"Se si tratta così
il legno verde, che avverrà
del legno secco?
(Luca 22,31)
Le Marie al calvario di Domenico Morelli (1826-1901). Napoli, Museo di San Martino.
Gesù avanza, già sfinito, lungo la
via che lo conduce al Calvario.
Nella folla incuriosita, come sempre,
delle sventure altrui (si pensi ai turisti dell’orrore che accorrono nei luoghi
ove si sono consumati delitti o tragedie),
solo l’evangelista Luca segnala la presenza di
una sorta di confraternita femminile votata all’assistenza dei condannati a morte
ai quali – stando al
Talmud, la grande raccolta antica di tradizioni giudaiche – offrivano bevande anestetiche. A loro Gesù indirizza un messaggio forte, per certi versi minaccioso.
In altri termini dichiara loro: più che
compatire me, dovreste preoccuparvi di
voi stesse e del vostro popolo.
Inizia, infatti, con questo monito: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su
di me, ma piangete su voi stesse e sui
vostri figli!» (23,28). E subito dopo calca
la sua affermazione con una serie di frasi cariche di simboli e di colori apocalittici.
La prima contiene una sorta di profezia: «Ecco, verranno giorni nei quali si
dirà: beate le sterili, i grembi che non
hanno generato e i seni che non hanno
allattato!» (23,29).
Lo sguardo di Gesù
sembra allungarsi fino alla tragedia
che colpirà Gerusalemme nel 70,
quando sarà demolita dai Romani. In realtà,
egli risale nella memoria di un altro
evento drammatico, quello del 586 a.C.
quando furono i Babilonesi a distruggere la Città santa.
In quel giorno – cantavano le Lamentazioni bibliche – «la lingua del lattante
si era attaccata al palato per la sete; i
bambini chiedevano il pane e non c’era
chi lo spezzasse loro» (4,4).
Perciò, fortunate le donne sterili che, non avendo figli, non vedevano morire tra le braccia i
loro bambini. È ciò che Gesù aveva già
detto nel suo discorso “escatologico”, ossia sulla meta ultima di Gerusalemme e
della storia umana, una fine destinata a
essere accompagnata da
un tempo di
grande sventura prima di aprirsi alla
luce della redenzione e della salvezza:
«In quei giorni guai alle donne incinte e
a quelle che allattano perché vi sarà
grande calamità nel paese e ira contro
questo popolo» (Luca
21,23).
La seconda frase, sempre cupa, che
Gesù indirizza a quelle donne è, invece,
una citazione del profeta Osea (10,8):
«Allora cominceranno a dire ai monti:
cadete su di noi! E alle colline: copriteci!» (23,30). È l’esclamazione potente di
chi, trovandosi in una sventura insopportabile, implora la morte attraverso
una catastrofe cosmica. Siamo sempre
nella linea della cosiddetta “apocalittica”, che vuole scuotere Israele perché tema il giudizio finale di Dio.
Giungiamo, così, all’ultima dichiarazione di Cristo che mette in relazione il
legno verde e quello stagionato e arido
(23,31). L’immagine, variamente precisata dagli studiosi, è comunque abbastanza nitida e netta: se ora si brucia il
legno verde, cioè intatto e vivo, simbolo di Gesù il giusto, cosa accadrà quando saranno sottoposti al giudizio i veri
colpevoli, ossia il legno secco?
Anche
nel libro del profeta Ezechiele giusto e
peccatore sono rappresentati sotto questo stesso duplice segno: «Io accenderò
in te – dice il Signore – un fuoco che divorerà ogni albero verde e secco»
(21,3). Gesù, perciò, invita a considerare
la vera tragedia che è quella del giudizio divino su chi lo sta ora uccidendo,
e quindi la condanna di Dio nei
confronti del male, della violenza e
dell’ingiustizia (il legno secco, facilmente combustibile).
Pubblicato il 10 maggio 2013 - Commenti (1)