Creature infernali divorano i dannati, miniatura di scuola francese tratta dall’Apocalisse di Cambrai, secolo XIII, Ms. 422. Cambrai, Francia, Biblioteca Municipale.
"Essere gettati nella Geenna
dove il loro
verme non muore
e il fuoco non si
estingue.
Ognuno sarà salato col fuoco".
(Marco 9,47-49)
Questa frase di Gesù è, per il lettore
moderno, un condensato di oscurità
che cercheremo di dissolvere
assumendone le singole componenti. Partiamo
dalla più facile, la Geenna.
Cristo
sta denunciando il peccato dello scandalo
che fa inciampare «questi piccoli che
credono in me» (Marco 9,42), cioè chi è
fragile nella fede e può essere facilmente
messo in crisi.
Ebbene, lo scandalizzatore
corre il rischio di essere gettato nella
Geenna che era popolarmente divenuta
un sinonimo di inferno. Ma che
cos’era in sé, prima di diventare un simbolo
della pena dei malvagi? Era una valle
il cui nome topografico completo in
ebraico era Ghe’-ben-Hinnon, ossia “valle
del figlio di Hinnon”, deformato nel greco
Gheenna, donde il nostro Geenna.
Ma come s’era acquistata questa triste
fama? Secondo quanto riferiscono alcuni
testi biblici (Geremia 19; 2Re 23,10), la valle
era stata trasformata nella discarica di
Gerusalemme, dato che si distendeva nella
periferia ovest e sud dell’antica città.
Là i rifiuti venivano inceneriti e là si compivano
anche riti infami come i sacrifici
di bambini, passati attraverso il fuoco, in
onore del dio fenicio Molok, sacrifici proibiti
dalla legge biblica (Levitico 18,21), eppure
praticati anche da due re di Giuda,
Acaz e Manasse. Facile era, quindi, considerare
quel luogo impuro (sia materialmente
sia religiosamente) come la sede
della condanna degli empi, l’inferno dalle
fiamme inestinguibili.
Si spiega, così, il fuoco che viene evocato
nel prosieguo della frase attraverso
una citazione del profeta Isaia, che
nell’ultimo versetto del suo libro (66,24)
descrive il giudizio divino su «coloro che
si sono ribellati a me: il loro verme non
morirà e il loro fuoco non si estinguerà
». Se l’immagine ignea è chiara per il
nesso con la Geenna, che cos’è invece il
“verme”? Il riferimento è a quelle larve
che si sviluppano negli alimenti o nei vegetali,
ma anche nei corpi malati creando
infezioni, come confessa Giobbe: «Purulenta
di vermi e di croste squamose è
la mia carne» (7,5). Oppure come accadde
al re Erode Agrippa, persecutore dei
primi cristiani, che similmente al nonno
Erode il Grande, morì «divorato dai
vermi» (Atti 12,23).
Il simbolo è, dunque, evidente: la punizione
del malvagio è incessante, analoga
a un fuoco inestinguibile e a un verme
che non lascia scampo alla carne.
Infine c’è il sale che viene anch’esso collegato
al fuoco. Di per sé questa realtà, tipica
in cucina, ha due aspetti.
È segno di solidarietà,
forse anche per la sua funzione
concreta di dar sapore ai cibi («Voi siete il
sale della terra», dirà Gesù in Matteo 5,13)
e vigore al corpo (il neonato veniva frizionato
con sale, secondo Ezechiele 16,4):
non per nulla nella Bibbia si parla di
«un’alleanza di sale, perenne, davanti al
Signore» (Numeri 18,19).
Nella nostra lingua
lo strumento economico della sopravvivenza,
lo stipendio, viene chiamato “salario”
e il libro di Esdra definisce i funzionari
persiani come «coloro che mangiano
il sale della reggia» (4,14).
C’era, però, un altro aspetto, questa
volta negativo. Evocando la fine di Sodoma
e Gomorra sotto una pioggia di sale,
zolfo e fuoco (Genesi 19), si rappresentava
il giudizio divino come una sorta di
crogiuolo nel quale si castigavano
atrocemente i peccatori salandoli e
bruciandoli. Il sale che conserva i cibi
presenterebbe l’aspetto permanente di
quella punizione. Qualche codice che ci
ha trasmesso i Vangeli e la Vulgata, cioè
la versione latina della Bibbia di san Girolamo,
ha applicato invece l’immagine alle
prove dei giusti trasformando la frase
con questa aggiunta, che rimanda al rito
di salatura delle vittime sacrificali (Levitico
2,13): «Ognuno sarà salato col fuoco e
ogni vittima sarà salata con sale».
Pubblicato il 05 novembre 2012 - Commenti (2)