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Non voglio stare in panchina

Mi è capitato più volte di assistere a partite di calcio dei pulcini. Ho notato che ci sono bambini che in panchina non ci stanno mai mentre altri ci stanno spesso, alcuni molto spesso. Cosa si prova a vivere il campionato da riserva?

Le motivazioni che incentivano nei bambini la pratica sportiva sono principalmente due: IL GIOCO E L’AGONISMO. Due spinte molto importanti che vediamo in atto nelle attività praticare dai bambini anche spontaneamente. Gareggiare significa mettersi alla prova con sè stessi, conoscere meglio le proprie caratteristiche e provare a migliorarsi; tutto ciò rende più forte il bambino, lo aiuta a sentirsi più sicuro. Entro quale soglia di competizione però ciò può avvenire? Se mio figlio gioca coi suoi amici in cortile a calcio, ci mette tutto il suo impegno, a volte segna, a volte no, ma si diverte un sacco e gioca fino allo sfinimento. La sera sale in casa soddisfatto, comunque sia andata la partita.

Se mio figlio gioca nel campionato di calcio della sua squadra, se è fortunato, sta in campo pochi minuti, se il risultato lo consente. Insieme a mio figlio, in panchina, ci sono molti altri bambini che pur impegnandosi molto non potranno mai pensare di giocare da titolare. Guardare però è meno bello di giocare, e stare in campo con la paura dell’insuccesso genera ansia, uno stress che non stimola ma in molti casi blocca e scoraggia.

Le indicazioni ufficiali delle Federazioni per l’avvio delle attività competitive e dei campionati sono: Calcio, categoria pulcini dagli 8 Minivolley dopo i 14 anni. Minibasket: 11 anni. Chiunque abbia un figlio che pratica qualche sport di squadra sa però che queste indicazioni sono ignorate e già ai bambini di 6 o 7 anni sono proposti piccoli tornei o mini campionati per rendere più stimolante e varia l’attività sportiva. Il problema è che se un allenatore non ha le idee chiare la dinamica competitiva prende piede e ciò esalta le differenze tra le diverse doti atletiche dei ragazzi.

Nella scelta dello sport per i figli, la preparazione e la competenza educativa dell’istruttore diventa quindi l’elemento più importante. Quando l’allenatore fa vivere alla squadra la competizione come un momento di dimostrazione della propria superiorità verso l’altro, ciò è deleterio per i bambini. Lottare fino all’ultimo contro qualcuno, dover affermare la propria superiorità, sono dinamiche che necessitano una mente adulta capace di tenere insieme significati più complessi. Esasperare l’importanza del risultato nei bambini stimola due processi contrapposti ma entrambi negativi: sentirsi inferiore o inadeguato o sentirsi superiori e dominanti. Come uscire da queste derive? Come far sentire tutti i bambini nello stesso modo soddisfatti e protagonisti del loro gioco? Idealmente sarebbe bello pensare che le squadre sono sempre una miscela diversa di componenti, che tutti hanno la stessa probabilità di giocare, che se si perde non è un problema, lo è invece se qualcuno in panchina ci sta sempre. Forest Gump, su una panchina racconta la storia della sua vita a degli sconosciuti. Sarebbe bello che nessun bambino scrivesse lì la propria storia di sportivo.

Cosa pensate di queste riflessioni? Che scelte avete fatto per sostenere i vostri figli nelle loro sperimentazioni sportive? Che rapporto avete voi con la competizione? Buona settimana a tutti.

Pubblicato il 02 novembre 2011 - Commenti (1)

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Postato da trismamma75 il 04/11/2011 23:42

Non ho esperienza diretta sull'argomento perché ancora non ho iscritto i miei figli ad attività sportive. Non ho mai insistito perché i miei figli facciano sport, anche se incoraggio molto l'attività sportiva “libera” (tutti i giorni all'asilo e ritorno a piedi o in bicicletta anche se non è vicinissimo, passeggiate all'aria aperta, sabati e domeniche tutti insieme al parco a fare giochi di movimento o in giro con bici, roller e monopattino...)perché i racconti di amici e conoscenti mi parlano di agonismo e competizione portati allo stremo, con conseguenze psicologiche pesantemente negative che a volte ci si porta dietro per tanti anni. Ora però il grande ci ha chiesto di fare calcio, e probabilmente in primavera inizierà a giocare nella squadra dell'oratorio. Ho scelto l'oratorio per avvicinare mio figlio allo sport proprio perché tengo molto all'aspetto educativo e mi aspetto che oltre al gioco del calcio vengano insegnati valori ben più importanti. Confesso però di essere un po' apprensiva al riguardo: troverà persone che lo sapranno valorizzare, come persona prima che come campioncino in erba? Io spero come mamma di essere in grado di sostenerlo sempre nel modo giusto e di infondergli sicurezza e stima di sé, comunque vada questa esperienza. E mi auguro che la pratica sportiva sia per lui un'autentica palestra di vita.

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Barbara Tamborini, psicopedagogista, autrice di libri sull'educazione. Ha 4 figli.

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