Coppia di amanti, miniatura persiana, Philadelphia, Free Library.
“Il mio amato
è mio e io
sono sua...
Io sono
del mio amato
e il mio amato
è mio."
(Cantico 2,16; 6,3)
Basta sapere che in ebraico i suoni ô e î
indicano rispettivamente la terza persona
(“lui, suo”) e la prima (“io, mio”),
e anche chi ignora questa lingua sentirà l’armonia
simbolica dei due versetti che abbiamo
desunto da quel gioiello poetico e spirituale
che è il Cantico dei cantici. In essi, infatti,
quei due suoni ricorrono come un dolce filo
musicale che canta la piena e assoluta reciprocità
della donazione d’amore. Provate,
perciò, a leggere e rileggere queste frasi in
ebraico e sentirete il dominio di quei due suoni,
l’“io” e “lui” che si abbracciano: dodì li
wa’anì lo…’anì ledodì wedodì li.
Questa «formula della mutua appartenenza
», come l’ha definita un commentatore
francese, André Feuillet, è la riedizione ideale
del primo ed eterno inno d’amore
dell’Adamo universale quando incontra la
sua Eva: «Carne della mia carne, osso delle
mie ossa» (Genesi 2,23). È una professione
d’amore, affidata a quattro sole parole ripetute
che diventano un programma di vita coniugale.
Il matrimonio autentico si fonda su
una reciproca donazione d’amore di anime e
di corpi, per cui si è «una carne sola» ossia,
nel linguaggio biblico, un’unica esistenza.
Protagonisti di questo poemetto biblico sono
un Lui e una Lei senza nome, perché incarnano
gli innamorati di ogni terra e di ogni
epoca: le allusioni a Salomone e a una Sulammita
sono solo simboliche, soprattutto perché
questi termini evocano la parola ebraica shalôm,
“pace”. Questo realismo costituisce, però,
la base per intessere una rete di rimandi
ulteriori. L’amore della coppia umana, quando
ha in sé questa totalità di dono per cui rivela
una comunione perfetta, si trasfigura
in un segno divino. Per questo non pochi esegeti
hanno fatto notare che la duplice formula
del Cantico sopra citata ne echeggia un’altra.
Essa suona sostanzialmente così: «Il Signore
è il tuo Dio e tu sei il suo popolo».
È la cosiddetta “formula dell’alleanza” tra il
Signore e Israele. Inizialmente questo legame
era stato modulato secondo i canoni delle alleanze
diplomatico-politiche tra un re e i suoi
principi vassalli. Al Sinai si era steso quasi un
protocollo siglato con un rito di sangue (Esodo
24,1-11): era un patto reciproco di fedeltà a
diritti e doveri specifici. Con Osea e la sua
drammatica vicenda matrimoniale di marito
abbandonato e tradito si era introdotta una
svolta radicale: quell’alleanza non era più tra
due potenze ma tra due amori.
Il simbolo nuziale era stato adottato per
descrivere il vincolo tra Dio e il suo popolo.
La formula del Cantico può, così, essere sovrimpressa
a quella dell’alleanza col Signore,
così da farle acquistare quel connotato
d’amore e di fedeltà che i profeti, da Osea in
avanti, avevano esaltato. In questa luce, la
professione di reciproca donazione e comunione
tra i due protagonisti del Cantico viene
riletta in chiave religiosa e trasforma il
poemetto biblico in un testo mistico, destinato
a essere quasi il canto di nozze tra Dio e
il suo popolo. In realtà, il Cantico dei cantici
rimane ancorato alla storia di un amore umano,
ma il suo valore intimo può espandersi fino
ai cieli e riflettere la luce del Dio che è
amore (1Giovanni 4,8.16).
Pubblicato il 22 settembre 2011 - Commenti (2)