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giu

Elia reincarnato?

Il profeta Elia, mosaico absidale. Ravenna, Sant'Apollinare in Classe.
Il profeta Elia, mosaico absidale. Ravenna, Sant'Apollinare in Classe.

"Verrà Elia e ristabilirà
ogni cosa.
Ma io vi dico: Elia è già
 venuto e non l'hanno
riconosciuto.
"


(Matteo 17, 11-12)

Questa frase di Gesù è una risposta a un quesito di Pietro, Giacomo e Giovanni, mentre stanno scendendo dal monte della Trasfigurazione: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Per spiegarel’enigma di quel “prima” e di questo ritorno del profeta Elia sulla scena del mondo, dobbiamo risalire alla fonte che aveva generato questa credenza sostenuta dagli scribi giudaici di quel tempo. Essa è da identificare in una frase del profeta Malachia nella quale Dio dichiarava: «Io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore» (3,23). A sua volta, questa evidente base biblica dell’affermazione degli scribi ha la sua matrice nel racconto della fine di Elia, assunto in cielo per una piena comunione con Dio (2Re 2,1-13).

Era sorta, così, la convinzione che il profeta, vivente per sempre presso Dio dopo la sua ascensione al cielo, sarebbe ritornato ad annunciare al mondo la venuta del Messia e il giudizio finale. Non mancherà nella tradizione successiva ebraica, cristiana e musulmana – di stampo, però, esoterico e fin eterodosso – chi affermasse la sua reincarnazione, dottrina in verità aliena all’antropologia biblica che, invece, proclama la risurrezione. La tesi del ritorno di Elia, vivacemente sostenuta da certi testi apocrifi giudaici come il Libro di Enok, ha lasciato tracce nel rituale ebraico della circoncisione, durante la quale si lascia libera la cosiddetta “sedia di Elia” nella speranza che egli si renda presente.

Nella cena pasquale si ha il “calice di Elia”, tenuto colmo sperando che egli venga a comunicare l’arrivo del Messia attraverso la porta di casa lasciata socchiusa. Si riteneva anche, a livello popolare, che Elia venisse costantemente sulla terra, senza essere riconosciuto, a sostenere i poveri, i malati e i moribondi. Si spiega, così, il fatto che, quando Gesù in croce grida l’avvio del Salmo 22 in aramaico ’Elî, ’Elî, lemâ sabachtanî («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»), la folla che assiste confonda quell’’Elî, ’Elî come un’invocazione rivolta al profeta protettore dei moribondi: «Alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia!”... Gli altri dicevano: “Vediamo se viene Elia a salvarlo!”» (Matteo 27,47.49).

Con questi antefatti è facile comprendere la risposta di Gesù ai suoi apostoli: «Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, l’hanno trattato come hanno voluto». Cristo si proclama, dunque, come Messia e dichiara che il suo Elia annunziatore fu Giovanni Battista. Ma la gente non lo riconobbe come precursore del Messia Gesù e lo condannò al martirio. L’evangelista Matteo alla fine esplicita questa interpretazione aggiungendo: «Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni Battista» (17,13). Già in un’altra occasione, dopo aver tessuto l’elogio del Battista, Gesù aveva ribadito questa identificazione simbolica: «Se lo volete accettare, egli è quell’Elia che deve venire» (11,14).

Pubblicato il 07 giugno 2012 - Commenti (1)
02
giu

Su cavalli di fiamma

Giotto (Giotto di Bondone 1266-1336), Elia sul carro di fuoco, Padova, Cappella Scrovegni.
Giotto (Giotto di Bondone 1266-1336), Elia sul carro di fuoco, Padova, Cappella Scrovegni.

"Tu sei stato assunto in un turbine di fuoco su un carro di cavalli di fiamma.
Beati coloro che ti videro e si addormentarono nell’amore ”
 
(Siracide 48,9.11)

«Sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola ardeva come una fiaccola» (48,1). Inizia così il ritratto che il Siracide, sapiente biblico del II secolo a.C., ha disegnato con intensa ammirazione nella galleria di personaggi destinati a occupare le ultime pagine del suo libro, giunto a noi nella versione greca di suo nipote e in ampie porzioni dell’originale ebraico attraverso una serie di scoperte a partire dalla fine dell’Ottocento.

Il simbolo che idealmente accompagna Elia è il fuoco e questo appare soprattutto nella celebre ordalia del monte Carmelo, quando egli sfidò i sacerdoti e i profeti del dio cananeo Baal – il cui culto era stato favorito dalla regina di allora, la fenicia Gezabele (IX sec.), moglie del re di Israele Acab – a invocare la loro divinità perché facesse piovere fuoco dal cielo per incendiare i sacrifici. Il fuoco scese, ma solo dopo la preghiera che Elia rivolse al Signore: la fiamma «consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere» (si legga la pagina emozionante di 1Re 18,20-40).

Nel frammento del Siracide, che abbiamo proposto, di scena è invece la gloriosa fine del profeta, segnata da un’ascensione al cielo su un cocchio fiammeggiante (il racconto è in 2Re 2,1-18, un’altra pagina mirabile che ha conquistato la storia dell’arte). Si celebra, così, la vita di Elia oltre la morte, nell’incontro pieno e definitivo con quel Signore che egli aveva servito con coraggio, spesso nella solitudine e persino nella persecuzione da parte del potere politico, che non tollerava una voce così libera, franca e verace.

Si fa strada, in tal modo, anche nell’Antico Testamento la concezione secondo la quale il fiume dell’esistenza del giusto non ha come estuario il baratro del nulla, ma la comunione con Dio, oltre il tempo nell’eterno. Come cantava il Salmista: «Tu, o Signore, non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai invece il sentiero della vita, gioia piena davanti al tuo volto, dolcezza senza fine alla tua destra» (Salmo 16,10-11). Già nelle prime pagine della Bibbia il giusto Enok, che «aveva camminato con Dio» durante la sua esistenza terrena, «poi scomparve perché Dio l’aveva preso», cioè assunto nella sua gloria (Genesi 5,24).

Ai piedi di Elia che ascende avvolto nel fuoco, segno divino (si ricordi il roveto ardente del Sinai), c’è il suo discepolo e successore Eliseo che lo contempla e lo invoca. In lui il Siracide colloca tutti coloro che seguirono il profeta e, quindi, i fedeli al vero Dio e ad essi riserva una bella epigrafe che potremmo augurare a noi stessi sulla nostra tomba: «Beati coloro che si addormentarono nell’amore!». Un amore donato da Dio e dai fratelli e ricambiato da noi al Signore e a loro.

C’è, però, una frase che segue e che noi non abbiamo citato perché nell’originale è un po’ oscura. Potremmo, tuttavia, renderla così: «È certo, infatti, che anche noi vivremo » (o «possederemo la vita»). Chi ama, allora, deve avere in sé la certezza di fede che condividerà la stessa sorte di Elia. Come scriveva un autore polacco, Jan Dobraczynski nelle sue Lettere di Nicodemo (1952), «il fuoco dello Spirito ci ha toccati con la sua carezza capace di trasformare un pugno d’argilla in un corpo vivente... Racchiudiamo in noi un fuoco capace di trasformare il mondo».

Pubblicato il 02 giugno 2011 - Commenti (0)

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Autore del blog

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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