Don Sciortino

di Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l'era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

 
19
mag

Ancora sui Sim, senza polemiche

Anni fa è stata tentata un’edizione online dei Sim, in stile “Second Life”. Ma è miseramente fallita perché lo scopo del gioco non è affatto interagire con persone vere.
Anni fa è stata tentata un’edizione online dei Sim, in stile “Second Life”. Ma è miseramente fallita perché lo scopo del gioco non è affatto interagire con persone vere.

Dopo il post del 12 aprile dedicato alla nuova uscita “medievale” di I Sim, mi sembra utile tornare su questo celebre gioco per approfondire con i lettori altri significativi aspetti. Uno di questi, indubbiamente, è quella libertà totale di impostare i personaggi che nei giorni scorsi è stata letta da qualcuno come “invito all’omosessualità”.

Le polemiche qui non interessano. Certamente importa però sottolineare che I Sim sono un gioco che simula “persone” e “famiglie” senza prendersi le responsabilità dei loro comportamenti. Ogni giocatore può modellare i personaggi e chiedere loro le prestazioni che desidera a suo piacimento. Per qualcuno forse ciò può essere divertente, ma l’atmosfera e gli scopi del gioco ne risultano molto ambigui: lo stile della simulazione si rivela più approssimativo proprio nel gestire quella finezza di rapporti umani, fondata sulla differenza tra valori e disvalori, che sorregge le amicizie, gli amori, le famiglie. Poiché con i Sim si può fare tutto e il contrario di tutto, sconsiglio di affidare questo gioco a bambini e ragazzini e ritengo insufficiente la qualifica di “12 anni” attribuita.

Un altro aspetto notevole dei Sim è il fiorire di “storie” nate a partire dal gioco. Basta infatti un po’ di inventiva e di pazienza e si possono estrarre scene per poi montarle in un film a misura di giocatore. Godetevi per esempio questa parodia di Star Trek:

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Tanto si è diffusa questa tendenza che il gioco ha inserito al suo interno gli strumenti per diventare registi in proprio. YouTube trabocca di cortometraggi realizzati a partire dai Sim. L’occupazione forse più divertente e più sensata che se ne possa ricavare.

Pubblicato il 19 maggio 2011 - Commenti (0)
11
mag

Basta con la fandonia degli immigrati digitali

I celeberrimi personaggi di PacMan, la bocca vorace che mangia palline. Sotto, il filmato presenta Monkey Island 2, episodio di un’avventura prodotta da George Lucas.
I celeberrimi personaggi di PacMan, la bocca vorace che mangia palline. Sotto, il filmato presenta Monkey Island 2, episodio di un’avventura prodotta da George Lucas.

Va di moda dividere il mondo contemporaneo in due schiere: i “nativi digitali”, nati dagli anni Novanta in qua, e gli “immigrati digitali”, ovvero gli adulti nati prima. Il senso della divisione – coniata dall’americano Marc Prensky nel 2001 e da allora divenuta un luogo comune – sta nell’attribuire agli “immigrati digitali” una insostenibile fatica a padroneggiare tecnologie e linguaggi in cui i “nativi”, invece, si muovono come a casa loro. Di qui un ineluttabile abisso, un “divario digitale” tra generazioni che non si capiscono più.

Adottare alla lettera questa distinzione è ingenuo e soprattutto inesatto proprio per quel che riguarda gli “immigrati digitali”. Tanto per cominciare, praticamente tutte le innovazioni dell’era digitale si devono proprio a loro, agli adulti che quest’era l’hanno inaugurata e la fanno crescere. In secondo luogo, proprio il terreno dei videogiochi, di cui qui ci occupiamo, sbaraglia qualsiasi rigida barriera visto che, anche in Italia, questo mondo esiste e prospera almeno dagli anni Settanta: i papà dei “nativi digitali” sono quei bambini e ragazzi che da Pong (1972) a Space Invaders (1978), da PacMac (1980) a Monkey Island (1990) e a Wolfenstein 3d (1992), hanno fatto propria la cultura dell’interattività mentre l’internet e il web erano ancora di là da venire. Questo video fa vedere come, compatibilmente con le qualità video e audio dei pc di allora, alcune “storie digitali” fossero incantevoli già all’inizio degli anni Novanta:



Non per niente gli ex bambini degli anni Ottanta sono tuttora acquirenti abituali di videogiochi (l’età media di chi li usa in Italia s’aggira sui 30 anni) e, certamente, sono  loro che hanno introdotto i propri figli a questo mondo. Anche per questo una famiglia su due, oggi, ha in casa almeno una console.

Quindi, papà e mamme, non accettate di sentirvi escludere da un mondo che è legittimamente vostro. Quella di essere “immigrati digitali”, se deve equivalere a sentirsi incapaci (o, peggio, giustificati) rispetto al capire che cosa fanno i figli davanti agli schermi, è una panzana bella e buona.

Detto questo, i “nativi digitali” esistono ed è un discorso molto serio, di cui riparleremo. Seriamente.

Pubblicato il 11 maggio 2011 - Commenti (1)
05
mag

Sul set di “Yoostar”, nei panni delle star

“Yoostar 2” sovrappone il giocatore alla figura e alla voce dell’attore. Il tutto in italiano.
“Yoostar 2” sovrappone il giocatore alla figura e alla voce dell’attore. Il tutto in italiano.

Il karaoke si trasferisce al cinema. Grazie a Yoostar 2: in the movies, si può entrare nelle scene dei film più appassionanti e recitare in presa diretta come se si fosse il protagonista. È ancora una volta questione di tecnologia, risorsa di cui abbondano sia la Playstation 3 (se accompagnata dalla webcam) sia l’Xbox 360 con annesso sensore Kinect.

Quel che si deve fare è semplice: scegliere fra circa ottanta grandi film (da “Terminator” a “Forrest Gump”, dal “Padrino” a “Star Trek”), scegliere il personaggio da interpretare, mettersi davanti al sensore in modo da farsi “catturare” nello schermo, leggere le battute man mano che appaiono e muoversi esattamente (più o meno, dipende dalla forma fisica e dalle capacità sceniche) come fa l’attore. Risultato: nella scena che abbiamo visto e rivisto tante volte, stavolta ci siamo proprio noi in faccia, corpo e voce.

Il gioco non è tutto qui, come spiega questo filmato-intervista (che è in inglese sottotitolato in italiano, ma esiste l’edizione italiana completa del gioco):

A chi recita viene attribuita una valutazione, il che rende possibili gare tra più persone che ricevono ciascuna un punteggio per ogni prestazione, sfidandosi con film progressivamente più impegnativi. Dall’altro lato è possibile sia registrare e mostrare la propria interpretazione sul portale web di Yoostar 2, sia acquistare altre scene che sono o saranno messe a disposizione.

È un “family game” simpatico, pensato per una fruizione collettiva. Fa anche immaginare sviluppi affascinanti nel mondo del “cinema virtuale” e dà senso agli sviluppi dell’elettronica mettendoli al servizio di un’attività, la recitazione, antica quanto l’uomo.

Pubblicato il 05 maggio 2011 - Commenti (0)
27
apr

Videogiochi, non sono un parcheggio per bebè

Rayman è uno dei personaggi più popolari delle avventure per bambini, un concorrente di SuperMario. È appena uscito “Rayman 3d” per il nuovo Ds Nintendo.
Rayman è uno dei personaggi più popolari delle avventure per bambini, un concorrente di SuperMario. È appena uscito “Rayman 3d” per il nuovo Ds Nintendo.

L’associazione italiana editori software videoludico (Aesvi) ha presentato il suo rapporto annuale sullo stato di questo settore dell’industria. Che in Italia fattura ormai da un lustro oltre un miliardo di euro, con una lieve flessione negli ultimi due anni da imputare – più che alla crisi – in parte alla pirateria che ha fatto soffrire giochi come quelli per Nintendo Ds, e in parte alle molte altre “finestre” che si sono aperte senza che però il rapporto (curato da GFK) ne tenesse conto: dai mondi online (le schede per collegarsi a “War of Warcraft” sono abitualmente al primo posto nelle classifiche) a quelle nuove console per giocare che sono i due cugini Apple, iPod e iPad.

Due considerazioni. Anzitutto la ribadita certezza che tutto possiamo fare tranne che sottovalutare i videogiochi. In due casi su tre ne abbiamo qualcuno in famiglia, nel terzo i figli li conoscono e ci giocano da amici. Serve avere idee chiare e farsene aiutare nella vita familiare e nell’educazione. Sarà utile che famiglia e scuola ne accettino l’esistenza e li tengano in giusta considerazione: solo così esisterà un pubblico maturo, capace di apprezzare ciò che va bene o di respingere ciò che non va bene, orientando il mercato e quindi la produzione.

In secondo luogo, i videogiochi dimostrano che la faccenda degli “immigrati digitali” e del “divario digitale” con i bambini è una panzana, o quantomeno una semplificazione. Guardate la qualità di questo “poliziesco” che sta per arrivare (a fine mese, ne riparleremo) e capirete perché giocare può non essere un capriccio infantile:



I numeri dicono che ooggi gli adulti “videogiocano” più dei bambini: spesso sono loro, bambini trent’anni fa, a istruire i figlioletti nella frequentazione di questo mondo.

Papà e mamme, diamoci da fare per stare accanto ai figli quando giocano: il vero nemico sono i videogiochi usati da area di parcheggio. Esattamente come la Tv.

Pubblicato il 27 aprile 2011 - Commenti (1)
20
apr

Kinect e Ds, tecnologia per la gente

La tecnologia m’interessa per ciò che consente di fare alle persone, non per quel suo luccicare che a volte distrae dall’essenziale. È però suggestivo accostarsi a due innovazioni come Kinect di Microsoft Xbox e la console Nintendo 3ds. Nel primo caso si tratta di un nuovo modo per interagire con la console, in commercio da Natale scorso.

Si basa su un sensore di movimento e un programma capace di riconoscere connotati e gesti. Ne risulta la possibilità di “dialogare” con ciò che accade sullo schermo senza alcun intermediario materiale: niente mouse, né controller, né telecomando. Un gesto e il menù si sposta. Un altro ed è come se avessimo fatto click. Sono usciti i primi giochi che sfruttano questo tipo d’interattività.
 

Super Monkey Ball 3d è l’ultimo nato di una fortunata serie di “arcade platform” pubblicata da Sega fin dal 2000.
Super Monkey Ball 3d è l’ultimo nato di una fortunata serie di “arcade platform” pubblicata da Sega fin dal 2000.


Quello che mi ha impressionato è Michael Jackson Experience, di Ubisoft, perché l’esperienza in questione – ballare e cantare al centro delle celebri coreografie della star scomparsa – è impressionante: si è davvero al centro, ci si trova “dentro” da protagonisti. Fermo restando che Jackson non mi entusiasma e tantomeno la sua “filosofia” (e che il gioco è consigliato a maggiori di 12 anni), l’esperienza fa capire che in questa direzione si può far strada.

La nuova console portatile Nintendo è invece riuscita a mostrarci il primo 3d senza occhiali. Qualcosa di mai visto, anche qui. Aspettiamo di incontrare giochi all’altezza, per ora mi è sembrato un passatempo divertente Super Monkey Ball 3d (ostacoli, livelli, scimmiette).

 Costa poco più di un uovo di cioccolato, può regalare qualche emozione a un bambino.
Costa poco più di un uovo di cioccolato, può regalare qualche emozione a un bambino.


Infine, ho in mano Ovotrovo, che non è un videogioco, bensì un ovetto di plastica interattivo con dentro un animale che, se lo nascondi in casa o in un giardino, “chiama” per farsi trovare. Si trova nei negozi di giocattoli. È una bella tradizione pasquale, quella delle uova nascoste. E in questo caso più dietetica del cioccolato.

Buona Pasqua.

Pubblicato il 20 aprile 2011 - Commenti (0)
12
apr

Che carattere questi Sim

Parliamo di I Sim, videogioco per pc tra i best seller di tutti i tempi, più di cento  milioni di copie.

È da poco sugli scaffali The Sims Medieval, contrassegnato dall’ambentazione storica. Il giocatore è un “monarca-dio” che può fare e disfare a piacimento. Darà la propria impronta al giovane regno, compiendo missioni e scelte che influiranno sui rapporti con gli altri Sim (duelli, amoreggiamenti, tradimenti, incantesimi, religione, famiglia ecc.).

I Sim sono personaggi, creati dal giocatore o presenti nel gioco, le cui caratteristiche caratteriali possono essere selezionate, impostando Sim eroici, pigri, perfidi, ingenui, arroganti eccetera, con varie mescolanze di questi tratti personali.
Qui si vedono alcuni Sims medievali in azione.

Qui invece il trailer del gioco.


Ideato dall’americano Will Wright nel 2000 ed edito da EA Games, I Sim è un sofisticato “simulatore di persone”. I personaggi vengono guidati fin dalla definizione del carattere e poi in tutte le azioni che possono derivarne. Assecondano le indicazioni del giocatore ma si ribellano se si ritengono maltrattati (basta che abbiano fame o sonno). Si procede praticamente all’infinito.

Esistono innumerevoli versioni, ma in sostanza il tutto si traduce nel guardare “che cosa faranno” i personaggi nelle situazioni provocate o permesse dal giocatore. Il gioco è consigliato dai 12 anni in su ma molte persone lo vedono adatto anche a bambini più piccoli, ritenendolo innocuo e perfino formativo. Io invece ho sempre pensato che non bisogna sottovalutarne la dinamica, poiché non è affatto insignificante questo giocare col carattere umano che si traduce in azioni per nulla banali, anche quando vengono realizzate con un click del mouse.

Pubblicato il 12 aprile 2011 - Commenti (1)
05
apr

Il mondo interminabile dei Pokémon

Si scrivono con l’accento sulla “e” ma si leggono con quello sulla prima “o”: Pòkemon. Me l’ha chiesto un lettore e rigiro la domanda: che ne pensate dei Pokémon? Dopo innumerevoli manga, anime, serie tv, libri, figurine, perfino francobolli per non dire di gadget vari, pochi ricordano che in effetti è proprio nel mondo dei videogiochi che questi buffi mostriciattoli hanno mosso i primi passi (e molti altri successivi, visti i circa 200 milioni di copie venduti).

Li dobbiamo al giapponese Satoshi Tajiri e a Nintendo, che nel 1995 pubblicarono il primi videogioco Pokémon per la console GameBoy. Il nome deriva dall’inglese Pocket Monsters, mostri tascabili; nati come il corrispettivo fantastico degli animali domestici, popolano un mondo fantasioso dove vanno rintracciati, allevati, resi amici e anche utilizzati in combattimenti che non sono mai cruenti, al fine di sconfiggere i “cattivi”.

A me pare che si tratti di un mondo immaginario abbastanza innocuo e simpatico, in cui le dimensioni della solidarietà, dell’amicizia e della fedeltà sono presenti. I due più recenti episodi, Pokémon Versione Bianca e Pokémon Versione Nera tratteggiano una sola storia in due ambienti diversi che possono essere messi in comunicazione congiungendo le due versioni tramite due Nintendo DS collegati. Questo è lo spot pubblicitario:



Che ve ne pare dei Pokémon? Che esperienze ci sono in famiglia?

Pubblicato il 05 aprile 2011 - Commenti (0)
14
mar

Osè, che fai ci provi?: altro che per 12enni!

A riprova del fatto che l’attenzione dei genitori è insostituibile, ecco l’eccezione che conferma la regola. Le fasce d’età applicate sulla confezione dei videogiochi (le qualifiche PEGI) sono di solito attendibili, ma nel caso “Osè – che fai ci provi?” (titolo in inglese “We Dare”), prodotto da Ubisoft e annunciato per dodicenni, davvero non ci siamo.

Come si coglie da uno spot pubblicitario diffuso in molti Paesi e reperibile su YouTube, si tratta di un gioco di seduzione e non solo. È un pomiciamento nella migliore delle ipotesi forse accettabile fra adulti consenzienti. Ecco il video:


Proporlo all’età in cui ragazzi e ragazze cominciano appena a conoscere il tesoro della sessualità mi pare inappropriato e offensivo, a meno che si voglia incentivare la cultura dei “Rubygate”.

Penso che i produttori, per ragioni commerciali, abbiano voluto tentare un “doppio binario”, confidando che il gioco raggiunga un pubblico vasto. Esplorandolo, ho visto che in effetti il gioco è per lo più allusivo e ironico: spesso si balla e si risponde a quiz. Talvolta però si va oltre. Più significativa ancora è l’atmosfera disincantata rispetto a una realtà che invece a quell’età suona nuova, meravigliosa, misteriosa, com’è giusto che sia, e pretende rispettosa delicatezza.

Non sono evidentemente il solo a pensarlo, tant’è che sulla confezione è stato incollato l’avviso “chiedi il permesso ai tuoi genitori”: l’ammissione di un ripensamento.

In casi come questo le proteste col PEGI sono opportune. Chi vuole vada sul sito http://www.pegi.info/it e scriva nello spazio che trova sotto la voce “Contatti”.

Pubblicato il 14 marzo 2011 - Commenti (3)
07
mar

Dentro il mondo dei Gormiti

I personaggi del videogioco riproducono i pupazzetti, gli ambienti richiamano la serie Tv dei cartoni animati.
I personaggi del videogioco riproducono i pupazzetti, gli ambienti richiamano la serie Tv dei cartoni animati.

Sui Gormiti si può dire quel che si vuole, ma non che siano una stupidaggine. È un mondo assai ben confezionato sia dal punto di vista commerciale – innesca meccanismi di raccolta e di scambio analoghi a quelli delle figurine – sia dal punto di vista creativo (autori gli italiani Leandro Consumi e Gianfranco Enrietto), con un clima “mitologico” calibrato al confine tra la fantasia delle fiabe e i mondi epici alla Tolkien. Popoli, personaggi, ere, eventi vari caratterizzzano questo universo narrativo in cui, come in ogni fiaba che si rispetti, è netto il confine tra buoni e cattivi.

Difficile che i Gormiti non siano entrati in casa di chi ha figli maschi tra i 4 e gli 8 anni. A quell’età la modalità prevalente di utilizzo è quella del gioco libero, esattamente come si fa con i soldatini, con il Lego, con i modelli di automobile. È anche prevista, tuttavia, una modalità più sofisticata in cui ci si affronta con conteggi di carte e di poteri vari, apprezzata da ragazzi di età maggiore.

Il successo dei Gormiti è stato tale da trasporsi anche in una serie televisiva molto seguita. Da lì, a sua volta, deriva il videogioco “Gormiti: il Ritorno dei Signori della Natura” per Nintendo Wii e DS, che ripercorre l’espediente televisivo di vedere quello di Gorm come un “mondo parallelo” in cui alcuni ragazzini entrano per proteggerlo, impersonando altrettanti Gormiti.

Il gioco è riservato alla fascia d’età che parte dai 12 anni. Può essere una simpatica integrazione per gli appassionati del genere, anche perché oltre alle caratteristiche imprese predispone rompicapi e percorsi di abilità che risultano non meno avvincenti.

Pubblicato il 07 marzo 2011 - Commenti (1)
24
feb

Bambini, la violenza nei videogiochi

Alien verso Predator: nei videogiochi l’interazione fa partecipare in prima persona. Non si assiste, si agisce.
Alien verso Predator: nei videogiochi l’interazione fa partecipare in prima persona. Non si assiste, si agisce.

Scrive una lettrice: “Sono la mamma di un ragazzo di 12 anni. Abbiamo sempre proibito l’acquisto di giochi con la scritta 12+, ultimamente abbiamo ceduto alle pressanti richieste acquistando un gioco per così dire vietato. Si è rivelato un errore perché il gioco è decisamente violento. Vorrei delle delucidazioni in merito ai giochi elettronici e alle loro classificazioni con qualche consiglio per noi genitori”.

Ribadisco che la suddivisione per fasce di età che compare sulle copertine dei videogiochi è attendibile. Quasi sempre le caratteristiche dei contenuti vengono evidenziate in dettaglio. Il concetto di “violenza”, in questi decenni di incertezza sui fondamenti, è divenuto sempre più problematico. Siamo tutti contagiati da un clima violento che trascende qualsiasi censura e dilaga nella tv, nelle strade, nelle relazioni. Occorre d’altra parte evitare di confondere le cause con gli effetti. La storia della nostra civiltà ha raffigurato la violenza in molti contesti e non tutti diseducativi. “Violento” è il teatro di Shakespeare, la Divina Commedia, “violenti” perfino la Bibbia e il Vangelo. La violenza non coincide col perbenismo e non è corretto – tanto più per educatori – schierarsi a priori contro qualsiasi forma di difesa, anche risoluta, del bene e del vero.

La violenza sta nell’impatto che avviene tra il “mondo” contenuto nel gioco e lo spirito di un bambino, se questi non è pronto per recepirlo. Però molti videogiochi sono violenti né più né meno come i cartoni animati, che si basano sull’esasperazione caricaturale delle relazioni bene-male, in sé corrette. Tutti i bambini equilibrati distinguono le metafore e le trasposizioni narative. La miglior cautela è accompagnarli.

Pubblicato il 24 febbraio 2011 - Commenti (2)
17
feb

Persone reali nei mondi digitali

Nell’Habbo Hotel si possono creare stanze virtuali personali a pagamento, oltre che frequentare quelle pubbliche.
Nell’Habbo Hotel si possono creare stanze virtuali personali a pagamento, oltre che frequentare quelle pubbliche.

Un lettore m’incoraggia a parlare di giochi online. Sono occasioni d’incontro in cui la dimensione “assieme” riscatta la solitudine che s’imputa a chi passa il tempo davanti a schermo e tastiera.

La parola “assieme” è il chiavistello per rendere il territorio dell’internet sempre più a misura d’uomo. Anche i giochi possono dire la loro, se incoraggiano le relazioni; giocare insieme diventa gradevole quando si mettono in atto gli aspetti della personalità – razionali, emozionali, etici – che ci rendono ciò che Aristotele definiva “animale sociale”.

L’era della cosiddetta comunicazione di massa è vissuta a lungo su un paradosso: folle composte da innumerevoli solitudini affiancate. L’audience di un programma tv, così come il pubblico di un giornale, sono riuniti dall’atto di “ascolto” compiuto in comune. Però tra loro non comunicano affatto.

Nei mondi online della Rete globale succede – o potrebbe – qualcosa di diverso: quanti li frequentano scoprono gli altri e la possibilità di stare insieme. In modo diverso da ogni altro ma non per questo pregiudizialmente negativo.

Però non ci si può avventurare alla cieca. Pochi territori virtuali godono di protezioni adeguate, anche quando a parole sono “aperti a tutti”. L’affollatissimo habbo.it, zona italiana di un sito che conta 160 milioni di iscritti 31 nazioni, è un “Hotel” diviso in ambienti: piscina, area per picnic, locale notturno, shopping center, affollati di personaggi animati (ciascuno è un visitatore) con cui si può chattare.

Ci sono anche tornei o gare. Luogo interessante se non fosse per la diffusione del turpiloquio, non soltanto parolacce ma discorsi di qualsiasi genere (ci sarebbero limitazioni ma vengono facilmente aggirate). Malgrado il gradevole aspetto di un cartoon, non è il luogo migliore per un bambino o per un adolescente.

Pubblicato il 17 febbraio 2011 - Commenti (0)
10
feb

Il “cataclisma” World of Warcraft

In “Cataclysm” di WoW persone di tutte le età si riuniscono per collaborare a completare le missioni.
In “Cataclysm” di WoW persone di tutte le età si riuniscono per collaborare a completare le missioni.

Come definire un gioco che vende tre milioni e mezzo di copie nelle prime 24 ore dal lancio? È il caso di “Cataclysm”, la più recente aggiunta al “mondo online” di World of Warcraft. Si tratta di una sterminata arena in cui giocatori di tutto il mondo (oltre 12 milioni gli iscritti paganti) si incontrano via internet e insieme danno vita a una sorta di “racconto collettivo” ambientato in un enorme mondo magico e vagamente medievale tipo “Signore degli Anelli”. Ogni iscritto crea e gestisce uno o più personaggi, ciascuno dei quali si svilupperà acquisendo esperienza e forza attraverso le infinite missioni da compiere. WoW è un luogo di comunicazione e di collaborazione: difficile giungere ai livelli più alti senza farsi “amici virtuali”.

“Cataclysm”, l’aggiornamento pubblicato il 7 dicembre scorso col successo strepitoso che dicevo, dà nuovo interesse stravolgendo i territori conosciuti e introducendo nuovi personaggi. C’è una trama complessiva entro la quale ciascun “abitante” conduce la sua esistenza con libertà di scelta.

Due osservazioni importanti su WoW. La prima: è di gran lunga l’ambiente su internet più sorvegliato e protetto. Migliaia di custodi garantiscono che non si possano compiere soprusi contro le regole del gioco, né tantomeno infastidire in qualsiasi modo gli altri giocatori.

La seconda osservazione: critiche a questo gioco online (per collegarsi si paga un abbonamento mensile) vengono rivolte per il tempo eccessivo che molti gli dedicano: ore e ore, notti e giorni passati a giocare. Posto che WoW si rivolge a un pubblico che abbia l’età minima di 12 anni, per il resto – come al solito – è questione di equilibrio. I genitori possono definire accessi limitati e avere resoconti del tempo passato a giocare dai figli. Negli opportuni limiti è tra gli esempi più interessanti di “gioco collettivo”.

Pubblicato il 10 febbraio 2011 - Commenti (3)
03
feb

Galateo alla console,lezioni di danza e cucina

Un’immagine dal videogame "Just Dance", dove si balla al ritmo del tutor che appare sullo schermo
Un’immagine dal videogame "Just Dance", dove si balla al ritmo del tutor che appare sullo schermo

Tra le uscite recenti ho spigolato alcuni giochi che possono essere definiti “family games”, adatti per un regalo e per un uso tra le mura domestiche, magari coinvolgendo insieme più membri della famiglia.

Il primo che segnalo è nella linea dei “giochi di danza” di cui abbiamo parlato qualche settimana fa: Just Dance 2 (Ubisoft, per Nintendo Wii) è un piccolo fenomeno nel genere perché, ultimo arrivato (nuova edizione di un titolo più antico), ha saputo colpire l’interesse di un vasto pubblico. Se è vero che danzare è un’espressione del corpo ma anche della mente, è anche vero che farlo con un tutor (sia pure elettronico) e magari farlo in tanti può essere divertente e tutt’altro che superfluo. Annoto che in Italia i giochi musicali hanno fin qui avuto un successo molto inferiore che nelle altre nazioni europee (per esempio Francia e Germania): un segnale in stretta connessione con la scarsa o nessuna attenzione che il mondo della scuola riserva a quest’ambito essenziale.

Dalle danze alla cucina: Cooking Mama 3 (505 Games, per Nintendo DS) è un “simulatore di cuoco” col quale ci si cimenta nella preparazione di piatti e pietanze. Che, ovviamente, si possono frattanto allestire per davvero, volendo. Un altro titolo che fa parte di una serie fortunata, con edizioni anche per Wii.

Altre due novità per variare i consigli. Raving Rabbids Ubisoft, per Wii) è un cosiddetto “party game”, pensato cioè per partite con più giocatori (si può giocare anche online). Contiene una varietà di minisfide di abilità ambientate in un mondo pieno di conigli svitati che cercano di conquistare la Terra. Infine, il celeberrimo SuperMario si esibisce e ci fa esibire in Mario Sportsmix (Nintendo per Wii), alle prese con quattro sport: dodgeball (versione moderna di palla prigioniera), pallavolo, pallacanestro e hockey.

Pubblicato il 03 febbraio 2011 - Commenti (1)
24
gen

L’ansia dei figli e quella dei padri

Ragazzi all’opera nel Laboratorio videogiochi del Fiuggi Family Festival 2010.
Ragazzi all’opera nel Laboratorio videogiochi del Fiuggi Family Festival 2010.

Due notizie significative sono apparse nei giorni scorsi sui giornali. Da un lato una ricerca mostrava quanto sia vero che le ultime generazioni sono diverse dalle precedenti rispetto all’apprendimento e alla percezione del mondo: imparano a maneggiare un mouse e un telecomando ben prima di saper parlare, leggere o andare in bici. Dall’altro lato, ricercatori ci informano che, a quanto pare, la dipendenza da videogiochi in età infantile può frequentemente generare ansia e depressione.

Sono dati su cui riflettere. Senza, tuttavia, indurci ad accettare per comprovate alcune conclusioni che, in assenza di prove più ampie e circostanziate, assomigliano piuttosto a pregiudizi. Un bambino o una bambina crescono entro la cornice del mondo reale: una cornice che oggi è piena zeppa dei manufatti, delle tecnologie e dei linguaggi che noi stessi, i loro genitori, abbiamo inventato e prodotto.

In sé questa constatazione non è né nuova né particolarmente significativa, dal momento che da sempre i figli beneficiano delle innovazioni prodotte dai padri. Semmai c’è da domandarsi se non siamo proprio noi, i padri odierni, a essere confusi dalla vertiginosa rapidità delle innovazioni, visto che confusioni del genere facilmente si ripercuotono sui più giovani.

Ugualmente, quanta dall’ansia dei piccini davanti a computer e videogiochi è indotta dal fatto stesso di essere abbandonati lì da genitori stremati o distratti, che li parcheggiano davanti allo schermo per sbarazzarsene o almeno per rifiatare? Dovremmo chiederci, quindi, quanto tempo passiamo accanto a loro, anche mentre giocano, per aiutarli a scoprire il mondo. Se non lo facciamo, forse il problema è lì, nello stile di vita che ce lo rende impossibile. Forse è da qui che dovrebbe partire la riforma del nostro mondo.

Pubblicato il 24 gennaio 2011 - Commenti (2)
10
gen

Se il videogioco diventa non-profit

Dietro i videogiochi ci sono commercianti avidi di denaro? I malpensanti potrebbero ricredersi conoscendo iniziative come quella di OneBigGame (www.onebiggame.com). È un editore di videogiochi non-profit fondato nel 2007 negli Stati Uniti da professionisti del settore. Si propone di ricavare dal mondo dei games e dei gamers – cioè quelli che i giochi li inventano, li producono e li giocano – risorse economiche per aiutare chi ha bisogno, specialmente bambini di tutto il mondo (si appoggia a organizzazioni come Save The Children).

OneBigGame produce e vende giochi che sono stati allestiti grazie alla collaborazione gratuita di professionisti del settore. Almeno l’80% del ricavato va in beneficenza. Inoltre i giochi prodotti si propongono di promuovere aspetti positivi della personalità.

Recentemente OneBigGame ha annunciato il suo secondo progetto. Si chiama WINtA (sigla misteriosa, non sono riuscito a scoprirne il significato), un “music & rhythm game”, vale a dire un gioco che fa interagire con le melodie tramite i polpastrelli, la parte di noi che entra in contatto con il touch screen e può inseguire i ritmi a forza di… tamburellare. L’inventore è un “grande” giapponese dei videogame, Masaya Matsuura, il primo a ideare in passato giochi musicali per la PlayStation.

WINtA unisce una sfida basata sul riconoscimento e la naturale tendenza umana a combinare ritmi e parole con l’utilizzo delle possibilità di interazione tattile offerte da iPhone e iPod touch, le piattaforme a cui il gioco si rivolge. Sarà presto disponibile nell’Apps Store, gratuito salvo acquistare altre canzoni online con cui giocare, fornite da autori famosi che hanno deciso di appoggiare il progetto (tra cui gli Who, Underworld, UNKLE ecc.).

Il primo progetto di OneBigGame è stato invece Chime, disponibile per pc via Steam e per Xbox 360 via Live Arcade. Si tratta di un puzzle game musicale che contiene all’interno sei brani musicali e altrettanti livelli da completare sbloccando la musica secondo la propria capacità di disporre i pezzi (dei rettangoli, sullo stile di tetris) per completare il livello. La versione pc è disponibile per un po’ meno di 5 euro (4,99$) e fin qui è stata un successo.

Pubblicato il 10 gennaio 2011 - Commenti (0)
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