I quattro evangelisti, Jacob Jordaens (1593 - 1678), Parigi, Louvre.
"Erano assidui nel seguire l’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere. "
(Atti, 2,42)
San Girolamo, nella sua Lettera XIX, definiva
gli Atti degli apostoli – la seconda
opera dell’evangelista Luca, anch’essa dedicata
a un misterioso personaggio di nome
Teofilo – come frutto del lavoro di uno “storico”
accurato e di un “artista” raffinato (il greco usato
è uno dei più eleganti del Nuovo Testamento,
inferiore forse solo a quello della Lettera agli
Ebrei). Ed effettivamente questo libro – fatto di
18.374 parole greche, inferiore quantitativamente
solo al Vangelo dello stesso autore
(19.404 parole) – ci offre un vivace e documentato
ritratto della Chiesa delle origini.
La storia, infatti, s’intreccia sempre con la dimensione
spirituale e teologica.
È il caso del versetto-sommario che vogliamo
approfondire. In esso troviamo le quattro colonne
che reggono l’architettura interiore della
Chiesa di Gerusalemme. Il primo posto è riservato
all’annunzio del Vangelo affidato agli apostoli:
è la didaché e, come suggerisce questo vocabolo
greco, riassume in sé i vari aspetti di
quell’annunzio che è anche “insegnamento” didattico
nella catechesi dei credenti e non solo la
prima proclamazione ai non cristiani (quello
che in greco è chiamato il kérygma, appunto il
primo “annunzio”). Altrove (Atti 6,4) si parla della
«diaconìa della parola», ossia di un servizio
che esige un impegno totale e assoluto da parte
degli apostoli, per cui la «diaconìa della carità»
ai poveri verrà affidata a sette uomini “laici”
che verranno poi chiamati “diaconi”.
Proprio in questa linea, ecco la seconda colonna,
espressa in greco con un termine che è
entrato anche nelle nostre comunità praticanti,
la koinonía. Si tratta della «comunione fraterna
» che fu vissuta con entusiasmo e in
modo concreto in quei primi anni del cristianesimo,
e ciò viene descritto con intensità da
Luca: «La moltitudine dei credenti era un cuor
solo e un’anima sola. Nessuno diceva sua proprietà
quello che possedeva ma tutto era tra loro
comune... Nessuno tra loro era bisognoso
perché quanti possedevano campi o case li vendevano,
portavano il ricavato e lo deponevano
ai piedi degli apostoli perché venisse distribuito
secondo le necessità di ciascuno» (4,32-34).
È quella sorta di “comunismo” religioso e ideale
che rifletteva sia elementi biblici (in Deuteronomio
15,4 si legge: «Non vi sarà nessun bisognoso
in mezzo a voi»), sia componenti giudaiche
e persino di stampo greco pitagorico o stoico.
Non dobbiamo dimenticare, però, che gli
stessi Atti degli apostoli segnalano le prime
difficoltà nell’applicazione di questa
norma comunitaria: il caso di Anania e Saffira
(capitolo 5) è emblematico.
La terza colonna è la “frazione del pane”, come
si dice in greco, ossia il pane eucaristico
spezzato nella celebrazione della comunità liturgica.
E, quarta colonna, «le preghiere»: se
l’Eucaristia era il peculiare rito cristiano, ciò
non toglieva che i primi giudeo-cristiani frequentassero
ancora il tempio di Gerusalemme,
ritrovandosi in un’area specifica, «il portico di
Salomone» (5,12), cantando i Salmi biblici e il
repertorio delle benedizioni e preghiere giudaiche,
dimostrando così un legame vivo con la
propria matrice culturale e spirituale.
Pubblicato il
28 aprile 2011 - Commenti
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