Bacio di Giuda, copia del mosaico della basilica di San Marco, Venezia.
"Giuda si avvicinò
a Gesù e disse: «Salve, Rabbì».
E lo baciò.
Gesù gli disse:
«Amico, per
questo sei qui!».
(Matteo 26,49-50)
In quella notte fosca, nell’orto degli Ulivi,
detto in aramaico Getsemani (“frantoio per
olive”), s’avanza Giuda, il discepolo soprannominato
“Iscariota”, forse “uomo di Kariot”,
un villaggio meridionale della Terra
Santa, oppure – secondo le varie ipotesi interpretative
formulate dagli studiosi – deformazione
del termine latino sicarius, con cui i Romani
bollavano i ribelli al loro potere, o ancora
’ish-karja’, “uomo della falsità”, forse
un soprannome negativo assegnatogli successivamente.
Il celebre gesto del bacio che egli
compie è divenuto un emblema del tradimento,
e Gesù, secondo il Vangelo di Luca,
reagisce tristemente: «Giuda, con un bacio
tradisci il Figlio dell’uomo?» (22,48).
Matteo, invece, registra solo una reazione
secca da parte di Cristo. In greco si ha soltanto
ef’ ho párei, che significa: «Per questo sei
qui!», in pratica, «fa’ quello che hai deciso di
fare». Ma questa frase, simile a un soffio, è
introdotta da un amaro hetáire, “amico”.
L’evangelista, però, riferirà uno sbocco inatteso
di quel gesto, a distanza di poche ore da
questo scarno dialogo tra l’ex discepolo e il
suo Maestro: Giuda, infatti, restituito ai mandanti
il prezzo del tradimento, travolto dal rimorso,
s’impiccherà (27,5).
Forse egli aveva vissuto una delusione interiore
rispetto al sogno di diventare il seguace
del Messia politico liberatore dal potere
oppressivo imperiale e per questo aveva tradito,
ritrovandosi però alla fine interiormente
sconvolto.
Noi ora ci poniamo una domanda
più teologica. Se il tradimento era iscritto
nel disegno di Dio che comprendeva la morte
salvifica del Figlio, quale responsabilità
poteva ricadere su chi ne doveva essere lo
strumento di attuazione?
Non è forse vero
che Gesù aveva dichiarato che «nessuno [dei
discepoli] sarebbe andato perduto tranne il
figlio della perdizione, perché si adempisse
la Scrittura» (Giovanni 17,12)?
La questione è delicata: da un lato, c’è la libertà
efficace di Dio che opera nella storia e
nel mondo; d’altro lato, c’è la libertà della
persona umana di Giuda. Questa seconda libertà
è stata sollecitata in Giuda da Satana,
come aveva ribadito lo stesso Gesù: «Non ho
forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi
è un diavolo!», si legge nel Vangelo di Giovanni
(6,70), e lo stesso evangelista nota che, dopo
l’ultima cena con Gesù nel Cenacolo, «Satana
entrò in Giuda...; il diavolo gli aveva messo
in cuore di tradire» (13,2.27). E aggiungerà
che alla base del tradimento c’era la cupidigia
del denaro (12,4-6). La volontà di Giuda
si era, quindi, esercitata liberamente, cedendo
alla tentazione diabolica.
Come, invece, si è manifestata la libertà
di Dio, espressa nella frase «perché si adempisse
la Scrittura» usata da Gesù per collocare
l’evento del tradimento in un altro disegno
superiore? Questa formula vuole semplicemente
indicare che anche la libertà
umana con le sue follie e vergogne può essere
inserita in un disegno divino superiore.
Giuda opta coscientemente e responsabilmente
per il tradimento aderendo a Satana,
e Dio inserisce questo atto umano infame
nel suo progetto libero ed efficace di redenzione.
Dio non è, quindi, preso in contropiede
dalla scelta del traditore; egli la rispetta e
non la blocca, ma la riconduce all’interno
del disegno salvifico che si attuerà proprio
con la morte di Cristo.
Pubblicato il
16 agosto 2012 - Commenti
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