"La luce splende fra
le tenebre, e le tenebre
non l'hanno vinta"
(Giovanni 1,5)
La separazione della luce dalle tenebre , cupola della Genesi, mosaici del secolo XII. Venezia, Basilica di San Marco.
Tra i famosi manoscritti giudaici venuti alla luce nel 1947 a Qumran,
sulla sponda occidentale del Mar
Morto, ce n’è uno intitolato dagli studiosi
Il Rotolo della Guerra: in esso si descrive la battaglia finale di una
guerra
quarantennale tra i Figli della Luce e i
Figli delle Tenebre, segnata dal trionfo della Luce.
Ebbene, nel celebre inno
che funge da prologo al Vangelo di Giovanni si ha qualcosa di analogo e il versetto che noi abbiamo proposto ne è
un’evidente attestazione. Lo è almeno
nella versione che è stata adottata e che
è anche quella scelta dall’ultima edizione della Bibbia della Conferenza episcopale italiana.
La precedente – che è quella forse ancora nelle orecchie dei nostri lettori –
suonava invece così: «La luce splende
nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta». Alcuni, abituati al latino,
hanno ancora in mente la resa offerta
dalla
Vulgata
di san Girolamo:
Lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt
e, nel tardo latino, quel
comprehenderunt
poteva avere anche
valore di “non compresero”.
Allora, quale sarà mai la traduzione
giusta del verbo greco originale
katélaben? “Vincere”, “accogliere”, “comprendere” non sono la stessa cosa, eppure sono verbi diversamente usati da versioni
ufficiali o qualificate. Qual è, dunque,
quella preferibile? Diciamo subito che il
verbo greco presente nel testo originario
è di sua natura ambiguo perché può ospitare al suo interno tutta la gamma dei significati indicati, sia pure con accenti diversi. Partiamo dalla resa «le tenebre
non hanno
compreso» (la luce).
Di per sé è possibile, dato che le tenebre sono nel quarto Vangelo sinoni-
mo di “mondo” e nel versetto 11
dell’inno-prologo si dice che «il mondo non ha riconosciuto» il Verbo-Luce-
Cristo. Ma la formulazione risulta un
po’ estranea al modo con cui Giovanni
sviluppa
il tema della rivelazione e del
giudizio compiuti da Cristo nei confronti del mondo.
Passiamo, allora, all’altra traduzione:
«le tenebre non l’hanno
accolta». Certo,
se Giovanni avesse avuto in mente l’aramaico, la lingua allora dominante in Terrasanta, avrebbe potuto proporre un gioco di parole:
la’ qableh qablâ
, «le tenebre
non l’accolsero». Ma il verbo greco usato
dall’evangelista indica piuttosto un’opposizione, espressa dalla preposizione
katà; sarebbe stato più logico usare il verbo
parélaben
, come appunto si ha nel
versetto 11: «Venne tra i suoi, e i suoi
non l’hanno accolto (parélabon)».
Rimane, dunque, il terzo significato,
accettato dalla versione da noi proposta: «le tenebre non l’hanno vinta» (o
“sopraffatta”). Il senso ostile ben s’adatta allo
scontro che intercorre tra la luce e le tenebre, tra Cristo e il mondo.
È
una sfida di cui il cristiano conosce l’esito. Tra l’altro, è da notare che questo
senso affiora anche nell’unico altro passo del quarto Vangelo in cui appare lo
stesso verbo greco: «Camminate mentre
avete la luce, perché le tenebre non vi
afferrino (katalábê)» (12,35). Il nostro
versetto proclama, dunque, la fiducia
nella vittoria finale di Cristo sulle tenebre, sul mondo, sul male.
Pubblicato il 07 giugno 2013 - Commenti (2)