di Fabrizio Fantoni
Fabrizio Fantoni, 54 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.
29 mar
Con queste parole Giulia e Lorenzo introducono il tema della preparazione all’esame di Stato conclusivo della scuola superiore. Come molti loro coetanei sono agitati dalla prova finale. Dal desiderio di uscire da una scuola dove hanno trascorso cinque anni e che incomincia a star stretta. Dal pensiero di come si troveranno all’università. Gli amici di poco maggiori ne parlano come di un posto dove si incontrano tante facce nuove, e dove è bello poter studiare solo ciò che interessa. Ma anche come di un’esperienza di esami difficili, di appelli che si rincorrono e di grandi studiate.
Certo, l’esame a punteggi (un tanto per i crediti degli anni precedenti, un tanto per gli scritti, un tanto per l’orale) fa compiere un esame di realtà stringente. La terza prova, con i suoi elementi di imprevedibilità, spinge a ridurre gli imprevisti con un lavoro scolastico di più ampio respiro. Qualcuno ne approfitta per affrontare lo studio con un impegno fino ad ora sconosciuto. Qualcun altro si preoccupa in modo diverso, e studia meno di quanto già non facesse, affrontando la sfida finale in modo fatalistico e confidando nella fortuna più che nelle proprie capacità. L’idea di dover dimostrare di avere spina dorsale, e magari scoprire di non averne abbastanza, forse lo spaventa troppo.
L’importante è che i genitori non facciano, con le proprie ansie, da cassa di risonanza delle preoccupazioni (consce o meno) dei candidati alla maturità. Si può stare vicino senza essere pressanti. Si può capire che un figlio poco impegnato sta combattendo una battaglia di retroguardia per restare nel paese dei balocchi e resistere all’inevitabile passaggio ad un’età più adulta, e rassicurarlo.
Dopo, le cose cambiano, per i ventenni giovani adulti. E’ sempre bene sottolineare che ‘adulti’ è il sostantivo e ‘giovani’ è l’aggettivo, non il contrario… Dopo, le sicurezze maturate dovranno emergere. Le eventuali fragilità di alcuni si faranno più scoperte e richiederanno interventi decisi ma rispettosi. Ai genitori spetterà ancora una volta il compito di tenere la barra del timone, mettere dei paletti in modo che le scelte fatte (università o lavoro) siano rispettate nei tempi giusti e senza dispersioni.
Pubblicato il 29 marzo 2011 - Commenti (1)
21 mar
Per molti il mese di marzo è il periodo della ripresa scolastica. Lo studio diviene più intenso. Si accettano gli aiuti esterni che si erano finora rifiutati. Sembra essere giunta l’ultima possibilità, di salvare l’anno o di evitare recuperi estivi. Anche chi non ha studiato molto fino ad ora, si mette sotto. I genitori, vedendo questo maggiore impegno, si acquietano un po’. Sono stanchi di continuare a richiamare ai doveri. Di discutere sul tempo dedicato ai videogiochi e alle chat. Di negoziare sugli orari di uscita e di rientro.
D’altra parte, credo che studiare oggi sia un impegno più difficoltoso che nel passato. E’ più difficile per i numerosi fattori di distrazione. Ho un’età abbastanza matura per ricordare quando al pomeriggio la Rai trasmetteva su un solo canale, in bianco e nero, per un’oretta la TV dei ragazzi e poi il cinescopio riempiva, immobile e silenzioso, lo schermo fino al telegiornale della sera.
Ma non solo: c’è un rumore di fondo, interno ed esterno, fatto di suoni, immagini, comunicazioni, ma anche di pensieri, desideri, emozioni, che i ragazzi faticano a contenere. Qualcuno, a 12 come a 16 anni, non riesce a mantenere a lungo la concentrazione. Il corpo, che dev’essere messo in disparte nell’attività mentale dello studio, si fa vivo con una quantità di stimoli (fame, sete, bisogno di andare in bagno, di muoversi…), come se non tollerasse di essere momentaneamente non ascoltato.
Oggi c’è maggiore attenzione, ma anche maggiore pressione, da parte dei genitori, preoccupatissimi che il futuro dei figli si decida esclusivamente sulla base dell’andamento scolastico dei figli. Un tempo i genitori non conoscevano a memoria il diario del figlio, il succedersi delle lezioni nel corso della giornata, come accade oggi. Non studiavano sistematicamente accanto al pargolo, come capita a molte madri (e padri) di scuola media e non solo. Col risultato che il figlio aspetta che la mamma torni dal lavoro per mettersi a studiare e fare i compiti. Le mamme e i papà di un tempo, più lontani ma anche più fiduciosi verso il futuro dei figli, intervenivano solo in caso di brutti voti o di pagelle negative, non prima.
I genitori, in prima battuta, possono fare due cose: la prima è stare attenti a non parlare troppo di scuola con i figli. Qualche ragazzo si lamenta che le comunicazioni in casa riguardano solo la scuola. A tavola si parla solo di come è andata la giornata in classe, dal punto di vista delle interrogazioni e dei voti, al massimo per chiedere se si è comportato bene. Sfugge ai genitori la ricchezza delle relazioni, delle esperienze di vita, degli scambi tra coetanei e con gli adulti che tanta parte hanno nel successo (o insuccesso scolastico). Prima viene il figlio, con la sua vita, poi lo studente!
La seconda cosa riguarda l’aiuto nell’organizzazione del tempo pomeridiano, in cui spesso i ragazzi sono soli a casa. Riconoscere che ci sono bisogni di movimento, di svago, di riposo che vanno conteggiati nei tempi del pomeriggio. Che nel conteggio, vanno considerati con equilibrio il tempo di studio e quello di riposo. Le ore impegnate nelle attività sportive, negli impegni fissi, ma anche il tempo da trascorrere in chat.
E’ utile per questo che il ragazzo predisponga uno schema giornaliero diviso in mezz’ore, su cui indicare, con colori diversi, che cosa si progetta di fare. Segnando quando si farà merenda (per evitare di passare il pomeriggio mangiando). A che ora si uscirà per gli allenamenti. Se si inizierà con i compiti di una materia o di un’altra, in base all’interesse o all’impegno richiesto, facendo un preventivo di quanto tempo ciò occuperà. Valutando infine se si sono rispettati o no i tempi, e perché. Ne sortirà anche un’utile riflessione sul tempo pomeridiano, che per molti adolescenti sembra una grandezza quasi infinita, da riempire o da lasciar scorrere, e non una risorsa limitata da utilizzare bene.
Pubblicato il 21 marzo 2011 - Commenti (1)
09 mar
Vorrei che non ci fosse l’età fra i dieci e i ventitré anni, o che la gioventù la passasse tutta a dormire; perché non c’è niente in mezzo se non metter e incinte le ragazze, far soprusi agli anziani, rubare e picchiarsi.
(W. SHAKESPEARE, Il racconto d’inverno, atto III, scena 3a)
Dopo il consueto aggiornamento su voti e note, Dario (17 anni) mi dice di conoscere sia il ragazzo che ha subito il pestaggio che il gruppo degli aggressori. E’ gente del quartiere, ma appena escono lui e i suoi amici gliela devono far pagare… Sono bastardi che hanno approfittato del numero per picchiare ingiustamente uno che non c’entrava niente. Ed era pure più piccolo.
Mi colpisce la carica da giustiziere, e la difficoltà di uscire dalla logica del far pagare la violenza con altra violenza. Certo, e lo dice con qualche sollievo, da un po’ si vede una maggiore presenza delle forze dell’ordine, che hanno già fermato spacciatori e piccoli boss della zona, e ne hanno messo dentro qualcuno. Lui sa starci con queste persone. Lì ci è nato e sa come muoversi. Non ha paura; ha messo in fuga tre ceffi che volevano rapinarlo, e solo quando l’ha detto a suo padre ha capito che la sua reazione difensiva poteva essere rischiosa, e magari provocargli una coltellata.
Come avviene per la sessualità, anche per la loro carica aggressiva gli adolescenti devono imparare ad esprimerla in forma controllata, spesso attraverso attività come lo sport o la musica. Tuttavia ci sono situazioni in cui, per condizionamenti ambientali (la famiglia, il gruppo di riferimento), i maschi adolescenti non ce la fanno (o non vogliono?) contenere la loro aggressività.
E’ una sfida ardua per le famiglie e per gli educatori. Perché è una carica che non si può ammansire facilmente. Bisogna provare ad ascoltarla, a riconoscere che cosa c’è in profondità. A proporre modi diversi e interessanti di vivere la virilità. A sfidarli a dimostrare che hanno la colonna vertebrale dritta se imparano ad affrontare il cammino per diventare adulti. Che non è la paura (che hanno o che fanno a qualcuno) che può impedire di incontrarsi e di parlarsi. Che non è possibile crescere e affermare se stessi se non si impara ad utilizzare bene l’aggressività, per affrontare le sfide, per difendere un proprio spazio personale dalle intrusioni degli adulti o dei coetanei, per tollerare e gestire la conflittualità presente in tutti i rapporti umani.
Tutto questo si impone a maggior ragione quando l’aggressività dell’adolescente esplode in casa e incrina gli equilibri familiari. Qualcuno ne ha esperienza?
Pubblicato il 09 marzo 2011 - Commenti (0)
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