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Due film

Nelle sale cinematografiche in queste settimane sono apparsi due film sugli adolescenti, girati con sensibilità da registe donne. Nel primo caso, si tratta delle due sorelle francesi Delphine e Muriel Coulin. Il titolo del film è 17 ragazze, narrazione delle diciassette gravidanze contemporanee di altrettante liceali, sullo sfondo di una città post industriale del Nord della Francia, Lorient, in disarmo per la crisi economica e di futuro.

Il film è un’amara parabola, che come tale va intesa in senso metaforico, sulla ricerca di vita da parte di queste adolescenti in cerca del loro futuro. Non trovano una proposta di progettualità negli adulti, genitori e insegnanti. E allora se la inventano restando incinte ‘in serie’, non in seguito a dei rapporti amorosi (vi è la ricerca della gravidanza, non della relazione), ma dal desiderio di generare. Un desiderio gestito in solitudine, come nei momenti in cui, con la camera fissa, sono riprese immobili e pensose nelle loro camerette inondate di oggetti infantili. Oppure condiviso nella solidarietà delle amiche, anch’esse coinvolte nell’impresa. Per le ragazze c’è questa possibilità. Per i maschi… i coetanei sono pressoché assenti nel film, tranne il fratello maggiore, di poco, della protagonista, che per procacciarsi un futuro va come militare in Afghanistan a sparare, come lui stesso afferma, a dei tipi che neanche conosce, e probabilmente senza saperne il perché, accompagnato anche lui da un peluche, uno degli oggetti che abbondano anche nelle camere delle ragazze, inutili custodi delle promesse di felicità dell’infanzia. Per i ragazzi come per le ragazze, progetti di vita o di morte sembrano equivalersi, basta che aprano ad un futuro.

Può un figlio essere una promessa di futuro? Il problema, che non viene affrontato nel film,  è che generare un figlio è mettere al mondo un’altra persona, che è diverso dal genitore e che viene cresciuto per staccarsi da lui. Non è un progetto per se stessi, ma per un altro; e questo lo rende un’impresa così difficile.

Il secondo film, Sister, anch’esso diretto da una donna, la svizzera Ursula Meyer, racconta le peripezie di un dodicenne svizzero che ogni giorno lascia il grigio casermone di pianura dove vive per salire all’empireo dei campi da sci più rinomati e frequentati da vacanzieri di tutto il mondo per rubare su commissione articoli sportivi di lusso e mantenere così sé e una confusa sorella maggiore,  tossica e alla ricerca di amori sconsiderati.

Questo film mette a tema, tra altri spunti, la compresenza nei primi anni dell’adolescenza di bisogni affettivi diversi, e ci ricorda come spesso, anche nelle società più benestanti, come quella svizzera, essi restino inascoltati e disattesi. Da un lato c’è quello del diventare adulti, espresso, come nel caso del giovanissimo protagonista, assumendosi perfino il carico del mantenimento della famiglia, con coraggio, sagacia e buon senso. Qui addirittura si può diventare grande, come purtroppo avviene in non poche situazioni, al di fuori dei percorsi ordinari della scuola e del lavoro.  Dall’altro lato ci sono i bisogni infantili di protezione, cura e calore, che permangono, soprattutto per chi, come il protagonista, non ha ricevuto soddisfazione negli anni infantili e ne è ancora assetato, al punto da doverne acquistare il soddisfacimento da chi per natura dovrebbe offrirglielo (ed è il punto emotivamente più intenso del film).

Il finale, in cui la ragazza più grande sale verso l’alto in funivia alla ricerca del piccolo protagonista, che nel frattempo sta discendendo con un’altra cabina, resta aperto: possibilità di essere di nuovo accolto e desiderato o drammatica impossibilità di qualsiasi incontro?  Lascio ai lettori il quesito.

Pubblicato il 01 giugno 2012 - Commenti (0)

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Autore del blog

Mio figlio l'adolescente

Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 55 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 

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