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«Chi sono i miei fratelli?»

Marco Basaiti (1470 ca-1530 ca), Vocazione dei figli di Zebedeo. Venezia, Accademia.
Marco Basaiti (1470 ca-1530 ca), Vocazione dei figli di Zebedeo. Venezia, Accademia.

"Ecco, tua madre
e i tuoi fratelli
stanno fuori e cercano
di parlarti».
«Chi è mia madre
e chi sono i miei fratelli?»
".

(Matteo 12,47-48)

Antica questione dibattuta è questa sui “fratelli e sorelle” di Gesù. Nel Vangelo di Matteo si legge questa domanda ironica dei Nazaretani: «Non è costui il figlio del falegname? E sua madre non si chiama Maria? E i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non stanno tutte tra noi?» (13,55-56). Abbiamo, quindi, anche i dati anagrafici di alcuni di loro, e una fonte esterna com’è l’opera Antichità giudaiche dello storico ebreo contemporaneo Giuseppe Flavio menziona Giacomo, «fratello di Gesù, detto il Cristo» (XX, 200). Lasciamo da parte le questioni strettamente teologiche sulla verginità di Maria.

Atteniamoci solo alla dimensione storica del problema. Il vocabolo greco usato dagli evangelisti è adelphós e di per sé indica il “fratello di sangue”, anche se poi dalla prima cristianità verrà applicato ai credenti in Cristo, sulla scia delle stesse parole di Gesù presenti nel nostro brano: «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Matteo 12,50). Tuttavia, è necessario risalire al mondo semitico e al fondo linguistico e sociale sotteso ai Vangeli, in particolare a quello di Matteo. Ora, in aramaico – così come in ebraico – c’è un termine (’aha’/’ah) che designa sia il fratello, sia il cugino, sia il nipote, sia l’alleato. In questa luce si comprende perché Abramo chiami suo nipote Lot “fratello” (Genesi 13,8), come fa Labano nei confronti del nipote Giacobbe (29,15).

Nel contesto socio-culturale giudaico di Gesù il termine “fratello” non ha, quindi, un senso univoco come nel greco, ove si ha un altro vocabolo per indicare il “cugino” (anepsiós). Ora, un antico apocrifo come il Protovangelo di Giacomo (II secolo) ha considerato questi “fratelli” in realtà come “fratellastri” perché in quello scritto, al momento del matrimonio con Maria, Giuseppe confessa: «Ho figli e sono vecchio » (9,2). C’è, però, un’altra considerazione più significativa e fondata. L’espressione “fratelli del Signore” nel Nuovo Testamento (Atti 1,14; 1Corinzi 9,5) designa in realtà un gruppo specifico, quello dei giudeo-cristiani legati al clan parentale nazaretano di Gesù. Essi costituirono una sorta di comunità a sé stante, dotata di una tale autorevolezza da imporre come primo “vescovo” di Gerusalemme proprio quel “fratello di Gesù” Giacomo citato anche dallo storico Giuseppe Flavio.

Ora, nel nostro brano matteano, Cristo sembra ridimensionare i loro privilegi, riducendoli all’ambito più generale, meno “carnale” e più spirituale, della fedeltà alla volontà del Signore. Peraltro, essi non sono mai chiamati, come Gesù, “figli di Maria”. In questa luce, più che a una classificazione “genealogica”, l’espressione «fratelli e sorelle di Gesù» mirerebbe a designare un gruppo della Chiesa delle origini, che si faceva forte del suo legame parentale- clanico con Gesù di Nazaret, come spesso accadeva (e accade) nel Vicino Oriente (e non solo). Il loro rilievo emergerà indirettamente nella controversia con san Paolo riguardo al cosiddetto “giudeo-cristianesimo”, che voleva imporre ai convertiti pagani un passaggio previo attraverso il giudaismo e, quindi, la circoncisione prima di approdare al cristianesimo.

Pubblicato il 03 maggio 2012 - Commenti (0)

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Autore del blog

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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