di Barbara Tamborini
Barbara Tamborini, psicopedagogista, autrice di libri sull'educazione. Ha 4 figli.
25 mar
Vado a fare la spesa con i due piccoli. P. (4 anni) in macchina parla a C. (2 anni) che è in preda a una crisi perché non vuole tenere la cintura di sicurezza allacciata
“Dai C, adesso stai brava che la mamma poi ti libera… siamo quasi arrivati…”
C: “No cintua, no cintua… ngheeeeeeee……”
P: “Vedi, anch’io metto la cintura, tu sei grande, devi mettere la cintura se no i vigili ti danno la multa”.
C: “No igili!” (no vigili)
P: “No, se tieni la cintura loro non vengono. Stai brava e non piangere che poi la mamma ti dà una sorpresina”
C: “Enghe, enghe”
P: “Brava, ecco, così! Adesso vai sul carrello e la mamma ti spinge in giro per il supermercato, ci sono i libri da guardare, i succhi di frutta, le scale mobili …”
C: “Io oio andae” (io voglio andare)
P: “Brava così… poi andiamo”
Silenzio.
Guido con una pace intorno impagabile e mi azzardo in un parcheggio impossibile. Andata. Scendiamo, carico la piccola sul carrello e ci avviamo verso il centro commerciale.
C.: “Hai visto mamma come sono stato bravo a tranquillarla?”
Io: “Cosa farei se non avessi te?”
Entra tutto fiero e per tutta la spesa mi ubbidisce e mi aiuta a prendere le cose dagli scaffali. C lo osserva tranquilla e alle casse collabora con lui nello scaricare tutta la spesa sul nastro. Non posso credere ai miei occhi! In macchina do a P. un libro pieno di foto di animali:
“Tieni, te lo sei proprio meritato! Un regalo per te”.
P: “Bello! È solo mio?”
Io: “Certo amore”.
Non faccio in tempo a dare a C la sua sorpresina che lei ha già afferrato il libro di P e gliel’ha strappato di mano. Lui se lo riprende e le assesta uno spintone. C ricomincia a piangere.
Io sono figlia unica e spesso resto incantata nell’osservare come tra fratelli ci si possa aiutare e stimolare ad inventare nuovi modi per stare bene insieme. Con lo stesso slancio però ci si può fare dispetti, dire parole che fanno piangere, farsi del male. Decidere quando è necessaria una mediazione esterna non è semplice: se il tempo del litigio è quello di un’interruzione in una melodia aspetto; se invece si è inceppato il disco e la musica è sparita, scendo in campo.
Con i fratelli più grandi può essere utile un’ intervento anche più dilazionato nel tempo. Ovvero per bambini che già vanno alle scuole elementari, si può aspettare anche più a lungo prima di intervenire, perché puntare sulla loro capacità di imparare a gestire un conflitto e provare a venirne fuori da soli è sempre un investimento che nel medio-lungo termine può dare buoni risultati. Con i più piccoli invece io presidio molto di più la situazione.
In generale, gli errori che cerco di evitare sono le ingiustizie. Anche nelle piccole cose occorre essere precisi ed equi, la giustizia è la miglior base per la pace. A casa prendo in braccio C. che ancora piangiucchia.
P mi dice: “Tu adesso non mi mammeri più!”
“Vieni qui tesoro!”
E dopo uno splendido abbraccio a tre sono pronta per scaricare la spesa.
Raccontate la vostra esperienza nella gestione della relazione tra fratelli: quando osservate che la convivenza si fa più difficile? Quando invece le cose funzionano meglio? Raccontateci qualche esperienza concreta con i vostri figli o magari un ricordo di quando eravate voi piccoli e avete amato/odiato un fratello o una sorella. Vi aspetto!
Pubblicato il 25 marzo 2011 - Commenti (2)
18 mar
Sono le 14:46 mentre inizio a scrivere, una triste coincidenza con i fatti di questi giorni. Mio marito è al lavoro, i figli più grandi sono nella stanza di là a giocare, C. dorme giù, P. è a scuola. In Giappone, venerdì 11 marzo a quest’ora tutto trema, un terremoto di 8,9 gradi scuote la terra. Provo a immaginarmi in quell’altrove, raggiungere i miei bambini di là, i mobili che cadono a pezzi. Sentire le loro grida, non sapere da chi andare per primo. Decidere di scendere le scale per portare fuori la piccola e intanto urlare istruzioni ai grandi perché vadano all’esterno. Sentirli gridare disperati e sperare che le loro urla non vengano interrotte da niente. Accorgermi che ai piedi non ho niente, che ho lasciato il cellulare sul tavolo e che nessun grido d’aiuto può raggiungere mio marito. Uscire in strada con la piccola tra le braccia mentre i muri cadono, ordinare ai miei figli di saltare giù, anche se hanno paura, anche se le scale non ci sono più. Vederne sbucare solo uno, smettere di respirare, mentre ancora tutto trema. Restare immobile perché ogni istinto è disarmato. Sentire il cuore che scoppia, avere paura come mai prima. Poi vedere mia figlia in ginocchio che compare all’improvviso. Stringerci tutti forte, pregare, mentre vediamo intorno le case cadere, le persone morire, le macchine incastrarsi nelle voragini.
“Mamma, aiuto, salvaci!” Sentire le loro unghie stringere, vedere i loro occhi sbarrati, increduli. “È la fine del mondo? Moriamo?”. Un minuto interminabile di una giostra mostruosa senza uscite. Poi tutto si ferma.
Cercare tra le facce attorno persone a cui chiedere aiuto. Correre verso la scuola di mio figlio con i bambini addosso, coprire i loro occhi di fronte a tutto, poi senza più farlo, farsi largo tra le rovine. Sperare che la scuola sia in piedi, che le esercitazioni sulla sicurezza siano servite, che mio figlio sia vivo. Sentire le urla attorno. Sentire che niente sarà più come prima.
E se questo non basta, se si è scelto di andare a vivere vicino alla costa, quando la terra si è fermata, quando ci si è sorpresi vivi in mezzo a tanta distruzione, vedere arrivare un mare che si è alzato in piedi. E qui le mani per i figli non possono niente, l’amore di una mamma è poca cosa, dare la vita non basta per salvare. Chi è lontano ha lo spazio di un pensiero, l’istante più doloroso.
E se a tanta distruzione in qualche modo si è riusciti a sopravvivere, guardare all’orizzonte quella nube che non smette di crescere, anche il giorno dopo e quello dopo ancora. “Mamma, perché stai sempre ad ascoltare la tv?” Fare le valigie, rovistando tra i mobili crollati, cercare le proprie cose, quelle più importanti e prepararsi ad andare via perché qui l’aria uccide di una morte radioattiva che non lascia scampo. Vivere sapendo che sui figli incombe una minaccia apocalittica, che non basta qualche km a tener lontano. Chiedersi il perché di quel veleno che mette l’intelligenza dell’uomo in ginocchio.
A tutte le mamme che dovranno sostenere la speranza di fronte agli occhi ignari dei figli.
Come questa tragedia è entrata nelle vostre case? Cosa vi hanno chiesto i vostri figli? In che modo essere vicini a chi si è travato su malgrado protagonista di questo dramma?
Un caro saluto a tutti.
Pubblicato il 18 marzo 2011 - Commenti (0)
09 mar
Avete un figlio o un nipote tra i 2 e i 6 anni a cui magari dovete organizzare una festa di compleanno? Questo messaggio è dedicato a voi, ma spero possa interessare anche per gli altri.
Invitare a casa qualche amichetto del vostro angelico bambino può accendere qualche timore, soprattutto se non avete stipulato una polizza casa che copra i danni artistici. Molti bambini, spesso se maschi, sentono l’incontenibile bisogno di stringersi, corrersi addosso, tirarsi, concentrando in questi gesti maldestri il forte desiderio di avere vicino l’amichetto.
Risate e pianti disperati sono le due facce della stessa medaglia e noi adulti fatichiamo a stare dietro a quest’alternanza serrata.
Un punto fermo da cui partire è che per imparare a giocare bene insieme serve allenamento. La scuola dell’infanzia è un’ottima occasione, ma servono anche altri ambienti: il parco giochi, l’oratorio, la casa, etc. e in questi luoghi l’adulto deve mettersi in gioco. Osservare da lontano quando i bambini trovano un loro equilibrio da soli, scendere in campo quando serve un aiuto per superare ostacoli troppo impegnativi.
Vorrei condividere con voi un’idea per animare una festa o un momento di gioco con bambini di quest’età. È a costo quasi zero e utilizza materiali di riciclo. Si tratta di costruire un percorso negli spazi che avete a disposizione, disegnando a terra, con lo scotch di carta (quello che usano gli imbianchini) il percorso circolare di un binario e far costruire ai piccoli dei vagoni treno sui quali portare in giro i loro peluche.
Ecco alcuni spunti che poi potrete personalizzare con la vostra fantasia. Il percorso dei binari: per movimentare il tracciato potete inserire alcuni elementi che caratterizzeranno il viaggio come per es. un passaggio a livello (con dei legni bianchi e rossi che possono essere alzati da un controllore che suona una campanella), uno scivolo (attaccando con del nastro adesivo dei cartoni su una rampa di scale); una carrucola (se avete un dislivello da superare); una salita e discesa (da costruire con dei cartoni); un tunnel (fissando un telo scuro tra una finestra e una sedia o il divano o facendolo pendere da un tavolo); le stazione (dove i peluche possono essere caricati e scaricati); il controllore che buca i biglietti di viaggio, etc.
Tutti questi aspetti vanno preparati prima dell’arrivo dei bambini così da fare loro una bella sorpresa. I vagoni: per realizzarli sono ottime le scatole delle scarpe a cui dovrete attaccare una corda per poterle trascinare in giro. I vagoni possono essere abbelliti con cartoncini e materiali vari per realizzare ruote e decorazioni. È consigliabile fissare due nastri all’interno da utilizzare come cinture di sicurezza per i passeggeri. Quando tutto e pronto, ognuno può caricare il suo peluche e avventurarsi nel percorso. Il gioco è a misura di bambino e coinvolgente. Stimola l’esplorazione e permette di incanalare le energie in un gioco creativo e coinvolgente. E poi viaggiare è sempre bello, anche se lo si fa per finta, partire, tornare, fare incontri… esperienze che appassionano a tutte le età
Approfitto per augurare a tutte le donne buon viaggio, in qualunque stazione si trovino, perché la loro meta sia sempre un buon motivo per sperare. Aspetto vostre idee gioco per animare feste e pomeriggi insieme. Descrivete esperienze di successo o magari piccoli fallimenti in cui siete incappati. Faremo tesoro dei vostri racconti.
Buona settimana a tutti!
Pubblicato il 09 marzo 2011 - Commenti (0)
01 mar
Colgo volentieri l’invito di sviluppare una discussione su un tema così centrale per la vita delle mamme e dei loro figli.
Punti fermi sull’allattamento al seno:
- è raccomandato in modo esclusivo fino ai 6 mesi quale miglior pratica dal punto di vista nutrizionale e del benessere psicologico del bambino;
- fa bene alla salute della mamma;
- dopo i 6 mesi, oltre al latte materno devono essere introdotti progressivamente cibi solidi per apportare sostanze nutritive necessarie alla crescita del bambino;
- proseguire l’allattamento dopo i 6 mesi fornisce al bambino vantaggi immunitari e benessere psicologico.
Quando interrompere l’allattamento?
L’OMS dice: “Come raccomandazione sanitaria generale, per avere le migliori possibilità di crescere e svilupparsi in maniera regolare, nei primi sei mesi di vita i neonati dovrebbero essere nutriti esclusivamente con latte materno In seguito, per soddisfare il crescente fabbisogno nutrizionale, la dieta va integrata con cibi complementari idonei e sicuri, proseguendo l’allattamento fino all’età di due anni o oltre” mentre l’American Academy of Pediatrics indica il primo anno di vita come termine ideale a questa pratica.
Il sentire comune nel nostro paese propende verso gli orientamenti americani: le mamme che allattano al seno i figli dopo l’anno di vita sono una minoranza. Le indicazioni che comunemente vengono diffuse da pediatri, consultori, esperti, blog, etc. consigliano il compimento del primo anno come termine per smettere di allattare anche se non mancano (soprattutto on line) pareri discordanti che invitano a proseguire ben oltre questa pratica, fino a che mamma e figlio non si sentiranno pronti a smettere.
Il latte materno resta un ottimo alimento anche se i vantaggi nutrizionali, dopo il primo anno, si riducono, mentre dal punto di vista psicologico la situazione è più complessa. L’allattamento assume nuove significati relazionali: il bambino richiede di attaccarsi al seno per soddisfare bisogni più evoluti e avere la mamma tutta per sé. Può capitare infatti che il numero delle poppate, invece di diminuire, aumenti perché le richieste di compensazione e consolazione nella giornata di un bambino sono tante. Molte mamme si sento incapaci di porre dei confini e dei limiti a queste richieste crescenti e il processo di separazione e individuazione rischia di vivere una fase di confusione. Per le mamme che vogliono smettere di allattare o che sentono la necessità di sospendere questa piacevole ma impegnativa dipendenza reciproca, ci sono però altri modi per dare soddisfazione a questi bisogni senza frustrare il benessere del bambino e magari regalandogli un ruolo attivo nella ricerca di nuove forme di soddisfazione: i riti dell’addormentamento, il ruolo dei padri, i giochi da fare insieme, le coccole, etc. Allattare oltre l’anno è una sfida. Una mamma sicura e capace di gestire i confini tra sé e il figlio può, a mio parere, prolungare l’allattamento senza grossi problemi. Una mamma consumata da un figlio sempre più esigente, che le richiede senza tregua di attaccarsi al seno, è bene che lavori sulla capacità di rassicurare e sostenere il bambino nel tollerare la frustrazione legata alla sospensione progressiva dell’allattamento. A un figlio serve soprattutto una mamma che sa scegliere con coscienza e sapienza quello che è bene per lui e lo sappia mettere in pratica.
Mi piacerebbe che si sviluppasse un confronto privo di giudizi, nel quale tutti si sentano liberi di portare la propria esperienza e di ascoltare quella degli altri. Un caro saluto a tutti.
(Per leggere un utile compendio sull'allattamento cliccate a questo indirizzo:
http://www.unicef.it/Allegati/Strategia_globale_alimentazione_neonati_bambini.pdf
Pubblicato il 01 marzo 2011 - Commenti (5)
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