17
mag
Imparare dai bambini
La prima goccia cadde un centimetro sopra il suo orecchio alle 3.16. La seconda sfiorò i capelli di Elena, verso le 5. La terza, alle 6, fece centro.
“Mamma, mamma!”
“Elena? Cosa c’è?”
“Mamma, piove… ”
“Sono qui. Cosa dici? avrai sognato!”
“No mamma, guarda, tocca la guancia…”
“Sarà una lacrima… Oh santo cielo! Non ci posso credere… quei…”
“Cosa dici mamma?”
“Niente, tu torna a dormire. Spostati da questa parte. Io vado a dire due parole a quelli di sopra”.
“Voglio venire anch’io su da Ibrahim!”
“Non se ne parla nemmeno. Tu resti qui!”
“Guido. Alzati dal letto!”
“Eh? Cosa è successo?”
“Ci piove in casa. Te l’avevo detto che quelli avrebbero fatto dei danni. Io non li avrei fatti venire a abitare proprio sopra di noi”
“Ma io che c’entro? È stata l’agenzia a dargli l’appartamento.”
“E tu tutto sorridente alla notizia… Adesso ci vai tu a parlargli”.
“Ok, più tardi ci…”
“Ma hai capito? Piove dal soffitto di tua figlia. Le è caduta una goccia nell’occhio… chissà da dove arriva quell’acqua… mi chiedo perché nostra figlia si sia legata a quel bambino. Con tutti gli amichetti che ci sono in giardino... Cosa avranno da dirsi?”
“Che problema c’è se giocano insieme? Sono nelle stessa classe della materna…”
“Le disgrazie non viaggiano mai da sole!”
“Sono due bambini!”
“Sua madre se ne sta sulla panchina tutta coperta anche quando ci sono 40°, la piccola sempre al collo… Ha quel sorriso stampato… E nostra figlia le parla… resta lì ad ascoltarla incantata…”
“Sono pronto, adesso vado su”.
“Voglio proprio sapere come riuscirai a farti capire. Quelli manco ti aprono… vedrai!”
Un po’ di ore dopo suonò il campanello: Elena si precipitò alla porta.
“Aspetta, fammi vedere chi è”.
La mamma scrutò dallo spioncino. Ibrahim se ne stava ritto in piedi sul pianerottolo con qualcosa in mano. La mamma gli aprì.
“Ciao” gridò Elena precipitandosi verso l’amico.
“Buongiorno signora, devo dare una cosa a Elena”, disse d’un fiato alla donna che le stava davanti.
“Ciao, sono venuto a riportarti questo”, tirò fuori dal sacchetto che aveva in mano una boccia di plastica trasparente con dentro un biglietto arrotolato. Elena si fece triste:
“Non è arrivata al mare!”
“No… l’uomo dei tubi l’ha ritirata fuori. Dice che rompe il nostro bagno. Anch’io sono triste”, e il bambino porse la palla a Elena con tutto il bene di cui era capace.
“Ci riproveremo al fiume!”.
Giulia se ne restò muta. La mamma di Ibrahim lo chiamò dall’altro capo delle scale.
“Arrivo mamma. Devo andare”. Si girò e corse veloce verso il suo appartamento. Elena, appena in casa, si mise a piangere:
“Speravo tanto di farla arrivare al mare… la maestra ci ha detto che tutti i tubi arrivano al mare. Aveva ragione Ibrahim a dire di non farlo…”
“Non ci posso credere! Non dirmi che sei stata tu a fare questo?”
“Mamma era un messaggio troppo importante!”
“Fila in camera tua!”, Elena se ne andò di là con le lacrime agli occhi, lasciando la sua palla a terra. Sperò di consolarsi prendendo al volo una nuova goccia, ma dal soffitto smise di piovere. Giulia si sedette nel corridoio con la palla in mano, l’aprì e srotolò il biglietto e vide un mare azzurro con una bambina bionda e un bimbo scuro che si tenevano per mano. Per un attimo, dal viso di Giulia, ricominciarono a cadere gocce.
Nel mese della festa della mamma, un racconto per tutte donne che si sentono straniere e per i figli che ci aiutano a conoscerle. Raccontateci le vostre esperienze di integrazione, come i bambini vi aiutano a incontrare l’altro. Buona settimana a tutti!
Pubblicato il 17 maggio 2011 - Commenti (1)