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Questione di fede

«Qualcosa come un futuro esiste nella misura in cui la nostra fede riesce a dare sostanza, cioè realtà alle nostre speranze. Ma la nostra, si sa, è un' epoca di scarsa fede o, come diceva Nicola Chiaromonte, di malafede, cioè di fede mantenuta a forza e senza convinzione. Quindi un’epoca senza futuro e senza speranze - o di futuri vuoti e di false speranze». Su Repubblica dello scorso 18 febbraio, Giorgio Agamben ha pubblicato un commento sulla “feroce religione del denaro” che divora il futuro. Un filosofo laico con forza richiama alla fede (non necessariamente religiosa) come condizione necessaria per concepire un futuro.

Fa riflettere, proprio nel momento in cui invece l’educazione sembra via via perdere il suo carattere di proiezione fiduciosa delle nuove generazioni nel futuro. A mio parere, la differenza principale tra i genitori di oggi e quelli della generazione precedente sta proprio in questo: in una carenza di fiducia, oggi, da parte degli adulti nella possibilità che i figli si realizzino quando diverranno a loro volta adulti. La generazione precedente era sorretta dalla serena consapevolezza che una sicurezza lavorativa, un benessere economico e una vita di coppia erano bene o male riservati a tutti i loro figli. Qualcuno ricorderà le tre "M" che negli anni Sessanta simboleggiavano le promesse del futuro: mestiere, marito o moglie, macchina (scegliete voi l’ordine). Nei genitori d’oggi questa fiducia nel futuro dei figli vacilla. Le difficoltà che i giovani incontrano nell’accesso al lavoro, la sua frequente precarietà; l’idea che le sicurezze economiche e la possibilità di risparmio dell’attuale generazione adulta non saranno conseguite dagli adulti di domani; la percezione di un ristretto orizzonte temporale e di una fragilità di molte relazioni affettive… tutto questo sembra prendere il sopravvento negli atteggiamenti educativi di molti genitori.

L’educazione basata sulla speranza viene sostituita da un’educazione fondata sull’ansia e sulla paura. E’ quanto i due autori francesi Benasayag e Schmit, riprendendo un’espressione di Spinoza, hanno sintetizzato nel titolo di un loro libro di successo di qualche anno fa, dedicato alla cura verso gli adolescenti: L’epoca delle passioni tristi (Milano, Feltrinelli, 2004). Si tratta dell’attuale periodo, in cui sembrano predominare la percezione del futuro come minaccia anziché come opportunità, la noia, il senso di impotenza, di disgregazione, la perdita di significato.

Si possono contrastare le passioni tristi, che defraudano i ragazzi del loro futuro? Forse sì, con molteplici atteggiamenti. Ne propongo alcuni:

  1. Guardare al futuro con occhi diversi da quanto ci viene proposto, sapendo che la speranza non risiede nelle cose attorno a noi, ma negli occhi di chi guarda.
  2. Comunicare ai figli la possibilità di accedere alla vita adulta, a partire prima dalla costruzione della propria persona, di un’interiorità ricca e sensibile, di una capacità di vivere relazioni e legami, e poi dalle competenze che la scuola può offrire.
  3. Non puntare sulla molteplicità delle esperienze che i ragazzi possono fare, in modo talora dispersivo, ma sulla capacità di pensare ciò che loro accade, sia nella riflessione personale che in quella condivisa con gli altri.
  4. Consentire con serenità che si stacchino dagli adulti di riferimento e, fin da piccoli, possano percorrere le vie del mondo fiduciosi nelle proprie forze ma anche capaci di chiedere aiuto quando occorra.
  5. Coltivare fin dalla vita in famiglia l’idea di un bene comune, che è quella di concorrere allo star bene di tutti attraverso la partecipazione di ciascuno agli impegni e alle fatiche di tutta la comunità.
  6. Mettere a tacere l’eccesso di protezione e di difesa dal mondo, le ansie e i timori che le fragilità dei figli suscitano nei genitori, che fanno sì che i ragazzi non si misurino mai con i risultati dei loro sforzi perché, per arrivare da qualche parte, occorre sempre l’indispensabile aiuto degli adulti…
L’elenco è certamente limitato. Chi vuole aggiungere altri atteggiamenti che consentono di accrescere la fede dei figli nel loro futuro?  

Pubblicato il 14 marzo 2012 - Commenti (2)

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Postato da branda il 02/04/2012 15:15

Secondo me chiuque può essere aiutato a maturare, magari ricordandogli che: - Dio (a parte quello cristiano), in ogni tempo e luogo, è un'invenzione dell'uomo; - tutti gli esseri viventi sono uguali se non fratelli (a parte gay, donne e agnelli nel periodo di Pasqua); - la fede è un dono di Dio (ma un po' di lavaggio del cervello fin da piccoli porta acqua alla buona causa); - a masturbarsi si va all'inferno (però se ti masturba un minorenne puoi sempre confessarti e chissà...); - il sole gira intorno alla Ter... ehm, no, scusate, qui la Luce Divina è infine giunta ad illuminarvi, non servo io. ...

Postato da Andrea Annibale il 16/03/2012 18:20

Grazie per l’articolo che mi ha stimolato alla seguente riflessione. Mi sono molto interrogato circa la nostra relazione psichica con tutto ciò che è male, diciamo pure disumano. Perché è chiaro che non viviamo in un Paradiso Terrestre. La fiducia, la fede nel futuro, dipende dai sei punti elencati da Fabrizio Fantoni, psicologo e psicoterapeuta. Ad un certo punto bisogna arrendersi nella vita all’evidenza dei limiti che ci accompagnano. Gesù si è arreso alla Croce, perché non c’era più nulla da fare. Il confine tra saggezza e rassegnazione mi pare talora molto risicato. Ecco che diventiamo veramente figli quando la nostra storia esistenziale viene percepita come una prosecuzione della storia dei nostri genitori e nonni. Perché portiamo dentro di noi i limiti genetici che ci hanno trasmesso e i condizionamenti ambientali che la famiglia ci ha dato. Da portatori di speranza per noi stessi, dobbiamo diventare datori di speranza ai nostri genitori, convincendoli ad avere un po’ di amore e di rispetto per se stessi e convincendoli ad abbandonare quella immagine idealizzata e irrealistica che hanno talora (forse) coltivato circa i loro figli. La fede non è superamento dei limiti da superuomini perché altrimenti come l’acrobata di cui parla Nietzsche (non sono un filosofo, uso i miei scarsi ricordi liceali) rischiamo di cadere, ma nasce piuttosto dalla consapevolezza che, nonostante i nostri limiti, possiamo aspettarci da noi (e forse Dio si aspetta da noi) di fare del nostro meglio. La dazione di senso c’è quando alla fine della giornata possiamo dire “Nei miei limiti, ho trovato me stesso”. Ho trovato solo ombre platoniche nella caverna ma, dopo averle guardate, le ho dipinte ed è venuto fuori un capolavoro (nel mio piccolo). Ciao. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Fabrizio Fantoni

Fabrizio Fantoni, 55 anni, sposato, tre figli. Psicologo psicoterapeuta, esperto di adolescenti.

 

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