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nov

La pagliuzza e la trave

Un fariseo, miniatura. Londra, British Library
Un fariseo, miniatura. Londra, British Library

" Perchè guardi
la pagliuzza
che è nell'occhio
del tuo fratello
e non ti accorgi
della trave che è
nel tuo occhio?"

(Luca 6,41)

«Un discepolo si era macchiato di una grave colpa. Tutti gli altri reagirono con durezza condannandolo. Il maestro, invece, taceva e non reagiva. Uno dei discepoli non seppe trattenersi e sbottò: “Non si può far finta di niente dopo quello che è accaduto! Dio ci ha dato gli occhi!” Il maestro, allora, replicò: “Sì, è vero, ma ci ha dato anche le palpebre!”». Siamo partiti da lontano, con questo apologo indiano, per commentare una delle frasi più celebri del Vangelo, dedicata alla falsa correzione fraterna.

Sappiamo, infatti, che lo stesso Gesù suggerisce di «ammonire il fratello se commette una colpa contro di te» (si legga il paragrafo di Matteo 18,15-18). Ma è inesorabile contro gli ipocriti che correggono il prossimo per esaltare sé stessi e, anche in questo caso, è difficile trovare una più incisiva lezione rispetto a quella che ci è offerta dalla parabola del fariseo e del pubblicano (Luca 18,9-14). In tutti gli ambienti, anche in quelli ecclesiali, ci imbattiamo in questi occhiuti e farisaici censori del prossimo, ai quali non sfugge la benché minima pagliuzza altrui, sdegnati forse perché la Chiesa è troppo misericordiosa e, a loro modo di vedere, troppo corriva.

Si ergono altezzosi, convinti di essere investiti da Dio di una missione, consacrati al servizio della verità e della giustizia. In realtà, essi si crogiolano nel gusto sottilmente perverso di sparlare degli altri e si guardano bene dall’esaminare con lo stesso rigore la loro coscienza, inebriati come sono del loro compito di giudici. Ecco, allora, l’accusa netta di Gesù: guarda piuttosto alla trave che ti acceca! «Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello» (6,42). E poche righe prima, in questo che gli studiosi hanno denominato il “Discorso della pianura” (parallelo al “Discorso della montagna” di Matteo), egli aveva ammonito: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati!» (6,37).

Purtroppo, dobbiamo tutti confessare che questo piacere perverso di spalancare gli occhi sulle colpe del prossimo è una tentazione insuperabile che ci lambisce spesso. Quel racconto indiano che abbiamo citato in apertura è accompagnato da un paio di versi di un celebre e sterminato poema epico indiano, il Mahabharata, che affermano: «L’uomo giusto si addolora nel biasimare gli errori altrui, il malvagio invece ne gode». Bisogna riconoscere – come ribadiva l’umanista mantovano Baldesar Castiglione (1478-1529) nel suo trattato Il Cortegiano – che «tutti di natura siamo pronti più a biasimare gli errori che a laudar le cose bene fatte». Ritorniamo, comunque, a quel discorso di Gesù proposto dal Vangelo di Luca e riprendiamo un’altra frase che sia da suggello a questa nostra riflessione sull’ipocrisia: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (6,36).

Pubblicato il 03 novembre 2011 - Commenti (3)

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Postato da Teresi Giovanni il 04/11/2011 20:01

Siamo strani noi umani, possediamo occhi di lince nello scorgere i difetti del prossimo e siamo talpe cieche quando si tratta dei nostri. Dovremmo semplicemente rovesciare le cose: mettere i nostri difetti sulla bisaccia che abbiamo davanti e i difetti degli altri su quella dietro. Dopo tutto, dipende da noi modificare e correggere i nostri difetti. Soltanto una lucida autocritica è la condizione per aiutare, con senso di partecipazione e di misericordia, il fratello a correggersi. Giovanni Teresi

Postato da Andrea Annibale il 03/11/2011 23:16

Mi sembra che il tema sia quello di come dobbiamo comportarci con i peccatori. Ci sono quattro comportamenti normotipici di questo genere nella Bibbia. Precisamente, la Bibbia dice di non dare perle ai porci, di non dare cose sante ai cani, di ammonire il malvagio e dire al peccatore di togliere la trave dal suo occhio prima di guardare la pagliuzza nell’occhio del prossimo. L’articolo del Cardinale Ravasi mi pare ricco di stimoli affascinanti riferiti al pensiero indiano. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

Postato da Teresi Giovanni il 03/11/2011 16:59

Chi è colpevole è il primo a sospettare il male. Nel condannare gli altri cerca di nascondere o scusare il male che c’è nel suo cuore. Gesù invita colui che accusa a togliere la trave dal proprio occhio, rinunciando allo spirito di censura, confessando e abbandonando il proprio peccato prima di cercare di correggere gli altri. Perché "non c’è infatti albero buono che faccia frutto cattivo, né vi è albero cattivo che faccia frutto buono" (Luca 6:43). Questo spirito di critica a cui ci abbandoniamo è un frutto cattivo e dimostra che l’albero è cattivo. È inutile pensare di poter diventare giusti con le proprie forze, è necessario cambiare il cuore. "Questa è l’esperienza attraverso cui dovete passare prima di essere in grado di riprendere gli altri … poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla." (Matteo 12:34).

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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