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Occhio per occhio?

Vorrei che non ci fosse l’età fra i dieci e i ventitré anni, o che la gioventù la passasse tutta a dormire; perché non c’è niente in mezzo se non metter e incinte le ragazze, far soprusi agli anziani, rubare e picchiarsi.
(W. SHAKESPEARE, Il racconto d’inverno, atto III, scena 3a)

Dopo il consueto aggiornamento su voti e note, Dario (17 anni) mi dice di conoscere sia il ragazzo che ha subito il pestaggio che il gruppo degli aggressori. E’ gente del quartiere, ma appena escono lui e i suoi amici gliela devono far pagare… Sono bastardi che hanno approfittato del numero per picchiare ingiustamente uno che non c’entrava niente. Ed era pure più piccolo.

Mi colpisce la carica da giustiziere, e la difficoltà di uscire dalla logica del far pagare la violenza con altra violenza. Certo, e lo dice con qualche sollievo, da un po’ si vede una maggiore presenza delle forze dell’ordine, che hanno già fermato spacciatori e piccoli boss della zona, e ne hanno messo dentro qualcuno. Lui sa starci con queste persone. Lì ci è nato e sa come muoversi. Non ha paura; ha messo in fuga tre ceffi che volevano rapinarlo, e solo quando l’ha detto a suo padre ha capito che la sua reazione difensiva poteva essere rischiosa, e magari provocargli una coltellata.

Come avviene per la sessualità, anche per la loro carica aggressiva gli adolescenti devono imparare ad esprimerla in forma controllata, spesso attraverso attività come lo sport o la musica. Tuttavia ci sono situazioni in cui, per condizionamenti ambientali (la famiglia, il gruppo di riferimento), i maschi adolescenti non ce la fanno (o non vogliono?) contenere la loro aggressività.

E’ una sfida ardua per le famiglie e per gli educatori. Perché è una carica che non si può ammansire facilmente. Bisogna provare ad ascoltarla, a riconoscere che cosa c’è in profondità. A proporre modi diversi e interessanti di vivere la virilità. A sfidarli a dimostrare che hanno la colonna vertebrale dritta se imparano ad affrontare il cammino per diventare adulti. Che non è la paura (che hanno o che fanno a qualcuno) che può  impedire di incontrarsi e di parlarsi. Che non è possibile crescere e affermare se stessi se non si impara ad utilizzare bene l’aggressività, per affrontare le sfide, per difendere un proprio spazio personale dalle intrusioni degli adulti o dei coetanei, per tollerare e gestire la conflittualità presente in tutti i rapporti umani.

Tutto questo si impone a maggior ragione quando l’aggressività dell’adolescente esplode in casa e incrina gli equilibri familiari. Qualcuno ne ha esperienza?

Pubblicato il 09 marzo 2011 - Commenti (0)

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Autore del blog

Mio figlio l'adolescente

Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 55 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 

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