Don Sciortino

di Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 54 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 
22
dic

Pensare al Natale: un augurio

Ciò che più mi colpisce, del Natale, resta sempre l’evento incomprensibile di un Dio creatore e Signore assoluto del tutto che, anziché starsene nel più alto dei cieli, nella sua pienezza assoluta e perfetta, avverte una specie di ‘mancanza’ in sé e decide di calarsi nel corpo di un uomo, provando in tutto la condizione umana. E lo fa per amare fino in fondo l’uomo e tutto il creato.

Resta per me un atto di immenso coraggio e di amore assoluto quello di Dio che si fa piccolo, fino ad entrare nella vita di un bambino, inerme di fronte ai bisogni più elementari. Che si lascia vincere dal sonno o squassare dalla fame. Che si lascia accarezzare, nutrire, vestire, pulire e sperimenta tutte le primordiali sensazioni di ogni bambino… E che poi cresce, incomincia a pensare, a provare i sentimenti che colorano il mondo interiore di ogni uomo. Che si consente di vivere i molteplici moti dell’animo : l’attaccamento a chi si ama, il piacere e la delusione, la paura e la rabbia. Che sperimenta il pensiero, lo studio e la conoscenza.

Per questo Dio che si è fatto uomo, tutto nel mondo appare ancora più nuovo, perché egli proviene da distanze siderali e resta pur sempre Dio, pur essendo pienamente calato nella dimensione umana. Immagino che ciò abbia molte volte provocato in Gesù una tensione enorme tra questi due estremi, sempre presenti insieme.

Questo senso di novità, quasi di stupore, che, posso immaginare, ha continuamente accompagnato Gesù, mi ricorda quello di ogni adolescente che, crescendo, vede e sperimenta con sensi nuovi e nuovi pensieri ciò che avviene attorno e dentro a sé. Anche Gesù avrà guardato il suo corpo crescere, avrà sperimentato la speranza che nutre i progetti e la fatica di realizzarli, l’incertezza e l’entusiasmo. E’ questo ciò che rende miracolosa ogni adolescenza, ciò che, quando rimane vivo, depositato dentro di noi, anche da adulti o da vecchi, ci permette di gustare la vita in modo nuovo.

Auguro a chi legge di poter sentire dentro di sé la vita rinnovata dall’atto di coraggio e di amore che Gesù ci offre anche in questo Natale 2011, incarnandosi nuovamente.

Per parte mia, regalo a tutti le parole, tanto più intense delle mie, di un grande poeta, Jorge Luis Borges, che in “Elogio dell’ombra”, rilegge così il versetto del Vangelo di Giovanni sull’Incarnazione “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv, 1, 14).

Non sarà questa pagina enigma minore
di quelle dei Miei libri sacri
o delle altre che ripetono
le bocche inconsapevoli,
credendole d’un uomo, non già specchi
oscuri dello spirito.
Io che sono l’È, il Fu e il Sarà
accondiscendo ancora al linguaggio
che è tempo successivo e simbolo.
Chi gioca con un bimbo gioca con ciò che è
prossimo e misterioso;
io volli giocare coi Miei figli.
Stetti fra loro con stupore e tenerezza.

 
 

Per opera di un incantesimo
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, prigioniero di un corpo
e di un’umile anima.
Conobbi la memoria,
moneta che non è mai la medesima.
Il timore conobbi e la speranza,
questi due volti del dubbio futuro.
Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni,
l’ignoranza, la carne,
i tardi labirinti della mente,
l’amicizia degli uomini,
la misteriosa devozione dei cani.

Fui amato, compreso, esaltato e sospeso a una croce.
Bevvi il calice fino alla feccia.
Gli occhi Miei videro quel che ignoravano:
la notte e le sue stelle.
Conobbi ciò ch’è terso, ciò ch’è arido,
quanto è dispari o scabro,
il sapore del miele e della mela
e l’acqua nella gola della sete,
il peso d’un metallo sul palmo,
la voce umana, il suono di passi sopra l’erba,
l’odore della pioggia in Galilea,
l’alto gridio degli uccelli.

 
 

Conobbi l’amarezza.
Ho affidato quanto è da scrivere a un uomo qualsiasi;
non sarà mai quello che voglio dire,
sarà almeno la sua eco.
Dalla Mia eternità cadono segni.
Altri, non questi ch’è il suo amanuense, scriva l’opera.
Domani sarò tigre fra le tigri
e dirò la Mia legge nella selva,
o un grande albero in Asia.
Ricordo a volte e rimpiango l’odore
di quella bottega di falegname.

Pubblicato il 22 dicembre 2011 - Commenti (0)
19
dic

Ancora a proposito del suicidio

La lettura dei due commenti di bastardobuono e trismamma75 (che voglio ringraziare per la fedeltà con cui seguono il blog) mi spinge ad aggiungere qualcosa al post. Quando Flavio, come molti altri ragazzi all’incirca della sua età, dice di voler morire, non credo che pensi concretamente alla morte come esperienza definitiva, dalla quale non si torna indietro, come fine completa della vita terrena. Spesso gli adolescenti, quando parlano di morte, pensano di far morire qualcosa di sé, ma di tenere qualcos’altro vivo.

E’ paradossale, ma il più delle volte, gli adolescenti che parlano di morte lo fanno per non morire. Anzi, qualcuno dice: «Se muoio, voglio proprio vedere quante persone verranno al mio funerale; voglio sentire  che cosa la gente dirà di me…». Come se si potesse partecipare al proprio funerale (come nella vecchia canzone di Jannacci) e di nascosto scoprire i legami più autentici, le amicizie più profonde, e smascherare quelle ipocrite e false. Come se in questo modo si potesse far emergere ciò che di più vivo c’è nella loro attuale esistenza.

Non tutti gli adolescenti pensano di morire, certo; anche se molti percepiscono di doversi confrontare con questa esperienza sconvolgente e radicale, sia direttamente (pensandoci, parlandone…), sia indirettamente, attraverso la musica (specie quella degli ‘eroi’ morti giovani, da Jim Morrison a Kurt Cobain) o il cinema (pensiamo ai film dell’orrore, oppure a quelli che hanno per protagonisti vampiri, zombies e altre creature morte ma vive). Forse, in tutto questo, c’è di mezzo anche l’esperienza di una ‘morte’ simbolica come quella dell’età infantile, un’epoca della propria vita così tranquilla da desiderarla ancora un po’, ma anche da superare. Si fa il “funerale” al bambino che si era (mettendo via per sempre i giochi che prima occupavano la camera; cambiando completamente amicizie e interessi…) e si diventa grandi, ma con un po’ di nostalgia per una fase della vita irrimediabilmente passata. E intanto ci si proietta  verso l’età adulta, sperando di riuscire ad arrivare al di là del guado adolescenziale. Questo è ciò che accade un po’ a tutti gli adolescenti, quelli “normali” (uso apposta le virgolette), cioè con le oscillazioni proprie di ogni adolescenza; a questi pensieri fanno da barriera le sicurezze interiori che hanno acquisito, soprattutto nelle relazioni (familiari, di amicizia, amorose) che sono così importanti. I pensieri sulla morte vengono anche a quei ragazzi e ragazze che vivono una vita più difficile, qualche volta più disperata, e pertanto temono maggiormente di non farcela a crescere e trovare la propria direzione. Loro pensano alla morte in modo meno protetto, e magari giocano pericolosamente con la morte, attraverso vari comportamenti a rischio, per sfidarla e pensare di vincerla, proprio perché ce l’hanno molto presente. Per loro le cose avvengono in modo meno sereno che per la maggior parte dei ragazzi… E’ soprattutto per loro che diventa importante trovare relazioni vere, forti, profonde, che li aggancino alla vita!

P.S. per bastardobuono: in un commento precedente avevi espresso il desiderio di chiedermi un parere più personale: puoi farlo scrivendo all’indirizzo di redazione famigliacristiana@stpauls.it. Grazie e ciao!

Pubblicato il 19 dicembre 2011 - Commenti (1)
13
dic

Flavio vuole morire

Da quando ha dodici anni (adesso ne ha 14), pensa ogni giorno di morire. Di farla finita. Così mi dice Flavio all’inizio di una consultazione, con aria tranquilla e senza la vergogna che di solito gli adolescenti manifestano quando parlano di queste cose. Mi dice che forse qualche volta succederà. Perché gli piacerebbe vedere com’è. Una volta ha provato a salire in piedi sul davanzale della finestra, ma poi è sceso. Anche altre volte ha avuto questo pensiero in modo molto intenso, ad esempio quando è scappato di casa, un pomeriggio. In quell’occasione, era in III media, ha lasciato la cartella a scuola, ha telefonato ad alcuni amici manifestando i suoi propositi, e verso sera è tornato a casa: lo hanno cercato il fratello e la sorella più grandi, lo hanno convinto gli amici. Con la sua solita tranquillità, ma anche in modo polemico, aggiunge che non l’ha fatto certo per mamma e papà…

Malgrado il garbo e la pacatezza delle sue parole, afferma le cose che dice come se fossero forti prese di posizione, che non lasciano scampo. I genitori non lo capiscono, gli pesano addosso. Vuole rendersi autonomo dalla famiglia e uscire di casa il prima possibile. Il liceo che sta frequentando al primo anno (con scarsi successi) e a cui dice che l’hanno iscritto i genitori in combutta coi prof delle medie, è una strada troppo lunga per andare a lavorare presto, come vorrebbe. Per ora ha degli amici, che gli vogliono bene e con cui vuole divertirsi. Vuole stare con loro al pomeriggio, farsi le canne insieme. Quando fuma sta bene, i pensieri di morte se ne vanno, e con loro molti altri pensieri…

In questo periodo l’unico impegno che regge stabilmente è la palestra, che frequenta da solo due volte la settimana. Vuole rafforzare il suo corpo alto ed esile. Magari, prima o poi, gli capiterà di usare la sua forza, forse in una rissa, come quelle che tanto lo attraggono, ma da cui anche si tiene a debita distanza.

I genitori, attenti e sensibili, sono preoccupati, ma anche arrabbiati: la mamma, più esigente, appare come irrigidita e in difficoltà a riconoscere le istanze di autonomia del figlio; il padre argomenta con gli stessi modi pacati e distensivi che appartengono anche al ragazzo, ma che Flavio, nel suo percorso di acquisizione della virilità, vorrebbe integrare con modi più aggressivi e ‘duri’.

La depressione di Flavio non sembra essere quella triste e amara di quegli adolescenti preoccupati di non farcela ad attraversare la ‘linea d’ombra’ della loro età per approdare alla sponda dell’essere grandi, uscendo in questo modo dalle oscillazioni e dalle incertezze identitarie della prima adolescenza. Piuttosto, Flavio sembra mancare di un obiettivo, di una méta verso la quale convogliare le proprie energie, a contatto con situazioni concrete e persone reali. Questa situazione si può definire come un caso di ‘depressione esistenziale’, una manifestazione particolare della ricerca profonda di un senso per cui vivere, che appartiene a tutte le età della vita, ma che nell’adolescenza si esprime spesso con più intensità.

Talvolta, come genitori o educatori, rischiamo di non accorgerci di una domanda di difficile decifrazione come questa, e di interpretarla in modo superficiale, o peggio moralistico e giudicante (disimpegnato! menefreghista! fannullone!).

Flavio non desidera morire, né ci sono, a mio parere, rischi in tal senso. Paradossalmente, la sua voglia di ‘provare a morire’ è una richiesta di vita più forte e coinvolgente, come ogni altra esperienza estrema. La ricerca di sensazioni intense e vive, sedata con i pomeriggi passati al parchetto a ‘fumare’, è il bisogno di un progetto di vita, ancora provvisorio ma che dia un senso ai giorni che passano. Trovare un lavoro, confrontarsi da solo con le scadenze della quotidianità, vivendo fuori dalla famiglia, sono i modi che Flavio ha scelto per dare una direzione tangibile alla propria crescita. Sa che ciò non gli è possibile nel concreto, per la sua troppo giovane età, ma non rinuncia a porre a modo suo la domanda di senso che sta nel cuore di ogni adolescente. Ha bisogno di un surplus di vita, in questo momento, che non gli viene dai progetti a lungo termine della scuola. Può essere più utile, in questa fase, un impegno di volontariato forte e coinvolgente, che preveda un incontro autentico con l’esistenza delle persone, anche nelle sue forme più difficili e faticose. Un incontro con chi ha trovato la sua strada nella apertura agli altri e nella prossimità.

In questo modo, il pensiero da cui Flavio vorrebbe fuggire, attraverso la fantasia eccitante ed estrema della morte, attraverso il rifiuto della famiglia e dello studio, attraverso l’ebetitudine delle canne, diventerebbe accessibile: trovare la propria strada da percorrere che dia la forza e la sicurezza per diventare uomo.

Pubblicato il 13 dicembre 2011 - Commenti (2)
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