertarne il limite, che nulla toglie alla sua dignità. E alla realizzazione umana e cristiana, se credente.

L’insegnamento del Magistero è esplicito: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona puramente come un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna» (Congregazione per la dottrina della fede, Cura pastorale delle persone omosessuali, 16).
La dignità della persona, omosessuale o eterosessuale che sia, è il punto fondamentale di partenza per affrontare gli altri problemi. Il primo riguarda il comportamento, cioè il modo di vivere la tendenza omosessuale. Se, infatti, non si è responsabili della condizione omosessuale, lo stesso non si può dire dei comportamenti Sia pure con tutti i condizionamenti interni ed esterni che esistono.

La biologia e la psicologia potranno, forse, spiegare l’orientamento omosessuale, ma non possono indicare come viverla. La morale cattolica indica queste direzioni: accettare e rispettare la persona; proporre la realizzazione umana e cristiana attraverso l’accettazione della propria condizione omosessuale; vivere la relazione in termini di amicizia. Per questo, la Chiesa disapprova la convivenza omosessuale in base al significato del rapporto sessuale che è unitivo e procreativo. E, come tale, ha senso solo nel matrimonio. I conviventi omosessuali (ma anche quelli eterosessuali) non possono accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma, in quanto battezzati, sono nella Chiesa e possono partecipare alla vita liturgica e caritativa della comunità ecclesiale. I genitori che non ne condividono la decisione di convivere, sono forse obbligati a interrompere la relazione con il figlio? La rottura dei coniugi tra di loro e con il figlio aggiunge solo male al male. D’altra parte, mantenere il rapporto con il figlio non significa approvare e condividere la scelta della convivenza omosessuale. Occorre mantenere sempre aperto il dialogo e il confronto. La Chiesa, da parte sua, difende sempre la dignità della persona. Di ogni persona umana. E denuncia ogni forma di discriminazione, emarginazione e offesa. Nella società, nella legislazione, nel lavoro.

Pubblicato il 31 agosto 2011 - Commenti (11)
26
ago

16 anni senza vacanze

La rivista mi fa tanta compagnia. Soprattutto in momenti così difficili per le famiglie. Spesso, assieme a mio padre, commentiamo gli articoli e troviamo conforto nel sapere che ci sono persone che combattono contro tanta precarietà economica. Da anni, ho dovuto tagliare molte spese. Anche quelle necessarie.
Mi arrabbio quando sento che i nostri politici, “poverini”, hanno rinunciato alle vacanze per occuparsi di noi. O, meglio, per cercare cosa ancora sottrarci per risanare il debito del Paese. Sono sedici anni che non faccio una vacanza. La mia famiglia non se lo può permettere. Dovevo aiutare i figli negli studi e finire di pagare il mutuo, con il solo mio reddito di dipendente comunale. Ho imparato a non vergognarmi nell’accettare i vestiti usati di qualche mia amica. Per fortuna, c’è ancora mio padre che ci sostiene negli imprevisti. Non voglio mostrare ai figli la mia tristezza, ma ci sono giorni in cui sono afflitta. Continui a levare la sua voce contro chi, per mantenere i propri privilegi, continua a tartassarci. La sua voce ci dà coraggio. Mantiene viva la speranza che, un giorno, qualcosa cambierà.

Anna Maria P.

Non c’è rabbia nella tua lettera, cara Anna Maria, ma tanta dignità, che non è rassegnazione. Sono famiglie come la tua, con tanti sacrifici, che tengono in piedi il Paese. E che non meriterebbero una classe politica così inetta e incapace, come l’attuale. Nei frangenti in cui è il Paese, se un politico avesse ancora la spudoratezza di lamentarsi per le ferie interrotte, ci sarebbe davvero di che indignarsi. Soprattutto, pensando a chi, come te, da anni non fa ferie. Mi piacerebbe poter pubblicare la notizia di uno o più parlamentari che hanno provveduto a “pagarti”, di tasca propria, una vacanza. Sarebbe un atto di giustizia. Cari onorevoli, c’è qualcuno che vuole ripulirsi la coscienza?

Pubblicato il 26 agosto 2011 - Commenti (1)
23
ago

Immaturi a 43 anni e con figli grandi

Ho quarantatré anni e sono una mamma divorziata. I miei figli sono grandi, uno ha quasi vent’anni e l’altro diciassette. Le scrivo perché sono delusa dalle persone con cui sono a contatto, sia nella vita privata sia al lavoro. Prima mi fidavo ciecamente di tutti, ora non più. Per tre anni e mezzo ho frequentato un uomo della mia età, e mi sono illusa. Accettavo le sue condizioni, pur di non perderlo. Lui voleva sempre avere ragione, io ero sempre quella che sbagliava. Per mia fortuna, a fine giugno, mi ha lasciata e non si è più fatto sentire. Adesso c’è un ragazzo, più giovane, che vorrebbe conoscermi meglio. Ma ho paura e continuo a rimandare. Lui ha qualche problema: due anni fa, è stato vittima di un brutto incidente in macchina. Nel mondo del lavoro sono circondata da gente falsa e invidiosa. Le colleghe sono sempre pronte a giudicarti e a farti del male. Nonostante i miei anni, non so che fare. Vorrei chiedere consiglio ai miei genitori. E, naturalmente, anche a lei.

Maria Teresa F.

In questo caso, cara Maria Teresa, più che gli altri, il vero problema sei tu. È il tuo modo di tessere relazioni, nel privato e nel mondo del lavoro, a essere immaturo. Senza personalità. Sei succube degli eventi, senza mai prendere la tua vita in mano. Ti lasci vivere e non decidi nulla, non assumi alcuna responsabilità. Accusi e scarichi tutto sugli altri. Rinunci anche alle tue idee, pur di elemosinare briciole di amore da un uomo che, all’improvviso, scompare dalla tua vita. E non sai neppure perché. Se a quarantatré anni devi ricorrere ai genitori, come una ragazzina ai primi passi e amori, è tempo per te di un serio esame di coscienza. E di darti una scossa. Per non passare da una delusione all’altra. Abbi il coraggio delle tue scelte, anche a rischio di sbagliare. Nessuno può sostituirsi a te. Soprattutto all’età che ti ritrovi. Cercare una balia non aiuta a crescere.

Pubblicato il 23 agosto 2011 - Commenti (4)
17
ago

Davanti ai poveri mi sento in colpa

Sono un pensionato, ex preside di scuola media. Abbonato da tempo immemorabile a Famiglia Cristiana, le scrivo per un parere sulle richieste di sostegno da parte di tante sigle e associazioni. Non solo in periodo natalizio, ma ormai tutto l’anno. Io ho un bonifico mensile, per l’intero anno, a favore della Caritas italiana e della Chiesa cattolica. Ogni tanto mando altre offerte per circostanze eccezionali: terremoti, disastri naturali. In Italia e all’estero. Lo faccio volentieri, perché so che le offerte vanno a buon fine. Mi sembra molto utile aiutare i missionari. Poi, però, quando tutti i giorni trovo nella mia cassetta postale tre-quattro (e anche più) bollettini con richieste di soldi, allora vado in crisi. E comincio a pensare male: dove andranno tutti quei soldi? A chi serviranno? Parlandone con amici, alcuni mi hanno detto: «Ma che problemi ti fai? Butta tutto nel cestino». La mia pensione non è ricca, ma a me basta. Quando sento o vedo situazioni di estrema miseria, o persone che dormono per strada, mi sento in colpa di non poter (o voler) fare di più. Da qui il dubbio: sono ancora un buon cristiano?

Abelardo

Nel tuo caso, caro Abelardo, verrebbe da dire: «Hai già dato». Non avere rimorsi. Anche se, parafrasando le parole di una nota canzone, «si può dare di più». La carità ha solo il limite dell’amore, che non ha limiti. Ma i beni non sono solo quelli materiali. Si può donare il proprio tempo, l’esperienza e la professionalità. Da mettere a servizio di ammalati o bambini denutriti, nelle missioni, ospedali e campi del Terzo mondo. Più che fare ragioneria della carità, un euro in più o in meno, a questo o quell’ente, è meglio offrire disponibilità. A forza di spaccare il capello, si diventa aridi.

Pubblicato il 17 agosto 2011 - Commenti (3)
10
ago

Il degrado etico è sotto gli occhi di tutti

La Chiesa italiana non può tacere. Anzi, dovrebbe farsi portavoce della rivolta morale di tanti credenti. Il degrado etico è sotto gli occhi di tutti. Assistiamo, ogni giorno, alla mercificazione del corpo delle donne, all’uso della comunicazione per manipolare fatti e notizie a proprio beneficio, alla denigrazione del dissenso attraverso la macchina del fango. Il potere non è più a servizio dei cittadini. La legalità è piegata a interessi individuali. Si fa esibizione sfacciata della ricchezza. La corruzione dilaga negli appalti pubblici. E i diritti dei più deboli sono elargiti come assistenza. Tra morale personale e pubblica c’è ampio divario. La stessa religione è usata e strumentalizzata. I poteri dello Stato si delegittimano l’un l’altro. E la democrazia è ridotta a demagogia mediatica e populismo.
Per tutto ciò, la Chiesa è chiamata a far trasparire la sua funzione profetica. Altrimenti, verrebbe meno alla propria vocazione. Non si può scambiare la prudenza con la diplomazia del silenzio. Né ci si può estraniare, quando sono in ballo valori evangelici. Sant’Ambrogio lasciò fuori dalla chiesa l’imperatore Teodosio, reduce dalla strage di Tessalonica. San Leone Magno fermò Attila, che marciava su Roma. Cara Chiesa non tacere! Se non ora, quando?

Gian Mario - Macerata

È difficile, purtroppo, contestare la tua analisi, caro Gian Mario. Il nostro Paese versa in uno stato di profondo “coma etico”. Il degrado morale, soprattutto quando alberga in alto, rischia d’essere devastante nei confronti delle nuove generazioni. I cattivi esempi, come i vizi, fanno facile presa. Per questo, tu esigi una denuncia netta da parte della Chiesa. Dai pastori ai semplici fedeli.
L’attuale degrado è segno di una profonda crisi morale. Tra le conseguenze, c’è il diffondersi di un “pensiero debole”, che considera normale la prevaricazione. E il progressivo affermarsi di una mentalità utilitarista, che elimina la distinzione tra ciò che è giusto e ingiusto. Per ridurre tutto a interessi e tornaconto personale o di gruppo. D’altra parte, se abbiamo uomini delle istituzioni compromessi con legalità, giustizia e malcostume, che non si preoccupano del bene comune ma solo dei propri affari, tutto ciò (e altro ancora) non piove dal cielo.

Se la classe politica è allo sbando, una giusta indignazione deve chiamare in causa anche quei cattolici che appoggiano provvedimenti inconciliabili con i diritti umani e i princìpi evangelici. A dire il vero, la Chiesa istituzione, in più occasioni, s’è pronunciata con forza su importanti questioni sociali: famiglia, lavoro, migranti (irregolari e rom). E, più ampiamente, sull’attuale modello di sviluppo, che dilapida le risorse naturali. E accresce le disuguaglianze tra i Paesi ricchi e quelli poveri.
Non sono mancati ripetuti richiami del Papa e dei vescovi ai cattolici che militano nei diversi partiti e schieramenti, perché siano coerenti al Vangelo e ai valori morali che professano. La missione della Chiesa non può essere altra che annunciare il Vangelo e i valori di uguaglianza, giustizia e fraternità che ne derivano. Una missione profetica. E, quindi, necessariamente critica. Forse, non sempre la Chiesa è intervenuta in modo tempestivo. E con voce netta, senza balbettare.

Il vero problema è chiedersi quanto le direttive del Magistero siano alla base dell’agire dei cattolici in politica. In qualunque schieramento e partito essi militino. E, soprattutto, qual è la formazione a un’autentica coscienza sociale della comunità cristiana. A cominciare dalla parrocchia, nel suo ruolo insostituibile di formare le coscienze. In vista di comportamenti competenti e onesti, sia nella sfera privata che in quella pubblica. In questa direzione, l’esito dei recenti referendum ha segnato un risveglio delle coscienze. E manifestato una maggiore partecipazione alla vita del Paese. Senza eccessive deleghe. Soprattutto in bianco. È tempo, semmai, di chiedere conto del loro operato a chi ci rappresenta in Parlamento. Nonostante l’esproprio del diritto a votare, dopo l’ignominiosa “legge porcata”. Da abolire quanto prima. Un altro segnale l’hanno dato le donne, con il loro sussulto di dignità, sfociato nelle manifestazioni di “Se non ora quando?”. La voglia di cambiamento si avverte nell’aria. Il soffio di una nuova primavera spira forte.

D.A.

Pubblicato il 10 agosto 2011 - Commenti (14)
03
ago

Tasse, evasione fiscale e coscienza civile

In questo momento di crisi economica per il Paese, soprattutto per i meno abbienti, il problema dell’evasione fiscale è immorale. Oltre che odioso. Le tasse evase significano maggior peso per chi le paga e minori servizi essenziali. In qualche caso, l’evasione può diventare “complicità” in omicidio colposo. Come, ad esempio, nella Sanità. Per un cristiano la denuncia degli evasori è un obbligo etico. Altrimenti si pecca di omissione. Nella realtà dei piccoli paesi, la denuncia non può che essere anonima. Ma è più grave l’evasione fiscale o la delazione?

Roberto

Su tasse ed evasione fiscale la coscienza civile dei cittadini è poco formata. Tra corruzione e non contribuzione, alle casse dello Stato vengono a mancare cifre pari a diverse finanziarie. Soldi sottratti ai servizi sociali e alle necessità dei più poveri. Da recuperare con l’aggravio dei contributi ai cittadini. Tartassati al di là delle loro possibilità. I cristiani devono distinguersi per sensibilità sociale e amore di giustizia. Non si può andare a Messa e, al tempo stesso, sottrarsi al proprio tributo per il “bene comune”. Né è corretto giustificare l’evasione, come forma di compensazione occulta contro lo Stato “vampiro”. È un pericoloso alibi al disimpegno etico. Ma gli amministratori pubblici che sprecano i “soldi di tutti” o ne abusano per interessi personali, vanno denunciati. Quanto alla delazione, sia pure a fini buoni, sarei estremamente cauto

Pubblicato il 03 agosto 2011 - Commenti (33)
27
lug

Vorrei dimettermi da questa Chiesa

Anni fa, come genitori separati di una bambina, non abbiamo potuto condividere con lei la gioia di ricevere la Comunione. Non è stato facile spiegarlo a mia figlia, ma ci è sembrato giusto farlo. In seguito mi è stato impedito di fare da padrino al battesimo di un figlio di amici. Ora, per l’ennesima volta, ho visto che questa regola, da noi rispettata con dolore, è calpestata dai potenti. La Chiesa viene sempre a patti con i poteri forti. Sono un ex salesiano, non sono un mangiapreti, ma vorrei dimettermi da questa Chiesa, anche se non so come si faccia. Non ho paura della solitudine. Col Vangelo mi sento in buona compagnia.

Giorgio

Una Chiesa profetica e meno diplomatica sta sempre dalla parte dei più deboli. È la Chiesa che si mette a servizio degli ultimi, col “grembiule”. E non si serve dei favori dei potenti. È la Chiesa del coraggio, che a chiunque sa dire con forza: «Non ti è lecito». È la Chiesa della verità, anche quando comporta un prezzo da pagare. Una Chiesa, comunque, sempre libera da condizionamenti. Non ricattata da nessuno. Per poter annunciare, con più coerenza, il Vangelo di salvezza. Una Chiesa maestra di umanità, vicina soprattutto a chi ha il “cuore ferito” come te.

Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (20)
27
lug

Il Papa e la famiglia

L’accorato appello di papa Benedetto XVI a favore delle famiglie in difficoltà è l’unica risposta efficace alla crisi che stiamo vivendo sulla nostra pelle. E che grava, in particolare, sui più poveri. Spero che l’appello del Papa sia ben accolto da tutti, per superare la grave crisi che strozza i bilanci della famiglia. Le misure adottate dai vari Governi in questi anni sono stati veri palliativi, senza risultati soddisfacenti. I vari incentivi alla rottamazione, a cominciare dalle autovetture, non hanno sostenuto le famiglie, ma incentivato i guadagni delle aziende. Capire che la famiglia, prima cellula della società, deve essere sostenuta e premiata sarebbe già un grosso risultato politico. Mi auguro che possa nascere questa consapevolezza sociale, che sappia mettere sempre la famiglia al centro delle scelte sociali e politiche.

Ilario M.

Forse, a parole, i politici capiscono l’importanza della famiglia per la vita del Paese. Non hanno il coraggio di attuare, con decisione, una vera politica che la sostenga nell’importante ruolo di crescita ed educazione dei figli. Che sono il bene e il futuro del Paese. Alle tante promesse, non fanno mai seguire uno straccio di provvedimento serio e duraturo, che sia diverso dalle “gocce” dei bonus o una tantum. Forse, perché la famiglia assorbe tutto e non alza la voce, non per chiedere l’elemosina, ma a difesa dei propri diritti. Come altri sanno fare, quando sono toccati nei loro interessi. Una sana pressione delle famiglie sulla politica è auspicabile. Non si può abusare della sua capacità di ammortizzatore sociale. E, al tempo stesso, sbeffeggiarla.

Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (1)
20
lug

Dopo anni di sonno, è ora di reagire

Su Famiglia Cristiana lei continua la battaglia contro le ingiustizie e la corruzione, che ormai non ha più pudore. Su alcuni programmi Tv, esperti qualificati approfondiscono questi temi e indicano soluzioni. Ma tutto resta come prima. Nulla che si muova.

Se ne può scrivere e parlare fin che si vuole, ma gli interessi dei potenti non vengono mai toccati. Forse, l’unica soluzione è che ci muoviamo noi. I referendum sono stati un esempio. Come è possibile convivere con questo sistema, dove più si scava e più si trova marcio e corruzione?

Lei dice: bisogna ringraziare chi in questo Paese fa ancora il suo dovere. Ma, mi creda, siamo stanchi di dare la possibilità a tanti disonesti di ridere di noi! Vorrei sapere come potremmo affrontare insieme i problemi del nostro Paese.

Silvia A. - Lecco

È già importante che si stia prendendo coscienza dei problemi e della necessità di agire e reagire. Da anni siamo stati abituati a subire “dolcemente” ogni sopruso. Cullati da un’assillante manipolazione delle menti. Ci avevano quasi convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili. A differenza di altre nazioni alle prese con insormontabili difficoltà, da noi “brillantemente” superate. Il risveglio è stato brusco. Ma appena a tempo, prima di finire nel precipizio. Ora, però, l’attenzione va tenuta desta. L’arroganza del potere (vedi ingiustizie e corruzione) prende alimento dal nostro disinteresse.

Pubblicato il 20 luglio 2011 - Commenti (13)
20
lug

Scoraggiare gli speculatori

Non è giusto che siano sempre i soliti cittadini a pagare. Non è democratico. Ci sono ancora troppi sprechi e troppi furbi che non pagano le tasse. Anziché far pagare sempre di più i cittadini, sarebbe meglio cominciare ad abolire le Province. L’attuale manovra economica non è sufficiente a superare la crisi e a far ripartire l’Italia. La cattiva gestione delle risorse, la corruzione e la burocrazia bloccano lo sviluppo del Paese. In assenza di investimenti, cresce la povertà dei cittadini. In gioco non c’è solo il benessere del popolo italiano, ma la stessa democrazia. È ora di intraprendere nuove vie.

Paolo S.

I soliti noti su cui scaricare il peso delle manovre economiche sono sempre le classi meno agiate. Una vera ingiustizia che si perpetua e si fonda sulla loro debolezza. In assenza di una politica che miri al bene comune, a essere strizzati sono sempre i più poveri. Fino all’ultima goccia di sangue. I ricchi se la cavano sempre. Perché non si prende in considerazione la campagna “zerozerocinque” (0,05) per trovare risorse, tassando le transazioni finanziarie? Servirebbe anche a scoraggiare gli speculatori.

Pubblicato il 20 luglio 2011 - Commenti (0)
13
lug

La solitudine dei nostri ragazzi

Mi chiamo Debora e frequento la terza media. A volte, in parrocchia, mi capita di leggere Famiglia Cristiana. Sfogliando il giornale e sollecitata dal parroco, con cui spesso mi confido, mi son decisa a scriverle di un problema che, oggi, molti ragazzi della mia età si trovano spesso ad affrontare.

Mi riferisco alla solitudine. Una sensazione che provi magari quando qualcuno vuole ostacolare la tua felicità. Causata da un tradimento, da una parola di offesa, da uno sguardo che ti rimanda al punto di partenza, nella tua corsa alla felicità. Un punto in cui ci si ritrova soli, nonostante attorno a te ci sia tanta gente. Nessuno, però, è disposto ad aiutarti, a sprecare del tempo con te. Pronto ad afferrarti prima che tu caschi, a offrirti un sorriso pur di vederti felice. Sei solo, sommerso dai tuoi pensieri, e non sai come venirne fuori. Hai solo paura. E non trovi risposta alle tue domande.

Ma, in fondo, la solitudine può avere uno sbocco positivo. Dopo aver sofferto e pianto inutilmente, alla ricerca di qualcuno che ti ascolti, quando hai perso ogni speranza, ecco che trovi un appoggio sicuro in Colui che sa dare una risposta ai tuoi interrogativi. E sa prenderti per mano. Quella mano che, anche quando non te ne accorgi, è sempre lì a sostenerti. È la mano sicura di Dio.

Debora

La tua lettera, cara Debora, è un’invocazione e, al tempo stesso, una denuncia contro noi adulti, perché non sappiamo più prestarvi ascolto. E non “perdiamo” il nostro tempo per stare con voi, a condividere i vostri progetti, sogni e delusioni. La fiducia in Dio è necessaria, attenzione solo che non si trasformi in un rifugio, in un estraniamento dal mondo. Buon per te che hai un prete che ha tempo di accogliere le tue confidenze. Perché la fretta, gli impegni e il correre da un posto all’altro, ha fatto trascurare anche a noi sacerdoti quella grande dote che è la capacità di ascolto.

Pubblicato il 13 luglio 2011 - Commenti (3)
13
lug

I tagli alla scuola e il futuro del paese

Mi rivolgo a lei in tono confidenziale perché sono una lettrice di “vecchia data”. Poiché ci tengo a un’informazione corretta, mi permetto di dissentire da quanto ha scritto don Mazzi sulla scuola e i docenti di Milano (FC n. 24/2011): «Come è impostata oggi la scuola, può solo aumentare il disagio giovanile e adolescenziale, con una classe docente specializzata nell’aumentare i problemi».

Io insegno ormai da oltre 23 anni e ho sempre svolto il mio lavoro con molta passione, preoccupandomi non solo di fornire nozioni ai ragazzi, ma di aiutarli anche nella loro formazione e crescita. Il giudizio di don Mazzi sui docenti è troppo negativo. Anche se lo Stato non investe su di noi, e i tagli sulla scuola ci costringono a lavorare con classi troppo numerose. Spesso i genitori non collaborano con i docenti, ma difendono sempre e comunque l’operato dei propri figli.

Una docente di scuola secondaria

Le parole di don Mazzi sono una salutare provocazione. E hanno il pregio di non passare inosservate, ma di suscitare un sano dibattito. Che sul mondo della scuola è quanto mai necessario. Se non vogliamo che vada alla deriva, nel generale menefreghismo e insensibilità istituzionale. Eppure, stiamo parlando di una cosa preziosa, di un luogo dove i nostri ragazzi passano gran parte del loro tempo negli anni dell’obbligo scolastico. Per ricevere non solo nozioni, ma una formazione che li prepara alla vita. Perché stiamo svalutando questo fondamentale compito, negando alla scuola e agli insegnanti, non solo un riconoscimento pubblico, ma tagliando anche il necessario? È una politica autolesionista.

Pubblicato il 13 luglio 2011 - Commenti (1)
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