07 nov
L’inizio della scorsa settimana è stato senz’altro segnato dalle immagini che ci giungevano dall’altra sponda dell’Atlantico, con l’uragano Sandy che nelle prime ore di lunedì 29 ottobre ha investito le coste del Nord America scatenando alcuni giorni di violento maltempo su tutto il Nordest degli Stati Uniti.
Sandy non è certo fra gli uragani più violenti che abbiano colpito il Nord America negli ultimi decenni, ma la coincidenza di alcuni fattori ne hanno fatto uno dei più letali e disastrosi cicloni tropicali degli ultimi tempi. La tempesta infatti si è mossa molto lentamente, scaricando così per alcuni giorni piogge torrenziali sempre sulle medesime zone e ha seguito pure una particolare traiettoria che, attraverso l’insistere dei fortissimi venti che hanno raschiato la superficie dell’oceano, ha ammassato grosse quantità d’acqua sulle coste atlantiche del Nord America, favorendo la formazione di un’importante onda di marea (stormsurge), alta anche più di tre metri, che tra l’altro ha causato anche l’inondazione di alcuni quartieri di New York City.
Per di più l’uragano Sandy si è scontrato con correnti gelide che proprio in quei giorni sono scivolate dalle regioni polari fin sul cuore del Nord America, dando vita così a furiose bufere di neve, soprattutto in Virginia, Maryland, West Virginia e Tennessee. Insomma, a dispetto della sua modesta intensità (un uragano di categoria 1, ovvero uno di quelli meno intensi, con venti ad “appena” 140 km/h), Sandy ha causato la morte di 160 persone, di cui 88 negli Stati Uniti, paese in cui ha pure prodotto danni che, secondo le prime stime, potrebbero ammontare fino a 55 miliardi di dollari!
(Fonte immagine: NASA)
Pubblicato il 07 novembre 2012 - Commenti (0)
05 set
Sette anni dopo il disastro New Orleans è tornata a tremare
La scorsa settimana, esattamente sette anni dopo il devastante passaggio di Katrina, il 29 agosto un uragano è tornato a investire con tutta la sua potenza la città di New Orleans. L’uragano Isaac, visibile anche nell’immagine raccolta appena il giorno prima (28 agosto) dai satelliti della NASA, ha difatti attraversato l’importante città della Louisiana con venti a oltre 130 chilometri orari, piogge torrenziali e un’ondata di marea (storm surge) di circa 3-4 metri, ma fortunatamente gli esiti sono stati assai meno disastrosi di quelli di sette anni prima: nel suo passaggio sulla Louisiana infatti la temibile tempesta ha causato la morte di “appena” 2 persone, contro le circa 2000 di Katrina, e soprattutto una stima provvisoria dei danni parla di “solo” un miliardo di dollari contro gli oltre 100 miliardi di dollari del 2005. L’uragano Katrina in effetti si rivelò assai più letale perché investì New Orleans accompagnato da venti a circa 210 chilometri orari e soprattutto con ondate di marea alte fino a 9 metri, e a scongiurare che Isaac raggiungesse la stessa potenza hanno provveduto le acque del Golfo del Messico: prima di investire le coste della Louisiana infatti Isaac ha attraversato una regione marina insolitamente “fresca” e quindi ha ricevuto meno calore e meno umidità (il carburante indispensabile a nutrire i cicloni tropicali) di quello necessario a diventare un uragano distruttivo come Katrina.
Pubblicato il 05 settembre 2012 - Commenti (0)
29 ago
È la nona tempesta della stagione degli uragani di quest’anno
La scorsa settimana si è formato il nono ciclone tropicale della stagione degli uragani 2012, il ciclone tropicale Isaac: classificato come tempesta tropicale lo scorso martedì 21, le correnti atmosferiche lo hanno poi trascinato sul cuore dei Caraibi proprio nel corso del fine settimana.
In particolare, come confermato dall’immagine raccolta dai satelliti della NASA, nella giornata di venerdì 24 agosto la tempesta tropicale ha attraversato Santo Domingo accompagnata da piogge torrenziali e venti a circa 100 chilometri orari (ma con raffiche anche oltre i 130 chilometri orari).
Nel suo movimento verso nord il ciclone tropicale ha poi investito Cuba prima di raggiungere le zone più meridionali della Florida. Nelle prossime ore invece Isaac si muoverà al di sopra delle calde acque del Golfo del Messico, dove probabilmente troverà il calore e l’umidità necessari ad acquistare maggiore potenza e a trasformarsi in un vero e proprio uragano (cioè un ciclone tropicale con venti a oltre 118 chilometri orari).
Nel suo movimento verso nord Isaac dovrebbe poi investire nelle primissime ore di mercoledì le coste sud-orientali degli USA nella regione compresa fra Mississippi e Louisiana, quindi non lontano da New Orleans (duramente colpita nel 2005 da Katrina), ma in ogni caso trovandosi a scorrere al di sopra della terraferma il ciclone tropicale perderà rapidamente potenza (gli mancheranno i rifornimenti di calore e umidità garantiti dalle calde acque oceaniche) , ed entro la fine della settimana dovrebbe dissolversi del tutto.
Pubblicato il 29 agosto 2012 - Commenti (0)
15 ago
Il ciclone tropicale che ha spaventato migliaia di turisti in Messico
La scorsa settimana al di sopra delle calde acque dell’Atlantico Tropicale si è formato il quinto ciclone tropicale di una stagione degli uragani per il momento piuttosto “vivace” anche se, fortunatamente, poco “distruttiva”. Il nuovo ciclone, cui è stato assegnato il nome di Ernesto, ha raggiunto l’intensità di un vero e proprio uragano poco prima di investire le coste orientali del Messico, lo scorso martedì 14 agosto, quando i satelliti della NOAA hanno raccolto dallo Spazio questa immagine.
Nel momento di massima intensità i cacciatori di uragani, che con i loro particolari aerei volano dritti nel cuore di queste tempeste, hanno misurato venti fino a 140 chilometri orari, ma una volta raggiunte le coste messicane la tempesta si è comunque rapidamente indebolita fino a perdere le sue caratteristiche di ciclone tropicale già venerdì 10 agosto. Nel suo movimento attraverso i Caraibi questo ciclone tropicale ha interessato diversi paesi, fra cui Giamaica, Honduras, Belize e Messico, causando la morte di 7 persone, la precipitosa fuga di migliaia di turisti dagli affollati resort della costa orientale messicana e danni complessivi per diversi milioni di dollari.
Negli stessi giorni in cui Ernesto spaventava i Caraibi molto più a est, appena al largo delle coste africane, si è formato anche il sesto ciclone tropicale di questa stagione, la tempesta Florence, che però ha avuto vita breve: “nata” sabato 4 agosto si è dissolta già lunedì 6 agosto.
Pubblicato il 15 agosto 2012 - Commenti (0)
04 lug
Fino a qualche settimana fa tutti i maggiori centri americani erano concordi nel prevedere una stagione degli uragani nel complesso poco attiva, con un numero di cicloni tropicali inferiore alla media di lungo periodo. Ora, a un mese dall’avvio ufficiale della stagione (che inizia il 1 giugno e termina il 30 novembre), appare chiaro come tale previsione fosse oltremodo ottimistica: la scorsa settimana infatti al di sopra delle calde acque del Golfo del Messico si è formata la tempesta tropicale Debby, che ha stabilito un vero e proprio record assoluto. Nel bacino atlantico Debby infatti è il quarto ciclone tropicale ha raggiungere, in questo 2012, l’intensità di tempesta tropicale (e il suo predecessore, Chris, è diventato addirittura un uragano) e a meritarsi quindi un nome: ebbene, da quando vengono raccolti con regolarità dati sugli uragani atlantici, ovvero dal lontano 1851, mai prima d’ora si erano formate quattro tempeste tropicali prima del mese di luglio, e il precedente record risaliva alla stagione eccezionale del 2005 (quella dell’uragano Katrina), quando la tempesta tropicale Dennis, quarta della stagione, si formò non prima del 5 luglio. La tempesta tropicale Debby, come confermato dall’immagine raccolta lo scorso 25 giugno dal satellite Terra della NASA, nel suo movimento verso nord ha attraversato la Florida, causando attraverso questo stato l’allagamento di numerose città, danni per circa 20 milioni di dollari e purtroppo anche la morte di 7 persone.
Pubblicato il 04 luglio 2012 - Commenti (0)
31 gen
Quante volte vi sarà capitato di ascoltare alla Tv o alla radio notizie del tipo “Agnese si sta pericolosamente avvicinando alle coste della Florida…” oppure “già evacuate le popolazioni lungo la costa atlantica del Nicaragua per l’ormai prossimo arrivo di George..”?!! Ebbene, come avrete intuito, si fa riferimento ad uno dei fenomeni più devastanti e più temuti in natura: gli uragani, quei vasti cicloni di 300-500 km di diametro, che imperversano in prossimità della fascia tropicale! E’ come se nei nostri bollettini meteo comparissero, di quando in quando, avvisi del tipo: “Giovanna porterà abbondanti nevicate su tutto l’Arco Alpino”. Ma come è nata questa curiosa abitudine di assegnare un nome a questi temibili fenomeni?
In realtà, la scelta di nominare i cicloni tropicali, o almeno quelli che raggiungono un certa intensità, deriva in primo luogo dalla necessità di rendere più facile lo scambio di informazioni tra centri meteorologici, addetti alla protezione civile e la popolazione in genere, sia per quanto riguarda l’osservazione e la previsione dei cicloni tropicali, sia per quel che concerne la prevenzione e gli allarmi. I cicloni tropicali hanno infatti un ciclo di vita dell’ordine di 6-10 giorni e quindi spesso capita che sulla medesima area scorrazzino due o anche tre cicloni tropicali contemporaneamente. Da qui l’esigenza di etichettarli con un nome onde evitare di confondere l’uno con l’altro. Per di più, vi è il vantaggio di ricordare più facilmente i cicloni più catastrofici: il nome Katrina richiama subito alla mente i terribili eventi che accompagnarono il suo passaggio sulla città di New Orleans, senza la necessità di dovere specificare di quale anno, di quale nazione o di quale tempesta si stia parlando.
Il primo a fare uso di nomi propri per indicare gli uragani fu agli inizi del ‘900 il meteorologo Clement Wragge, il quale assegnava alle alte pressioni, sinonimo di bel tempo, i nomi di personaggi a lui simpatici, mentre alle tempeste tropicali dava nomi di uomini politici a lui antipatici. La prassi fu ripresa nella Seconda Guerra Mondiale, quando i piloti americani iniziarono a indicare i tifoni del Pacifico con nomi femminili, per ricordare le proprie mogli o fidanzate rimaste a casa. Più in generale però, fino al 1950, ai cicloni tropicali veniva assegnato solo un numero, e nulla di più. Poi, dal 1950 al 1952, si iniziò a indicare i cicloni tropicali atlantici tramite l’alfabeto fonetico americano (Able, Baker, Charlie...).
Ma nel 1953, il Servizio Meteorologico degli USA decise di utilizzare, per l’Atlantico, solo nomi femminili: scelta motivata in parte dal luogo comune circa la mutevolezza d’umore del gentil sesso e in parte dalla tradizione marinara che assegnava alle donne il ruolo, poco simpatico, di “portasfiga”. Soltanto a partire dal 1979, i nomi dei cicloni tropicali furono attinti da una lista contenente sia nomi femminili che maschili: Bob fu il primo uragano con nome maschile. Nella tabella sono indicati i nomi assegnati o da assegnare dal 2011 al 2013. L’ultimo uragano atlantico del 2011, tuttora presente appena ad est dei Caribi, è stato Ophelia.
Pubblicato il 31 gennaio 2012 - Commenti (0)
30 nov
Un evento piuttosto raro per il Pacifico alla fine di novembre
Agli inizi della passata settimana ai margini più orientali del Pacifico una depressione tropicale si è rapidamente trasformata in un uragano, ovvero una tempesta di grande violenza al cui interno i venti soffiano a oltre 118 chilometri orari. All’uragano è stato assegnato il nome Kenneth e, come testimoniato dall’immagine catturata dallo spazio il giorno 21 novembre dal satellite Terra della NASA, ha sviluppato la classica struttura a spirale tipica delle tempeste più violente: in particolare secondo gli esperti del National Hurricane Center (NHC) degli Stati Uniti, in tale giornata i venti alimentati dal ciclone tropicale soffiavano già a circa 140 chilometri orari, ma è il giorno successivo che l’uragano ha raggiunto la sua massima intensità, con venti a oltre 220 chilometri orari. Tuttavia, nonostante la potenza e quindi l’inevitabile pericolosità del ciclone tropicale, lungo le vicine coste del Messico non è stata attivata nessuna misura di emergenza: fortunatamente difatti l’uragano Kenneth, che ha raggiunto la sua massima intensità quando si trovava circa 1000 chilometri a sud della Penisola Californiana, si è poi diretto verso ovest, inoltrandosi in pieno oceano lontano dalle popolose coste del Messico e degli Stati Uniti. Benchè nel Pacifico Orientale, così come nell’Atlantico, la stagione degli uragani (ovvero il periodo dell’anno durante il quale solitamente si formano i cicloni tropicali) finisca solo il 30 novembre, è comunque piuttosto raro osservare in questo bacino tempeste tanto potenti ancora alla fine di questo mese.
Pubblicato il 30 novembre 2011 - Commenti (0)
16 nov
Una perturbazione per qualche ora ha mostrato caratteristiche quasi tropicali
Agli inizi della scorsa settimana, tra lunedì 7 e martedì 8, sui mari compresi fra la Sardegna e le Baleari si è formata una tempesta assai insolita, che mischiava in sé gli elementi tipici delle perturbazioni delle medie latitudini e alcune caratteristiche proprie dei cicloni tropicali: un classico esempio di TLC (Tropical Like Cyclone, letteralmente “quasi un ciclone tropicale”).
I TLC più intensi, che nel Mediterraneo sono anche noti come Medicane, dall’unione dei termini Mediterranean e Hurricane (cioè “uragano”), sono tempeste solitamente molto violente, accompagnate da piogge torrenziali e venti assai forti. In effetti il profondo vortice di bassa pressione della scorsa settimana, a cui è anche stato assegnato il nome Rolf, ha portato abbondanti piogge in Liguria e lungo le nostre regioni tirreniche, mentre in Costa Azzurra sono stati registrati venti che soffiavano a oltre 100 chilometri orari. Quella che era una normale depressione delle medie latitudini si è trasformata in una tempesta ibrida, con caratteristiche quasi tropicali (appunto un TLC), perché ha trovato di fronte a sé il muro dell’alta pressione che occupava l’Europa Orientale, ed è quindi rimasta bloccata per più giorni sopra le acque ancora decisamente calde del Mediterraneo, che le hanno fornito enormi quantità di calore e umidità, in modo simile a quanto avviene con gli uragani nei mari tropicali.
Nel Mediterraneo i TLC, benché siano piuttosto rari, non sono comunque un evento eccezionale, e nelle annate in cui in autunno le acque del mare sono più calde, come avvenuto ad esempio nel 1996 e nel 2005, se ne può formare anche più d’uno nel corso della medesima stagione.
Pubblicato il 16 novembre 2011 - Commenti (1)
19 ott
La violenta tempesta che la scorsa settimana ha spaventato il Messico
La scorsa settimana sulle calde acque del Pacifico, appena di fronte alle coste messicane, si è mosso l’ennesimo ciclone tropicale di questa annata piuttosto affollata, in cui al di sopra del Pacifico Orientale si sono già formati ben nove uragani (gli uragani sono i cicloni tropicali più intensi, quelli al cui interno i venti soffiano ad almeno 118 chilometri orari), contro gli otto dell’intero 2009 e gli appena 3 del 2010.
La violenta tempesta, ribattezzata Jova, intorno a metà della scorsa settimana ha messo in grande allarme popolazione e autorità del Messico: come testimoniato dall’immagine raccolta dal satellite Terra della NASA il ciclone tropicale martedì 10, durante il suo movimento di avvicinamento alle coste occidentali del Messico, ha sviluppato il classico “occhio del ciclone”, chiaro indizio di una tempesta di grande violenza ed elevato potenziale distruttivo. Durante quello stesso martedì Jova è divenuto via via più potente fino a raggiungere l’intensità di uragano di categoria 3 (in una scala che va da 1 a 5), accompagnato da piogge torrenziali e venti oltre 200 chilometri orari. Fortunatamente poco prima di raggiungere il continente americano il ciclone tropicale ha perso forza ed è stato declassato a uragano di categoria 2: una tempesta comunque temibile, ma che nel suo passaggio sul Messico è stata meno letale di quanto si temesse, causando “solo” 6 vittime, mentre i danni, almeno a una prima stima, ammontano a circa 200 milioni di pesos (al cambio attuale più o meno 15 milioni di dollari) e comprendono la distruzione di un ponte nei dintorni dell’importante porto commerciale di Manzanillo.
Pubblicato il 19 ottobre 2011 - Commenti (0)
22 set
Dopo il passaggio del tifone Talas, che a inizio settembre ha portato in diverse zone del Giappone piogge torrenziali accompagnate da numerose frane e inondazioni, il Paese del Sol Levante ha dovuto far fronte a una nuova temibilissima tempesta, il tifone Roke, che come testimoniato dall’immagine scattata dal satellite Aqua della NASA già martedì 20 si è pericolosamente avvicinato all’Arcipelago Giapponese.
Nelle prime ore di mercoledì 21 settembre il violento tifone ha quindi investito Honshu, la più grande isola dell’Arcipelago (la stessa su cui sorge Tokio), accompagnato da venti che soffiavano a oltre 160 chilometri orari e con raffiche che hanno sfiorato addirittura i 200 chilometri orari.
Il passaggio di questo intenso ciclone tropicale ha causato in Giappone un generale stato d’allerta e in particolare nella città di Nagoya il timore per la possibile esondazione di due diversi fiumi ha spinto le autorità a ordinare l’evacuazione di circa 80000 persone e a consigliare un analogo comportamento a un altro milione di cittadini.
Fortunatamente la violenta tempesta, oramai indebolita, si sta adesso allontanando dal Giappone, dove però ha causato almeno 8 vittime e provocato numerosi danni e disagi, compresa la chiusura di molte importanti fabbriche e il blocco per diverse ore di una delle linee ferroviarie più congestionate al Mondo, quella di Tokio.
Il passaggio di cicloni tropicali sul Giappone non è tuttavia evento insolito: più della metà delle piogge che mediamente cadono ogni anno sull’Arcipelago Giapponese sono difatti portate dalle tempeste tropicali e dai tifoni (così vengono chiamati in Giappone i cicloni tropicali più violenti) che tra fine estate e inizio autunno attraversano l’Arcipelago.
Pubblicato il 22 settembre 2011 - Commenti (0)
15 set
Appena dopo il passaggio di Irene un altro violento ciclone tropicale, l’uragano Katia, ha messo in apprensione gli abitanti della costa orientale degli Stati Uniti, ma fortunatamente la tempesta si è limitata a scivolare verso nord in aperto Atlantico, sfiorando appena il continente americano. Tuttavia, una volta giunto all’altezza del New England (sempre comunque a distanza dalle coste), l’uragano è stato agganciato dalle correnti occidentali che normalmente scorrono a queste latitudini, e ha cominciato a muoversi minaccioso in direzione dell’Europa, dove è giunto proprio all’inizio di questa settimana.
Come testimoniato dall’immagine scattata da un satellite in orbita bassa della NOAA, benché in parte indebolita e senza più alcune delle tipiche caratteristiche dei cicloni tropicali, la tempesta lunedì 12 settembre ha quindi investito con grande violenza le Isole Britanniche, spazzate da venti a oltre 100 chilometri orari con raffiche che in Galles hanno toccato pure i 125 chilometri orari. Secondo gli esperti del Met Office britannico, i resti dell’uragano Katia sono la più violenta tempesta che abbia colpito il Regno Unito negli ultimi 15 anni: per trovare una tempesta più potente bisogna difatti tornare indietro all’ottobre del 1996, quando i resti di un altro ciclone tropicale, l’uragano Lili, causarono in Gran Bretagna 5 vittime e circa 150 milioni di sterline di danni.
L’ultima occasione in cui le Isole Britanniche erano state raggiunte dai resti di un violento uragano risale invece al 2009: in tale annata difatti i residui dell’uragano Bill portarono su Irlanda e Gran Bretagna abbondanti piogge accompagnate da venti assai forti.
Pubblicato il 15 settembre 2011 - Commenti (0)
18 lug
Un tifone tropicale.
Curiosando
I cicloni tropicali sono tipiche perturbazioni della fascia tropicale dall’inconfondibile forma a spirale con un “occhio” nella parte centrale, diametro intorno dai 300-500 km, piogge torrenziali, venti violentissimi, spesso fino a più di 250-300 Km/ora.
I cicloni tropicali prendono il nome Il nome di Tifone nel Pacifico, Uragano nell’Atlantico, Ciclone nell’Oceano Indiano, Willy-Willy in Australia.
Si formano solo sugli oceani molto caldi e in particolare al di sopra delle aree marine ove la temperatura della acque superficiali superi i 26-27 °C.
In questi casi l’aria degli strati più bassi, surriscaldata dall’acqua, diviene molto più leggera di quella circostante e, spinta verso l’alto, condensa sotto forma di imponenti nubi temporalesche l’enorme umidità sottratta all’oceano.
Per di più la colonna d’aria calda in ascesa, essendo più leggera dell’ambiente circostante, genera al suolo un profondo vortice di bassa pressione (fino a 940 hPa nella parte centrale) intorno al quale ruota, a forma di spirale, tutto l’ammasso nuvoloso.
La regione sgombra di nubi nel suo centro – l’occhio del ciclone – si genera perché parte dell’aria che sale ricade poi verso il centro del ciclone ove per compressione e riscaldamento dissolve le nubi in formazione.
Pubblicato il 18 luglio 2011 - Commenti (0)
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