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A metà del colloquio, la madre di Valerio sbotta: «Lei non ci crederà, ma già soltanto vederlo per casa mi irrita. Quando torna da scuola, o dalle uscite pomeridiane, e me lo vedo in giro per la cucina o sul divano del salotto, mi dà fastidio. Anche se non sta facendo nulla di male. Quando poi si parla, riusciamo sempre a litigare. Ha un atteggiamento strafottente. Porta giustificazioni ridicole. Ci stiamo chiedendo, io e mio marito, se non sarebbe meglio che andasse a vivere per qualche tempo da un’altra parte…»
Mi capita, con una certa frequenza, di incontrare genitori, soprattutto madri, esasperati per i comportamenti dei figli adolescenti, al punto da non tollerarne più neppure la presenza fisica. Sono ragazzi che si atteggiano in casa in modo antipatico, aspro, perennemente all’opposizione, oppure indolente, poco partecipe, chiuso nel proprio mondo e sordi alle richieste dei genitori.
Ci mettono sicuramente del loro per rendersi così poco amabili, questi ragazzi. E sono anche molto bravi nello scaricare sui genitori la loro confusione, il loro disorientamento, talvolta il senso di impotenza, la rinuncia a combattere. Forse proprio questo appare così irritante ai genitori. Soprattutto alle mamme. Perché i papà sono più spesso fuori casa per il lavoro. Perché talvolta sono altrove (col corpo o con la testa) anche nel tempo libero. Ma soprattutto perché il pensiero dei padri è in genere meno focalizzato sui figli. Solitamente la madre sente con più determinazione e maggiore costanza, l’impegno di accompagnare il figlio, di ricondurlo ad una ‘norma’. Forse c’è anche la difficoltà di staccare il proprio pensiero dal figlio: una separazione, quella mentale, decisamente più difficile di quella fisica.
Del resto, il compito del ‘grande separatore’ spetta al padre, che si inserisce fin dall’inizio nella relazione simbiotica successiva ai nove mesi di gravidanza e all’accudimento della fase neonatale. Per questo motivo, il padre appare spesso meno esposto alla mancanza di sopportazione che le madri vivono e che manifestano con forza. Quando il padre manca (in molti modi) il problema si fa serio… quando però c’è, la madre deve accettare di lasciargli spazio, ritirandosi fiduciosa e tollerando che gli interventi di contenimento e indirizzo siano gestiti prevalentemente dal padre.
In realtà, la realizzazione di questi interventi richiede un gioco di squadra ben rodato. E spesso finisce per confluire nelle dinamiche coniugali, cioè nel rapporto tra marito e moglie, che è altra cosa rispetto al rapporto tra padre e madre. Mi viene il dubbio che a volte le madri intolleranti verso i figli stiano segnalando la loro solitudine nel compito educativo. Una solitudine il più delle volte effettiva.
Il doppio ruolo di ciascuno dei due (moglie e madre, marito e padre) richiede una attenta gestione: per questo, per essere genitori sufficientemente adeguati, occorre tenere presente in primo luogo la manutenzione del rapporto coniugale. Trovando degli spazi dove i due si ritrovino, magari con il tacito consenso di non parlare dei figli per una sera.
Qualcuno desidera raccontare In quale modo cerca di trovate un equilibrio tra essere coniugi ed essere genitori?
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24 maggio 2013 - Commenti
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