In queste settimane si va definendo il destino scolastico di molti adolescenti. Una bocciatura non è una tragedia, ma è pur sempre uno schiaffo importante. Ed è un fenomeno da interpretare, con significati diversi da ragazzo a ragazzo.
Soprattutto in prima superiore, alcuni ragazzi pagano un chiaro errore di orientamento, che si è manifestato via via nel corso dell’anno e che porta, in questi giorni, a una nuova scelta scolastica, più consapevole di quella fatta in terza media.
Qualcun altro invece manifesta nella bocciatura una immaturità di fondo, che si esprime nella difficoltà a tollerare le frustrazioni del lavoro scolastico, dell’impegno sufficientemente continuativo. Per questi ragazzi il risultato è frutto più delle proprie capacità naturali, espresse in modo immediato, che non di uno sforzo, magari prolungato. Se l’esercizio non viene al primo colpo, si chiederà domani al prof o al compagno: non si prova e riprova fino a quando non si ottiene il risultato giusto. Se la verifica va male, pazienza: andrà meglio la prossima. Non si tenta un salvataggio, magari attraverso un’interrogazione volontaria.
Dietro a questi atteggiamenti rinunciatari si può nascondere una situazione depressiva, che deriva non da un conflitto interiore, ma dalla preoccupazione di non farcela di fronte alle elevate richieste avanzate dal mondo esterno, dagli adulti come dai coetanei. Un senso di inadeguatezza rispetto alle sfide quotidiane del diventare grandi, vissute in termini di prestazioni, quindi di successi o insuccessi personali. La scuola si presta bene a far emergere queste difficoltà: essa richiede ai ragazzi di esprimere i propri atteggiamenti più adulti, come l’affidabilità, la continuità dell’impegno, il senso dello sforzo e del sacrificio. E ne considera i risultati come prestazioni, con un corrispettivo quantitativo che è il voto.
Mi sembra siano soprattutto gli adolescenti maschi ad essere in difficoltà su questo versante, perché più pressati a corrispondere a modelli sociali di forza e sicurezza.
Altri ragazzi ancora ‘scelgono’ la bocciatura come forma di protesta visibile e allarmante di fronte ad un atteggiamento eccessivamente preoccupato dei genitori riguardo ai risultati scolastici. In qualche adolescente si sviluppa l’idea che i genitori siano interessati a lui o a lei solo in quanto studente, mentre per il resto della vita (e della crescita) c’è scarsa attenzione. Far fuori simbolicamente lo studente che c’è in loro serve a questi ragazzi per punire, in modo più o meno conscio, i genitori della loro disattenzione. Un modo sicuramente autolesionista. In cui si paga pegno per una comunicazione familiare troppo centrata sulle cose da fare, sulle attività, e poco sull’essere, cioè sulle relazioni e sulle loro risonanze interne nell’adolescente.
Ci sono poi ragazzi che sono talmente centrati su un progetto personale di realizzazione di sé, nelle amicizie, negli amori, nello sport o nella musica, da pensare di bastare a se stessi senza scendere a patti con le richieste provenienti dalla realtà. Presi dal desiderio di affermarsi negli ambiti dove riescono meglio, inebriati dai propri successi, finiscono per perdere il contatto con il mondo esterno, con le sue scadenze. La scuola diventa un peso da cui liberarsi, al più un’occasione di contatti sociali, ma non un’opportunità di crescita personale attraverso la conoscenza. Le sue richieste perdono senso. Ci si sottrae e si sparisce dal suo orizzonte.
Pubblicato il 01 giugno 2011 - Commenti (1)