30
nov
La mente dell’adolescente
Torno sulla tematica dell’orientamento scolastico con un passo ulteriore. Tra le caratteristiche di un ragazzo da valutare in ordine alla scelta orientativa va data particolare attenzione all’atteggiamento nei confronti dello studio.
Quanto un ragazzo di terza media è in grado di affrontare la fatica mentale? Quali strategie ha appreso nei tre anni di scuola relativamente all’organizzazione pomeridiana del tempo, alla scansione degli impegni scolastici ed extrascolastici, alla preparazione in vista delle verifiche? Soprattutto, come affronta i pensieri anti-apprendimento che si affollano nella mente di molti adolescenti quando si mettono a studiare, e che si manifestano sotto forma di:
“Non ce la faccio! Non ci capisco!”
“Che noia! Basta!”
“Come faccio a studiare tutta questa roba?”
“ E poi, domani mi dimentico tutto…” e simili.
Si tratta in realtà di espressioni diverse di un unico malessere, quello relativo alla difficoltà di fare silenzio (fuori, ma anche dentro) per attivare i processi mentali di riflessione, elaborazione, memorizzazione propri dello studio.
I ragazzi di questa generazione sono forse più in difficoltà dei precedenti perché fin da piccoli sono immersi in un oceano di stimoli sensoriali ed emotivi dal quale non è facile uscire, per sperimentare un silenzio. Non è facile mettersi a studiare senza avere il cellulare che lancia squilli, le cuffie dell’I-pod nelle orecchie, msn che trilla e la tv accesa… Così il pomeriggio diviene un esercizio di multitasking, in cui cioè si svolgono più compiti mentali contemporaneamente, in una sorta di zapping frenetico tra stimoli diversi. Con le conseguenti difficoltà di attenzione, la minore memorizzazione ‘in profondità’ e un maggiore affaticamento.
Come se non bastasse, la mente di un adolescente è spesso un vulcano di pensieri diversi. Come andrà la partita che devo giocare dopodomani? Riuscirò a comperarmi per Natale l’I-phone con le mance dei nonni e degli zii? Come posso fare a attaccare discorso con il ragazzo o la ragazza che mi interessa? Che cosa pensano i miei amici di me? Come faccio a convincere i miei genitori a lasciarmi uscire?
Per qualcuno inoltre il corpo, messo in disparte per aprire la mente allo studio, si fa sentire con più forza. Mettersi a studiare e sentire fame o sete, alzarsi per sgranchirsi le gambe, sembrano sia un tutt’uno…
Di fronte a tutto questo, occorre fermarsi a pensare insieme al figlio. Bisogna riflettere insieme sul suo grado di consapevolezza di queste dinamiche. Sulla capacità (maggiore o minore) di arginare i pensieri interni e le stimolazioni esterne. Sull’ordine del tavolo e sul silenzio della stanza. Sull’utilizzo del tempo, che non è infinito (“Ho tutto il pomeriggio…”), ma limitato dagli impegni e dalla necessità di armonizzare studio e divertimento.
Pubblicato il 30 novembre 2010 - Commenti (2)