Cristo in croce di Jean-Baptiste Van Loo (1684-1745). Firenze, Palazzo Pitti.
"Dall'ora sesta
si fece buio
su tutta la terra,
fino all’ora nona."
(Matteo 27,45)
Matteo ha evocato una coreografia di
eventi clamorosi attorno alla morte
di Gesù. Il loro scopo è di presentare
la vicenda finale di Cristo nel suo significato
profondo, “teofanico”, cioè rivelatore
dell’azione divina di salvezza, approdo di
una storia di annunci già offerti dall’Antico
Testamento. È così che l’evangelista convoca
una serie di immagini bibliche per illustrare
il senso autentico e profondo della morte di
Cristo, che si è compiuta in quel pomeriggio
primaverile intorno all’anno 30. Tre sono i segni
introdotti da Matteo.
Il primo è comune anche a Marco e Luca ed
è lo squarcio nel “velo del tempio”, ossia di
quella cortina di porpora, di scarlatto e lino
che nascondeva il Santo dei Santi, la sede
dell’arca dell’alleanza e della presenza di Dio
in mezzo al suo popolo. Facile è intuire il valore
di quel segno: Dio non è più misterioso e
invisibile, ma è visibile in quell’uomo crocifisso,
tant’è vero che il centurione e la sua
scorta esclamano: «Davvero costui era Figlio di
Dio!» (27,54).
Il secondo segno “teofanico” è classico nella
Bibbia, il terremoto accompagnato da
un’eclissi di sole, un evento che in questo caso
non è documentabile storicamente e astronomicamente,
ma il cui valore è simbolico
perché, come accade al Sinai, «tuoni, lampi,
nube oscura» e «il monte che trema molto»
(Esodo 19,16.18) fanno parte della scenografia
dell’ingresso di Dio nell’orizzonte della storia
umana. In tal modo si vuole marcare la trascendenza
e la potenza divina. Il profeta
Amos, per descrivere «il giorno del Signore»,
cioè il suo giudizio sulla storia umana, usa
un’immagine affine: «In quel giorno – oracolo
del Signore Dio – farò tramontare il sole
all’ora terza [mezzodì] e oscurerò la terra in
pieno giorno» (8,9).
Infine, il terzo segno, il più importante per
spiegare il valore ultimo della morte di Gesù:
«I sepolcri si aprirono e molti corpi di santi
morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri,
dopo la sua risurrezione, entrarono nella città
santa e apparvero a molti» (27,52-53). Significativo
è l’inciso «dopo la sua risurrezione
»: la morte e la risurrezione di Cristo segnano
l’inizio del trionfo sulla morte per l’intera
umanità. I membri del popolo di Dio («i
santi morti») sono uniti alla vittoria di Gesù
sulla morte: le loro tombe sono spalancate,
i corpi risorti entrano nella «città santa»,
cioè Gerusalemme nuova e perfetta, mentre
la loro “apparizione” è la testimonianza della
realtà della vittoriosa risurrezione di Cristo
che ha preceduto la loro.
In conclusione, la narrazione matteana della
morte di Gesù non dev’essere letta in modo
cronachistico, ma nella sua densità religiosa.
Certo, l’evangelista offre molti dati storici
e spaziali su quella morte, ma vuole che i
suoi lettori ne colgano il significato profondo,
l’unicità assoluta, la dimensione teologica.
Ed egli lo fa ricorrendo a quei segni biblici
del velo, della tenebra, dei sepolcri aperti e
dei giusti risorti. Quella morte, infatti, non è
solo un evento storico, ma è l’ingresso
della divinità nella caducità
dell’esistenza umana per
trasformarla e introdurla
all’abbraccio con
Dio e l’eterno.
Pubblicato il
30 agosto 2012 - Commenti
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