di Don Alberto Fusi

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

 

27 maggio 2012 – Domenica di Pentecoste

Celebra il mistero dell’effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli, al compimento dei cinquanta giorni di Pasqua, secondo la promessa del Signore.

Per l’odierna solennità la tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana presenta due schemi di brani biblici e di testi eucologici, rispettivamente per la Messa della Vigilia da celebrare nel contesto della Liturgia vigiliare vespertina e per la Messa “nel giorno”. È anche prevista, qualora si celebri il Battesimo, la Messa “per i battezzati” con un proprio formulario ecologico e rispettive lezioni bibliche.

 

La Messa della Vigilia

 

Normalmente deve essere celebrata nel contesto della Liturgia vigiliare del sabato sera, organizzata sul modello della Veglia pasquale.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione di quattro Letture vetero-testamentarie: Genesi 11,1-9; Esodo 19,3-8.16-19; Ezechiele 37,1-14; Gioele 3,1-5; Epistola: 1 Corinzi 2,9-15a e del Vangelo: Giovanni 16,5-14.

 

Lettura del libro della Genesi (11,1-9)

 

In quei giorni. 1Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. 2Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 3Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. 4Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». 5Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. 6Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». 8Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

 

Il brano racconta la storia della torre di Babele, ambientata nella Mesopotamia, e la cui costruzione è attribuita agli uomini delle origini uniti da «un’unica lingua e uniche parole» desiderosi di «farsi un nome» (vv. 1-4). I vv. 5-8 riportano la reazione di Dio e il suo intervento nel confondere la loro unica lingua con una molteplicità di linguaggi incapaci di comprendersi fra di essi. Il v. 9 mette in luce la successiva dispersione dell’umanità prima raggruppata in un unico luogo e unita da un’unica lingua.

 

Lettura del libro dell’Esodo (19,3-8.16-19)

 

In quei giorni. 3Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: 4“Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. 5Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! 6Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti». 7Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. 8Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. 

16Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. 17Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. 18Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. 19Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.

Il brano si riferisce all’Alleanza stipulata da Dio, con il suo popolo liberato dall’Egitto, nel deserto del Sinai, con la mediazione di Mosè, incaricato di riferire le parole divine che evocano le cose grandi e meravigliose compiute da Dio (vv. 3-4), con l’ingiunzione di ascoltare la sua voce e di custodire l’alleanza (vv. 5-6). I vv. 7-8 dicono l’accettazione dell’alleanza da parte del popolo con l’impegno a custodirla fedelmente. Segue la narrazione della teofania, alla quale il popolo partecipa stando «in piedi sulle falde del monte», mentre è il solo Mosè a interloquire con Dio (vv. 16-19).

Lettura del profeta Ezechiele (37,1-14)

In quei giorni. 1La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; 2mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. 3Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». 4Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. 5Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. 6Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore”». 7Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. 8Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro. 9Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza, figlio dell’uomo, e annuncia allo spirito: “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”». 10Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
11Mi disse: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti”. 12Perciò profetizza e annuncia loro: “Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. 13Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. 14Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”». Oracolo del Signore Dio.

 

Il testo profetico, con l’immagine di un’intera pianura colma di «ossa… tutte inaridite», descrive la condizione di Israele condotto in esilio a Babilonia dopo la distruzione di Gerusalemme. Su di esse viene proclamata la parola del Signore che annunzia una vita nuova (vv 4-6) che si verifica grazie al soffio dello Spirito che irrompe su di esse «dai quattro venti» ossia da ogni dove ( vv 7-10). I vv 11-14, infine, svelano che «queste ossa sono tutta la casa d’Israele» priva di ogni speranza e che Dio, invece, si impegna a far rivivere con il dono dello Spirito.

 

Lettura del profeta Gioele (3,1-5)

 

Così dice il Signore Dio:

«1Dopo questo,

io effonderò il mio spirito

sopra ogni uomo

e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;

i vostri anziani faranno sogni,

i vostri giovani avranno visioni.

2Anche sopra gli schiavi e sulle schiave

in quei giorni effonderò il mio spirito.

3Farò prodigi nel cielo e sulla terra,

sangue e fuoco e colonne di fumo.

4Il sole si cambierà in tenebre

e la luna in sangue,

prima che venga il giorno del Signore,

grande e terribile.

5Chiunque invocherà il nome del Signore,

sarà salvato,

poiché sul monte Sion e in Gerusalemme

vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore,

anche per i superstiti

che il Signore avrà chiamato.

 

Il brano si riferisce all’intervento di Dio a favore del suo popolo oppresso dalle popolazioni nemiche, paragonate a un esercito di cavallette (cfr. cap. 1). L’azione salvifica è così grande che Dio effonderà il suo spirito sopra ogni uomo facendo profeti tutti gli appartenenti al suo popolo e perfino gli schiavi (vv. 1-2). I vv. 3-5, con allusione alla teofania del Sinai di cui abbiamo letto nella seconda lettura, riferiscono i fatti prodigiosi che accompagnano l’intervento di Dio.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2,9-15a)

 

Fratelli, 9sta scritto:

«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,

né mai entrarono in cuore di uomo,

Dio le ha preparate per coloro che lo amano».

10Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. 11Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. 12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. 13Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. 14Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. 15L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa.

 

Nel contesto del presente brano, l’Apostolo sta parlando della sapienza di Dio che si oppone a quella del mondo, incapace di conoscerla al contrario di quanti amano Dio (v. 9). Ad essi, grazie al dono dello Spirito, vengono rivelati anche i “segreti di Dio” (vv. 10-12). La predicazione dell’Apostolo, di conseguenza, si poggia sulla rivelazione dei disegni divini da parte dello Spirito Santo, senza il quale nessuno è in grado di intendere le cose di Dio (vv. 13-15a).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (16,5-14)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «5Ora  vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. 6Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. 8E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9Riguardo al peccato, perché non credono in me; 10riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; 11riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. 12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

Il brano è preso da un nuovo discorso di Gesù ai suoi discepoli nel contesto dell’ultima cena e riguardante l’annunzio del suo ritorno al Padre (Gv 16,4b-33). Qui, dopo aver constatato che tale discorso ingenera tristezza nel cuore dei discepoli (v. 6), Gesù parla di una conseguenza positiva del suo ritorno al Padre: è l’invio del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo (v. 7). I vv. 8-11 parlano del ruolo dello Spirito nei riguardi del mondo, che verrà giudicato a motivo dell’incredulità, mentre i vv. 12-15 sviluppano l’azione del medesimo Spirito verso i discepoli, di per sé incapaci di comprendere “tutta la verità”, ossia  la pienezza della rivelazione divina in Cristo.

 

La  Messa “nel giorno”

 

Vengono in essa proclamati: Lettura: Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo 103 (104); Epistola: 1 Corinzi 12,1-11; Vangelo: Giovanni 14,15-20.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (2,1-11)

 

1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Il brano riporta nei vv. 1-4 l’evento del dono dello Spirito promesso dal Signore ai suoi con i caratteri di una teofania, ovvero di una manifestazione divina, segnata, come avviene in quella del Sinai (Es 9,16-19), da “fragore”, “vento impetuoso” e “lingue di fuoco”, segni della trascendenza divina. Le lingue di fuoco, in particolare, dicono l’effusione dello Spirito Santo su tutti i presenti e significano la loro consacrazione a essere missionari del Vangelo presso i popoli della terra. I vv. 5-11 infatti elencano le varie nazionalità della folla che assiste all’evento e che sente gli Apostoli «parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Prima lettera di san Paolo ai Corinzi (12,1-11)

 

1Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell’ignoranza. 2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. 3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. 4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 8a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; 9a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; 10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

 

Il brano fa seguito alle istruzioni dell’Apostolo riguardanti la cena del Signore (1 Corinzi 11,17-34). Qui l’intento di Paolo è quello di non lasciare nell’ignoranza la giovane comunità di Corinto riguardo ai doni dello Spirito (v. 1), ben diversi dai fenomeni presenti anche nel paganesimo (v. 2). Tra i credenti si ha certezza di agire “sotto l’azione dello Spirito Santo” se quanto si afferma è in sintonia con la fede in Gesù che è il Signore! I vv. 4-6 insistono sul fatto che “carismi”, “ministeri” e “attività” nella Chiesa procedono e dipendono dallo Spirito che è “uno solo”. Nei vv. 7-11 vengono elencate le particolari manifestazioni dell’unico Spirito nei singoli credenti al fine, però, di perseguire il bene comune, vale a dire per la vita e l’espansione della Chiesa.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (14,15-20)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».

 

Con queste parole, pronunciate nel cenacolo prima di separarsi dai suoi, Gesù promette loro che una volta tornato al Padre si prenderà a cuore la loro situazione ottenendo l’invio dello Spirito Santo che succederà a lui nell’ufficio di Paraclito, ossia di assistenza e guida, per sempre (vv. 15-16). Lo Spirito, in particolare, avrà il compito di aprire i loro cuori e la loro intelligenza alla verità, vale a dire alla sorprendente affermazione del Signore: «Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi» (v. 20).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Le parole che il Signore, rivolgendosi ai suoi discepoli dice anche per noi che formiamo qui e oggi la sua Chiesa, vogliono consolidare, mediante il dono dello Spirito, la nostra fede e il nostro amore per lui, impedendoci di sentirci soli e come orfani! Gesù, infatti, è continuamente vivo e presente tra noi grazie all’azione dello Spirito, che rende viva la sua Parola e che attiva, nel sacramento, l’offerta compiuta dal Signore sulla Croce, a noi partecipata come principio della nostra comunione con lui e tramite lui con il Padre ( Vangelo: Giovanni 14,20).

Interprete sicura della Parola è la preghiera liturgica per la quale la solennità odierna «che, nel suo numero sacro e profetico (cioè il cinquantesimo giorno di Pasqua), ricorda arcanamente la raggiunta pienezza del mistero pasquale» (Prefazio, Messa nel giorno) e, di conseguenza contiene, esprime e rende attiva l’inesauribile ricchezza dell’opera salvifica realizzata dal Signore con la sua morte in Croce, con la sua Risurrezione e Ascensione alla destra di Dio. È ciò che leggiamo nel Prefazio della Messa della Vigilia che vede, nell’effusione dello Spirito Santo, la distribuzione dei doni della grazia divina e nei quali si può anzitutto riconoscere l’economia sacramentale con al vertice i sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia. Doni che, anticipando ai fedeli «le primizie dell’eredità eterna che sono chiamati a condividere con Cristo redentore», li  rende certi di «incontrarsi con lui nella gloria» in quanto, in tali doni di grazia, «l’esperienza dello Spirito è più inebriante e più viva». Il Prefazio della Messa nel giorno, invece, intende magnificare l’estensione all’intera umanità della grazia propria della Pentecoste vedendo in essa, alla luce del racconto biblico della torre di Babele (Genesi 11,1-9), la ricomposizione in unità della stessa umanità dalla «confusione che la superbia aveva portato agli uomini». Ricomposizione che, con allusione al racconto degli Atti degli Apostoli (2,1-11), è segnata dall’irruzione dello Spirito  significato dal fragore improvviso e grazie al quale gli apostoli «accolgono la professione di un’unica fede e, con diversi linguaggi, a tutte le genti annunziano la gloria del vangelo di salvezza». Annunzio destinato a far sì che «i popoli dispersi si raccolgano e le diverse lingue si uniscano a proclamare la gloria del nome di Dio Padre» (Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola, Messa nel giorno) formando l’unico suo popolo santo. E poiché la Chiesa radunata nella celebrazione eucaristica avverte la presenza dello Spirito che la spinge sulle vie dell’annunzio del Vangelo che salva, domanda al Padre di rinnovare oggi «i prodigi della Pentecoste e di comunicare a tutti i fedeli il fervore dello Spirito che animò visibilmente gli apostoli e li rese nel mondo testimoni del vangelo» (Orazione Dopo la Comunione, Messa nel giorno).

 

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20 maggio 2012 – Domenica dopo l’Ascensione

È la settima domenica di Pasqua, orientata alla solennità di Pentecoste, corona dei cinquanta giorni della letizia pasquale.

 

Il Lezionario

 

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 1,15-26; Salmo 138 (139); Epistola: 1 Timoteo 3,14-16; Vangelo: Giovanni 17,11-19. Alla Messa vigiliare del sabato viene proclamato Giovanni 20,1-8 come Vangelo della Risurrezione.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (1,15-26)

 

15In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli il numero delle persone radunate era di circa centoventi e disse: 16«Fratelli, era necessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. 17Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. 18Giuda dunque comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipitando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. 19La cosa è divenuta nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè “Campo del sangue”. 20Sta scritto infatti nel libro dei Salmi:

La sua dimora diventi deserta

e nessuno vi abiti,

e il suo incarico lo prenda un altro.

21Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi,  22cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione».

23Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia. 24Poi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto 25per prendere il posto in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava». 26Tirarono a sorte fra loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

 

Il brano riporta le parole di Pietro ai fratelli radunati con lui dopo l’Ascensione in attesa del dono dello Spirito Santo promesso dal Signore.

Nei vv. 16-20 Pietro rievoca il tradimento di Giuda, la sua orribile fine e, alla luce dei Salmi 69,26 e 109,8, invita i fratelli a procedere all’integrazione del “collegio” apostolico con la scelta di uno che, discepolo del Signore a partire dal suo battesimo fino al giorno della sua ascensione, «divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione».

I vv. 23-26 riportano la procedura seguita. Anzitutto l’individuazione di due candidati (v. 23), la preghiera perché Dio mostri «quale di questi due» ha scelto (vv. 24-25) e, infine, l’estrazione a sorte fra i due candidati con l’indicazione di Mattia che, in tal modo, «fu associato agli undici apostoli».

 

Prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo (3,14-16)

 

Carissimo, 14ti scrivo tutto questo nella speranza di venire presto da te; 15ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità. 16Non vi è alcun dubbio che grande è il mistero della vera religiosità:

egli fu manifestato in carne umana e riconosciuto giusto nello Spirito, fu visto dagli angeli e annunciato fra le genti, fu creduto nel mondo ed elevato nella gloria.

 

L’Apostolo intende qui fornire alcune indicazioni al suo discepolo Timoteo perché «sappia come comportarsi», in sua assenza, nella comunità ecclesiale che lui presiede individuata come “casa di Dio”; “Chiesa” ovvero assemblea santa del Dio vivente e «colonna e sostegno della verità», vale a dire della retta proclamazione del Vangelo di salvezza in Cristo (vv. 14-15).

Nel v. 16 viene sintetizzato in forma di inno liturgico il disegno divino di salvezza che Dio ha dispiegato e compiuto nel suo Figlio «manifestato in carne umana» fino a essere «elevato nella gloria» nel mistero cioè dell’Ascensione.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (17,11-19)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Padre, 11io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te, Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.

12Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. 13Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.

15Non  prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. 16Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; 19per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

 

Il brano è preso dalla grande preghiera rivolta da Gesù al Padre, in presenza dei suoi discepoli, radunati con lui in quell’ultima cena che precede la sua morte che lo porta fuori dal “mondo”, inteso come ambiente ostile e pericoloso nel quale essi dovranno rimanere.

Di qui la richiesta al Padre di custodire i discepoli e di rafforzarli in ciò che ha trasmesso: «perché siano una cosa sola» sul modello dell’unità del Padre e del Figlio (v. 11).

Il v. 12 illustra il significato profondo della custodia dei discepoli da parte di Gesù e, da ora, da parte del Padre: è la loro conservazione nella comunione di vita con il Padre che egli ha dato ai suoi con il dono della sua vita, perché non succeda anche ad essi di fare come Giuda, il “figlio della perdizione”.

Il Signore, perciò, chiede di nuovo al Padre di proteggere i suoi che sono nel mondo e che possano sperimentare la sua gioia nel ritornare a lui (v. 13).

I vv. 14-19 evidenziano il contrasto mondo/discepoli che replica quello tra Gesù stesso e il mondo.  Di qui la sua preghiera al Padre di proteggere la sua comunità dall’odio del mondo che non li riconosce suoi e soprattutto dal Maligno, vale a dire dell’avversario di Dio e del suo Cristo, che Gesù ha sconfitto sulla Croce (vv. 14-16).

Dal v. 17 al v. 19 la preghiera chiede al Padre di consacrare, ovvero di santificare i discepoli nella verità dal momento che essi sono equipaggiati con la Parola trasmessa loro proprio da Gesù.  Forti della custodia di Dio, i discepoli penetrati dalla sua Parola, sono addirittura mandati nel mondo come Gesù è stato mandato nel mondo dal Padre. Un mandato che li impegna a proseguire la sua stessa missione.

 

Commento liturgico-pastorale

 

La lettura evangelica ci fa toccare con mano l’amore del Signore per la sua Chiesa alla quale, come abbiamo appena ascoltato nel Vangelo, è affidato il compito di proseguire la sua opera di salvezza del mondo. Per questo essa dovrà dedicarsi interamente all’annunzio della verità, ossia del Vangelo, e all’attuazione concreta della salvezza da lui operata nella sua Pasqua e così espressa nella preghiera del Prefazio: «Per riscattare la famiglia umana il Signore Gesù si degnò di nascere in mezzo a noi e vinse il mondo con il suo dolore e la sua morte. Risorgendo nella gloria, ci riaprì il cammino della vita eterna e nel mistero della sua ascensione ci ridonò la speranza di entrare nel regno dei cieli». È questo l’impegno primario e irrinunciabile della Chiesa e di ogni discepolo del  Signore. Un impegno che incombe su tutti in questi giorni segnati da disinteresse, da apatia, da indifferenza  se non da vera e propria ostilità in ordine al credere e dalla crescente difficoltà per noi nel comunicare la gioia della fede nel Risorto. Eppure siamo fermamente convinti che il mondo, l’umanità, la storia hanno nel Signore Gesù l’unica vera possibilità di riscatto dal potere del male che le divora e soprattutto la reale possibilità di camminare con lui sulla via della vita e di nutrire ferma speranza di entrare in quel regno dei cieli di cui la Chiesa qui in terra è autentico segno e anticipo. Nella sua preghiera, perciò, Gesù, che sta per tornare al Padre, lo supplica perché sia lui a proteggere e a custodire la sua comunità che deve proseguire la missione in un ambiente ostile qual è il mondo dell’incredulità e del peccato, che farà di tutto per distruggere l’opera dei suoi.

D’altra parte, l’ostilità del mondo e del principe di questo mondo è stata avvertita dal Signore stesso e dalla  cerchia dei suoi fratelli e intimi amici quali sono i dodici Apostoli. Uno di essi, infatti, si fece addirittura la «guida di quelli che arrestarono Gesù» (Lettura: Atti degli Apostoli 1,16). Noi sappiamo che il Padre ha esaudito la preghiera del Signore con l’invio dello Spirito Santo che è potenza e forza divina capace di mantenere la purezza della verità della fede nel Figlio di Dio venuto nel mondo per la salvezza di tutti e così  cantata nell’inno liturgico dell’Epistola paolina: «Egli fu manifestato in carne umana e riconosciuto giusto nello Spirito, fu visto dagli angeli e annunciato fra le genti, fu creduto nel mondo ed elevato nella gloria» (1 Timoteo 3,16). Il medesimo Spirito gonfia ancora oggi i cuori dei discepoli e li spinge, nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, a perseverare nella comunione con lui e dunque con il Padre, divenendo così «una sola cosa» (Giovanni 17,11). Questa sublime esperienza, che è alla portata di tutti i credenti nella celebrazione dell’Eucaristia, scaccia dal loro animo ogni paura, ogni turbamento, ogni scoraggiamento e li rassicura sul fatto che Dio «non desiste dal prendersi cura di quanti sostiene e rianima con la certezza del suo affetto di Padre» (Orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica).

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17 maggio 2012 – Ascensione del Signore


Celebra il compimento della Pasqua con il ritorno del Signore vittorioso al Padre, dal quale era venuto per la nostra salvezza.

La recente riforma del Calendario liturgico della nostra Chiesa Ambrosiana (2008) ha  giustamente riportato questa grande Solennità pasquale nel “quarantesimo giorno” della letizia pasquale segnata dalla gioia della presenza del Risorto tra i suoi ai quali promette, una volta tornato al Padre, di mandare lo Spirito Santo per tener viva la sua Parola e l’efficacia della sua Pasqua fino alla consumazione dei tempi.

L’importanza dell’odierna solennità, nella nostra tradizione liturgica, è riscontrabile nella proposta di una Lettura vigiliare per la Messa vespertina della Vigilia che inaugura la solennità e dai due formulari eucologici per la Messa “della Vigilia” e per la Messa “nel giorno”.

 

Il Lezionario

 

Nella Messa della Vigilia viene proclamata come Lettura vigiliare: Atti degli Apostoli 1, 1-11. L’Epistola e il  Vangelo sono quelli della Messa “nel giorno” vale a dire: Efesini 4,7-13 e Luca 24, 36b-53. Nella Messa “nel giorno” la Lettura è presa dagli Atti degli Apostoli 1,6-13a.

 

Lettura Vigiliare: Atti degli Apostoli 1,1-11

 

1Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. 3Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella disse che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». 6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». 9Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. 10Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro 11e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

Il brano si apre con la presentazione da parte di Luca del suo nuovo libro che fa seguito al «primo racconto» ossia il Vangelo riguardante ciò che Gesù «fece e insegnò» nella sua vita terrena culminata, dopo la sua passione e risurrezione, nel giorno «in cui fu assunto in cielo» (vv. 1-5).

I vv. 6-8 riportano l’ultimo dialogo tra Gesù e i suoi discepoli nel quale viene loro annunciato il dono dello Spirito Santo che li trasformerà in suoi testimoni «fino ai confini della terra».

Il brano si conclude con il racconto dell’ascensione e con l’annunzio ai discepoli fatto da due uomini in bianche vesti riguardante il ritorno del Signore dal cielo nel giorno della Parusia, alla fine dei tempi (vv. 9-11).

 

Lettura (Messa nel giorno): Atti degli Apostoli 1,6-13a

 

In quei giorni. 6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». 9Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. 10Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro 11e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». 12Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. 13Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi.

 

Completa ciò che è stato letto nella Lettura vigiliare, dicendo che gli Apostoli, testimoni dell’elevazione “in alto” del loro Maestro e Signore, una volta tornati a Gerusalemme, «salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Si tratta di un particolare di grande importanza perché il loro essere riuniti insieme è immagine della Chiesa, quella del Signore, sulla quale egli ha promesso di far scendere «la forza dello Spirito Santo» che la abilita a dare testimonianza a Gesù ovunque e fino al suo ritorno glorioso dal Cielo.

 

Lettura di san Paolo apostolo agli Efesini (4,7-13)

 

Fratelli, 7a ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. 8Per questo è detto:

«Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini.

9Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? 10Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.

11Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, 12per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, 13finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo».

 

L’Apostolo riflettendo sul mistero dell’Ascensione al Cielo del Signore afferma, con riferimento al Salmo 68,19, che egli «asceso in alto ha portato con sé prigionieri». Si tratta dell’intera umanità da lui liberata, nel mistero della sua Pasqua, dalla schiavitù del male, del peccato e della morte. In pari tempo, il Signore una volta asceso al Cielo «ha distribuito doni agli uomini», allusione, forse, al dono dello Spirito Santo che abilita alcuni a collaborare perché tutti gli uomini arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio» divenendo in tal modo il suo corpo.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (24,36b-53)

 

In quel tempo. 36BIl Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma . 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40  Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione  di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nel Profeti e nei Salmi».45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo. 52Ed essi di prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

Il brano segue immediatamente quello dei due discepoli di Emmaus. Esso appare diviso in tre parti: nella prima: vv. 36-43 viene narrata l’apparizione del Signore agli Undici e ai discepoli radunati insieme nella quale si dà a conoscere nella verità di Crocifisso/Risorto, il Vivente.

Nella seconda parte: vv. 44-49 come già con i discepoli di Emmaus Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture» che concordano nell’annunziare come il Cristo, ossia il Messia, «patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» secondo l’ineffabile disegno di Dio di universale salvezza.

Nei versetti finali 50-53 l’evangelista riferisce l’evento glorioso dell’Ascensione del Signore che produce nel cuore dei discepoli grande gioia e la lode a Dio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Lo ricaviamo dai testi della preghiera liturgica, ossia dai formulari eucologici del Messale Ambrosiano per la Messa della Vigilia e per quella “nel giorno”.

In primo luogo l’evento dell’Ascensione è considerato nel più ampio contesto del disegno di grazia che il Prefazio della Messa della Vigilia vede così portato a compimento. Lo stesso Prefazio indica la portata salvifica di tale mistero affermando: «Così fu vinto e umiliato il demonio, e fu restituito al genere umano lo splendore dei doni divini» mentre il Prefazio della Messa “nel giorno”, presente anche nel Messale Romano, dopo aver elencato i nuovi titoli del Signore «salito al di sopra dei cieli», «Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo» afferma che egli, in tal modo, «ci ha preceduto nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria».

È la forte convinzione espressa anche nella preghiera A Conclusione della Liturgia della Parola nella Messa della Vigilia e in quella Dopo la Comunione della stessa Messa.

La preghiera A Conclusione della Liturgia della Parola nella Messa “nel giorno”, rivolgendosi a Dio evidenzia nel Signore asceso al Cielo la “dignità” alla quale «è stato oggi elevato l’uomo che tu creasti».

Infine i testi eucologici, con vari accenti, mettono in luce la tensione verso Cristo che deve continuamente contrassegnare la vita dei fedeli. La preghiera Sui doni della Messa “nel giorno” chiede a Dio di far sì «che il nostro spirito si innalzi alla gioia del Signore risorto». La preghiera All’inizio dell’Assemblea liturgica della Messa della Vigilia domanda a Dio Padre «di tendere con tutte le nostre forze alle altezze del Cielo», mentre quella A Conclusione della Liturgia della Parola chiede a Dio di guidare «le aspirazioni dei tuoi figli verso il tuo regno eterno». 

 

 

 

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13 maggio 2012 – VI domenica di Pasqua

Prepara la celebrazione della prossima solennità dell’Ascensione ovvero del ritorno glorioso del Signore Risorto presso il Padre da dove manderà sulla Chiesa lo Spirito Santo Paraclito.

 

Il Lezionario

 

Fa proclamare le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 26, 1-23; Salmo 21 (22); Epistola: 1 Corinzi 15,3-11; Vangelo: Giovanni 15,26-16,4. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da Giovanni 21,1-14.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (26,1-23)

 

In quei giorni. 1Agrippa disse a Paolo: «Ti è concesso di parlare a tua difesa». Allora Paolo, fatto  cenno con la mano, si difese così: 2«Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi difendere oggi da tutto ciò di cui vengo accusato dai Giudei, davanti a te, 3che conosci a perfezione tutte le usanze e le questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza. 4La mia vita, fin dalla giovinezza, vissuta sempre tra i miei connazionali e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; 5essi sanno pure da tempo, se vogliono darne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto secondo la setta più rigida della nostra religione. 6E ora sto qui sotto processo a motivo della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, 7 e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. A motivo di questa speranza, o re, sono ora accusato dai Giudei! 8Perché fra voi è considerato incredibile che Dio risusciti i morti?

9Eppure anche io ritenni mio dovere compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il Nazareno. 10Così ho fatto a Gerusalemme: molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e, quando venivano messi a morte, anche io ho dato il mio voto. 11In tutte le sinagoghe cercavo spesso di costringerli con le torture a bestemmiare e, nel colmo del mio furore contro di loro, davo loro la caccia perfino nelle città straniere.

12In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con il potere e l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti, 13verso mezzogiorno vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. 14Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo”. 15E io dissi: “Chi sei, o Signore?”. E il Signore rispose: “Io sono Gesù, che tu perséguiti. 16Ma ora àlzati e sta’ in piedi; io ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto di me e di quelle per cui ti apparirò. 17Ti libererò dal popolo e dalle nazioni, a cui ti mando 18per aprire i loro occhi, perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità, in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me”.

19Perciò, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste, 20ma, prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo di pentirsi e di convertirsi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione. 21Per queste cose i Giudei, mentre ero nel tempio, mi presero e tentavano di uccidermi. 22Ma, con l’aiuto di Dio, fino a questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai grandi, null’altro affermando se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, 23che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti».

 

Il brano riporta il discorso di autodifesa tenuto da san Paolo a Cesarea, in attesa di essere condotto a Roma per essere processato, di fronte al re Agrippa II e al governatore romano Festo, in seguito al tumulto scoppiato a Gerusalemme e culminato con l’arresto dell’Apostolo (Atti degli Apostoli 21,27ss.). Nel suo discorso Paolo esordisce ricordando il suo zelo per la Legge e nel perseguitare i cristiani (vv. 4-11). Offre, quindi, una personale testimonianza dei fatti accaduti sulla strada verso Damasco con al centro le parole di Gesù che lo costituisce suo «ministro e testimone» presso gli Ebrei e i Pagani (vv. 12-18). Nella conclusione Paolo dimostra di aver agito secondo ciò che gli era stato detto dalla “visione celeste” predicando che Gesù è il Cristo annunciato dai Profeti e da Mosè (vv. 19-23).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,3-11)

 

Fratelli, 3a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè

che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture

e che 4fu sepolto

e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture

5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.

6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. 11Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.   

 

In questo brano avvertiamo l’intento dell’Apostolo di ribadire ai fragili cristiani di Corinto la portata reale della risurrezione dei morti e lo fa poggiandosi sul cuore dell’annunzio evangelico vale a dire la morte per i nostri peccati e la risurrezione del Signore apparso a Pietro e ai Dodici (vv. 3-5). Elenca altre apparizioni fino all’ultima: quella che riguarda lui che si proclama «il più piccolo degli apostoli» avendo prima perseguitato la Chiesa (vv. 6-9). In conclusione san Paolo proclama l’uniformità della sua predicazione in ordine alla risurrezione su cui si poggia la fede con quella degli altri Apostoli (vv. 10-11).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (15,26-16-4)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: 26«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

1Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. 2Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. 4Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto.

Non ve l’ho detto dal principio perché ero con voi».

 

Il brano è collocato nell’ultima cena del Signore con i suoi discepoli in un contesto nel quale viene a essi preannunciata la persecuzione. Si comprende, perciò, come il Signore, ponendosi nella futura condizione di Risorto e di glorificato presso il Padre, prometta ai suoi di mandare su di essi lo Spirito Santo qui indicato con il termine Paraclito. Egli avrà il compito di testimoniare Gesù anzitutto nel cuore dei fedeli, rendendoli in tal modo fermi nella fede e capaci, a loro volta, di dare testimonianza a lui nel loro ambiente di vita (vv. 26-27).

I vv. 1-4 del capitolo 16 riportano le parole con le quali il Signore annuncia per i suoi discepoli la persecuzione e addirittura la morte violenta per mano di gente convinta di agire in conformità al volere divino. Una persecuzione che avrà come protagonista quella stessa cerchia di persone che determinò la morte di Gesù e indicate dall’Evangelista con l’espressione “i Capi dei Giudei”.

 

 

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’ascolto delle Scritture, in questa domenica, fa scendere nel nostro spirito la parola del Signore che preannuncia ai suoi discepoli l’invio dello Spirito Santo, il Paraclito. Il brano ci situa nella sala dell’ultima cena nell’imminenza oramai della morte del Signore. Le sue parole si allargano ad abbracciare la condizione che lo vedrà glorioso presso il Padre una volta passato dall’oscurità della morte alla luce  della risurrezione.  

Sarà lui, intronizzato come Signore alla destra di Dio, a mandare ai suoi discepoli che rimangono nel mondo lo Spirito Santo come guida, assistente e difensore al suo posto. È la promessa che si è verificata nell’effusione dello Spirito Santo nel mistero della Pentecoste culmine della Pasqua.

Il Signore sa, infatti, che la sua comunità andrà incontro, come è avvenuto per lui, alla prova e alla persecuzione violenta a causa della fede riposta nella sua Persona. Cosa puntualmente verificatasi nei primi giorni della Chiesa con l’uccisione di Stefano, di Giacomo il Minore e anche nella persecuzione scatenata da Saulo che, una volta trasformato dalla Luce che lo avvolse sulla via di Damasco, ha lui stesso sperimentato la violenza, la prigionia e il giudizio (Cfr la Lettura).  

Con le sue parole il Signore ha perciò presente non solo la comunità del Cenacolo ma, a partire da essa, la comunità credente di tutti i tempi e di tutti i luoghi, quindi, la nostra comunità oggi radunata per la celebrazione, nel mistero, della sua Pasqua. Il Signore sa che anche noi, come una volta i suoi discepoli, potremmo “scandalizzarci” (Giovanni, 16,1) per le tribolazioni e le prove a cui veniamo inevitabilmente sottoposti a causa della nostra fede in lui.

Nella partecipazione all’Eucaristia il Signore Risorto ci fa dono del suo Spirito che, dal di dentro, ci rende sempre più stabili nella fede, ci convince che non vi è altra salvezza se non in Cristo e, dunque, ci rende idonei a dare testimonianza al Signore con la nostra parola e con la nostra vita.

Grazie al dono dello Spirito noi abbiamo accolto il cuore stesso della buona notizia così trasmesso dall’Apostolo: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (Epistola: 1 Corinzi 15, 3-5) e abbiamo la certezza che «ogni volta che si celebra con questa offerta la memoria del tuo Figlio immolato e risorto, rivive e si rende efficace l’opera della nostra redenzione» ( Orazione “Sui Doni”).

Noi siamo infatti interiormente persuasi che con la sua morte il Signore ci ha liberati dalla “morte eterna” e con la sua risurrezione, accertata da Pietro e dai Dodici Apostoli, ha fatto brillare anche per noi la vita nuova e immortale.

Questo è l’avvenimento capitale e decisivo per ogni uomo che sperimenta la sua radicale insuperabile impotenza di fronte al male e alla morte.

Questa è la bella e la buona “notizia” della quale dobbiamo dare testimonianza sull’esempio dell’Apostolo Paolo, costituito dal Signore «ministro e testimone» di lui davanti alle genti «perché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ottengano il perdono dei peccati e l’eredità» (Atti degli Apostoli 26,18), quella che spetta ai figli.

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6 maggio 2012 – V domenica di Pasqua

Orienta l’attenzione di fede della Chiesa alla solennità dell’Ascensione del Signore che annuncia il compimento della promessa: l’invio dello Spirito Santo Consolatore.

 

Il Lezionario

 

Fa leggere le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 7,2-8. 11-12a. 17. 20-22. 30-34. 36-42a. 44-48a. 51-54; Salmo 117 (118); Epistola: 1Corinzi 2,6-12; Vangelo: Giovanni 17,1b-11. Nella Messa vigiliare del sabato si proclama Matteo 28,8-10 come Vangelo della Risurrezione.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (7,2-8. 11-12a. 17. 20-22. 30-34. 36- 42a. 44-48a. 51-54)

 

In quei giorni. 2Stefano rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era in Mesopotamia, prima che si stabilisse in Carran, 3e gli disse: “Esci dalla tua terra e dalla tua gente e vieni nella terra che io ti indicherò”. 4Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte di suo padre, Dio lo fece emigrare in questa terra dove voi ora abitate. 5In essa non gli diede alcuna proprietà, neppure quanto l’orma di un piede e, sebbene non avesse figli, promise di darla in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui. 6Poi Dio parlò così:La sua discendenza vivrà da straniera in terra altrui, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni. 7Ma la nazione di cui saranno schiavi, io la giudicherò – disse Dio – e dopo ciò usciranno e mi adoreranno in questo luogo”. 8E gli diede l’alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l’ottavo giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. 11Su tutto l’Egitto e su Canaan vennero carestia e grande tribolazione e i nostri padri non trovavano da mangiare. 12Giacobbe, avendo udito che in Egitto c’era del cibo, vi inviò i nostri padri.17Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto.

20In quel tempo nacque Mosè, ed era molto bello. Fu allevato per tre mesi nella casa paterna 21e, quando fu abbandonato, lo raccolse la figlia del faraone e lo allevò come suo figlio. 22Così Mosè venne educato in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente in parole e in opere.

30Passati quarant’anni, gli apparve nel deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente. 31Mosè rimase stupito di questa visione e, mentre si avvicinava per vedere meglio, venne la voce del Signore: 32“Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Tutto tremante, Mosè non osava guardare. 33Allora il Signore gli disse: “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo in cui stai è terra santa. 34Ho visto i maltrattamenti fatti al mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli. Ora vieni, io ti mando in Egitto”.

36Egli li fece uscire, compiendo prodigi e segni nella terra d’Egitto, nel Mar Rosso e nel deserto per quarant’anni. 37Egli è quel Mosè che disse ai figli d’Israele: “Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me”. 38Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l’angelo, che gli parlava sul monte Sinai, e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. 39Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, anzi lo respinsero e in cuor loro si volsero verso l’Egitto, 40dicendo ad Aronne: “Fa’ per noi degli dèi che camminino davanti a noi, perché a questo Mosè, che ci condusse fuori dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. 41E in quei giorni fabbricarono un vitello e offrirono un sacrificio all’idolo e si rallegrarono per l’opera delle loro mani. 42Ma Dio si allontanò da loro e li abbandonò al culto degli astri del cielo.

44Nel deserto i nostri padri avevano la tenda della testimonianza, come colui che parlava a Mosè aveva ordinato di costruirla secondo il modello che aveva visto. 45E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè la portarono con sé nel territorio delle nazioni che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. 46Costui trovò grazia dinanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per la casa di Giacobbe; 47ma fu Salomone che gli costruì una casa. 48L’Altissimo tuttavia non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo.

51Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. 52Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, 53voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata». 54All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano.

 

Il brano riporta ampi stralci del discorso tenuto da Stefano davanti al Sinedrio dopo il suo arresto (Atti 7,2-53) che culminerà con la sua uccisione (7,54-60). Stefano ripercorre tutta la storia di Israele a partire dalla rivelazione di Dio ad Abramo (7,2-8), la carestia patita da Israele in Egitto (11-12a), la scelta di Mosè come liberatore del popolo dall’Egitto e sua guida nel deserto con gli avvenimenti ivi avvenuti (17,20-22; 30-34; 36-42a), la costruzione del tempio (44-48a). I vv. 51-53 registrano l’invettiva contro la durezza di cuore del Popolo che ha portato all’uccisione dei profeti e, ora, del “Giusto”, ossia di Gesù.

 

Prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (2,6-12)

 

Fratelli, 6tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. 7Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. 8Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 9Ma, come sta scritto: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano. 10Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. 11Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. 12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato.

 

Il brano è preso dal più ampio contesto in cui l’Apostolo oppone alla sapienza del mondo quella di Dio che brilla in Cristo crocifisso (1 Corinzi 1,17ss.). I vv. 6-9 mettono in luce come “i perfetti”, ossia quanti grazie alla fede hanno raggiunto un alto livello nella vita cristiana, sono in grado di penetrare nella sapienza divina ovvero nel disegno divino di salvezza di per sé nascosto e che è stato rivelato in Cristo. Al contrario, “i dominatori di questo mondo”, ossia le potenze umane manovrate da quelle diaboliche, non sono in grado di penetrare nella «sapienza di Dio che è nel mistero». I vv. 10-12 , infine, sottolineano il fatto che per mezzo dello Spirito che è stato dato ai credenti è possibile addirittura penetrare nelle «profondità di Dio».

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (17,1b-11)

 

In quel tempo. 1Il signore Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. 5E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. 6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. 9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi».

 

Il brano che avvia la preghiera di Gesù e che occupa il capitolo intero, conclude la narrazione dei gesti e delle parole del Signore in quella che è chiamata “l’ultima cena” con i suoi apostoli (Giovanni 13-17). Qui, in realtà, siamo di fronte all’ultimo colloquio di Gesù con il Padre avviato dal suo gesto assai significativo di alzare gli occhi al cielo (v. 1).

In particolare i vv. 1-5 sono incentrati su quanto Gesù ha compiuto nel mondo su incarico del Padre e sulla conseguente richiesta di essere glorificato, ossia di essere reintegrato nella sua condizione divina; cosa, questa, che coinciderà con l’ora della sua morte.

Nei vv. 6-11a lo sguardo di Gesù si allarga «agli uomini che mi hai dato dal mondo», ossia ai credenti. Di essi viene sottolineata la simultanea appartenenza al Padre e a lui stesso (vv. 6-8) e, dunque, l’intervento a loro favore presso il Padre considerando che oramai lui, avviato alla glorificazione, non è «più nel mondo» mentre «essi sono nel mondo» (vv. 9-11).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questa domenica è orientata al compimento della Pasqua nel mistero dell’Ascensione del Signore. Il suo ritorno al Padre mentre segna un ulteriore stadio della sua esaltazione sulla Croce, segna d’altra parte una nuova situazione per i discepoli del Signore stesso. Questi, d’ora in poi, non lo avranno più fisicamente ma, attraverso il dono dello Spirito che «conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio» (Epistola: 1Corinzi 2,10b), potranno “conoscere”, ossia penetrare e sperimentare in pienezza ciò che Dio ha loro donato nel suo Figlio!

Si tratta di una realtà che riguarda ogni credente, ognuno di noi che formiamo oggi la sua Chiesa nata dalla Pasqua di morte e di risurrezione del Signore, nella quale culmina l’“opera” che il Padre gli ha dato da compiere mandandolo nel mondo.

È bene aver chiaro nel nostro cuore e nella nostra mente che quanti giungono alla fede vengono messi da Dio, al quale appartengono, nelle mani del Figlio il quale, tramite il suo Vangelo, ha “manifestato” ad essi il “nome”, ossia la realtà stessa di Dio in nessun modo conoscibile dai «dominatori di questo mondo» (1Cor 2,8).

Ed è proprio questo essere simultaneamente di Dio e del Figlio il punto di appoggio della comunità del Signore lungo i secoli. Essa sa di essere custodita dal Padre pur vivendo nell’ambiente ostile qual è il “mondo” e, di conseguenza, può serenamente attraversare i secoli.

La celebrazione eucaristica è l’ambiente nel quale avvertiamo la verità del dono della vita eterna che il Signore ci ha dato nella sua Pasqua. È la vita che ci viene elargita nella partecipazione al pane e al vino della mensa eucaristica nella quale la sperimentiamo come comunione con il Figlio e, in lui, con il Padre e possiamo così allietarci «dell’eterno destino di gloria che ci è stato donato nel Signore Risorto» (Prefazio).

La celebrazione, inoltre, è l’ambiente nel quale l’ascolto delle Scritture, rese a noi intelligibili dallo Spirito Santo, ci offre l’opportunità di vedere come tutta la storia della salvezza che si dispiega a partire dall’apparizione del «Dio della gloria» ad Abramo (Lettura: Atti degli Apostoli) fino alla liberazione dall’Egitto e alla costruzione del Tempio, preannunciava in realtà «la venuta del Giusto», ossia del Signore Gesù, il Figlio di Dio. Una “storia” nella quale sappiamo di essere coinvolti in prima persona sperimentandone gli effetti salutari sul mondo intero.

 

 

 

 

 

 

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29 aprile 2012 – IV domenica di Pasqua

Presenta, nell’immagine biblica del Buon Pastore, l’azione salvifica realizzata dal Signore Risorto prolungata nell’attività pastorale della Chiesa.

 

Il Lezionario

 

Fa leggere i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Atti degli Apostoli 20,7-12; Salmo 29 (30); Epistola: 1Timoteo 4,12-16; Vangelo: Giovanni 10,27-30. Il brano di Luca 24,9-12 è letto alla Messa vigiliare del sabato quale Vangelo della Risurrezione.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (20,7-12)

 

7Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. 8C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti. 9Ora, un ragazzo di nome Èutico, seduto alla finestra, mentre Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. 10Paolo allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è vivo!». 11Poi risalì, spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. 12Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.

 

Il brano si riferisce a un episodio accaduto a Troade «il primo giorno della settimana» nel quale la comunità si riunisce «a spezzare il pane», ossia a celebrare l’Eucaristia e ad ascoltare l’Apostolo (v. 7). I vv. 8-9 riportano il tragico evento della morte di Èutico, un ragazzo, caduto dalla finestra del piano superiore della casa dove era seduto ad ascoltare Paolo. La reazione dell’Apostolo di gettarsi sul ragazzo (v. 10) rimanda a quella del profeta Elia nella risurrezione del figlio della vedova di Zarepta (1Re 17,17-24). Il brano si conclude sottolineando il protrarsi fino all’alba della predicazione dell’Apostolo e la consolazione provata da tutti perché il ragazzo era vivo (vv. 11-12).

 

Lettura della prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (4,12-16)

 

Carissimo, 12nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. 13In attesa del mio arrivo, dèdicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. 14Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri. 15Abbi cura di queste cose, dèdicati ad esse interamente, perché tutti vedano il tuo progresso. 16Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano.

 

Il brano contiene alcuni suggerimenti ed esortazioni di Paolo al discepolo prediletto Timòteo da lui lasciato ad Efeso come vescovo. Il brano si apre con l’invito a essere attento a dare l’esempio a tutti nel comportamento (v. 12) e si chiude al v. 16 con l’analoga esortazione a vigilare su di sé. Al centro è posto il comando a dedicarsi a ciò che più di ogni altra cosa compete al vescovo: «Dedicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento» (v. 13) confidando nel dono ricevuto con il gesto dell’imposizione delle mani, ossia lo Spirito Santo (v. 14).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (10,27-30)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: 27«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

I presenti versetti fanno parte del più ampio racconto riguardante l’ultimo soggiorno del Signore in Gerusalemme prima della sua Passione e sono ambientati nel Tempio in occasione della festa della Dedicazione (Giovanni 10,22-39). Più in particolare essi sono inseriti nel dialogo polemico con i Giudei, suoi irriducibili avversari, i quali con l’intento malvagio di avere di che accusarlo gli domandano: «Se sei tu il Cristo, dillo a noi apertamente», una domanda che riguarda la sua messianicità e soprattutto la sua figliolanza divina.

Nella sua risposta Gesù afferma che il motivo della loro incredulità risiede nel fatto che essi non sono «sue pecore» (v. 26), riprendendo in tal modo il discorso sul Buon Pastore (Giovanni 10,11-16). Il v. 27 infatti descrive l’ascolto della voce di Gesù, caratteristica essenziale di quanti possono dirsi pecore che appartengono a lui. Un ascolto che le fa entrare in un rapporto intimo con lui al punto da seguirlo, ponendosi cioè nel suo cammino di adesione al volere di Dio.

Il v. 28 dice che cosa Gesù intende offrire ai suoi discepoli: fin da ora la vita eterna, vale a dire la partecipazione alla vita divina e la garanzia valida fino alla fine dei tempi che «nessuno le strapperà dalla mia mano», assicurando con ciò la salvezza eterna. Una simile sicurezza è garantita dal fatto che le sue pecore, ossia i suoi discepoli, sono simultaneamente le pecore «del Padre mio», di Dio, dalle cui mani, ovvero dalla sua potenza protettrice, nessuno può pensare di sottrarle.

La conclusione al v. 30 è una dichiarazione relativa all’unione profonda che esiste tra Gesù e il Padre e che riguarda l’unità del Padre e del Figlio nell’unica essenza divina.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Nella sua Pasqua di morte e di risurrezione, Gesù ha realizzato pienamente e definitivamente ciò che è contenuto ed espresso nell’immagine biblica del Buon Pastore. Il testo evangelico, a tale riguardo, illumina i credenti sul significato e su ciò che comporta la loro appartenenza al gregge del Crocifisso e Risorto. In primo luogo essi devono avvertire la loro appartenenza esclusiva al Signore, di cui ascoltano la voce, seguendolo, ossia vivendo di lui, per lui e come lui. Non a caso perciò il Signore designa i credenti come «mie pecore», esprimendo in tal modo la qualità del rapporto che lo lega a essi e l’assoluta necessità che questi hanno di lui. Quanti sono diventati credenti sono “del” Signore perché egli li ha sottratti al potere delle tenebre eterne a prezzo della sua stessa vita. Sono “suoi” perché a essi il Signore comunica la vita eterna, ovvero li rende partecipi della sua comunione di vita e di amore con il Padre. Essendo “suoi”, il Signore li custodisce nella sua “mano” così come fa il Padre, difendendoli da ogni potere avverso e soprattutto impedendo che vengano di nuovo ricondotti sotto il potere del male, del peccato e, dunque, della morte. La preghiera liturgica ha sapientemente così sintetizzato l’annunzio evangelico della salvezza che è in Cristo Signore, il quale «mosso a compassione per l’umanità che si era smarrita, si degnò di nascere dalla vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunicò la vita immortale» (Prefazio). Le Scritture, oggi proclamate, dicono che l’opera “pastorale” del Signore continua nella Chiesa e nel mondo per mezzo degli apostoli e dei loro successori che, in realtà, sono vicari dell’unico Pastore, Cristo Signore.

L’Apostolo Paolo è presentato nella Lettura come modello dei pastori, totalmente consacrato al ministero della Parola a cui attende, senza risparmio di tempo e di energie (Atti degli Apostoli 20,11) e colto nell’atto di “spezzare il pane”, gesto che rende presente ciò che il Signore ha compiuto dando la sua vita sulla Croce e risorgendo dai morti. È da tale evento che viene per i credenti, già da questa vita terrena, il dono della vita eterna e la certezza della salvezza finale.

Si comprende perciò come Paolo raccomandi al suo discepolo Timoteo di dedicarsi, con tutte le sue forze, e fidando soprattutto sul dono dello Spirito invocato su di lui con il gesto dell’imposizione delle mani (Epistola: 1 Timoteo 4,14), al personale assiduo contatto con la Parola di Dio per essere in grado di trasmetterla fedelmente e di esortare autorevolmente i fedeli a vivere in conformità ad essa!

La consapevolezza di essere saldamente tenuta nella mano di Dio Padre e del suo Figlio, mentre rassicura la comunità dei credenti in cammino tra le avversità e le prove di questo mondo, la spinge ad ascoltare con docile obbedienza la voce del suo Signore e a seguirlo sulla via che porta alla vita eterna, la Vita stessa di Dio da lui donata nell’ora della sua morte e della sua risurrezione.

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22 aprile 2012 – III domenica di Pasqua


L’ascolto delle Scritture nel contesto della celebrazione eucaristica di questa domenica, guida i fedeli a riconoscere con fede nel Signore Crocifisso e Risorto la “via” unica e vivente che permette l’accesso a Dio, il Padre!

 

Il Lezionario

 

Vengono perciò oggi proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 16,22-34; Salmo 97 (98); Epistola: Colossesi 1,24-29; Vangelo: Giovanni 14,1-11a. Alla Messa vigiliare del sabato viene letto Marco 16,-8a come Vangelo della Risurrezione.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (16,22-34)

 

In quei giorni. 22La folla insorse contro Paolo e Sila e i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli 23e, dopo averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia. 24Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella parte più interna del carcere e assicurò i loro piedi ai ceppi.

25Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli. 26D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti. 27Il carceriere si svegliò e, vedendo aperte le porte del carcere, tirò fuori la spada e stava per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. 28Ma Paolo gridò forte: «Non farti del male, siamo tutti qui». 29Quello allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando cadde ai piedi di Paolo e Sila; 30poi li condusse fuori e disse: «Signori, che cosa devo fare per essere salvato?».31Risposero: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia». 32E proclamarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. 33Egli li prese con sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; 34poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio.

 

Il brano fa seguito al tumulto scoppiato nella città macedone di Filippi a motivo della liberazione di una schiava da uno spirito di divinazione che rendeva denaro ai suoi padroni (Atti 16,12-21) e che costò a Paolo e a Sila, suo compagno di missione, percosse e carcere duro (vv. 22-24). I vv. 26-28 riferiscono del terremoto verificatosi nella notte e del gesto autolesionistico progettato dal carceriere nel constatare che le porte delle celle erano spalancate. Le  parole tranquillizzanti di Paolo provocano in lui un’inattesa reazione: «Che cosa devo fare per essere salvato?» (vv. 29-30) e la risposta essenziale dei due missionari: «Credi nel Signore Gesù», a cui fa seguito la proclamazione della «parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa» (vv. 31-32). I vv. 33-34 concludono il racconto con un rapido cenno al gesto battesimale compiuto sul carceriere e la sua famiglia, coronato dal pasto gioioso «per aver creduto in Dio».

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,24-29)

 

Fratelli, 24io sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei  patimenti di Cristo,  manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 25Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di portare a compimento la  parola di Dio, 26cioè il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. 27A loro  Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti:  Cristo in voi, speranza della gloria. 28È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. 29Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.   

 

Il v. 24 riporta l’affermazione dell’Apostolo che è convinto di vivere la sua vita missionaria piena di sofferenze in profonda comunione con i patimenti di Cristo a favore della Chiesa, che Paolo ama chiamare “corpo” del Signore. Egli si percepisce come inviato da Dio stesso per rivelare a tutti indistintamente il «mistero nascosto da secoli», vale a dire il disegno di universale salvezza in Cristo Signore (vv. 25-27). Si comprende perciò come Paolo ha come unico scopo: annunciare lui, il Signore Gesù, a tutti gli uomini senza risparmiarsi nelle fatiche e senza sottrarsi alle controversie (vv. 28-29).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (14,1-11a)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: 1«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molti dimore. Se no, vi avrei mai  detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado,  conoscete la via».

5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6Gli  disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre?” 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me».

Il brano fa parte del cosiddetto “discorso di addio” (Giovanni 13,33-14,31) rivolto da Gesù ai suoi discepoli nel contesto dell’ultima cena per prepararli all’evento della sua morte e per affidare ad essi le consegne decisive. Dopo aver esortato i suoi a non turbarsi di fronte a ciò che sta per succedere e a credere (v. 1), Gesù introduce il tema del suo ritorno al Padre (vv. 2-3) e della “via” che conduce a lui (v. 4). I vv. 5-6 riportano il dialogo con Tommaso a proposito della “via” mentre i vv. 7-9 conducono all’effermazione: «Chi ha visto me ha visto il Padre», che giustifica l’appello finale a credere in lui (v. 11).

 

Commento liturgico-pastorale

La partecipazione alla celebrazione eucaristica, attuazione della Pasqua, è l’ambiente più idoneo per crescere nell’esperienza del Risorto e riconoscere in lui la “via” che conduce a ciò che, in verità, ogni uomo desidera dal più profondo: “dimorare” presso Dio, il Padre! Tale esperienza è propiziata e fondata sull’ascolto ecclesiale delle Divine Scritture e in primo luogo del Vangelo, nel quale ci parla il Risorto e al quale poniamo tutta la nostra attenzione piena di fede. Egli spalanca l’orizzonte dei suoi indicando «nella casa del Padre mio» la sua destinazione che sarà anche la loro (vv.2-3).

Il Signore inoltre spiega come si può giungere fino al Padre introducendo l’immagine della “via”, ben nota nelle Scritture per indicare l’orientamento scelto o da scegliere per la propria esistenza (vv.4-6). All’iniziale non comprensione dei discepoli, evidenziata con la domanda di Tommaso (v.5), Gesù viene incontro con la solenne dichiarazione sulla sua identità: lui che è la “verità”, ossia la rivelazione piena e definitiva di Dio, e la “vita”, è l’unica “via” data agli uomini per accedere a Dio (v. 6).

Ad essa fa seguito un’altra decisiva parola di autorivelazione: «Chi vede me, vede il Padre», come a dire: si giunge a Dio per la “via” che è Gesù e si arriva all’esperienza e alla relazione filiale con Dio, espressa dai verbi conoscere e vedere, conoscendo e vedendo Gesù, ossia entrando in intimo rapporto di fede con lui che è il Figlio! (vv. 7-9).

Con questo viene superata, nella domanda di Filippo «Mostraci il Padre» (v. 9), la domanda e l’anelito del cuore umano a conoscere e a vedere Dio. Egli si fa conoscere e si fa vedere nel suo Figlio, Gesù di Nazaret, il Crocifisso! Il Risorto! In lui infatti abita Dio, il Padre, e lui, il Figlio, abita in Dio, il Padre (vv. 10-11): lui e il Padre sono una cosa sola! Di conseguenza ciò che il Signore dice sono le parole che il Padre, dimorando in lui, dice.

Le solenni parole di autorivelazione del v.6 e del v.9, al centro dell’odierno brano evangelico, trovano la loro evidente attuazione nella Pasqua di morte e di risurrezione. Il Crocifisso Risorto, pertanto, è la “via” unica data agli uomini per giungere a Dio, ossia alla salvezza e, più ancora, alla conoscenza di Dio, ovvero alla  relazione intima e filiale con lui.

Il Signore Gesù, inoltre, nella sua Pasqua, offre al mondo intero di vedere Dio, di vedere cioè il Padre che è il vero, profondo, insopprimibile desiderio del cuore dell’uomo!

Il Signore Gesù Crocifisso e Risorto, pertanto, è «il mistero nascosto da secoli e da generazioni» la cui gloriosa ricchezza Dio ha deciso di far conoscere in mezzo alle genti (Epistola: Colossesi 1,26-27) con l’annunzio degli Apostoli, testimoni della sua Pasqua, esteso nei secoli dalla Chiesa, la comunità dei credenti.

Credere in lui, pertanto, significa come spiega Paolo al carceriere di Filippi «essere salvo» (cfr. Lettura: Atti 16,31) e dunque non soltanto liberato dall’oppressione del male, ma già stabilito nella casa del Padre per sperimentare la partecipazione alla perenne comunione di vita con lui e con il Figlio.

Di tutto ciò si fa interprete l’orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica nella quale, dopo aver chiesto a Dio di ravvivare sempre di più nella Chiesa «i desideri che tu le hai suscitato nel cuore», così si prega: «Rendi più certa la nostra speranza; così i tuoi figli potranno aspettare con fiduciosa pazienza il destino di gloria ancora nascosto ma già contemplato senza ombra di dubbio dagli occhi della fede» e già posseduto nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, «sorgente e certezza della gioia senza fine» (Dopo la Comunione).

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15 aprile 2012 – II domenica di Pasqua


La Domenica “In Albis Depositis”

 

È tradizionalmente chiamata “In Albis”  perché i battezzati nella precedente Veglia pasquale si presentavano da questo giorno avendo «oramai tolto le vesti battesimali».

 

Il Lezionario

 

Presenta  ogni anno i seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 4,8-24a; Salmo: 117 (118); Epistola: Colossesi 2,8-15; Vangelo: Giovanni 20,19-31. Alla messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 7,37-39a quale Lettura vigiliare.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (4,8-24a) 

 

In quei giorni. 8Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, 9visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, 10sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. 11Questo Gesù è la pietra che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. 12In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». 13Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. 14Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare. 15Li fecero uscire dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro dicendo: 16«Che dobbiamo fare a questi uomini? Un segno evidente è avvenuto per opera loro; esso è diventato talmente noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che non possiamo negarlo. 17Ma perché non si divulghi maggiormente tra il popolo, proibiamo loro con minacce di  parlare ancora ad alcuno in quel nome». 18Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. 19Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. 20Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». 21Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando in che modo poterli punire, li lasciarono andare a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l’accaduto. 22L’uomo infatti  nel quale era avvenuto questo miracolo della guarigione aveva più di quarant’anni. 23Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. 24Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio.

 

Il brano riporta il discorso fatto da Pietro davanti al Sinedrio (vv. 8-12) dopo essere stato arrestato con Giovanni in seguito alla guarigione dello storpio alla porta Bella del Tempio (Atti 3,1-11). I vv. 13-15 registrano lo stupore del Sinedrio davanti alla “franchezza” con la quale Pietro e Giovanni annunziavano il nome del Signore Gesù di cui vengono riconosciuti come «quelli che erano stati» con lui. Segue ai vv. 15-18 il resoconto della consultazione tra i membri del Sinedrio sul da farsi che si conclude con la proibizione agli Apostoli «di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù». Cosa, questa, inaccettabile (v. 19). Il brano si conclude con il rilascio di Pietro e Giovanni (vv. 21-2) che riferiscono quanto era loro accaduto alla comunità dei fratelli (vv. 23-24).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (2,8-15)

 

Fratelli, 8fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. 9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza. 11In lui voi siete stati anche circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo: 12con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. 13Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e 14annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. 15Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo.

 

Nel v. 8 viene riportata l’esortazione dell’Apostolo ai cristiani di Colosse perché vivano secondo la fede in Cristo rifuggendo dalle dottrine mondane e ingannevoli. Ai vv. 9-12 l’Apostolo proclama che la vera fede si poggia sul signore Gesù e sulla partecipazione dei credenti alla pienezza del Signore mediante il battesimo, indicato al v. 11 come «circoncisione di Cristo». I vv. 11-13 evidenziano la partecipazione dei credenti al trionfo del Signore sulla morte, mentre i vv. 14-15 dicono che tutte le Potenze celesti sono state sottomesse al Cristo Risorto.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (20,19-31)

 

In quel tempo. 19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

 

Il testo evangelico che ogni anno viene proclamato nella seconda domenica di Pasqua è di decisiva importanza per la comprensione dell’esistenza stessa della Chiesa e della sua missione. È chiaramente diviso in due parti riguardanti rispettivamente  l’apparizione del Signore Risorto la sera di Pasqua  (vv. 19-23) e il successivo incontro del Signore «otto giorni dopo» con la presenza dell’apostolo Tommaso (vv. 24-29). I vv. 30-31, infine, riportano alcune considerazioni conclusive dell’Evangelista.

Il brano si apre al v. 19 con l’importante precisazione riguardante il raduno dei discepoli in un unico luogo a indicare che, ciò che viene narrato, riguarda la comunità ecclesiale di allora, come di oggi e di sempre. Al centro dell’attenzione c’è il Signore Gesù che si presenta ai suoi riuniti a porte chiuse «per timore dei Giudei». Viene così evidenziato che non vi sono ostacoli e barriere che possano impedire al Signore di «stare in mezzo» alla sua Chiesa e di offrire il dono pasquale della pace dovuta proprio alla sua presenza. Con il Signore Risorto, perciò, non c’è più timore ma pace.

Il Signore quindi si fa riconoscere ai suoi (v. 20) mostrando loro le mani e il fianco, con i segni della trafittura dei chiodi e della lancia del soldato romano, facendo sgorgare la gioia nei loro cuori riconoscendo in lui il Maestro che videro pendere dalla Croce.

La prima parte si chiude con la consegna ai discepoli della specifica missione che dovranno compiere e che la Chiesa dovrà continuare lungo i tempi. Egli che è l’inviato dal Padre, a sua volta manda i suoi discepoli e, in essi, quanti lungo i secoli formeranno la sua Chiesa, a compiere la sua stessa missione la cui efficacia è garantita dal dono dello Spirito indicato nel gesto molto espressivo del soffio (v. 22). La missione consiste essenzialmente nell’estendere a ogni uomo il frutto della Pasqua vale a dire  la remissione e il perdono dei peccati e con la potenza dello Spirito il dono di una vita nuova. In tal modo la Chiesa può portare nel mondo la vita, quella che nel Signore Gesù ha trionfato sul peccato e dunque sulla morte nella cui oscurità giace il mondo e, in esso, l’intera umanità.

La seconda parte del racconto, strettamente legata alla prima, prende avvio dal deciso rifiuto di Tommaso di accogliere la testimonianza dei discepoli: «Abbiamo visto il Signore!» (v. 25).

Tommaso che «non era con loro quando venne Gesù» (v. 24) rappresenta tutti coloro che, nei secoli, dovranno fidarsi e affidarsi con fede alla testimonianza che la comunità dei credenti offre su Gesù, il Vivente, senza esigere perciò di “vedere” e di “mettere” personalmente la mano nelle sue ferite. Tommaso supererà questa pretesa “otto giorni dopo” allorché il Signore tornerà tra i suoi augurando e recando il dono della pace e gli chiederà di mettere il suo dito e la sua mano nelle sue ferite esortandolo a «non essere più incredulo, ma credente!» (v. 27). Esortazione che va compresa, in realtà, rivolta a ogni uomo.

La reazione di Tommaso è quella di chi oramai è diventato credente:  non lo sfiora più il pensiero di vedere e di toccare le ferite del Signore ma si rivolge a lui con una proclamazione di fede assoluta: «Mio Signore e mio Dio!». Con ciò riconosce che il suo Maestro, morto sulla Croce, il Risorto, è Dio!

Le parole conclusive del Signore (v. 29) sono anch’esse rivolte, tramite Tommaso, ai futuri credenti e, dunque, anche a noi che oggi le ascoltiamo nella proclamazione liturgica dell’evangelo. Fin da ora siamo da Gesù stesso proclamati beati perché crediamo in lui senza poterlo vedere e toccare.  “Vedere” e “toccare” il Risorto è l’esperienza propria dei Dodici. D’ora in poi la fede dei credenti dovrà poggiarsi sulla loro testimonianza!

Nella celebrazione eucaristica, scandita dal solenne ritmo domenicale istituito dalle apparizioni del Risorto, è possibile per noi vivere, nel mistero, l’esperienza degli Apostoli, crescere nella fede  e nell’amore con Lui  e accogliere con il soffio dello Spirito il mandato che ci abilita alla missione evangelica nel mondo.

La Lettura mostra come questa missione è stata da subito attuata dagli stessi Apostoli, i quali annunziano con estrema chiarezza che «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati»  (Atti degli Apostoli 4,12). L’esperienza che essi hanno fatto del Risorto, la missione ricevuta nel soffio del Signore, nella potenza cioè dello Spirito Santo, è insopprimibile nei loro cuori e li spinge ad annunziare a tutti,  anche a costo della vita, la reale unica possibilità di salvezza che è in Cristo Signore: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20).

Anche noi, di domenica in domenica, impariamo a «camminare nella nuova realtà dello Spirito» nella quale siamo stati stabiliti dai sacramenti pasquali. In tal modo «ci è dato di superare il rischio orrendo della morte eterna, ed è serbata ai credenti la lieta speranza della vita senza fine» (Prefazio) che ci è data dalla partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore  nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Epistola: Colossesi 2,9).

 

 

 

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8 aprile 2012 – Domenica di Pasqua


Domenica di Pasqua. Nella Risurrezione del Signore



È “la festa di tutte le feste” avviata nella celebrazione eucaristica culmine della grande Veglia pasquale, cuore e centro dell’intero anno liturgico, nel quale la Chiesa rivive ogni anno il mistero della salvezza portato a compimento nella morte e risurrezione del Signore.

La tradizione propria della nostra Chiesa ambrosiana prevede, per questa domenica, due distinte celebrazioni: la “Messa per i battezzati”, da celebrare qualora vi fossero dei battesimi, e la “Messa nel giorno” che qui proponiamo.

 

Il Lezionario per la “Messa nel giorno”

 

Sono previste le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,1-8a; Salmo 117; Epistola 1Corinzi 15,3-10a; Vangelo: Giovanni 20,11-18.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (1,1-8a)

 

1Nel mio primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

3Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni sarete battezzati in Spirito Santo».

6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi»

 

Il brano riporta il prologo del libro, nel quale l’autore si riallaccia a quanto ha scritto «nel primo racconto», ossia nel Vangelo, a proposito di quanto Gesù ha detto e fatto nella sua vita terrena conclusa con la sua ascensione, ovvero con il suo ritorno glorioso al Padre (vv. 1-2).

I vv. 3-5 riferiscono le disposizioni impartite agli apostoli dal Signore risorto nei giorni prima della sua ascensione e parlano della promessa del battesimo «in Spirito Santo» nel quale saranno battezzati nella Pentecoste, culmine della sua Pasqua.

Sarà l’effusione dello Spirito a fare degli Apostoli i testimoni credibili del Signore Crocifisso e risorto «fino ai confini della terra» (vv. 6-8).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,3-10a)

 

Fratelli, 3a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che 4fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.

6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.

 

I versetti riportati gravitano attorno all’essenziale proclamazione di fede che Paolo “trasmette” ai fedeli di Corinto e che a sua volta ha “ricevuto” e riguardante il fatto storico con portata salvifica della morte, della sepoltura, della risurrezione il terzo giorno del Signore Gesù (vv. 3-5). I vv. 6-8 documentano la veridicità della risurrezione del Signore a partire dalla sua apparizione «a Cefa e quindi ai Dodici» (v. 5) e a numerosi fratelli, fino a quella a lui riservata sulla via di Damasco (cfr. Atti degli Apostoli 9,1-6).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 20,11-18

 

In quel tempo. 11Maria di Magdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

 

Il brano odierno segue immediatamente il racconto della “corsa” fatta al sepolcro da Pietro e Giovanni ai quali proprio Maria di Magdala, recatasi di buon mattino al sepolcro, aveva annunziato: «Hanno portato via il Signore dalla tomba e non sappiamo dove l’hanno posto!» (20,1-10). Il v.11 presenta Maria nuovamente presso il sepolcro nel quale aveva già constatato l’assenza del corpo del Signore. I vv. 12-13 riferiscono la visione di due angeli biancovestiti e del loro dialogo con Maria. Segue la visione di Gesù che Maria però non riconosce subito (vv. 14-15) fino a che il Signore stesso la chiama per nome e si fa riconoscere (v. 16).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questo, come il citato racconto dell’esperienza di Pietro e di Giovanni al sepolcro vuoto, intende proporre a tutti i lettori e gli ascoltatori del Vangelo l’annunzio della risurrezione del Signore come punto d’appoggio per l’adesione di fede in Lui, unico Signore! Un’adesione che normalmente procede per gradi come avvenne in Maria. Ella, totalmente sopraffatta dal dolore per la morte e ora per la scomparsa del corpo di Gesù, non avverte nei due suoi interlocutori, che lei tratta come persone qualsiasi, la presenza di creature angeliche. Le loro vesti bianche e la loro posizione: «seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù» (v. 12) segnalano infatti la loro origine celeste che Maria, però, non riesce a cogliere perché, pur amando più di se stessa il Signore, questi, alla fine, per lei è oramai solo un corpo esanime! Tutto ciò rappresenta in questa donna una fede ancora non piena, destinata a diventale tale solo con l’incontro faccia a faccia con il Risorto.

L’iniziale equivoco di Maria che scambia Gesù con il custode del giardino (v. 15) vuole significare che il Maestro, che ella ha conosciuto e amato, ora non è più di questo mondo e, pertanto, occorre che lui si manifesti per poterlo riconoscere nella sua nuova condizione di vita. In una parola, Gesù non va più cercato, come fa Maria, tra i morti, ma nella sua nuova identità di Figlio glorificato.

Per questo Gesù, chiamando Maria per nome, la costringe ad andare oltre il dolore per la sua morte e a riconoscerlo finalmente come vivente! Ciò è reso evidente nel grido della donna: «Rabbunì!, il titolo, cioè, con il quale si è sempre rivolta al Signore. È il grido del riconoscimento di fede oramai piena e definitiva: il Maestro che lei ha visto pendere dalla croce e deporre nel sepolcro è davanti a lei vivo!

Le parole consegnate a Maria per i discepoli, che il Signore glorificato chiama «miei fratelli», costituiscono l’apice dell’intero racconto: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (v. 17). Con questo solenne messaggio afferma che la “salita” al Padre, vale a dire la sua “esaltazione” e “glorificazione” avviata con la “salita” sulla Croce, sta per diventare definitiva anche nelle conseguenze riguardanti i discepoli e tutti coloro che, lungo i secoli, crederanno in lui.

Questi, infatti, d’ora in poi potranno con ui chiamare Dio Padre, assumendo così una vera relazione filiale ed entrando in quel rapporto di amore che unisce il Padre e il Figlio dall’eternità.

Trova così risposta la domanda formulata dagli apostoli al Risorto: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (Lettura: Atti degli Apostoli 1,6). Nella sua “salita” al Padre Gesù non ha ricostituito il regno per una nazione soltanto, ma in lui tutte le genti possono rivolgersi a Dio come al loro Dio, il Dio che assicura ad essi la sua alleanza, che non verrà mai meno perché inaugurata ed «esaltata nel sangue del Signore» (Prefazio).

L’annunzio che Maria deve recare ai discepoli divenuti fratelli è l’annunzio che la Chiesa, comunità dei credenti, deve recare a tutti gli uomini, sinteticamente così formulato: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (Epistola: 1 Corinzi 15,3-4).

Si tratta di un annuncio liberante perché nella sua morte il Signore «ha portato i peccati di tutti e di tutti ha cancellato la colpa» (Prefazio), togliendo di mezzo la causa della rovina temporale ed eterna dell’uomo.

Possiamo perciò a ragione affermare che con la sua morte il Signore ha tratto «dall’abisso del peccato» il mondo intero e con la sua risurrezione il terzo giorno ha introdotto fin da ora i credenti nel regno dei cieli (Prefazio).

La celebrazione eucaristica ha trasmesso e continua a trasmettere non solo l’annunzio evangelico del Risorto, ma la sua attualizzazione nei santi misteri che ci donano di sperimentare la reale consistenza della nostra partecipazione alla sua Pasqua come comunione d’amore con il Padre, per mezzo del suo Figlio, nello Spirito Santo.

Esperienza questa a cui la preghiera liturgica invita l’umanità intera: «O popoli, venite con timore e fiducia a celebrare l’immortale e santissimo mistero. Le mani siano pure e avremo parte al dono che ci trasforma il cuore. Cristo, agnello di Dio, si è offerto al Padre, vittima senza macchia. Lui solo adoriamo, a lui diciamo gloria, cantando con gli angeli: Alleluia» (Alla comunione).

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1 aprile 2012 - Domenica delle Palme


Domenica delle Palme. Nella Passione del Signore.

È la domenica che inaugura la settimana che la nostra tradizione liturgica ambrosiana chiama “autentica”, ovvero “santa”. In essa il cammino quaresimale viene coronato dalla celebrazione del Triduo pasquale della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, che dispiega l’evento di salvezza che sta alla base della fede e della vita della Chiesa, vale a dire la Pasqua partecipata ai credenti nei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia. In questa domenica sono previste due distinte celebrazioni: la Messa per la benedizione delle Palme e la processione e la Messa “nel giorno”.

 

Messa per  la benedizione delle Palme

 

Con il rito della benedizione e successiva processione delle palme si intende far memoria del solenne ingresso di Gesù in Gerusalemme riconosciuto come Messia.

 

 

Il Lezionario

 

Vengono proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Zaccaria 9,9-10; Salmo 47; Epistola: Colossesi 1,15-20; Vangelo: Giovanni 12,12-16.

 


Lettura del profeta Zaccaria (9,9-10)

 

Così dice il Signore Dio: 9«Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!  Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. 10Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».

 

Si tratta dell’oracolo messianico nel quale il profeta, in un contesto di esultanza e di grande gioia per Gerusalemme e, dunque, per tutto il popolo d’Israele, annunzia la venuta di un re che godrà della protezione divina e che, a differenza degli altri sovrani, si distinguerà per la sua umiltà, di cui è segno la cavalcatura da lui scelta: «un puledro figlio d’asina» (v. 9). Egli pacificherà e riunirà il popolo in un unico regno di pace che si estenderà ad abbracciare altri popoli e altre nazioni. Questa profezia, nella comprensione di fede della Chiesa, si è compiuta con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme acclamato come Messia.

 


Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,15-20)

 

Fratelli, 15Cristo è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, 16perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze, tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. 19È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza 20e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

 

Il brano è una proclamazione di fede nel Signore Gesù e nel suo ruolo nella creazione di tutto ciò che esiste in cielo e in terra (vv. 15-17) e specialmente nella “nuova creazione”, quella del suo corpo, la Chiesa, che deve comprendere, nel progetto divino di salvezza, tutta la realtà esistente e che è stata riconciliata e pacificata «con il sangue della sua croce» (vv. 18-20).

 


Lettura del Vangelo secondo Giovanni (12,12-16).

 

In quel tempo. 12La grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!».

14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:15«Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene,seduto su un puledro d’asina».

16I sui discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.

 

Il brano segue immediatamente quello dell’unzione di Gesù in casa di Lazzaro, da lui risuscitato dai morti (Gv 12,1-11) e che viene proclamato nella “Messa del giorno”. I vv. 12-13 riportano l’iniziativa spontanea della folla presente in Gerusalemme per l’imminente festa di Pasqua che va incontro a Gesù  recando non semplici fronde strappate a degli alberi ma palme, simbolo di vittoria, e, rifacendosi alle Scritture (cfr. Salmo 118,25-29), lo acclama quale inviato da Dio e  re d’Israele.

I vv. 14-15 mettono in luce, con il gesto di Gesù di montare su un asinello, che egli è sì il re d’Israele, ma non come i re di questa terra. Anzi, con l’esplicita citazione del profeta Zaccaria (cfr Lettura) viene chiarito che egli è il re umile e pacifico destinato a governare non un solo popolo ma tutte le genti.

Il brano si chiude al v. 16 con l’indicazione preziosa anche per noi: sarà soltanto nell’ora della sua     glorificazione, ovvero della Croce, che i discepoli di allora e di sempre saranno pienamente illuminati e potranno comprendere in pienezza le parole profetiche e i fatti riguardanti il Signore.

La preghiera liturgica commenta in modo insuperabile l’evento salvifico di cui oggi si fa memoria invitando i partecipanti alla celebrazione eucaristica a condividere con le folle di Gerusalemme i gesti e le parole pieni di fede nel Signore Gesù. Così, infatti, cantiamo durante la processione con le palme appena benedette: «Venite tutti ad adorare il Re dell’universo: sei giorni mancano alla sua passione: viene il Signore nella sua città, secondo le Scritture. Accorrono lieti i fanciulli, si stendono a terra i mantelli. In alto levando l’ulivo acclamiamo a gran voce: “Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto tu sei che vieni al tuo popolo: abbi di noi pietà”».

Dal canto suo il Prefazio che avvia la Preghiera eucaristica, cogliendo il senso spirituale dell’avvenimento evangelico dell’ingresso messianico del Signore, motiva così il rendere grazie che coinvolge «qui e in ogni luogo» la Chiesa: «Tu hai mandato in questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita».

 

Messa nel giorno

 

Viene celebrata quando non si fa la processione delle palme benedette. Le letture bibliche e i testi del Messale pongono in rilievo la passione e la morte del Signore che segue l’ingresso trionfale a Gerusalemme.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Isaia 52,13-53,12; Salmo 87 (88); Epistola: Ebrei 12,1b-3; Vangelo: Giovanni 11,55-12,11. Alla messa vespertina del sabato viene letto Giovanni 2,13-22 come Lettura vigiliare.

 

Lettura del profeta Isaia (52,13-53,12)

 

Così dice il Signore Dio: 52,13«Ecco il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e  innalzato grandemente. 14 Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo – 15così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. 53,1Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. 3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. 7Maltrattato,si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. 12Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli».

 

Il brano riporta il quarto canto del servo di Dio sofferente, di cui si annunziano le persecuzioni a cui andrà incontro e che egli sopporterà con pazienza. Sofferenze, umiliazioni che saranno motivo di rifiuto, di disprezzo e di scandalo ma che nel misterioso disegno divino diventano potente intercessione ed espiazione dei peccati di tutti. Dio, comunque, assicura la buona riuscita e il risultato salvifico delle sofferenze del suo servo, nel quale per la fede viene raffigurato il Signore Gesù nella sua passione e morte.

Lettera agli Ebrei (12,1b-3)

 

Fratelli, 1bavendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, 2tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli  era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e si siede alla destra del trono di Dio. 3Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.

 

Il brano esorta i credenti a perseverare nella lotta e nel rifiuto del peccato tenendo fissa l’attenzione sul Signore Gesù che, per obbedienza ai voleri divini del Padre, si è sottoposto alla Croce che da strumento di umiliazione e di morte è divenuto strumento e segno della sua esaltazione «alla destra del trono di Dio».

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (11,55-12,11)

 

In quel tempo. 55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena. Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con coi, ma non potete sempre avere me».

9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

 

Il brano, incentrato sul racconto dell’unzione di Gesù nella casa di Lazzaro (12,1-8), è come incorniciato dai versetti iniziali 11,55-57 e quelli finali 12,9-11. I primi riportano il desiderio della gente, venuta a Gerusalemme per la festa di Pasqua, di poter incontrare Gesù la cui fama, dopo la risurrezione di Lazzaro, si era sparsa ovunque suscitando la reazione ostile delle autorità (v. 57). I versetti finali riferiscono della decisione di mettere a morte anche  Lazzaro a causa del quale molti lasciavano la Sinagoga per aderire a Gesù.

Il racconto dell’unzione (v. 12,3) è collocato nel contesto di un pranzo familiare consumato da Gesù a casa di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria, ardenti di fede e di amore verso di lui che si sta incamminando verso la sua Pasqua! Il pranzo può forse rappresentare la gioia della risurrezione, mentre l’unzione che Maria fa sui piedi di Gesù annunzia la sua sepoltura.

Il significato profondo del gesto di Maria, non capito da Giuda, il traditore (vv. 5-6), consiste nell’anticipare, pur senza saperlo, quello che ella avrebbe presto compiuto sul corpo esanime del Signore.  

La preghiera liturgica evidenzia il perenne valore salvifico della morte del Signore annunziata dalla sua unzione e attualizzata proprio nella celebrazione eucaristica. È quanto pone in luce il Prefazio nel motivare il rendimento di grazie a Dio Padre: «Cristo tuo Figlio, il giusto che non conobbe la colpa, accettò di patire per noi e, consegnandosi a una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri errori. La sua morte ha distrutto il peccato, la sua risurrezione ha ricreato la nostra innocenza».

La consapevole certezza che l’efficacia della morte del Signore è intatta nel sacramento del suo amore ci fa riconoscere : «Nel Figlio del suo amore tutto dal nostro Dio ci fu donato, il sangue del Signore ogni peccato nostro ci ha lavato. Perdona il nostro errore, medica le ferite del peccato (Alla Comunione).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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25 marzo 2012 – V domenica di Quaresima

È la domenica “di Lazzaro” così detta a motivo della lettura evangelica che la caratterizza e che  nella risurrezione dell’ “amico” di Gesù, chiama tutti ad aderire con fede a lui, il Signore della Vita!

 

Il Lezionario

 

Prevede i seguenti brani biblici: Lettura: Deuteronomio 6,4a.20-25; Salmo 104 (105); Epistola: Efesini 5,15-20; Vangelo: Giovanni 11,1-53. La lettura vigiliare per la messa vespertina del sabato è  presa da Matteo 12,38-40.

 

Lettura del Deuteronomio (6,4a.20-25)

 

In quei giorni. Mosè disse: 4a«Ascolta, Israele: 20Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: “Che cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha dato?”, 21tu risponderai a tuo figlio: “Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. 22Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. 23Ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. 24Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore, nostro Dio, così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. 25La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore, nostro Dio, come ci ha ordinato”».

 

Il v. 20 si riallaccia alle prescrizioni e ai precetti dati da Dio al suo popolo (Deuteronomio 6,1-19) e che sono riassunti nel precetto dell’amore per lui che è l’“unico” (vv. 4-5a). Egli ha diritto di dare tali norme perché, come riferiscono i vv. 21-23 è Dio ad aver dato origine ad Israele come popolo facendolo uscire dall’Egitto, operando meraviglie, e donandogli una terra. I vv. 24-25 motivano perciò la felicità del popolo e la sua rettitudine nell’osservanza dei precetti divini.

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,15-20)

 

Fratelli, 15fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, 16facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. 17Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore. 18E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, 19intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, 20rendendo continuamente grazie per cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

 

In questa parte della sua lettera l’Apostolo passa a dare concrete istruzioni ai fedeli di Efeso conformi alla loro fede in Cristo. Di qui l’esortazione a fare un buon uso del tempo cercando in esso di scorgere la volontà di Dio e ricercando il dono pieno dello Spirito (vv. 16-18) che guida e tiene unita la comunità nella preghiera e nel rendimento di grazie (vv. 19-20).

 

Vangelo secondo Giovanni 11,1-53

 

In quel tempo. 1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli:  «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».

11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!«». 16Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 I Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra.

39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore; è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra: Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare».

45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero  in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.

47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 49Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». 51Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

 

Il brano evangelico ampio e impegnativo può essere così suddiviso: i vv. 1-6 preparano il successivo racconto e ne presentano i personaggi; i vv. 7-16 riportano il dialogo tra Gesù e i discepoli incentrato sul suo ritorno in Giudea.

I vv. 17-32 collocano la scena presso il sepolcro di Lazzaro e riferiscono dell’incontro di Gesù con Marta e Maria sorelle del morto. I vv. 33-40a sono caratterizzati dalla profonda commozione e dal pianto del Signore davanti al sepolcro di Lazzaro suo amico.

Il racconto del miracolo vero e proprio occupa i vv. 40b-44 a cui fanno seguito i vv. 45-53 con la reazione dei testimoni dell’evento prodigioso e il raduno del Sinedrio per decidere di uccidere Gesù.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il miracolo della risurrezione di Lazzaro rappresenta il culmine del progressivo cammino di fede proposto dalla Quaresima a quanti si preparano a prendere parte, nei sacramenti, alla Pasqua del Signore e a tutti i fedeli invitati a riattivare il dono di grazia già ricevuto. Al testo evangelico, pertanto, va data una speciale attenzione a partire da ciò che il Signore afferma a proposito della malattia di Lazzaro considerata come occasione per la manifestazione della gloria di Dio, ovvero del suo disegno di salvezza che dovrà rivelarsi appieno nella glorificazione del Figlio (vv.1-6). Glorificazione che per l’evangelista coincide con l’“ora” della Croce!

Gesù perciò spiega ai suoi discepoli, refrattari ad andare con lui in Giudea dove aveva già rischiato di essere ucciso (cfr. Gv 8,59; 10,31), il senso di ciò che si appresta a fare recandosi da Lazzaro oramai morto (vv.7-16). Il “risveglio” di Lazzaro, infatti, manifesterà il disegno di Dio che si compirà anche nel suo Figlio crocifisso, e spronerà ancora una volta i discepoli a credere in lui e a seguirlo.

Nel successivo incontro con Marta, sorella di Lazzaro (vv. 20-27), che professa la fede nella risurrezione «nell’ultimo giorno» e nel Maestro capace di liberare dalla morte il fratello con la sola sua presenza Gesù risponde con la solenne autorivelazione: «Io sono la risurrezione e la vita» (v. 25). Essa riguarda la potenza personale di Gesù di riportare in vita i morti come “segno” del suo potere di liberare dalla morte eterna, ossia dalla dannazione, coloro che credono in lui!

La risposta di Marta è una vera e propria professione di fede nel Signore riconosciuto come il Messia, il Figlio di Dio che viene in questo mondo per portare in esso il regno di Dio. È la fede richiesta a tutti coloro che intendono seguire Gesù, diventare suoi discepoli e per mezzo del Battesimo rinascere «ad immagine della sua risurrezione» (Orazione Dopo La Comunione). È la fede  che il tempo quaresimale intende far recuperare e brillare in tutta la sua integrità nella Chiesa e in ogni singolo fedele.

L’incontro di Gesù con Maria, sopraffatta dalla tremenda realtà della morte, induce in Gesù stesso una triplice reazione così annotata: v. 33, si «commosse profondamente»; ne fu «molto turbato»; v. 35, «scoppiò in pianto». La commozione e il turbamento in Gesù dicono quanto egli avvertisse attorno a sé la terribile presenza della morte alla quale egli stesso dovrà presto andare incontro.

Le lacrime del Signore sono le lacrime di Dio davanti al potere devastante che la morte esercita sull’uomo uscito dalle sue mani, ma sono anche le lacrime di chi, come Gesù, “deve” lasciarsi avviluppare da quel potere perché si compia il disegno del Padre, quello che ora brilla nel miracolo del “risveglio” di Lazzaro che, addirittura, è morto già da quattro giorni ed è in decomposizione (v. 39).  Il gesto di alzare gli occhi (v. 41) verso l’alto mette in luce la continua comunione di vita e di amore con il Padre che sempre ascolta ed esaudisce il Figlio.

Egli, pertanto, con autorità divina grida a gran voce il nome del morto al quale ingiunge di lasciare il sepolcro e di uscire incontro a lui e ordina ai presenti di liberarlo dalle bende nelle quali, forse, va visto un’allusione alla morte che Lazzaro dovrà nuovamente affrontare. Gesù invece, come riferiscono i Vangeli, lascerà il sepolcro sciolto dalle bende in cui era stato avvolto per indicare la definitività della sua risurrezione che riguarderà anche tutti coloro che credono e perseverano nella fede in lui.

Il racconto si conclude con la reazione dei testimoni dell’accaduto (vv. 45-53). Una reazione duplice: alcuni «alla vista di ciò che egli aveva compiuto» credettero. Altri invece informarono dell’accaduto «i capi dei sacerdoti e i farisei» i quali in una apposita riunione ne decretano la morte (v. 53). Di tale riunione interessano particolarmente le parole di Caifa (v. 50) e il commento che di esse ne fa l’evangelista (51-52). Egli riconosce come “ispirate” le parole dette dal sommo sacerdote   che decreta la morte di Gesù per la salvezza della nazione, ossia di Israele.

In verità, quella morte, ha un’efficacia salvifica ben più ampia: riguarda infatti l’umanità intera  descritta come un gregge disperso e che Gesù dovrà «riunire insieme» portando così a compimento la missione per la quale il Padre lo ha inviato nel mondo.

Collocato nel contesto del cammino quaresimale verso la Pasqua il brano evangelico va letto anzitutto come un forte appello a credere nel Signore Gesù, il quale è venuto in questo mondo rivestito della stessa potenza salvifica dispiegata a suo tempo da Dio a favore del suo popolo, come testimonia la Lettura veterotestamentaria. In essa è conservata e trasmessa la professione di fede di Israele che si riconosce come popolo in quanto Dio lo ha costituito come tale operando «segni e prodigi grandi» (Deuteronomio 6,22).

Su questa fede Israele fonda l’osservanza fedele e obbediente delle norme impartite da Dio e che deve con maggior forza fondare l’osservanza della comunità cristiana (Epistola: Efesini 5,19-20) che sa di trarre origine da ciò che il Signore Gesù ha fatto per liberare i credenti dai lacci funerei del male che tiene in potere ogni uomo e lo degrada fino alla corruzione.

La preghiera liturgica evidenzia come tutto ciò si sia attuato in noi, a livello sacramentale, nell’acqua del Battesimo, dove «la grazia divina del Cristo libera noi tutti sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine» (Prefazio I). «Vita e gioia senza fine» indicano la condizione di risurrezione e di vita nuova e immortale nella quale già da ora vive il credente.

Condizione che va mantenuta nella partecipazione al sacramento eucaristico del Corpo e del Sangue del Signore «che ci è dato per liberarci dalla schiavitù della colpa» nella quale possiamo ricadere a motivo dell’umana fragilità. Domandiamo perciò senza sosta e con umile fede che il Signore, nei suoi divini misteri, «purifichi i nostri cuori e, a immagine della risurrezione, ci riscatti da ogni antica decadenza» (Orazione dopo la Comunione).

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18 marzo 2012 – IV domenica di Quaresima


È considerata come “Domenica del cieco” in quanto viene ogni anno proclamato il brano evangelico di Giovanni riguardante la guarigione dell’“uomo cieco dalla nascita”.


Il Lezionario

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Esodo 33,7-11a; Salmo 35 (36); Epistola: 1Tessalonicesi 4,1b-12; Vangelo: Giovanni 9,1-38b. Nella messa vespertina del sabato viene letto: Matteo 17,1b-9 come Lettura vigiliare.


Lettura del libro dell’Esodo (33,7-11a)

In quei giorni. 7Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore. 8Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. 9Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. 10Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda. 11Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico.

Il brano si riferisce alla tenda fatta costruire da Dio stesso (cfr. Esodo 26,1-14) come luogo dell’incontro con il suo popolo liberato dall’Egitto e in cammino attraverso il deserto verso la terra promessa. I v. 8-10 riferiscono dell’apparizione della colonna di nube dalla quale Dio parlava con Mosè che il v. 11 definisce “amico” di Dio.


Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (4,1b-12)

1bFratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. 2Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. 3Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, 4che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, 5senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; 6che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. 7Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. 8Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito.
9Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, 10e questo lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più 11e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, 12e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno.


Il brano riporta alcune raccomandazioni rivolte dall’Apostolo e riguardanti la condotta dei cristiani di Tessalonica. Raccomandazioni che l’Apostolo fa in nome del Signore Gesù (v. 1). Segue ai vv. 2-8 la normativa morale che Paolo fa discendere dalla vocazione alla santità recata nei credenti dal dono dello Spirito.

I vv. 9-11 insistono sull’amore fraterno già praticato nella comunità cristiana e che deve crescere sempre più. Il comportamento dei fedeli, conclude l’Apostolo, diviene in tal modo una proclamazione vissuta del Vangelo «di fronte agli estranei» (v. 12) ossia un invito a credere e a unirsi a essi.


Vangelo secondo Giovanni 9,1-38b


In quel tempo. 1Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». 13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». 18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». 24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. 35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!».


Commento liturgico-pastorale

Il brano è strutturato in tre parti. La prima: vv. 1-12 riporta la narrazione del “miracolo” e la reazione dei presenti; la seconda: vv. 13-34 riferisce della reazione dei farisei con il duplice interrogatorio del “miracolato” (vv. 15-17; 24-34) e dei suoi genitori (vv.18-23); la terza (vv. 35-39) propone il dialogo tra Gesù e il miracolato che professa la sua fede in lui.
Nella prima parte il racconto del miracolo è preceduto dal dialogo di Gesù con i suoi discepoli convinti che la condizione del cieco dalla nascita sia dovuta a colpe commesse «da lui o dai suoi genitori» (v. 2). Gesù esclude il nesso cecità-peccato e afferma che nell’uomo nato cieco Dio manifesterà le sue “opere” che riguardano l’illuminazione del mondo mediante il suo Figlio entrato in esso come “luce” (v. 3).

La narrazione del miracolo (vv. 6-7) sorprende per i gesti di Gesù che, dopo aver fatto del fango con la sua saliva, lo spalma sugli occhi del cieco con l’ingiunzione di recarsi alla piscina di Siloe, che significa “Inviato”. Con quel gesto Gesù intende far capire che l’uomo è di per sé prigioniero delle tenebre da cui potrà essere liberato recandosi dall’“Inviato” ossia credendo in lui che è venuto nel mondo proprio per compiere tale opera.

La prima parte si chiude con la constatazione dell’avvenuta guarigione del cieco nato da parte dei conoscenti (vv. 8-12) e soprattutto con le domande sul come abbia ottenuto la vista; domande che saranno riprese drammaticamente nella seconda parte del racconto.
Questa si apre con il miracolato condotto dai farisei, esperti dottori e maestri della Legge, i quali prendono subito una posizione negativa nei confronti di Gesù il quale, «facendo del fango», ha violato il precetto fondamentale per Israele del riposo sabbatico (vv. 13-16).

Sorprende la reazione decisa del guarito nel dichiarare che Gesù è un profeta (v. 17). Con ciò l’evangelista mostra come la vera guarigione dell’uomo consiste nella sua adesione di fede in Gesù rivelatore di Dio. Il cieco che ora vede è, al contrario dei farisei che si ostinano nel rimanere chiusi all’opera di illuminazione del Signore, l’esemplare per ogni uomo che gradatamente giunge alla pienezza di luce ossia alla pienezza di fede in Lui: è «un profeta» (v. 17); «viene da Dio» (v. 33); «Figlio dell’uomo» (v. 35).

Il racconto si conclude con Gesù che volutamente va a cercare e trova il miracolato cacciato fuori dalla sinagoga (vv. 34-35) per proporgli di aderire con fede a lui che racchiude in pienezza il mistero del Figlio dell’uomo che, in verità, è il Figlio di Dio! La risposta finale del cieco che ora vede per la prima volta il Signore è una decisa professione di fede resa evidente dall’esplicita affermazione: «Credo, Signore». In tal modo il cieco nato illuminato dal Signore diviene il prototipo e l’esemplare per tutti i credenti.

La preghiera liturgica pone in luce la comprensione battesimale del testo evangelico: «Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata» (Prefazio I). In questo contesto l’immersione nell’acqua battesimale, evocata dalla piscina di Siloe, rappresenta il passaggio dall’oscurità totale che è l’incredulità alla grazia di vederci, ossia di pervenire alla fede che il Vangelo rende plasticamente nel cieco guarito che vede con i suoi occhi Gesù! È lui, Gesù, il Figlio, la luce vera che al credente è concesso di guardare in faccia, «a viso scoperto».

Cosa questa davvero straordinaria e mirabile se messa a confronto con l’iniziale illuminazione concessa da Dio al suo popolo con il dono della Legge secondo quanto abbiamo ascoltato nella Lettura a proposito di Mosè con il quale il Signore parlava «faccia a faccia», «come uno parla con il proprio amico» (Esodo 37,11) ma, si badi, ciò avveniva dalla nube! Quanto è detto nella pagina veterotestamentaria va inteso come un’anticipazione di ciò che Dio intende fare con ogni uomo. Tutti, infatti, credendo nel suo Inviato, in Gesù di Nazaret,potranno vederlo “faccia a faccia”.

È la concreta esperienza di quanti, avendo ricevuto il dono della fede, riconoscono che in Gesù, Dio «ha lavato la cecità di questo mondo» (Prefazio I), e ogni uomo può vedere e parlare con Dio come si parla con il proprio amico. Perciò il tempo quaresimale ci esorta a lodare, ringraziare e «con tutti i nostri sensi rendere gloria a Dio» (Prefazio I) per tale sua opera mirabile che ci impegna, però, a vivere e a comportarci in modo da piacere a Dio in tutto (Cfr. Epistola: 1Tessalonicesi).

Per questo partecipando all’Eucaristia, mentre fissiamo i nostri occhi sul Figlio morto e risorto nel quale brilla la gloria di Dio, così preghiamo: «Signore, dà luce ai miei occhi perché non mi addormenti nella morte; perché l’avversario non dica: “Sono più forte di lui”. Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato, con la tua luce illumina il mio cuore perché io sappia vedere le tue opere e custodisca tutti i tuoi precetti» (All’Inizio dell’assemblea liturgica).

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11 marzo 2012 – III domenica di Quaresima

È la domenica “di Abramo” perché viene letta ogni anno la pagina evangelica che presenta Abramo come il padre dei credenti.

 

Il Lezionario

 

Contempla la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Esodo 32,7-13b; Salmo 105 (106); Epistola: 1Tessalonicesi 2,20-3,8;  Vangelo: Giovanni 8,31-59. La lettura vigiliare per la messa vespertina del sabato è presa da Luca 9,28b-36.

 

Lettura del libro dell’Esodo (32,7-13b)

 

In quei giorni. 7Il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. 8Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». 9Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. 10Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».

11Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? 12Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. 13Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo”».

 

Il brano è preceduto dalla narrazione di quanto accadde nell’accampamento degli Ebrei durante la prolungata assenza di Mosè salito sul monte Sinai per ricevere da Dio le tavole del Decalogo e come essi costruirono il vitello d’oro riconosciuto come loro liberatore dall’Egitto (32,1-6).


Dio ordina a Mosè di scendere dal monte denunciando la gravissima perversione idolatrica del suo popolo (vv. 7-8) e manifestandogli la  volontà di distruggerlo (vv. 9-10).


I vv. 11-13 riportano la perorazione di Mosè in favore del popolo “ricordando” a Dio il giuramento con il quale si era impegnato con i Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe di dare ad essi una «posterità numerosa come le stelle del cielo».

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (2,20-3,8)

 

Fratelli, 20siete voi la nostra gloria e la nostra gioia! 1Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene 2e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, 3perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; 4infatti, quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. 5Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla.

6Ma, ora che Timòteo è tornato, ci ha portato buone notizie della vostra fede, della vostra carità e  del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci, come noi lo siamo di vedere voi. 7E perciò, fratelli, in mezzo a tutte le nostre necessità e tribolazioni, ci sentiamo consolati a vostro riguardo, a motivo della vostra fede. 8Ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore.

 

I vv. 1-5 testimoniano l’ansia dell’Apostolo in ordine alla perseveranza nella fede dei cristiani di Tessalonica (oggi Salonicco in Grecia) città dalla quale si era dovuto allontanare precipitosamente (cfr. Atti degli Apostoli 17,1-10). Per questo scrive ad essi questa lettera per esortarli a mantenersi fedeli pur nelle prove che Paolo stesso ha dovuto subire e invia il fidato discepolo Timoteo a sincerarsi della loro perseveranza nella fede.

I vv. 6-8 manifestano la gioia dell’Apostolo sentendo il resoconto fatto da Timoteo che lo rassicura sulla tenuta della loro fede e sull’affetto che nutrono per lui.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (8,31-59)

 

In quel tempo. Il Signore 31Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora:  «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono un indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Li dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei un indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno;  lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il capitolo 8 da cui è preso il brano odierno è contrassegnato dal riferimento ad Abramo come padre di Israele. Qui viene riportato l’insegnamento di Gesù nel Tempio di Gerusalemme, destinato sostanzialmente a rivelare la sua più piena identità di Figlio di Dio, partecipe cioè della natura divina del Padre. Insegnamento che suscita la reazione ostile dei Farisei ma anche un’iniziale adesione di fede da parte di “molti” che lo seguivano e lo ascoltavano.

Il brano appare diviso in due sezioni: i vv. 31-45 riguardano la necessità di credere, mentre i vv.  46-59 insistono sulla necessità di credere alla persona di Gesù. In particolare i vv. 31-36 riportano le parole del Signore «a quei Giudei che gli avevano creduto» almeno inizialmente e che ruotano attorno all’opposizione libertà/schiavitù, s’intende, dal peccato. La libertà è garantita a coloro che “rimangono” nella Parola di Gesù.

I vv. 37-40 introducono il tema di Abramo come Padre del quale, però, quelli che con orgoglio si proclamano figli, non compiono le opere, vale a dire non si pongono in quella disponibilità di fede propria di Abramo! Per questo essi non possono proclamarsi figli di Dio rifiutando di credere in Colui che è uscito da Dio ed è stato da lui inviato ma, con tale rifiuto, dimostrano di essere figli del diavolo (vv. 41-45).

Nei vv. 46-50 si insiste sul fatto che Gesù «dice la verità», in quanto, con la sua Parola, offre l’autentica e piena rivelazione di Dio, al contrario dei suoi interlocutori che, rifiutandola, preferiscono seguire la menzogna.

Di qui la solenne proclamazione del v. 51: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno», che costituisce un estremo appello rivolto da Gesù ai suoi interlocutori perché si aprano all’ascolto e all’osservanza fedele della sua parola che garantisce di poter sfuggire alla morte, da intendere come eterna ovvero come dannazione. Modello di un simile ascolto obbediente è proprio Gesù che, essendo il Figlio, “conosce” Dio, accoglie e osserva la sua volontà (v. 55).

Il brano si chiude con la parola di autorivelazione che il Signore pronuncia a riguardo di sé stesso: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». Con ciò afferma che Dio, che è l’Unico, può essere trovato e riconosciuto nel Figlio e, di conseguenza, in lui è trovato e riconosciuto come Padre! A questa rivelazione anelava Abramo il quale, a motivo della sua fede, poté “vedere” il Figlio rivelatore di Dio Padre.

Il v. 59 registra infine la reazione violenta dei Giudei che, chiudendosi ostilmente al Figlio rivelatore del Padre, determinano il suo nascondersi ai loro occhi e la sua uscita dal Tempio. Tenendo conto del contesto liturgico quaresimale e letto simultaneamente con le altre lezioni bibliche oggi proclamate, il brano evangelico ha come suo fulcro la figura di Abramo, che Gesù stesso presenta come prototipo e padre di tutti coloro che accolgono la sua Parola e, perciò, compiono anch’essi l’opera propria di Abramo: quella di credere.

È l’opera essenziale nella vita di quanti aspirano con il battesimo a essere radunati in quella «moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca come sua discendenza» (Prefazio I) ed è l’opera essenziale alla quale la Quaresima intende richiamare quelli che, già battezzati, vengono chiamati figli di Dio.

Assai istruttiva al riguardo è l’Epistola paolina, con l’esortazione ai cristiani della giovane Chiesa di Tessalonica di mantenersi fermi nella fede loro predicata e trasmessa dall’Apostolo. Esortazione quanto mai attuale anche per noi, messi ogni giorno alla prova dagli accadimenti della vita, dalla propaganda fascinosa del mondo, dalle tentazioni le più diverse e insidiose (cfr. Epistola: 1Tessalonicesi 3,3). Perseverare nella fede battesimale non è opera facile per nessuno.

Non è stato facile per il popolo d’Israele, testimone oculare dei prodigi operati da Dio per la sua liberazione e, tuttavia, capace di traviarsi e di pervertirsi nell’idolatria (Lettura). L’intercessione di Mosè a favore del popolo si è poggiata sulla parola data da Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe (Esodo 32,13).

Il nostro intercessore, il Signore Gesù, poggia la sua richiesta a nostro favore sulla sua fedeltà al volere del Padre e sulla sua obbedienza. Egli chiede a tutti noi, suoi discepoli, di fare altrettanto. L’ascolto umile e sincero della sua Parola è garanzia della nostra perseveranza nella fede in ogni situazione e in ogni prova.

La partecipazione alla mensa eucaristica del suo Corpo e del suo Sangue con la fede ci darà la grazia di perseverare anche nella carità, la stessa che ci viene usata dal Figlio di Dio, fedele e obbediente al Padre, pronto a dare la sua vita perché anche noi diventiamo figli!

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4 marzo 2012 – II domenica di Quaresima


È denominata domenica “Della Samaritana” perché è caratterizzata dalla lettura evangelica riguardante l’incontro di Gesù con una donna samaritana al pozzo di Giacobbe (Giovanni 4,5-42).
 

Il Lezionario
 
La Lettura è presa dal Deuteronomio 5,1-2.6-21, l’Epistola dalla Lettera agli Efesini 4,17 e il Vangelo da Giovanni 4,5-42. A partire da questa domenica fino alla domenica delle Palme il Vangelo della Risurrezione, proclamato nella messa vespertina del sabato, viene sostituito da una Lettura vigiliare. Per questa II domenica di Quaresima è presa da Marco 9, 2b-10.


Lettura del libro del Deuteronomio (5,1-2.6-21)

In quei giorni. 1Mosè convocò tutto Israele e disse loro: «Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostri orecchi: imparatele e custoditele per metterle in pratica. 2Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. 6“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile. 7Non avrai altri dèi di fronte a me. 8Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. 9Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 10ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. 11Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. 12Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato. 13Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 14ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. 15Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore, tuo Dio, ti ordina di osservare il giorno del sabato. 16Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. 17Non ucciderai. 18Non commetterai adulterio. 19Non ruberai. 20Non pronuncerai testimonianza menzognera contro il tuo prossimo. 21Non desidererai la moglie del tuo prossimo. Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”».

Il brano vetero-testamentario è avviato dai primi due versetti del cap. 5 che rappresentano l’introduzione generale a tutta la successiva legislazione data da Dio al suo popolo compreso il decalogo (i dieci comandamenti) dei vv. 6-21.

Il comando dato da Dio di “ascoltare”, “imparare” , “custodire” e “mettere in pratica” i suoi precetti si poggia sul fatto che egli ha liberato il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto (v. 6) e ha stabilito con esso la sua “alleanza” (v. 2).


Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (4,1-7)

Fratelli, 1io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, 2con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, 3avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. 4Un solo corpo e un solo spirito, come una sole è la speranza alla quale siete stari chiamati, quella della vostra vocazione; 5un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. 7A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.

I versetti oggi proclamati sono presi dall’inizio della seconda parte della Lettera nella quale l’Apostolo rivolge accorate esortazioni alla comunità di Efeso perché i suoi membri vivano in pienezza la chiamata alla fede (v. 1), nell’esercizio quotidiano dell’accoglienza e della reciproca carità (v. 2) per conservare il più grande tesoro: «l’unità dello spirito» (v. 3).

L’esortazione si poggia sul fatto che tutti i credenti costituiscono «un solo corpo» (v. 4) in Cristo; tutti hanno un solo Signore, «una sola fede, un solo battesimo» (v. 5) e, dunque, tutti hanno «un solo Padre» che distribuisce i doni necessari per far crescere la Chiesa (vv. 6-7).


Lettura del Vangelo secondo Giovanni (4,5-42)

In quel tempo. 5Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio; 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice Gesù: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». 27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui. 31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».


Commento liturgico-pastorale

Il testo è diviso in due grandi sezioni. La prima, vv. 5-26, riporta il dialogo di Gesù con “una donna samaritana” mentre la seconda, vv. 27-42, è incentrata sulla rivelazione dell’“opera” per la quale il Padre ha inviato Gesù nel mondo. In particolare i vv. 5-7 ambientano la scena in Samaria e precisamente presso il pozzo che Giacobbe, il grande patriarca, aveva fatto scavare presso la cittadina di Sicar.

L’evangelista sottolinea che Gesù vi arrivò «affaticato per il viaggio» e nell’ora più calda del mezzogiorno (v. 6). Di qui la sua richiesta alla donna samaritana che entra in scena al v. 7. I vv. 8-15 riportano, con la risposta della donna alla richiesta di Gesù, le importanti parole del Signore sul dono dell’acqua viva capace di togliere la sete e diventare, in chi la beve, «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».

La prima sezione si chiude ai vv. 16-26 con una svolta nel dialogo tra Gesù e la donna alla quale viene rivelata la sua vita disordinata e traviata rispetto alla Legge di Dio (v. 18) inducendola, così, a muovere i suoi primi passi nella fede in Gesù riconosciuto dapprima come un profeta (v. 19). A Lui, uomo ispirato da Dio, pone la questione riguardante il “luogo” dove è possibile incontrare Dio: per i Samaritani era il monte Garazim mentre per i Giudei era il Tempio di Gerusalemme (vv. 20-21).

A questa domanda Gesù risponde con parole di rivelazione di grande permanente attualità e valore (vv. 23-24) con le quali elimina le diatribe legate al “luogo” in cui si deve rendere culto a Dio. Con la sua venuta nel mondo, è «venuta l’ora» in cui il culto divino è sganciato da luoghi e da templi materiali e viene invece compiuto «in spirito e verità» (vv. 23-24) ossia da quanti sono rinati dallo Spirito e si lasciano da lui guidare all’accoglienza piena di fede della Rivelazione portata da Gesù che, di conseguenza, è il Messia che, con la sua venuta svelerà ogni cosa (vv. 25-26).

Con la solenne dichiarazione messianica di Gesù: «Sono io, che parlo con te» si chiude il dialogo con la samaritana. Prende così avvio la seconda sezione (vv. 27-42) inaugurata dall’accorrere a Gesù degli abitanti di Sicar e dell’importante dialogo di Gesù con i suoi discepoli e riguardante il “cibo” con il quale egli si nutre: il compimento della volontà del Padre che lo ha inviato nel mondo per salvare il mondo (vv. 31-34).

È questa l’“opera” che il Padre ha affidato a Gesù e alla quale egli ora associa i suoi discepoli con l’invito: «Alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» e con l’esplicito mandato missionario espresso con il verbo mietere. Essi, infatti, dovranno raccogliere l’umanità nella comunione con Dio, qui indicata con l’espressione “vita eterna” (vv. 35-38).

La conclusione (vv. 39-42) fa capire che i Samaritani che credono nel Signore «per la parola della donna» e ancora di più «per la sua parola» professando la fede in Gesù quale «salvatore del mondo», sono, in verità, primizie dell’“opera” salvifica commessa da Dio al suo Figlio e da questi ai suoi discepoli e, dunque, ai discepoli di tutti i tempi.

Il brano evangelico attende ora di essere letto nel peculiare contesto liturgico del tempo di Quaresima che ha lo scopo di preparare alla grazia del Battesimo e, per noi già battezzati, di attivarla mediante il ricorso alla Penitenza. Il battesimo è il dono inestimabile che incorpora nell’unico Corpo del Signore, mosso da un solo Spirito, animato da una sola fede. Un Corpo, quello di Cristo, nel quale tutti si riconoscono figli di un unico Padre.

È l’insegnamento che ci è stato trasmesso dagli Apostoli come testimonia l’Epistola paolina oggi proclamata. Si perviene alla grazia battesimale mediante la fede, vale a dire, nell’accoglienza di Gesù come rivelatore di Dio. La rivelazione portata agli uomini dal Figlio unigenito di Dio, porta a compimento e in tutta verità ciò che è racchiuso nell’immagine dell’“acqua viva” che Gesù promette alla donna samaritana rappresentante di tutta l’umanità “assetata”, alla ricerca cioè della felicità. Per l’Antico Testamento l’“acqua viva” indica la divina rivelazione riassunta dalla Legge e in particolare dal Decalogo (cfr. Lettura).

Quella rivelazione, però, attende di essere portata a compimento in Gesù, il Figlio di Dio venuto nel mondo e, dunque, in grado di annunciare e di rivelare Dio e il suo disegno sull’umanità: raccoglierla in unità nella partecipazione alla sua vita divina così come è raccolta la messe una volta mietuta.

È lui, dunque, il “pozzo” a cui attingere l’“acqua viva” che è la sua Parola capace di soddisfare il più profondo dei bisogni dell’uomo: avere parte alla “vita”, quella di Dio! Per questo, come giustamente interpreta la preghiera liturgica: «Cristo Signore nostro... chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede; desiderando con ardente amore portarla a salvezza, le accendeva nel cuore la sete di Dio» (Prefazio).

È la stessa “sete” che il Signore tiene viva anche oggi in noi e nell’umanità del nostro tempo. Un’umanità che è alla continua vana ricerca di “pozzi” da cui bere l’acqua della felicità. Ogni uomo, in realtà, è un pellegrino alla ricerca del “pozzo”. Tocca a noi, discepoli del Signore che da lui beviamo ogni giorno l’”acqua viva” del suo Vangelo e del suo dono d’amore che è l’Eucaristia, tener vivo nel cuore di chi ci sta accanto il desiderio di Dio e accompagnarlo fino al “pozzo” che è Cristo Signore.

Dal suo fianco, infatti, aperto dalla lancia del soldato, è uscito nel segno del “sangue e dell’acqua” il fiume inarrestabile dell’acqua viva che opera in quanti accolgono con fede la sua parola e vengono rigenerati nel Battesimo alla grazia di figli di Dio, incorporati nella sua Chiesa abitata dallo Spirito Santo e nella partecipazione al suo Corpo e al suo Sangue nel banchetto eucaristico sperimentano la bellezza e la sovrabbondanza del dono divino che in essi diventa «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14).

Non a caso, perciò, così cantiamo nell’antifona Alla Comunione: «Dal tuo cuore, Signore Gesù, fiumi d’acqua viva scorreranno. Ascolta pietoso il grido di questo popolo e aprici il tesoro della tua grazia che santifica il cuore dei credenti».

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26 febbraio 2012 – Domenica inizio Quaresima


Nella tradizione liturgica ambrosiana la Quaresima inizia con questa domenica, sesta prima di Pasqua e si conclude al Giovedì Santo. Essa ha il compito di preparare all’annuale solenne celebrazione della Pasqua mediante la memoria del Battesimo e l’esercizio della Penitenza.


Il Lezionario

Le lezioni scritturistiche per il tempo quaresimale sono reperibili nel secondo Libro del Lezionario Ambrosiano intitolato: Mistero della Pasqua del Signore. Caratteristica di questa prima domenica è la proclamazione in ogni anno del Vangelo delle tentazioni del Signore secondo Matteo 4,1-11 mentre, per il corrente anno B, la Lettura è presa da Isaia 57,15-58,4a; il Salmo 50 (51) e l’Epistola da 2 Corinzi 4,16b-5,9. Alla messa vigiliare del sabato si proclama Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione.


Lettura del profeta Isaia (57,15-58,4a)

In quei giorni. Isaia disse: 15«Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo. “In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi. 16Poiché io non voglio contendere sempre né per sempre essere adirato; altrimenti davanti a me verrebbe meno lo spirito e il soffio vitale che ho creato. 17Per l’iniquità della sua avarizia mi sono adirato, l’ho percosso, mi sono nascosto e sdegnato; eppure egli, voltandosi, se n’è andato per le strade del suo cuore. 18Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni. E ai suoi afflitti 19io pongo sulle labbra: ‘Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore – e io li guarirò’”. 20I malvagi sono come un mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque portano su melma e fango. 21“Non c’è pace per i malvagi”, dice il mio Dio. 1Grida a squarciagola, non avere riguardo; alza la voce come il corno, dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. 2Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: 3“Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?”. Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affanni, angariate tutti i vostri operai. 4Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi”».
 
L’argomento centrale dei vv. 15-21 riguarda l’atteggiamento amorevole e premuroso di Dio verso gli oppressi e gli umiliati (v. 15), la sua disponibilità a lasciar cadere il giudizio e il castigo sul suo popolo peccatore (vv. 16-17); egli invece vuole sanarlo, guidarlo, consolarlo (vv. 18-19). I primi quattro versetti del cap. 58 avviati dal comando del Signore al Profeta di «dichiarare al mio popolo i suoi delitti» (v. 1), riguardano l’urgenza di dare spessore interiore alle pratiche religiose come quella del digiuno, delle quali si parlerà diffusamente nei vv. 5-7.


Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (4,16b-5,9)

Fratelli, 16bse anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. 17Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: 18noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne. 1Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli. 2Perciò in questa condizione, noi gemiamo e desideriamo rivestirci della nostra abitazione celeste 3purché siamo trovati vestiti, non nudi. 4In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. 5E chi ci ha fati proprio per questo è Dio, che ci ha dato la caparra dello Spirito. 6Dunque, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – 7camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, 8siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. 9Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi.

Il brano riprende la parte conclusiva (vv. 16-18) del cap. IV, nella quale l’Apostolo parla delle speranze e delle tribolazioni che deve affrontare nello svolgimento del suo ministero, che consiste essenzialmente nell’annuncio del Vangelo del Signore Gesù Cristo.

Qui, in particolare, si mette in parallelo il progressivo inarrestabile decadimento della vita fisica (uomo esteriore), motivato anche dalle fatiche apostoliche e, al contrario, il contemporaneo progresso dell’uomo interiore (v. 16), vale a dire dell’uomo che si è rivestito di Cristo e nel quale abita il suo Spirito.

Di conseguenza l’Apostolo è pronto ad affrontare la tribolazione, che sa di breve durata e consistenza se messa in raffronto alla «gloria smisurata ed eterna» (v. 17) che attende ogni fedele ministro del Vangelo che concentra tutta la sua vita sulle realtà invisibili, vale a dire sulla partecipazione al trionfo del Signore crocifisso e risorto (v. 18). Il discorso viene esteso nei vv. 1-9 del cap. V a tutti i credenti, in attesa anch’essi di ricevere «una dimora non costruita da mani d’uomo» (v. 1), ossia un corpo e un’esistenza celeste conforme a quella del Signore Risorto.

Si comprende allora il desiderio di «rivestirci della nostra abitazione celeste» (v. 2) ma senza essere “spogliati” di quella terrena, ossia senza passare attraverso la morte (v. 4). Del resto l’anelito alla vita è stato posto in noi da Dio con il dono dello Spirito al pari di una caparra (v. 5).

Di qui la concezione della vita terrena come un esilio che ci tiene separati dal Signore (vv. 6-8); comunque, occorre fare di tutto per essere trovati da lui graditi (v. 9) e stare così per sempre con lui.


Lettura del Vangelo secondo Matteo (4,1-11)

In quel tempo. 1Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». 5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». 7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». 8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». 11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Il presente brano segue immediatamente il racconto del battesimo al Giordano (Mt 3,13-17) e ad esso si riallaccia ponendo in primo piano l’azione dello Spirito nel condurre Gesù nel deserto per andare incontro alla tentazione da parte del diavolo, una parola greca che significa “colui che divide o distoglie” da Dio (v. 1).

Il v. 2, con allusione all’esperienza di Mosè al Sinai (Es 24,18; 34,28) e del profeta Elia nel deserto (1Re 19,8), riferisce che Gesù: «dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame». Su tale constatazione si iscrive la prima tentazione (vv. 3-4), che potremmo chiamare quella del pane.

Essa riguarda il “vero nutrimento” di cui l’uomo ha davvero bisogno per “vivere” e che, stando alla risposta di Gesù al tentatore, presa da Deuteronomio 8,3, consiste in «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e che è contenuta nelle Scritture.

La seconda è la tentazione del punto più alto del tempio (vv. 5-7) di Gerusalemme, dal quale Gesù viene invitato a gettarsi mettendo alla prova Dio stesso che, stando al Salmo 91,11-12 parzialmente citato dal diavolo, dovrebbe intervenire a sua protezione e custodia. La risposta di Gesù, presa da Deuteronomio 6,16, esclude di attendere da Dio un segno prodigioso per credere e obbedirgli.

La terza tentazione è quella del monte altissimo (vv. 8-10), dal quale il satana mostra a Gesù il suo regno, ovvero il mondo intero, e si dichiara disposto a cederlo a lui ad una condizione: che egli volti le spalle a Dio interrompendo così il suo rapporto filiale con lui!

Con la sua decisa risposta, presa da Deuteronomio 6,13, Gesù allontana da sé il tentatore e ribadisce la sua piena e definitiva obbedienza al Padre nella quale consiste l’adorazione e il vero culto a Dio. Il racconto si chiude al v. 11 con il satana che abbandona, sconfitto, il campo e con l’intervento degli angeli che si prendono cura di Gesù fornendogli il cibo.


Commento liturgico-pastorale

La lettura annuale del Vangelo delle tentazioni caratterizza la domenica di avvio della Quaresima e, di conseguenza, illumina l’intero cammino quaresimale verso la Pasqua di morte e risurrezione da compiere tenendo lo sguardo su Gesù, il Figlio obbediente, e vivendo di «ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

È il programma per i giorni quaresimali ed è il programma di vita per quanti desiderano «abitare presso il Signore» (Epistola: 2Corinzi 5,8b), ossia rivestirsi di lui per prendere definitivamente parte della sua gloria di cui abbiamo ricevuto la caparra nella rigenerazione battesimale.

Occorre però aver chiaro in mente che il cammino in vista del traguardo finale che la solenne celebrazione della Pasqua ogni anno ci fa intravedere, è un cammino contrassegnato da tribolazioni e da prove, dalle quali non è facile per noi uscire indenni e vincitori.

Bisogna riconoscere che non pochi soccombono sotto il peso anche momentaneo delle tribolazioni e delle tentazioni, come può essere l’esperienza drammatica della progressiva distruzione della «nostra dimora terrena» ossia della sofferenza, del decadimento fisico e, in ultimo, della morte.

Non pochi inoltre soccombono al male cedendo al fascino perverso del peccato che impedisce la comunione con Dio fonte della nostra vita. La pagina evangelica indica nel Signore Gesù la via per superare tribolazioni e prove. È la via dell’accoglienza autentica e profonda della Parola di Dio come norma del nostro vivere e agire in ogni situazione e in ogni esperienza che la vita ci presenta.

La Quaresima è perciò il tempo “favorevole” perché reimpostiamo l’intera nostra esistenza in base alla “giustizia”, ossia nell’ascolto attento e nell’obbedienza alla Parola. Dio stesso ci incoraggia a fare ciò rivelandosi come un Dio che non vuole «contendere sempre, né sempre essere adirato» (Lettura, Isaia 57,16) ma è deciso a sanarci, a guidarci e a offrirci consolazioni (cfr. Isaia 57,18).

Una simile consapevolezza deve mettere in moto nei singoli credenti e nell’intera Comunità ecclesiale la decisione di non camminare più per le strade del nostro cuore malvagio (cfr. Isaia 58), ma di volgere i nostri passi sulla via tracciata e percorsa per primo dal suo Figlio obbediente, così declinata dalla preghiera liturgica: «Prepariamoci con molta pazienza, con molte rinunce, con armi di giustizia,per grazia di Dio. Nessuno si faccia trovare, nel giorno della redenzione, ancora schiavo del vecchio mondo del peccato» ( Canto Dopo il Vangelo).

È la via che propone l’ascolto della Parola come “cibo” in grado di sostenerci fino al momento in cui saremo definitivamente “rivestiti” di Cristo, partecipi cioè della sua Risurrezione. Con l’ascolto della Parola viene inoltre proposto il digiuno, da intendere non tanto come privazione di alimenti materiali, ma come privazione e mortificazione del cuore cattivo chiuso nell’egoistica ricerca di sé e che ci estranea da Dio e ci rende alieni gli uni verso gli altri.

L’itinerario quaresimale contraddistinto dall’ascolto della Parola e dal digiuno in vista della carità, è reso possibile dalla sosta eucaristica domenicale. In essa «ritroviamo il Pane vivo e vero che, quaggiù, ci sostenta nel faticoso cammino del bene e, lassù, ci sazierà della sua sostanza nell’eternità beata del cielo» (Prefazio).

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