Simone Pignoni (1611-1698), Rut e Booz. Firenze, Collezione Cisbani.
"Alla risurrezione, di
quale dei sette quella
donna sarà moglie?
Tutti infatti l’hanno
avuta in moglie!"
(Matteo 22,28)
Se si va a cercare su un dizionario
biblico la parola “levirato” (dal latino
levir, “cognato”) si trova più
o meno una definizione di questo tipo:
«Prassi giuridica dell’antichità ebraica e
di altri popoli, secondo la quale se un uomo
sposato decedeva senza figli, il fratello
più giovane ne doveva sposare la vedova
per assicurare una discendenza al
defunto: il nome del morto e la sua eredità
sarebbero stati assegnati al primogenito
di questa nuova unione». Nell’Antico
Testamento sono tre i testi che presentano
tale istituto. I primi due riguardano il
primogenito del patriarca Giuda di nome
Er, morto precocemente (Genesi
38,6-11), e Booz che prese in moglie Rut,
sposa del defunto Elimelek, essendo suo
unico parente (Rut 1,11; 4,5).
In pratica, da questi due testi emerge
che il cognato (o il parente prossimo,
in caso di assenza di cognati) doveva
sposare la vedova di suo fratello, così
da poter assicurare un erede. Il terzo
testo è, invece, squisitamente giuridico
e offre un’articolazione più complessa
dell’obbligo con una serie di specificazioni,
limitazioni ed eccezioni che non
è il caso di puntualizzare in questa nostra
trattazione (Deuteronomio 25,5-10).
Il nostro compito è, infatti, quello di
spiegare il caso limite addotto dai Sadducei,
una corrente conservatrice del
giudaismo del tempo di Cristo, proposto
a Gesù per metterlo in imbarazzo.
Essi prospettano una catena di levirati
nei confronti di una sola donna: sette
fratelli subentrano in matrimoni
successivi, morendo però tutti prima
di aver assicurato una discendenza alla
vedova e, quindi, al loro primo fratello
defunto.
Il paradosso fittizio è introdotto per
costringere Gesù a schierarsi con loro
contro i farisei – l’altra corrente giudaica
avversaria – negando la risurrezione
che questi ultimi sostenevano come dottrina
di fede. Infatti, sogghignando, alla
fine gli domandano: «Alla risurrezione,
di quale dei sette la donna sarà moglie?
». Cristo, nella sua risposta, non cade
nel tranello e replica volando alto:
«Alla risurrezione non si prende né marito
né moglie, ma si è come gli angeli
del cielo» (22,30). Egli nega, così, una
lettura “materialistica” della risurrezione.
E aggiunge una motivazione teologica
ulteriore, citando un passo
dell’incontro di Mosè con il Signore al
roveto ardente del Sinai: «Io sono il Dio
di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe.
Non è il Dio dei morti ma dei viventi!
» (22,32; cfr. Esodo 3,6).
Dio non si lega a cadaveri, ma a esseri
viventi ai quali apre un orizzonte di
vita oltre la morte secondo categorie
differenti rispetto a quelle meramente
“carnali”, basate sulla nostra storia che
si muove secondo le coordinate dello
spazio e del tempo. Si tratta di un nuovo
ordine di rapporti, di una nuova
creazione, di un orizzonte nel quale i
vincoli parentali e sociali sono trasfigurati.
Queste parole di Gesù avevano
conquistato quel grande filosofo e
scienziato credente che fu Blaise Pascal.
A partire dal 1654 fino alla morte
(1662) egli portò sempre con sé un foglio,
cucito nella fodera del farsetto, intitolato
“Fuoco”, e scoperto alla morte
del pensatore da un domestico.
Eccone il testo modulato sulle parole
di Gesù, commentate liberamente da
Pascal: «Dio d’Abramo, Dio d’Isacco,
Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei
dotti. Certezza, certezza. Sentimento.
Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo. Dio mio
e Dio vostro. Il tuo Dio sarà il mio Dio.
Oblio del mondo e di tutto fuorché di
Dio. Egli non si trova se non per le vie
indicate dal Vangelo».
Pubblicato il 26 luglio 2012 - Commenti (2)