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Ho letto il commento della signora Salvador al post del 19 aprile. Comprendo bene lo stato di ansia che da Tommaso si diffonde sul resto della famiglia e genera in tutti un senso di dolorosa impotenza. Qualsiasi gesto di rassicurazione e di vicinanza non sembra avere effetto. I malesseri fisici del ragazzo sono reali, ma sfuggono alle cure abituali e fanno intravvedere una situazione in cui il ragazzo è fortemente "messo alla prova".
E’ difficile fornire una risposta esauriente, che potrebbe essere data dalla consultazione con uno specialista, a mio parere necessaria se gli stati ansiosi non si concludono con la fine della scuola o si ripropongono alla ripresa di settembre. Posso però provare a fornire alcuni spunti di riflessione.
Un primo elemento da capire è questo: i sintomi ansiosi di cui si parla sembrano emersi all’improvviso, da poche settimane, ma forse sono stati preceduti da qualche preavviso. Si tratta di un fulmine a ciel sereno, oppure già in precedenza ci sono stati dei segnali di malessere che il ragazzo ha manifestato attraverso il corpo? Ci sono già state nel passato somatizzazioni, o comportamenti ansiosi? In quali situazioni, e come sono stati superati?
Una seconda pista di riflessione riguarda questa fase dell’anno. La fine della scuola può attivare una serie di sintomi di questo tipo, legati all’impegno finale delle verifiche e alle preoccupazioni per il bilancio conclusivo della pagella, anche quando i risultati scolastici sono complessivamente positivi. Più in profondità, ci si può interrogare sulla pressione che un ragazzo percepisce a riguardo dei risultati scolastici. Tale pressione viene esercitata sia in modo diretto che indiretto. Direttamente attraverso le richieste degli insegnanti, mediate anche dal tipo di relazioni presenti in classe (ad es. se il clima del gruppo è fondato soprattutto sul supporto reciproco o sulla competizione…). Indirettamente attraverso le aspettative che il ragazzo ha su di sé e che talvolta risentono degli atteggiamenti dei genitori nei confronti dello studio e delle prestazioni scolastiche.
Un terzo elemento riguarda la versatilità dell’adolescente nell’esprimere i propri malesseri. Ad esempio, capita spesso che un ragazzo, attraverso le somatizzazioni e le fobie, manifesti ‘pensieri’ difficili da affrontare e da elaborare, che quindi non trovano la via della parola. Un adolescente che parla poco, che fatica a tradurre i suoi dubbi, le sue preoccupazioni, gli stati emotivi, va aiutato a recuperare le parole per dirli. Con pazienza, talvolta interpretando noi adulti con le parole giuste i suoi stati d’animo al suo posto, altre volte aspettando con tenacia che il ragazzo spezzi i suoi silenzi e dica qualcosa.
Altre dinamiche più profonde e specifiche della fase adolescenziale vanno individuate ed affrontate con una consultazione dei genitori e del ragazzo con uno psicologo esperto di adolescenti o in un servizio specialistico territoriale.
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04 giugno 2013 - Commenti
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