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Il calice e il battesimo

Angeli con calice, Crocifissione (particolare). Roma, San Carlo alle Quattro Fontane.
Angeli con calice, Crocifissione (particolare). Roma, San Carlo alle Quattro Fontane.

"Potete bere il calice
che io bevo, o essere
battezzati nel battesimo
in cui io sono battezzato?".


(Marco 10,38)

Giovanni e Giacomo sono ancora avvolti nel fumo delle illusioni politiche che avevano accompagnato l’entrata in campo di Gesù, acclamato come Messia: non riescono, infatti, a concepire il regno di Dio se non in termini di potere. Ecco, allora, la richiesta anticipata di due posizioni di prestigio nel futuro organigramma: uno alla destra di Gesù e l’altro alla sua sinistra in quell’ideale consiglio dei ministri del regno dei cieli.
La replica di Cristo è severa: «Voi non sapete quello che chiedete». E subito dopo, attraverso due immagini, mostra quanto diversa sia la logica del progetto che egli sta realizzando, stracciando così ogni concezione messianica nazionalistica.

Per essere ammessi al regno che Gesù sta instaurando, c’è innanzitutto un “calice” da bere. Di per sé l’immagine nella Bibbia e nel giudaismo è ambivalente. Da una parte, c’è il calice della gioia, della consolazione offerta alle persone in lutto dopo i funerali; c’è il calice dell’ospitalità (Salmo 23,5) o quello del rito pasquale.
D’altra parte, però, c’è anche il calice dell’ira di Dio, espressione di una prova lacerante, della sofferenza e del giudizio sul male: «Nella mano del Signore è un calice ricolmo di vino drogato. Egli ne versa: fino alla feccia ne berranno tutti gli empi della terra» (Salmo 75,9).

Ora Cristo nella sua passione e morte, assumendo su di sé il peccato dell’umanità, berrà questo calice terribile. Ne proverà disgusto, tant’è vero che implorerà Dio così: «Abba’, Padre, tutto a te è possibile, allontana da me questo calice!» (Marco 14,36). Ma alla fine non esiterà nella scelta.
A Pietro, che con la spada tenta di impedire la sua cattura nel Getsemani, replicherà: «Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» (Giovanni 18,11). È, dunque, questa la via, tutt’altro che trionfale, che conduce alla gloria e quel calice verrà presentato anche ai discepoli se lo vorranno seguire sulla via della croce.

L’altra immagine è quella del “battesimo” che è assunta da Gesù nel suo significato etimologico di base: il termine deriva dal verbo greco bápto o baptízein, “immergere”.
Siamo, perciò, in presenza di un’immersione non tanto nell’acqua rigeneratrice e vitale del Battesimo cristiano, quanto piuttosto nelle onde tumultuose e tenebrose di un abisso di sofferenze, del mare tempestoso delle prove. Si ritorna, così, al simbolo del calice a cui sono chiamati anche i seguaci di Cristo, se vogliono essere ammessi alla gloria del regno di Dio.

Gesù, a questo punto, convocati anche gli altri dieci apostoli, impartisce loro una lezione sulla vera “carriera” cristiana (Matteo 10,41-45).
Essa è paradossalmente modellata sul suo esempio di “servo”, che «è venuto non per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita», ed è sintetizzata in questo “codice” ideale ben diverso da quello che si assegnano i politici e i potenti della terra: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».

Pubblicato il 12 novembre 2012 - Commenti (2)

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Postato da Andrea Annibale il 13/11/2012 03:28

“Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”. Il Padre predispone per alcuni predestinati un destino di gloria particolare. La vita di ogni cristiano, tuttavia, dovrebbe intessere continuamente relazioni nel farsi servo di tutti. La Madonna si è definita, oltre che beata, “serva di Dio nell’umiltà” (Luca 1, 48). Chi è servo di Dio nell’umiltà, si fa poi servo di tutti, inevitabilmente. Questa attenzione a tutti, nessuno escluso, si vede nella relazione col prossimo e assume una connotazione particolare se questo “prossimo” è affamato, assetato, nudo, forestiero, ammalato e carcerato. Nel farsi servi, l’orizzonte di Matteo 25, 31-46 si allarga perché Gesù dice “servo di tutti” e sembra non escludere nessuno. Servo dei poveri nell’annunciare il Vangelo di Dio, servo dei ricchi per ammonire che la ricchezza non è tutto, non può essere lo scopo della vita. Come ha intuito la beata Madre Teresa di Calcutta, c’è una povertà spirituale grandissima accanto alla povertà materiale e bisognerebbe prendersi cura di entrambe. Gesù, assiso alla destra di Dio Padre, ne condivide lo stesso regno di Gloria. E’ un regno lontano da noi, che non ci riguarda, in un certo senso, perché serve solo a portare anime in Paradiso? Secondo me no, Gesù è il Signore della Storia, nel rispetto della libertà umana. Assieme al Padre ed allo Spirito governa il destino degli eletti, conducendoli, in vista della parusia, ad una vita degna di essere vissuta già qui sulla Terra. Una vita in cui si pregustano le delizie della Nuova Gerusalemme, che discende dal Cielo pronta come una sposa per il suo sposo (Apocalisse 21, 2). Sempre Apocalisse 5, 12 dice che “L'Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione”. A volte, nel delineare la figura di Gesù, ci fermiamo alla Croce santa che è solo una tappa, anche se fondamentale. C’è molto da andare oltre la Croce per contemplare, con Santo Stefano (Atti 7, 55), la gloria futura e quindi presente del Cristo assiso alla destra di Dio. Così, si avvera ciò che dice San Paolo in 2Corinzi 8,9: “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”. Ricchi di amore e di fede, s’intende e di una vita piena di senso. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

Postato da Teresi Giovanni il 12/11/2012 14:31

Nel Vangelo Marco (10,38): Gesù reagisce con fermezza: “Voi non sapete ciò che state chiedendo!” E chiede se i discepoli sono capaci di bere il calice che lui, Gesù, berrà e se sono disposti a ricevere il battesimo che lui riceverà. E’ il calice della sofferenza, il battesimo di sangue! Gesù vuole sapere se loro, invece di un posto d’onore, accettano di dare la vita fino alla morte. I due rispondono: “Lo possiamo!” Sembra una risposta non pensata, perché, pochi giorni dopo, abbandoneranno Gesù e lo lasceranno solo nell’ora della sofferenza (Mc 14,50). I discepoli non hanno molta coscienza critica, né percepiscono la loro realtà personale. Quanto al posto di onore nel Regno accanto a Gesù, quello lo concede il Padre. Il discepolo deve seguire il maestro, anche se se si tratta di soffrire con lui. Allora i discepoli erano spaventati, e coloro che stavano dietro avevano paura. Non capivano cosa stava succedendo. La sofferenza non andava d’accordo con l’idea che avevano del messia. Giovanni Teresi

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Autore del blog

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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