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I cagnolini

Alessandro Allori detto il Bronzino (1535-1607), Cristo e la cananea. Firenze, San Giovannino degli Scolopi.
Alessandro Allori detto il Bronzino (1535-1607), Cristo e la cananea. Firenze, San Giovannino degli Scolopi.

"Non è bene prendere il pane
dei figli e gettarlo ai cagnolini!
".


(Matteo 15,26)

Scena piuttosto inattesa, questa, descritta solo da Matteo (15,21-28) e Marco (7,24-30): essa presenta un Gesù molto duro, ai limiti dell’insensibilità, a tal punto che gli stessi discepoli devono intervenire, almeno per placare la donna che li sta seguendo e che reca con sé il suo dramma. Cristo si trova nel territorio di frontiera con l’attuale Libano e un’indigena cananea (o siro-fenicia) si aggrappa a lui, sulla base della sua fama di guaritore, implorando un suo intervento per la figlia malata.

Gesù all’inizio la ignora semplicemente («non le rivolse neppure una parola»). All’intercessione dei discepoli che vogliono liberarsi di questa presenza importuna, reagisce con un gelido “no”: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele», ribadendo il primato dell’orizzonte ebraico nella sua missione, sulla scia dell’elezione di Israele. Ma la sua freddezza, sia pure motivata, non scoraggia la donna che gli urla: «Signore, aiutami!». E qui il nostro sconcerto raggiunge l’apice, sentendo Gesù replicarle in modo sferzante con un probabile proverbio quasi “razzista”: ai cani non si dà il pane destinato agli esseri umani!

È vero che nella frase si adotta il diminutivo più attenuato, kynária, “cagnolini”, ma è evidente l’appellativo spregiativo di “cani” riservato agli infedeli, cioè ai pagani, a causa della loro impurità religiosa e rituale, tipica di questi animali che già nell’Antico Testamento venivano usati come appellativo offensivo (“cani”) nei confronti dei prostituti maschi, presenti nei culti idolatrici. Ma quando il cuore di una madre soffre per la sua creatura, non conosce offese o limiti, e la sua replica è umile e coraggiosa al tempo stesso: «Eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».

A questo punto Gesù è, per così dire, trasformato dall’esempio della donna straniera; potremmo quasi dire che riceve da lei una lezione di fede che egli esplicita, prima di concederle il dono tanto sospirato: «Donna, grande è la tua fede!». La confessione e la lode rivolte a questa madre pagana aprono idealmente le frontiere della salvezza oltre il popolo ebraico. L’unico requisito decisivo non è più l’etnia o la cultura ma la fede, come era accaduto anche nel caso del centurione romano che implorava a Gesù la guarigione di un suo servo: «In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!» (Matteo 8,10).

Naturalmente questo comportamento di Gesù, da un lato, marca la sua reale umanità legata a una mentalità, a un linguaggio, a una sensibilità, a un’appartenenza. D’altro lato, però, esso dev’esser letto nella traiettoria della storia della salvezza che ha in Israele il punto di partenza. Dio entra in dialogo con l’umanità attraverso un popolo a cui consegna il suo messaggio e l’incarico di essere testimone nel mondo della sua salvezza.

È questo il tema dell’elezione, della promessa, dell’alleanza che lo stesso san Paolo, apostolo dei pagani, riconosce ed esalta (Romani cc. 9-11), criticando con i profeti la riduzione di questa missione da parte degli ebrei solo a privilegio o a motivo di orgoglio nazionalistico. In questa luce il nostro brano dev’essere interpretato riprendendo tra le mani un testo già da noi commentato, quando Gesù si era rivolto ai Dodici invitandoli inizialmente a «non andare fra i pagani... e a rivolgersi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele» (Matteo 10,5-6), ma infine esortandoli a «fare discepoli tutti i popoli» (28,19).

Pubblicato il 17 maggio 2012 - Commenti (2)

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Postato da Teresi Giovanni il 17/05/2012 21:27

Condivido pienamente la interpretazione data da Sua Eminenza Gianfranco Ravasi al brano evangelico di Marco (15,26). Infatti originariamente questo brano aveva lo scopo di mostrare come Gesù, pur avendo fatto in via eccezionale un miracolo in favore di gentili, abbia però limitato espressamente la sua opera al solo Israele. Marco però, narrandolo dopo la discussione di Gesù con i farisei e prima della seconda moltiplicazione dei pani, lo legge in una prospettiva nuova. Egli infatti, nella risposta data da Gesù alla donna (v. 27), ha aggiunto l’espressione «lascia prima che si sfamino i figli»: così facendo ha attenuato il netto diniego contenuto nella seconda frase («non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini»), introducendo la concezione, largamente diffusa nella chiesa primitiva, secondo cui la salvezza deve essere prima annunziata ai giudei e poi ai gentili (cfr. At 13,46; Rm 1,16). L’evangelista ha espresso però un’idea che né Paolo né Luca avrebbero condiviso: prima Gesù ha portato a termine in Galilea, con la prima moltiplicazione dei pani, l’evangelizzazione del mondo giudaico; ora apre lui stesso la porta ai gentili, offrendo anche a loro la salvezza non solo mediante la guarigione di una bambina ammalata, ma mediante una nuova moltiplicazione dei pani in loro favore. Quella che era solo un’eccezione diventa così l’inizio della seconda fase del ministero pubblico di Gesù, l’annunzio ai gentili. Questo passaggio è reso possibile dal fatto che Gesù, dichiarando puri tutti gli alimenti (Mc 7,19), ha riconosciuto che la salvezza va immediatamente, per sua natura, al di là dei confini di Israele. Giovanni Teresi

Postato da Andrea Annibale il 17/05/2012 16:31

Questo passo mi ispira un commento molto semplice, spero non banale. Gesù ha il potere di far entrare nella dimensione di figli di Dio (Giovanni 1, 12). Chi crede di essere salvo, forse rischia; mentre, chi si crede perso, forse è salvo. In diversi episodi del Vangelo (ad es., con a samaritana, Giovanni 4, 17-19), Gesù mostra di conoscere l’intimo delle persone che incontra. Infatti, egli è Dio ed è onnisciente. Il modo in cui si rivolge a questa donna è affidato al mistero di ciò che Gesù conosce circa la donna cananea incontrata. Il paganesimo che fa da sé, non può trovare liberazione dai propri demoni. Gesù disse che se avremo fede come un granello di senapa, potremo fare grandi cose (Matteo 27, 20). La donna in questione, abbandonando il paganesimo, si mostra in grado di spostare la montagna, affidando al Messia-Dio il compito di liberare la figlia dal demone che la affligge. Ciao. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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