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Per il superiore interesse dei bambini

La cronaca dei fatti sulle vicende che hanno coinvolto Leonardo nei suoi primi dieci anni di vita:

  • 2001 matrimonio tra i genitori di Leonardo: lui avvocato, lei farmacista;
  • 2002 nasce Leonardo
  • 2005 separazione consensuale che stabilisce che il figlio viva con la madre e il tempo e i modi delle visite del padre. Querele del padre contro la madre e della madre contro il padre.
  • 2009 sentenza che afferma che va tolta la patria potestà alla madre del bambino ma i giudici stabiliscono che Leonardo resti comunque a vivere con lei
  • 2010 la madre ricorre alla sentenza ma perde il ricorso
  • 2011 il padre ricorre alla decisione che Leonardo resti a vivere con la madre
  • 2 agosto 2012 la corte d’Appello di Venezia emana una sentenza che dice che il bambino deve essere tolto dalla tutela della madre e vivere in un luogo neutro
  • 24 agosto e 4 settembre: due tentativi di prelevare Leonardo da casa sua, falliti per la resistenza mostrata dal ragazzo all’essere allontanato da casa sua
  • 10 ottobre 2012 il padre con altri 5 persone (3 agenti in borghese, un rappresentante dei servizi sociali e uno psichiatra) preleva dalla scuola di Cittadella (PD) il figlio Leonardo per portarlo in una Comunità protetta.
Se c’è una cosa chiara nei fatti che hanno coinvolto Leonardo è che è stato un bambino cresciuto in guerra e l’invocato principio: “Per il superiore interesse del bambino” ha fatto acqua da tutte le parti. Gli adulti a lui prossimi, sono scesi in trincea l’uno contro l’altro per difendere il proprio diritto. Lo ha fatto il padre (avvocato), che di fronte al ripetuto rifiuto del figlio, ha più volte tentato di andare a riprenderselo fino a portarlo via di peso dalla sua scuola.

Lo ha fatto la madre (farmacista) che ha difeso il figlio a qualsiasi costo, costruendogli un rifugio in casa e vigilando su qualsiasi invasione, anche quando a bussare alla porta erano uomini con una sentenza della Corte d’Appello.

Lo ha fatto il nonno che da giorni faceva la sentinella fuori da scuola per verificare che non ci fossero sorprese. Il preside aveva segnalato la presenza di un signore anziano nei pressi della scuola, senza sapere che l’interesse di quell’uomo era per un solo bambino: suo nipote.

La ha fatto la zia che ha urlato contro gli agenti, urla strazianti che fanno male a chi le ascolta. Urla che sono giunte chiare alle orecchie di Leonardo tenuto con la forza dal padre e dagli agenti.

Lo hanno fatto gli agenti e le persone incaricate dell’esecuzione della sentenza che questa volta hanno deciso di andare fino in fondo, a qualsiasi costo.

Lo hanno fatto i media che per informare hanno immediatamente diffuso le immagini sconvolgenti del video attivando l’interesse di tutta la nazione e audience da record sui dibattiti infiniti generatesi di conseguenza.

Il caso di Leonardo è davvero complesso. Come capita spesso può darsi che ragione e torto siano distribuite un po’ tra tutte le parti coinvolte, ma ciò che sconvolge l’opinione pubblica è che un bambino si possa trovare in una situazione del genere.  Immagino che nessuno desiderasse far vivere a Leonardo un momento tanto drammatico. Il padre era arrivato a scuola per incontrare il figlio, il Preside aveva collaborato a creare il contesto adatto. Gli agenti e i tecnici presenti al blitz di certo avrebbero evitato volentieri lo strazio di portare di peso un bambino che urla disperato. La sensazione è che tutto sia precipitato e gli attori in gioco hanno deciso di improvvisare: il padre con gli agenti per portare a termine l’impresa e non dover ripetere ancora scene strazianti. I parenti della madre per difendere a qualsiasi costo la loro custodia del bambino.

Penso che in casi come questi né i genitori né i parenti siano in grado di gestire da soli la definizione di ciò che è bene per il proprio figlio/nipote. Serve la mediazione di persone competenti che tutelino l’interesse superiore del bambino. Grazie al cielo in molti casi le separazioni, per quanto dolorose, trovano i modi per costruire un patto di stabilità tra genitori. Qui questo non è accaduto e si sono moltiplicare le querele, le accuse, le sentenze, atti legali per compensare l’incapacità di trovare un accordo, di mediare, di fare un passo indietro. A me hanno molto colpito le urla della zia. Mi sono chiesta: Che effetto avranno fatto su Leonardo? Servivano a tutelare il bambino o a spaventarlo ancora di più? Non sarebbe stato più utile sentirsi dire “Stai tranquillo Leonardo che tanto nessuno vuole farti del male. Noi ci siamo sempre e presto ci rivedremo, adesso stai tranquillo e vedrai che poi i genitori sapranno trovare il modo di esserti vicino. Tutti e due”.

Certo per mamma, nonno e zia che da anni non provano stima per un padre considerato non adatto e violento tanto da dover vedere il figlio solo durante visite protette, sono parole difficili da dire. Significa la resa, fare marcia indietro, permettere all’altro di vincere. Ma significa anche mettere davvero il bene supremo del figlio prima di tutto. Il bambino non stava per essere rapito da sequestratori anonimi che mettevano in pericolo la sua vita. Io non credo che gli agenti fossero arrivati lì con l’idea di fare del male al bambino. Loro eseguivano una sentenza più o meno giusta e spostavano il gioco della contesa su un terreno neutro in nome di una sindrome da alienazione parentale che sarà tutta da dimostrare.

La reazione dei parenti materni ha reso tutto molto più straziante e a mio parere quello non era il luogo per impugnare le armi. La mediazione può avvenire solo laddove le parti sono disposte a fare un passo indietro e questa era una buona occasione per farlo. Il momento di dare una lezione di stile, di dire non solo a parole che si era disposti a trattare. Concedere qualcosa all’avversario è dimostrazione di coraggio e segno concreto per costruire le basi di un accordo di pace. In questa guerra nessuno fa passi indietro e ciò promette poco di buono a Leonardo.

Forse servirebbe per lui davvero un luogo neutro dove costruire una propria visione dei fatti, adulti non in guerra sintonizzati sui suoi bisogni, ma credo che né padre né madre sapranno ammettere che qualcuno può prendersi cura di Leonardo meglio di loro. Per essere genitori ci vuole equilibrio, essere così forti da decidere per la pace anche quando si ha ragione. E voi cosa ne pensate? Che reazioni avete sperimentato di fronte a questo caso mediatico? Immagino che tra voi che leggete ci saranno anche genitori separati che hanno vissuto esperienze di mediazione ben diverse da questa. Raccontateci la vostra esperienza. Un caro saluto a tutti.  

Pubblicato il 15 ottobre 2012 - Commenti (3)

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Postato da nannapanna il 22/10/2012 15:45

Cara Barbara, leggendo la ricostruzione dei fatti che hai riportato mi sono chiesta più volte perchè hai dovuto scrivere più volte il fatto che i genitori del bambino fossero entrambi laureati e svolgessero entrambi una certa professione. Forse per affermare che anche tra persone colte succedono queste cose? se così fosse mi sorge il dubbio che ci sia, di base, un pregiudizio cioè che certe persone dovrebbero essere meglio di altre a svolgere il ruolo di genitori? Conscia che l'educazione scolastica non insegni ad essere bravi genitori concordo appieno sul fatto che questa, e purtroppo altre, siano situazioni limite dove è veramente trovare la ragione o il torto.

Postato da Diego Alloni il 18/10/2012 18:02

Gentile Barbara, tra i fatti elencati manca quello più importante: le pressioni che ha subito la mente di questo bambino, fino a non essere più lui e a diventare apparentemente arbitro della sua vita. A me sembra che un bambino che strepita e si dimena di fronte a poliziotti ed altri operatori, gentili ma fermi, non sia un bambino secondo il modo con cui consideriamo i nostri figli. Se non è più lui, perchè è un altro? Se questa si vuole chiamare sindrome da alienazione genitoriale o in altro modo, lo lascio agli accademici. Ma il dato a noi visibile è che questo bambino soffre di qualcosa di grave. Scrivere che ciò "sara tutto da dimostrare" è un po' fuori luogo. Ho esperienza diretta di questa situazione (sono tutte storie-fotocopie) e, come padre, decisi qualche anno fa di fare un passo indietro. Di più, decisi di perdonare la mamma dei miei figli per quello che aveva fatto, faceva ed avrebbe continuato a fare sulla loro mente. Improvvisamente riuscii a rivedere i miei figli ed a instaurare un rapporto lieto con loro, che continua tuttora. Dopo 5 anni di assenza forzata, siamo tornati a rivederci. Per un bambino, 5 anni sono tanti e, nonostante i sorrisi, i miei figli non sono più capaci di chiamarmi "papà".

Postato da AZZURRA63 il 16/10/2012 22:14

Davanti al telegiornale ho chiesto a mio figlio di 9 anni se voleva vedere il video e gli ho spiegato di cosa trattava. Non voleva vederlo. Girato canale, parlato con il figlio e finita la storia che non ha bisogno di video per capire quanto sia assurda. Grazie a famiglia cristiana che ha avuto il coraggio di dire che di casi come questi, purtroppo, ce ne sono tanti.

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Barbara Tamborini

Barbara Tamborini, psicopedagogista, autrice di libri sull'educazione. Ha 4 figli.

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