"Gersusalemme sarà calpestata dai pagani
finché i tempi dei pagani non siano compiuti."
(Luca 21,24)
La conquista di Gerusalemme e la distruzione del Tempio da parte dell’imperatore Tito nell’anno 70 nel dipinto di Nicolas Poussin, 1638. Vienna, Kunsthistorisches Museum (Scala).
Abbiamo già avuto occasione di ricordare che nel Vangelo di Luca ci si imbatte in due brani analoghi che gli esegeti biblici hanno chiamato «la piccola» e «la grande apocalisse» (17,20-37 e 21,5-36). Si tratta di un duplice sguardo rivolto alla “realtà ultima” (in greco éschaton) della storia e del mondo, donde il termine tecnico di “escatologia”. Per abbozzare questa sorta di estuario estremo delle vicende umane e delle realtà create, già nell’Antico Testamento si ricorreva a un genere letterario detto “apocalittico”, vocabolo di origine greca che designa la “rivelazione” (apokálypsis) di un mistero.
Questo genere era ricco di simboli piuttosto forti e molto “colorati”, di visioni, di segni che evidentemente non devono essere presi alla lettera – come si è fatto in passato e come accade talvolta ancor oggi – cioè in modo fondamentalistico. Anche Gesù adotta quelle immagini: lo si può vedere leggendo l’intero brano della “grande apocalisse” lucana. Gli evangelisti, poi, nel redigere per scritto queste parole di Cristo hanno anche fatto balenare in filigrana un evento drammatico come quello della distruzione di Gerusalemme nel 70 a opera dei Romani.
La frase che noi abbiamo ritagliato da quel discorso “escatologico” parla di un sovvolgimento che colpisce appunto Gerusalemme, la quale vede ripetersi ciò che era accaduto nel 586 a.C., quando le armate babilonesi di Nabucodonosor avevano invaso e demolito il tempio e la città santa. Anche nel futuro, quindi, afferma Gesù, Sion sarà calpestata, molti «cadranno a fil di spada oppure saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni» e questo avverrà durante una fasestorica simbolicamente denominata come “tempi dei pagani” (in greco kairoì ethnôn, ossia i tempi propri delle nazioni, dei popoli stranieri, delle genti).
Ora, già nell’Antico Testamento si face- va spesso riferimento a un arco di tempo – variamente computato in modo simbo- lico in settant’anni (Geremia 25,11; 29,10; Daniele 9,1-2), oppure in settanta settimane di anni (Daniele 9,24-27) – durante il quale i popoli dominatori avrebbero pu- nito Israele peccatore, divenendo così strumento del giudizio divino. Al termine di questi “tempi dei pagani”, simili a una sorta di crogiuolo purificatore, Israele avrebbe visto la liberazione e la salvezza, inaugurando in tal modo i “tempi ultimi”, l’escatologia appunto, l’èra della salvezza piena.
Benedetto XVI nel suo secondo volume su Gesù di Nazaret (“Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione”, 2011) dedica al “tempo dei pagani” un ca- pitoletto molto interessante e lo vede come «il tempo della Chiesa» che precede la fine della storia, nel quale dev’es- sere annunziato il Vangelo a tutti i popoli. E conclude: «L’urgenza dell’evangelizzazione è motivata... da questa grande concezione della storia: affinché il mondo raggiunga la sua meta, il Vangelo deve arrivare a tutti i popoli».
Pubblicato il 26 aprile 2013 - Commenti (1)