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Il nido tra le stelle

Gesù precipita Satana di Mattia Preti (1613-1699). Napoli, Museo di Capodimonte.
Gesù precipita Satana di Mattia Preti (1613-1699). Napoli, Museo di Capodimonte.

“ La superbia
del tuo cuore
ti ha sedotto...
Anche se,
come aquila,
riesci a porre in
alto il tuo nido,
anche se lo
collocassi tra
le stelle,
di lassù io ti farò
precipitare."

(Abdia 3-4)

«Dovunque egli arrivi, il superbo si mette a sedere e tira fuori dalla valigia la sua superiorità». Con ironia lo scrittore ebreo bulgaro-tedesco Elias Canetti, Nobel 1981, nel suo libro Un regno di matite, dipingeva questo che è il primo e fondamentale vizio capitale che già alligna nel giardino dell’Eden: «Sarete come Dio» è, infatti, la promessa che il tentatore fa all’orgoglio di Adamo. Questa attrazione perversa che fa dell’Io un dio idolatrico è raffigurata in modo folgorante anche dall’autore del più breve di tutti i libri profetici, Abdia, il cui nome è un emblema, “Servo del Signore”. Di lui non sappiamo nulla e l’unica pagina di 21 versetti di cui si compone la sua opera echeggia eventi di difficile decifrazione e collocazione cronologica.

Si pensi, poi, che quasi la metà di questa pagina (versetti 2-9) si ritrova anche nel più lungo libro dell’Antico Testamento, quello del profeta Geremia (49,7-22), sia pure con variazioni. Ma lasciamo agli esegeti di esercitarsi sull’enigma Abdia e puntiamo sul frammento che abbiamo scelto, ritagliandolo all’interno del suo canto polemico – dominante nel suo scritto – contro Edom, uno dei tradizionali nemici di Israele, un popolo discendente da Esaù, il fratello maggiore di Giacobbe-Israele, da quest’ultimo ingannato e quindi divenuto vittima del suo odio (Genesi 25,19-34 e 27,1-46).

Un odio che era dilagato anche nei loro discendenti e che è suggellato qui da Abdia con la sua accusa nei confronti di Edom, «ingannato dalla superbia del suo cuore». Questa nazione bellicosa del deserto che, come dice Abdia, «abita nelle caverne della roccia», un’allusione alla sua capitale, Ha-Sela’ (2Re 14,7), forse Petra in Giordania, «dice in cuor suo: Chi potrà scagliarmi a terra?». Ecco, allora, il severo giudizio divino che umilia i superbi. La scena è molto vivida: l’aquila riesce a collocare il suo nido in alture irraggiungibili da piede umano e col suo volo maestoso sembra mirare alle stelle.

È questo il simbolo più efficace per illustrare l’arroganza del superbo che vorrebbe sfidare Dio, ascendendo verso il cielo, in un atto blasfemo e dissacratorio. È quello che Isaia rappresenta in una delle sue pagine più potenti nella quale il profeta mette in scena il grande “imperatore” di allora, il re di Babilonia, la superpotenza orientale. Il suo è un sogno – che potremmo chiamare “apoteosi”, usando una parola di origine greca che designa la “divinizzazione” – un sogno tratteggiato appunto come un’ascensione celeste: «Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il mio trono, risiederò sul monte dell’assemblea divina... Salirò sulle regioni che sovrastano le nubi, mi farò uguale all’Altissimo» (Isaia 14,13-14).

Ma subito dopo, proprio come nella breve e icastica finale del passo di Abdia, anche Isaia introduce una svolta radicale: «E invece, sei stato precipitato negli inferi, scaraventato nelle profondità degli abissi» (14-15). La meta del folle volo orgoglioso del re di Babel e di quello di Edom non è lo zenit divino ma il nadir infernale: l’ascensione si trasforma in una discesa precipite e catastrofica. È, questa, la lezione che il testo del misterioso profeta che conosciamo come Abdia ci lascia nel frammento della sua brevissima profezia, siglata in finale da una frase netta e definitiva: «Il regno sarà del Signore » (versetto 21). Il pensiero corre, allora, alle parole di Cristo: «Vedevo Satana cadere dal cielo come folgore» (Luca 10,18).

Pubblicato il 29 settembre 2011 - Commenti (2)

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Postato da Andrea Annibale il 29/09/2011 21:06

Si parla spesso della umiltà o mancanza di umiltà nell’uomo e forse si parla di meno della grande umiltà di Dio Trinità che è punto di riferimento per l’uomo che vuole essere umile. Innanzitutto, mi viene in mente l’umiltà dello Spirito Santo che si china a consolare (Consolatore è lo Spirito per ben quattro volte nel Vangelo di San Giovanni) tergendo ogni lacrima dai nostri occhi (Apocalisse, 7, 17 e 21, 4), come recita la promessa del Regno Messianico. Quale umiltà maggiore da parte di Dio se non quella di donarsi totalmente sé stesso in verità, vita e grazia? Infatti, la Bibbia ci ricorda che lo Spirito ci insegnerà ogni cosa (Giovanni 14, 26) e anche Luca ci ricorda che non c’è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce (Luca, 6, 17). Poi c’è l’umiltà del Padre che si china su di Cristo per resuscitarlo dai morti anziché vendicarlo sull’umanità malvagia con terribili punizioni. C’è ancora l’umiltà di Gesù che non considerò, dice la Bibbia, tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (Filippesi, 2, 6). Non menziono se non di sfuggita l’umiltà della Madonna e dei santi. Forse l’umiltà maggiore dell’uomo è quella che ci ha spiegato Hegel (un filoso che peraltro detesto) quando dice che ciò che è reale (e non c’è nulla di più reale di Dio per un credente) è razionale. Il mistero è essenzialmente razionalità nascosta che verrà rivelata da Dio, quando, come dice San Paolo vedremo faccia a faccia (1, Corinzi 13, 12), cioè contempleremo la Verità per come essa è realmente. Ecco perché l’utopia, quando – come può talvolta accadere, per cui si dovrebbe distinguere tra utopie buone e utopie cattive – non comprende la misteriosa razionalità del reale, può diventare un inferno peggiore del male che vuole combattere e si manifesta come la peggior forma di superbia.

Postato da Teresi Giovanni il 29/09/2011 15:15

La capitale di Edom, Sela, era una vera e propria roccaforte, inespugnabile, perché costruita nelle gole di una montagna, un luogo di difficile accesso. Questo permetteva ai suoi abitanti di sentirsi invulnerabili, invincibili. Edom era come una squadra che sul proprio campo aveva un solo risultato: la vittoria! Era un popolo orgoglioso cosciente della sua forza e ciò lo rendeva sicuramente ancora più temibile. Pochi anni dopo che Abdia profetizzò il giudizio del Signore su Edom, questo popolo fu portato in esilio a Babilonia, proprio come Israele, le sue città inespugnabili non hanno retto all'infinito. E' stato l'orgoglio che ha fatto pensare al diavolo che poteva essere simile a Dio, al di sopra di tutti gli altri. E' l'orgoglio che ci fa pensare di non aver bisogno degli altri o di essere superiori a loro. La Bibbia, però, ci dà un buon consiglio: seguire l'esempio di Gesù. Avere lo stesso sentimento che era in Lui. Il Signore Gesù è l'unico che ha sempre avuto il primato in tutto, eppure, Lui si è spogliato della Sua Gloria per venire da noi, umiliò se stesso per amore e per ubbidienza, per dare a noi la vita eterna. Per questo è stato innalzato e gli è stato dato un nome al di sopra di tutti gli altri. Giovanni Teresi

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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