03
set

In morte di un maestro

Sono molte le parole e i gesti che in queste ore vengono rivolti al cardinale Carlo Maria Martini, nei giorni del lutto. Molti rievocano la memoria dei suoi gesti, delle parole che ha pronunciato e scritto. Le nostre ore del ricordo sono per lui il tempo dell’incontro faccia a faccia con Dio. Il momento in cui ciascuno potrà conoscerne direttamente il volto, non più scorto “in modo confuso, come in uno specchio”.

Migliaia di persone, in un flusso continuo, affollano il Duomo di Milano. Nel maggio 2005, durante la messa in Duomo in occasione del 25° anniversario del suo episcopato, Martini rievocava le folle che avevano reso testimonianza, un mese prima, alla salma di Giovanni Paolo II, e sottolineava che “a poco varrebbe venerare un padre spirituale dell’umanità se Dio poi non parlasse nell’intimo di ogni cuore, indicando a ciascuno di noi qual è il nostro compito, la nostra vocazione, ciò che è chiesto proprio a noi e non ad un altro”. Il modo specifico di ciascuno, con le sue manchevolezze e le sue fragilità, di “rendere testimonianza al messaggio della tenerezza di Dio”, come il cardinale ricordava nella stessa occasione citando gli Atti degli Apostoli.

Il ricordo di una persona che muore, la partecipazione, l’omaggio sono atti gravosi per chi li compie. Soprattutto quando si parla di grandi anime. Significa chiedersi: che cosa ho a che fare con questa persona? Perché la sua vita mi interpella, al punto da rendergli testimonianza quando essa si conclude su questa terra? Che cosa mi lascia in eredità e che cosa del suo insegnamento mi dispongo a far rivivere nella mia vita?

Martini è stato il nostro (e mio) vescovo a Milano dal 29 dicembre 1979 all’11 luglio 2002. Gli anni del suo episcopato sono stati quelli della mia maturazione e della mia piena età adulta. Ha insegnato, a noi giovani adulti, ad ascoltare: la Parola di Dio, sempre e prima di tutto, e le parole di ogni interlocutore che si incontra, vicino o lontano da noi. Ci ha insegnato a tenere viva la continua necessità di conversione, per non invecchiare e morire, come ha mostrato fino alla fine. Ci ha insegnato che pensare è il principale atto di libertà e di responsabilità e che il cammino verso la verità è sempre accompagnato da avversità e da profonde contraddizioni. Ci ha insegnato a porci sempre domande, ricercando le risposte nel Vangelo.  E, per noi che ci occupiamo di educazione, ci ha ricordato che è sempre Dio che, prima di tutto, educa il suo popolo.

Un maestro, di cui sentiamo la mancanza. Ma che ci rimanda al nostro personale impegno a capire, a non farci prendere dalla paura e dallo scoraggiamento, a lasciare che il nostro sguardo interrogante, illuminato dalla Parola, si rivolga alla realtà di tutti i giorni e vi cerchi i segni dello Spirito, che soffia dove vuole perché avvenga la conversione, il cambiamento profondo.

Era questo atteggiamento che consentiva a Martini, anche in questi anni di malattia, di far pervenire la sua voce, sempre più fioca nel suono, ma viva nei contenuti. Pronta a tracciare la via delle priorità per non perdere il contatto con le generazioni future. E a interrogarci ancora una volta nel profondo.   

Pubblicato il 03 settembre 2012 - Commenti (0)

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Mio figlio l'adolescente

Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 55 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 

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