Don Sciortino

di Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 54 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 
19
apr

Adolescenti con ansia e attacchi di panico

Martino, 18 anni appena compiuti, da qualche settimana ha paura a dormire da solo. Gli è capitato, pochi mesi fa, di risvegliarsi all’improvviso, nel cuore della notte, con un’oppressione al petto, il cuore che batteva all’impazzata e difficoltà di respirazione. Tutti gli esami clinici svolti non hanno evidenziato problemi organici. Eppure, ancora oggi, spesso la notte si sveglia e non riesce a riaddormentarsi. Per questo vuole che qualcuno dorma in camera con lui, e talvolta dorme nel lettone con uno dei genitori.

Luca
, 21 anni, pur avendo un lavoro in centro città, non riesce a prendere la metropolitana, che gli risulterebbe comodissima. Inoltre, pur amando lo sci e lo snowboard, con cui ha sempre compiuto prodezze senza alcuna paura, ora teme di non poter salire su una funivia, attanagliato dal panico, come gli è accaduto nello scorso inverno.

Giovanni, che fin da piccolo era abituato ai soggiorni di studio all’estero o ai viaggi con la scuola, oggi, al solo pensiero di prendere un aereo, teme che gli vengano malesseri addominali e vomito (come gli è capitato in un viaggio recente) e non vuole più allontanarsi di casa. Ora è molto preoccupato, perché i suoi amici gli hanno proposto una vacanza su un’isola greca dopo l’esame di diploma di quinta, e non sa che cosa fare.

Che cosa succede in questi ragazzi
, che in modo inaspettato manifestano episodi ansiosi e talvolta veri e propri attacchi di panico? Sovente si verificano in occasione di viaggi, o di situazioni di novità, e hanno carattere di regressione. Come se, allontanandosi dalle certezze della routine quotidiana e dal supporto della famiglia, riemergessero antiche paure, insicurezze profonde tacitate negli anni precedenti, bisogni infantili di rassicurazione.

In realtà, mi sembra che situazioni di questo tipo esprimano sì la manifestazione di qualche lacuna nella struttura della personalità, di elementi di fragilità dell’io. Ma che l’elemento rilevante siano le nuove sfide con cui il ragazzo, giunto nella fase conclusiva dell’adolescenza, deve confrontarsi. Il passaggio alla condizione di “giovane adulto”, soprattutto nei maschi, è caratterizzato da eventi di profondo valore simbolico : il compimento dei 18 anni, l’ottenimento della patente di guida, e più avanti l’esame di maturità, il passaggio alla condizione di studente universitario o di giovane lavoratore (con tutta la fase di ricerca attiva che quest’ultima opzione richiede).

Capire il significato di queste manifestazioni
, segnali di movimenti che avvengono a livello più profondo nella mente del giovane, richiede certamente un ripensamento della storia passata, anche remota, del ragazzo, in modo da risalire, grazie a un’attenta ricostruzione, alle radici profonde di questi fenomeni ansiosi. Ma anche uno sguardo in prospettiva a che cosa il ragazzo pensa di sé e del proprio futuro, alle sue risorse personali più autentiche, e a come sente di poterle utilizzare nella partita che sta iniziando.

Dietro ai comportamenti di ogni adolescente
, c’è sempre la domanda implicita che riguarda la definizione della propria identità (Chi sono io?). Ma non dobbiamo dimenticare anche l’altro quesito, altrettanto importante, che attiene alla crescita, al distacco dalle sicurezze infantili e alla possibilità di trovare il proprio posto nel mondo : Ce la farò?

Ci torneremo nei prossimi post, magari con l’apporto dei vostri commenti.

Pubblicato il 19 aprile 2013 - Commenti (3)
19
dic

Ancora a proposito del suicidio

La lettura dei due commenti di bastardobuono e trismamma75 (che voglio ringraziare per la fedeltà con cui seguono il blog) mi spinge ad aggiungere qualcosa al post. Quando Flavio, come molti altri ragazzi all’incirca della sua età, dice di voler morire, non credo che pensi concretamente alla morte come esperienza definitiva, dalla quale non si torna indietro, come fine completa della vita terrena. Spesso gli adolescenti, quando parlano di morte, pensano di far morire qualcosa di sé, ma di tenere qualcos’altro vivo.

E’ paradossale, ma il più delle volte, gli adolescenti che parlano di morte lo fanno per non morire. Anzi, qualcuno dice: «Se muoio, voglio proprio vedere quante persone verranno al mio funerale; voglio sentire  che cosa la gente dirà di me…». Come se si potesse partecipare al proprio funerale (come nella vecchia canzone di Jannacci) e di nascosto scoprire i legami più autentici, le amicizie più profonde, e smascherare quelle ipocrite e false. Come se in questo modo si potesse far emergere ciò che di più vivo c’è nella loro attuale esistenza.

Non tutti gli adolescenti pensano di morire, certo; anche se molti percepiscono di doversi confrontare con questa esperienza sconvolgente e radicale, sia direttamente (pensandoci, parlandone…), sia indirettamente, attraverso la musica (specie quella degli ‘eroi’ morti giovani, da Jim Morrison a Kurt Cobain) o il cinema (pensiamo ai film dell’orrore, oppure a quelli che hanno per protagonisti vampiri, zombies e altre creature morte ma vive). Forse, in tutto questo, c’è di mezzo anche l’esperienza di una ‘morte’ simbolica come quella dell’età infantile, un’epoca della propria vita così tranquilla da desiderarla ancora un po’, ma anche da superare. Si fa il “funerale” al bambino che si era (mettendo via per sempre i giochi che prima occupavano la camera; cambiando completamente amicizie e interessi…) e si diventa grandi, ma con un po’ di nostalgia per una fase della vita irrimediabilmente passata. E intanto ci si proietta  verso l’età adulta, sperando di riuscire ad arrivare al di là del guado adolescenziale. Questo è ciò che accade un po’ a tutti gli adolescenti, quelli “normali” (uso apposta le virgolette), cioè con le oscillazioni proprie di ogni adolescenza; a questi pensieri fanno da barriera le sicurezze interiori che hanno acquisito, soprattutto nelle relazioni (familiari, di amicizia, amorose) che sono così importanti. I pensieri sulla morte vengono anche a quei ragazzi e ragazze che vivono una vita più difficile, qualche volta più disperata, e pertanto temono maggiormente di non farcela a crescere e trovare la propria direzione. Loro pensano alla morte in modo meno protetto, e magari giocano pericolosamente con la morte, attraverso vari comportamenti a rischio, per sfidarla e pensare di vincerla, proprio perché ce l’hanno molto presente. Per loro le cose avvengono in modo meno sereno che per la maggior parte dei ragazzi… E’ soprattutto per loro che diventa importante trovare relazioni vere, forti, profonde, che li aggancino alla vita!

P.S. per bastardobuono: in un commento precedente avevi espresso il desiderio di chiedermi un parere più personale: puoi farlo scrivendo all’indirizzo di redazione famigliacristiana@stpauls.it. Grazie e ciao!

Pubblicato il 19 dicembre 2011 - Commenti (1)
15
apr

Adolescenti in viaggio su internet

Sentendo molti ragazzi e ragazze che mi raccontano le loro esperienze di internet, mi accorgo che, se è vero che ci sono ragazzi irretiti e a volte dipendenti (dai videogiochi on line, dai social network), è pur vero che la maggioranza ne fa un uso abbastanza moderato e ‘saggio’.

Non preferiscono internet alla concreta frequentazione di amici ed amiche, né soppiantano le attività sportive e sociali con il mondo virtuale. Hanno acquisito le regole di comportamento più elementari, non si legano a sconosciuti né pubblicano dati personali… Certo, non sono molto interessati a salvaguardare la propria immagine e diffondono ovunque foto di sé e degli amici, ma (mi sembra) senza eccedere in atteggiamenti bizzarri o sconvenienti.

Non mancano le situazioni di coloro che utilizzano internet per nascondere dietro allo schermo o esprimere apertamente i propri disagi e le proprie difficoltà relazionali; così come sono noti i modi per denigrare e umiliare ferocemente attraverso internet avversari e nemici. Il cyber bullismo, cioè la pratica di offendere violentemente o diffamare coetanei via internet, mi sembra un fenomeno soprattutto di marca femminile.

Noi adulti siamo chiamati a confrontarci con questo mondo, anche quando ne siamo digiuni o ci muoviamo poco a nostro agio nei meandri del web. Non possiamo assumere solamente comportamenti di controllo o peggio di proibizione. Capirne meglio le opportunità e i rischi diventa parte della sfida educativa. Anzi, può essere l’occasione per aprire il dialogo con i ragazzi, magari chiedendo loro di insegnarci a camminare in  questo mondo, soprattutto se è ignoto per noi. Ne può nascere uno scambio più libero e meno rigido delle solite ‘comunicazioni educative’ che impartiamo ai figli.

E poi, dobbiamo farci aiutare da chi studia l’utilizzo delle nuove tecnologie in chiave educativa (e non solo didattica). Ai blog su questi temi già presenti su questa testata on line, e che trovate accanto al mio, voglio aggiungere un’ulteriore indicazione. Un giovane preside di una scuola secondaria di Monza, Danilo Piazza, e un regista esperto di nuove tecnologie, Roberto Alfieri, hanno creato un vivace sito per genitori, ragazzi e insegnanti: www.bitsicuri.net. Qui sotto potete vederne il video di presentazione.

Pubblicato il 15 aprile 2011 - Commenti (1)
09
mar

Occhio per occhio?

Vorrei che non ci fosse l’età fra i dieci e i ventitré anni, o che la gioventù la passasse tutta a dormire; perché non c’è niente in mezzo se non metter e incinte le ragazze, far soprusi agli anziani, rubare e picchiarsi.
(W. SHAKESPEARE, Il racconto d’inverno, atto III, scena 3a)

Dopo il consueto aggiornamento su voti e note, Dario (17 anni) mi dice di conoscere sia il ragazzo che ha subito il pestaggio che il gruppo degli aggressori. E’ gente del quartiere, ma appena escono lui e i suoi amici gliela devono far pagare… Sono bastardi che hanno approfittato del numero per picchiare ingiustamente uno che non c’entrava niente. Ed era pure più piccolo.

Mi colpisce la carica da giustiziere, e la difficoltà di uscire dalla logica del far pagare la violenza con altra violenza. Certo, e lo dice con qualche sollievo, da un po’ si vede una maggiore presenza delle forze dell’ordine, che hanno già fermato spacciatori e piccoli boss della zona, e ne hanno messo dentro qualcuno. Lui sa starci con queste persone. Lì ci è nato e sa come muoversi. Non ha paura; ha messo in fuga tre ceffi che volevano rapinarlo, e solo quando l’ha detto a suo padre ha capito che la sua reazione difensiva poteva essere rischiosa, e magari provocargli una coltellata.

Come avviene per la sessualità, anche per la loro carica aggressiva gli adolescenti devono imparare ad esprimerla in forma controllata, spesso attraverso attività come lo sport o la musica. Tuttavia ci sono situazioni in cui, per condizionamenti ambientali (la famiglia, il gruppo di riferimento), i maschi adolescenti non ce la fanno (o non vogliono?) contenere la loro aggressività.

E’ una sfida ardua per le famiglie e per gli educatori. Perché è una carica che non si può ammansire facilmente. Bisogna provare ad ascoltarla, a riconoscere che cosa c’è in profondità. A proporre modi diversi e interessanti di vivere la virilità. A sfidarli a dimostrare che hanno la colonna vertebrale dritta se imparano ad affrontare il cammino per diventare adulti. Che non è la paura (che hanno o che fanno a qualcuno) che può  impedire di incontrarsi e di parlarsi. Che non è possibile crescere e affermare se stessi se non si impara ad utilizzare bene l’aggressività, per affrontare le sfide, per difendere un proprio spazio personale dalle intrusioni degli adulti o dei coetanei, per tollerare e gestire la conflittualità presente in tutti i rapporti umani.

Tutto questo si impone a maggior ragione quando l’aggressività dell’adolescente esplode in casa e incrina gli equilibri familiari. Qualcuno ne ha esperienza?

Pubblicato il 09 marzo 2011 - Commenti (0)
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