di Fabrizio Fantoni
Fabrizio Fantoni, 54 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.
17 mag
Grazie a Marco : la tua testimonianza, così solida e fondata nella speranza, ci aiuta a capire bene che cosa significa ‘stare’ con un adolescente, esserci anche quando ci si sente lontani nei canoni di giudizio, nei comportamenti, nelle scelte. Significa fare lo sforzo di provare a parlare la lingua dell’altro, per fargli fare l’esperienza che si può essere ascoltati davvero. Solo così nostro figlio può abbandonare l’atteggiamento di fiducia nel genitore che aveva da bambino, e che ora rifiuta nettamente, per imparare ad ascoltarci in modo più adulto.
A volte mi viene da pensare che il genitore di un adolescente sia come il sacco del pugile : deve incassare molte botte perché il figlio si rafforzi, ma siccome è appeso a un gancio, ogni volta torna indietro. C’è sempre, non molla mai. Alla fine, come ci insegna Marco, avviene qualcosa. Una comunicazione coltivata malgrado la fatica e le incomprensioni dà frutto. Nasce una nuova possibilità di condivisione, più adulta, più matura.
Pubblicato il 17 maggio 2010 - Commenti (0)
13 mag
La pazienza, da sola, non basta. Sto ascoltando la madre di Carlo: il ragazzo ha 17 anni, frequenta con scarso impegno la III superiore. Dedica pochissimo tempo allo studio, malgrado i richiami. Però non rischia la bocciatura : non va certo bene, ma neppure troppo male. E’ chiuso, parla poco, esce raramente di casa, ha pochi amici fin dalla scuola media, che frequenta in modo discontinuo. Sembra senza interessi. Anzi, ne ha uno : la chitarra. E’ un po’ una sua fissa, dice la mamma. L’ha voluta acquistare, i genitori gli hanno proposto di prendare qualche lezione da un maestro, non ha voluto. E così, da autodidatta, ha imparato a suonarla, e passa il tempo suonando e cantando le sue canzoni preferite. Con i genitori, ha un rapporto normale: col papà parla di calcio, qualche volta si scontrano; con la mamma…
Ha le sue ‘manie’: va spesso dalla nonna, che l’ha cresciuto, e le chiede in continuazione se lei gli vuole bene. La nonna lo rassicura, è attenta ai suoi racconti di scuola, gli prepara il pranzo, lo ascolta suonare la chitarra. A casa, dice la mamma, abbiamo sempre voluto essere morbidi con lui; non siamo genitori rigidi, severi. Anche nel linguaggio, usiamo le sue parole, e non ci formalizziamo sulle parolacce. Forse, le dico, anche Carlo è cresciuto ‘morbido’ : un ragazzo sensibile, con il suo mondo di affetti e sentimenti, ma con pochi strumenti per affrontare la vita che scorre fuori dal nido familiare. E’ uno dei tanti ragazzi per i quali il cammino di separazione dalle sicurezze dell’infanzia e della vita familiare è particolarmente arduo. Deve scoprire di essere abbastanza forte per affrontare le sfide : la scuola, che gli chiede capacità di impegno, determinazione, senso della realtà; i coetanei, che gli chiedono di aprirsi, di fidarsi, di mettersi in gioco.
Il periodo estivo che si avvicina può essere una buona occasione per fare esperienze, mettersi alla prova, magari in qualche attività di volontariato e di servizio agli altri. Carlo potrà allontanarsi per un po’ dalla famiglia, se avrà il rassicurante e deciso appoggio dei genitori (specie del papà, che deve pronunciare con forza e con stima il nome di questo figlio) e la condivisione degli altri ragazzi, suoi compagni di avventura. Tornerà a settembre più consapevole delle sue risorse, e se porterà avanti il nuovo impegno, sarà più pronto ad affrontare l’anno della maggiore età.
Pubblicato il 13 maggio 2010 - Commenti (0)
08 mag
Cara Lorena, a quasi 18 anni si è ancora adolescenti, e alla domanda cruciale dell’adolescente (Chi sono?) non si è ancora data una risposta completa. Mi sembra che questa generazione faccia più fatica delle precedenti a passare all’età adulta, per tanti motivi. A mio parere, uno di questi è che si può concludere l’avventura dell’infanzia solo se ci si sente abbastanza forti per superare il guado dell’adolescenza, se si può guardare con speranza al fatto che si diventerà adulti. E questo dipende anche da noi. Molti ragazzi e ragazze fanno fatica a distaccarsi dalla prima fase della propria vita, non dimenticandola, ma inglobandola dentro di sé come un’esperienza preziosa ma superata; e allora si giocano tutti nel presente, nelle amicizie e nel divertimento, perché non riescono a guardare oltre, a pensarsi come uomini e donne adulti, cioè autonomi e responsabili. Per qualcuno, è difficile distaccarsi dai genitori, staccarsi dalle sicurezze infantili; ci si prova a sciogliere dall’abbraccio della mamma, temuto e desiderato, anche con violenza. Così, i rapporti si fanno tesi, i tentativi di dialogo vengono frustrati, l’opposizione si fa pesante. Eppure, è proprio in queste situazioni che si fa più evidente la fatica di crescere. Se fai fatica a manifestare stima verso tua figlia, è come se tu fossi uno specchio in cui non si vede sicura e capace, ma svalutata e arrabbiata. Lei preferirà guardarsi nello specchio degli amici, che le rimandano un’immagine più positiva. Prova a chiederti quali sono le sue qualità migliori e più mature, e a proporle qualche occasione in cui possa dimostrarle. Ti farà vedere che ha quasi 18 anni e tu potrai darle finalmente un riconoscimento positivo. Alla fine, il giudizio dei genitori resta sempre quello più atteso (e temuto) dai ragazzi.
Pubblicato il 08 maggio 2010 - Commenti (0)
07 mag
Giulia non ha voglia di studiare: adesso meno di prima, perché le belle e lunghe giornate di primavera invitano a godere la compagnia degli amici. A 16 anni questa è la ‘seconda famiglia’, soprattutto quando nella prima, a casa, si fa fatica ad ascoltarsi e si litiga spesso.
Sì, perché i genitori parlano sempre e solo di scuola: com’è andata, che voti hai preso oggi (ancora una insufficienza, alla fine dell’anno! Non ci rovinare l’estate con i recuperi!), non starai pensando di farti bocciare… Sono troppo preoccupati, il tempo stringe a maggio, lo scrutinio finale è vicino, per chiedere qualcos’altro. Persino la nonna, quando telefona, chiede subito: “Allora, Giulia, stai migliorando a scuola? Mi raccomando, pensa alla mamma e al papà…”.
Giulia mi guarda, e con gli occhi lucidi, mi dice: “E a me, chi pensa? Perché nessuno a casa mi chiede se sto bene o male, se sono contenta oppure no? Solo qualche amica mi ascolta e prova a capire come sto”.
C’è una protesta silenziosa, una rabbia sorda, in questa incapacità di Giulia nel fare i conti con lo studio. Anche le sue compagne non hanno voglia di studiare, proprio come lei, ma loro, bene o male, riescono a farcela, a ritrovare un po’ di impegno, ad accantonare il divertimento e le distrazioni.
Giulia confessa la sua impotenza, la sua incapacità di trovare un senso, di guardare al futuro, di esprimere le sue parti adulte, che la scuola mette alla prova : l’affidabilità, la continuità, la capacità di affrontare la fatica mentale.
Va accompagnata, in modo rispettoso ed emancipante: ha bisogno di qualcuno che la indirizzi e la sostenga, nell’uso del tempo pomeridiano, nella regìa dei vari impegni, nelle strategie di fine anno scolastico. E’ il momento per Giulia di attivarsi, di chiedere aiuto ai genitori e ai professori.
Gli adulti, in questo momento, devono rispondere: devono mostrare a Giulia che stanno ascoltando quello che confusamente sta dicendo. C’è il rischio che Giulia si lasci andare, che magari finisca per fare fuori, con l’arma dell’insuccesso scolastico, la studentessa che c’è in lei, perché ha temuto che fosse l’unica parte di lei che interessava agli adulti.
Pubblicato il 07 maggio 2010 - Commenti (1)
05 mag
A 14 anni, nella prima adolescenza, tra il corpo e la mente di un adolescente c’è uno scarto notevole, soprattutto se è un maschio. Il corpo è in piena trasformazione e diventa uno strumento potente per esprimere quello che il ragazzo prova. La mente è di solito più immatura : è troppo recente la protezione e la tranquillità di quando si era bambini, la capacità di riflettere più in profondità su di sé sta muovendo i suoi primi passi. Emozioni forti come la rabbia o la delusione trovano più facilmente la via dell’espressione corporea che non quella del pensiero più riflessivo e maturo; tanto più che la nuova prestanza fisica, l’energia muscolare, la voce più potente dicono meglio l’intensità degli stati d’animo.
Il genitore fa fatica: anche per lui questa è una novità. Non sempre il figlio è disponibile al ragionamento, che permette di raffreddare l’emotività e riflettere sulle conseguenze dei propri comportamenti. Per di più, la violenza delle manifestazioni del figlio suscita in noi adulti emozioni di pari intensità. Rischiamo di essere simmetrici a lui, quindi sullo stesso piano. Possiamo provare a non essere lo specchio della rabbia di nostro figlio, ma a proporgli un modo diverso di affrontare le situazioni, ugualmente caldo ma più ragionevole; in grado di vedere le cose dal suo punto di vista per fargli poi apprezzare anche il nostro?
Pubblicato il 05 maggio 2010 - Commenti (0)
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