di Don Alberto Fusi

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

 

16 dicembre 2012 – V domenica di Avvento


Pone in rilievo la figura di Giovanni Battista quale precursore del Signore, di cui annunzia l’imminente venuta. Questa domenica, inoltre, inaugura la settimana di preparazione immediata al Natale i cui giorni sono tradizionalmente chiamati «dell’Accolto», in riferimento al Signore che viene.

 

Il Lezionario

 

Fa proclamare come Lettura: Isaia 30,18-26b e il Salmo 145 (146). L’Epistola è presa da 2 Corinzi 4,1-6 e il Vangelo da Giovanni 3,23-32a. Nella Messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Giovanni 21,1-14. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della V Domenica di Avvento del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (30,18-26b)

 

In quei giorni. Isaia disse: «18Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, / per questo sorge per avere pietà di voi, / perché un Dio giusto è il Signore; / beati coloro che sperano in lui. / 19Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, / tu non dovrai più piangere. / A un tuo grido di supplica ti farà grazia; / appena udrà, ti darà risposta. / 20Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione / e l’acqua della tribolazione, / non si terrà più nascosto il tuo maestro; / i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, / 21i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: / “Questa è la strada, percorretela”, / caso mai andiate a destra o a sinistra.

22Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; / i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. / «Fuori!», tu dirai loro. / 23Allora egli concederà la pioggia per il seme / che avrai seminato nel terreno, / e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso; / in quel giorno il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato.
24I buoi e gli asini che lavorano la terra / mangeranno biada saporita, / ventilata con la pala e con il vaglio. / 25Su ogni monte e su ogni colle elevato / scorreranno canali e torrenti d’acqua / nel giorno della grande strage, / quando cadranno le torri. / 26La luce della luna sarà come la luce del sole / e la luce del sole sarà sette volte di più, / come la luce di sette giorni, / quando il Signore curerà la piaga del suo popolo».

 

La Lettura riporta le parole di biasimo che il profeta rivolge a nome di Dio contro Israele che, di fronte alla minaccia costituita dalla potenza degli Assiri (702 a.C.), invece di confidare nel suo aiuto, si rivolge, invano, all’Egitto. Nei versetti qui riportati viene ribadita la fedele disponibilità di Dio a fare grazia e ad avere pietà del suo popolo (vv. 18-19) anche se, per sua salutare correzione, dovrà ricorrere, per un poco, al “pane dell’afflizione” e all’“acqua della tribolazione” (vv. 20-21). Segue un perentorio invito a disfarsi delle pratiche idolatriche (v. 22) per poter godere dei favori divini (vv. 23-26).

 

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (4,1-6)

 

Fratelli, 1avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo. 2Al contrario, abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio.

3E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: 4in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. 5Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. 6E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.

 

Nella sezione della Lettera di cui fa parte il brano odierno, l’Apostolo esalta la grandezza del ministero apostolico affidato anche a lui e che gli impedisce di perdersi d’animo di fronte alle difficoltà riscontrate nella comunità di Corinto (cfr. v. 1). Il v. 2 riporta le parole con cui Paolo proclama la fedeltà della sua predicazione apostolica alla verità del Vangelo la quale, però, rimane inaccessibile e oscura agli increduli posti in balia del “dio di questo mondo” ovvero del demonio (vv. 3-4). Paolo, infine, rivendica con forza di aver sempre annunciato Cristo Gesù Signore e di averlo fatto sapendosi servitore dei Corinzi «a causa di Gesù» (v. 5). Concetto ribadito al v. 6 dove la parola di Dio creatore che fa brillare «la luce dalle tenebre» (cfr. Genesi 1,3) è brillata anche nel cuore dell’apostolo mediante il Vangelo che rivela Dio in Cristo.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (3,23-32a)

 

In quel tempo. 23Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. 24Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.
25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».
31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito.

 

Il brano si riferisce all’attività svolta da Gesù in Giudea prima del suo ritorno in Galilea (3,22) e riporta l’ultima testimonianza a lui offerta da Giovanni qui colto nella sua attività di battezzatore (v. 23). I vv. 25-26 parlano di una disputa sorta sul valore del battesimo dato da Gesù e quello dato dato da Giovanni, che viene interessato al caso. Segue ai vv. 27-30 la risposta del Battista il quale riconosce, anzitutto, che il successo dell’attività di Gesù viene da Dio (v. 27) e ribadisce ai suoi discepoli di essere stato mandato a preparare la venuta del Messia (v. 28), dichiarando, inoltre, di essere semplicemente l’«amico dello sposo», ossia di Gesù. La sua presenza riempie di gioia il Battista (v. 29) che, in tal modo, esaurisce la sua missione espressa con la lapidaria affermazione: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (v. 30). I vv. 31-32a insistono nell’affermare la superiorità di Gesù sul Battista insinuando la sua origine divina.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Nell’imminenza della festa natalizia la tradizione liturgica della nostra Chiesa Ambrosiana pone in rilievo la figura di Giovanni il Battista nella sua missione di immediato precursore e di testimone del Signore che viene.

Si noti, a tale riguardo, come la pagina evangelica riporta la lucida testimonianza offerta a parole dal Battista prima di essere gettato in prigione da Erode, dove avrebbe reso la testimonianza a Cristo con il suo sangue.

In questa domenica è indispensabile accogliere e fare nostro il suo insegnamento, che ci dispone a celebrare convenientemente il mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore. Tale mistero va anzitutto celebrato riconoscendo con fede la provenienza “dall’alto”, “dal cielo” (Vangelo: Giovanni 3,31), ossia da Dio, del bambino di Betlemme. Per questa sua origine divina, Gesù «è al di sopra di tutti» (v. 31) ed è perciò in grado di rivelare «ciò che ha visto e udito» (v. 32) presso Dio dal quale egli viene.

La fede nell’origine divina del Signore Gesù e, di conseguenza, nel suo essere il rivelatore unico e definitivo di Dio, è la disposizione essenziale per una degna celebrazione del suo Natale.

Nella sua testimonianza il Battista esclude anzitutto di essere lui il Cristo (v. 28) e parla di Gesù come dello sposo a cui appartiene la sposa e la cui voce riempie di gioia i suoi amici, tra i quali si pone lui stesso. Assumendo, come tutti noi, la condizione umana, Gesù ha unito inseparabilmente a sé, alla sua condizione divina, l’umanità, alla maniera dello sposo che si unisce alla sua sposa e con lei forma «una sola carne» (cfr. Genesi 2,24).

Si tratta di un’immagine biblica di rara bellezza che ci aiuta a penetrare e a ricercare in profondità il significato del Natale: manifestare al mondo la divina Carità! Quella del Padre, anzitutto, e quella del suo Figlio nato da Maria per opera dello Spirito Santo.

Di un intervento benevolo di Dio hanno parlato anche i profeti con i tipici accenti legati alla prosperità della terra, alla fecondità del bestiame, all’abbondanza di acqua e al sereno alternarsi dei giorni e delle stagioni che però, a ben guardare, segnalano l’agire misericordioso di Dio verso il suo popolo di cui cura la “piaga” (Lettura: Isaia 30,26). Si prospetta, così, l’opera salvifica a cui Dio ha dato principio negli eventi vetero-testamentari a favore del suo popolo Israele e che ora, nella natività del suo Figlio, conduce “ a compimento” a beneficio del mondo intero (cfr. Orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica). In particolare, nella “piaga” che Dio risana, è facile riconoscere quella “ferita” che porta ogni uomo che viene in questo mondo e dalla quale deriva ogni sorta di male e di peccato, primo fra tutti l’incredulità e l’idolatria di sé che lo tiene sotto il potere umiliante delle tenebre. Quella piaga Dio l’ha effettivamente curata con il dono d’amore del suo Figlio testimoniato dalle “piaghe” che hanno segnato il suo corpo mortale. Perciò, nell’imminenza del Natale, riconosciamo con sempre nuovo e più grande stupore che «la nostra redenzione è vicina, l’antica speranza è compiuta; appare la liberazione promessa e spunta la luce e la gioia dei santi» (Prefazio)

La grandezza e la bellezza di questa testimonianza, come un tempo toccò proclamarla al Battista, ora spetta alla Chiesa e a ogni fedele. Nell’adempiere a questa missione essa impara da Giovanni a “diminuire” davanti a Gesù perché lui solo deve “crescere” (v. 30) e sfolgorare con lo splendore del suo Vangelo nel cuore della storia e in quello di ogni uomo.

Di tale atteggiamento devono rivestirsi soprattutto quanti nella Chiesa hanno un compito di guida, ma anche ogni fedele, a cui incombe il dovere di dare testimonianza a Gesù sempre e dovunque. Nessuno pensi di mettersi al posto di Cristo, di oscurare il Signore o di servirsi di lui per cercare di attirare a sé!

Ci conforta in tutto ciò l’insegnamento di Paolo che in tutta verità può dire: «Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (Epistola: 2 Corinzi 4,5). E se il Battista è ben consapevole di essere stato «mandato avanti a lui» (Giovanni 3,28) come immediato precursore del Messia promesso, l’Apostolo Paolo si dichiara servitore dei cristiani di Corinto «a causa di Gesù» (2 Corinzi 4,5).

È questa la strada che hanno percorso i profeti, il Battista, gli Apostoli e che la Chiesa deve percorrere, senza sbandare «a destra o a sinistra» (Isaia 30,21), per essere in grado di annunciare in tutta verità che, in Gesù, Dio ha davvero fatto grazia e ha avuto pietà di tutti (v. 18).

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9 dicembre 2012 – IV domenica di Avvento


Concentra l’attenzione della Chiesa sulla prossima solennità natalizia considerata come “ingresso” nel mondo del Messia e perciò contemplata, dalla tradizione liturgica ambrosiana, alla luce della proclamazione evangelica riguardante l’ingresso di Gesù in Gerusalemme.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione della Lettura: Isaia 4,2-5; Salmo 23 (24); Epistola: Ebrei 2,5-15 e il Vangelo: Luca 19,28-38. Viene letto Matteo 28,8-10 quale Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della IV Domenica di Avvento).

 

Lettura del profeta Isaia (4,2-5)

 

In quel tempo. Isaia disse: «2In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele. 3Chi sarà rimasto in Sion e chi sarà superstite in Gerusalemme sarà chiamato santo: quanti saranno iscritti per restare in vita in Gerusalemme.

4Quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà pulito Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato, con il soffio del giudizio e con il soffio dello sterminio, 5allora creerà il Signore su ogni punto del monte Sion e su tutti i luoghi delle sue assemblee una nube di fumo durante il giorno e un bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte, perché la gloria del Signore sarà sopra ogni cosa come protezione».

 

Nei primi cinque capitoli del libro, è evidente la preoccupazione del profeta per la corruzione dilagante tra il popolo in un periodo di apparente prosperità. In particolare nei vv. 2-4, con le parole relative al “germoglio del Signore”, viene annunziato l’intervento purificatore di Dio (v. 4) e il suo ritorno a protezione di Gerusalemme. Esso è significato da fenomeni quali la “nube” e il “fuoco fiammeggiante” rivelatori della gloria (= potenza) divina e dispiegati dal Signore a favore del suo popolo nell’epopea dell’Esodo (v. 5).

 

Lettera agli Ebrei (2,5-15)

 

Fratelli, 5non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. 6Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: «Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi
o il figlio dell’uomo perché te ne curi? / 7Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, / di gloria e di onore l’hai coronato / 8e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi».

Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. 9Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.

10Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. 11Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, / in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; / 13e ancora: «Io metterò la mia fiducia in lui»; e inoltre: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato».

14Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. 

Il testo riprende il tema già precedentemente accennato (1,1-14) e relativo alla superiorità di Cristo uomo-Dio sugli “angeli” (v. 5) benché nella sua vita terrena sia apparso ad essi inferiore. Tale superiorità è motivata dalla morte che egli ha sofferto per la salvezza di tutti (vv. 6-9; cfr. Salmo 8,5-7), ovvero a vantaggio di tutti gli uomini. Il v. 10 iscrive la passione e la morte di Gesù, considerato come il capo dell’umanità, nel disegno di Dio che, per mezzo della sua obbedienza filiale, porta il proprio Figlio alla perfezione e, perciò, diventa guida alla salvezza per quanti lo seguono. I vv. 11-12 sottolineano la comune origine umana degli uomini e di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo e, di conseguenza, nostro fratello (cfr. Salmo 22,23 e Isaia 8,17-18). Ed è proprio la condizione umana a consentire al Signore Gesù di affrontare vittoriosamente, con la sua morte, il potere del diavolo e liberare così dalla tenebrosa sua schiavitù l’intera umanità (cfr. vv. 14-15).

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (19,28-38)

 

In quel tempo. Il Signore 28Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. 29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». 34Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38dicendo:
«Benedetto colui che viene, / il re, nel nome del Signore. / Pace in cielo / e gloria nel più alto dei cieli!».

 

Il brano è incorniciato dalla salita del Signore verso Gerusalemme per dare compimento alla sua Pasqua. In questa salita Gesù precede i suoi discepoli (v. 28) che, ed è da notare, sono i protagonisti, insieme a lui, dell’intera scena. Nella prima parte (vv. 29-34) registriamo l’ambientazione dell’evento, l’invio di due discepoli in cerca di un puledro legato e le istruzioni a essi impartite e poggiate unicamente sull’autorevolezza della parola di Gesù (vv. 29b-30). La seconda parte (vv. 35-38) riguarda l’ingresso del Signore in Gerusalemme e pone in rilievo, con i gesti compiuti dalla folla dei discepoli (vv. 35-36), l’acclamazione riportata al v.38 (cfr. Salmo 118,26 e Luca 2,14), con la quale riconoscono in Gesù il re-messia promesso da Dio e annunziato dai profeti.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa quarta domenica di Avvento, l’ascolto delle divine Scritture apre il nostro cuore a colui che viene come il consacrato da Dio per la salvezza e ci presenta la specifica “modalità” del suo ingresso nel mondo.

Modalità che è evidenziata, in fedele continuità con la tradizione liturgica ambrosiana, nella proclamazione evangelica dell’ingresso del Signore in Gerusalemme per dare compimento all’opera dell’universale salvezza e al suo esodo pasquale verso il Padre dal quale è stato inviato nel mondo.

Le Scritture ci dicono anzitutto chi è, in realtà, colui che viene. La Lettura annunzia l’apparizione del «germoglio del Signore» il cui frutto «sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele» (Isaia 4,2). L’Epistola parla di Lui come dell’uomo a cui Dio ha sottomesso «ogni cosa sotto i suoi piedi» (v. 8), mentre al v. 10 lo dichiara come il capo dell’intera umanità alla quale appartiene e con la quale ha in comune «il sangue e la carne» (v. 14) a motivo della sua incarnazione nel seno di Maria.

Egli, pertanto, viene nel mondo per rinnovare i prodigi e le meraviglie della salvezza di Israele (cfr. Isaia 4,5) e che ora riguardano la santificazione dell’intera umanità (Ebrei 2,11) e la sua liberazione dal potere del diavolo e della morte (v. 14). Le Scritture, dunque, testimoniano che Gesù è venuto nel mondo dotato di un potere invincibile «per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare quelli che per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Epistola: Ebrei 2,14-15). La preghiera liturgica, dal canto suo, offre una sintesi insuperabile sull’identità e sulla missione di colui che viene per attuare i disegni del Padre al quale così si rivolge: «Con la tua promessa di redenzione hai risollevato dopo la colpa a nuova speranza di grazia il genere umano, creato in santità e giustizia nel tuo Verbo divino, e nella pienezza dei tempi hai mandato lo stesso tuo Verbo nel mondo perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci infondesse di nuovo la vita eterna del cielo» (Prefazio).

L’ascolto delle Scritture ci spinge, inoltre, a riflettere sulla peculiare modalità scelta dal Signore per il suo ingresso in Gerusalemme quale inviato per la salvezza, ovvero come il Messia-Re d’Israele. Modalità che illumina il mistero della sua Natività, del suo ingresso nel mondo e dell’assunzione del «sangue e della carne» (cfr. Ebrei 2, 14) che lo accomuna a ogni uomo. Egli infatti, avanza cavalcando un puledro (Luca 19,30.33), che Matteo precisa essere d’asina (21,2.7), mentre Giovanni parla di un asinello (12,14). Si tratta, comunque, di una cavalcatura di certo non adatta per l’intronizzazione di un re e tantomeno per andare in battaglia. Sicché l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, mentre dichiara realizzata l’antica promessa circa l’invio del Messia salvatore, fa comprendere che egli avrebbe compiuto la sua missione in una condizione di mitezza e di umiltà, in aperto contrasto con gli atteggiamenti mondani dei tanti Messia che si sono avvicendati e tuttora si avvicendano nella storia degli uomini e del mondo.

L’umile puledro che Gesù sceglie come sua “trionfale” cavalcatura, perciò, sta a indicare che egli intende compiere la missione affidatagli nella sottomissione e nella consegna di sé al Padre, il quale ha posto nell’umiliazione e nelle sofferenze del Figlio (cfr. Ebrei 2,10), annunziate e già evidenti nella sua natività, l’universale salvezza e liberazione.

L’umile venuta di Gesù nel mondo nella notte di Betlemme e il suo ingresso messianico in Gerusalemme a dorso di un puledro, eventi attuativi della salvezza, sono pertanto consegnati per sempre alla memoria della Chiesa e di ogni discepolo. Essi ci insegnano a rifuggire, come da una malattia mortale, ogni atteggiamento di autoaffermazione, di autocelebrazione, di autonomia dal volere divino, per apprendere dal suo Figlio la via che conduce alla perfezione e alla gloria, vale a dire la via dell’abbandono filiale al volere di Dio.

Questi eventi che, in definitiva, annunciano la sua morte, accettata e vissuta in spirito di obbedienza al volere del Padre, rappresentano il “vantaggio” a favore di tutti gli uomini e sono titolo di gloria e di onore che coronano per sempre il Signore Gesù (cfr. Ebrei 2,7).

Questa modalità salvifica, presente in tutti i misteri della vita terrena del Figlio di Dio, a partire dalla sua Natività dalla Vergine, è attualizzata nella celebrazione eucaristica nella quale la nostra santificazione, la nostra liberazione, l’anticipo della gloria è significata negli umili segni del pane e del vino, memoriale perenne ed efficace della morte sofferta dal Signore a «vantaggio di tutti», «a magnificenza e ornamento» non più per i soli «superstiti d’Israele» (Isaia 4,2), ma per l’intera famiglia umana alla quale lui stesso appartiene!

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2 dicembre 2012 – III domenica di Avvento


Nel progressivo cammino di preparazione alle solennità natalizie, questa terza domenica di Avvento vuole mettere in luce il fatto che, con la venuta di Gesù, tutte «le profezie si sono adempiute».

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti passi biblici: Lettura: Isaia 45,1-8; Salmo 125 (126); Epistola: Romani 9,1-5; Vangelo: Luca 7,18-28. Alla Messa vigiliare del sabato viene proclamato: Giovanni 20,1-8 quale Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della III domenica di Avvento del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (45,1-8)

 

1Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: / «Io l’ho preso per la destra, / per abbattere davanti a lui le nazioni, / per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, / per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso. / 2Io marcerò davanti a te; / spianerò le asperità del terreno,
spezzerò le porte di bronzo, / romperò le spranghe di ferro. /

3Ti consegnerò tesori nascosti / e ricchezze ben celate, / perché tu sappia che io sono il Signore, / Dio d’Israele, che ti chiamo per nome. / 4Per amore di Giacobbe, mio servo, / e d’Israele, mio eletto, / io ti ho chiamato per nome, / ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
5Io sono il Signore e non c’è alcun altro, / fuori di me non c’è dio; / ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, / 6perché sappiano dall’oriente e dall’occidente / che non c’è nulla fuori di me ./ Io sono il Signore, non ce n’è altri.

7Io formo la luce e creo le tenebre, / faccio il bene e provoco la sciagura; / io, il Signore, compio tutto questo. / 8Stillate, cieli, dall’alto / e le nubi facciano piovere la giustizia; / si apra la terra e produca la salvezza / e germogli insieme la giustizia. / Io, il Signore, ho creato tutto questo».

 

Il testo profetico vuole mettere in evidenza la grandezza di Dio, quale unico Signore del cosmo e dell’intero creato (vv. 6-8) e, soprattutto, pieno d’amore per il suo popolo Israele (v. 4). Ed è proprio l’amore fedele di Dio per il suo popolo deportato in Babilonia a determinare l’“elezione” di Ciro, re di Persia, il quale perciò agisce dietro l’impulso divino, per l’annientamento del potere tirannico di Babilonia e per la liberazione di Israele (vv. 1-5).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (9,1-5)

 

Fratelli, 1dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: 2ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. 3Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. 4Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; 5a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.

 

Nei versetti oggi proclamati viene avviata una drammatica riflessione dell’Apostolo, che ingenera in lui «un grande dolore e una sofferenza continua» (vv. 1-2) a motivo del rifiuto da parte di molti Israeliti di accogliere in Cristo Signore la salvezza promessa da Dio al suo popolo. A tale riguardo san Paolo si dichiara disponibile a essere addirittura “separato” da Cristo purché ciò giovi agli Israeliti suoi fratelli (v. 3). I vv. 4-5 riportano i titoli dei discendenti di Giacobbe, al quale Dio diede il nome di Israele (cfr. Genesi 32,29): essi sono «figli adottivi» di Dio (cfr. Esodo 4,22), essi hanno visto la potenza di Dio (= gloria) che li ha liberati dall’Egitto e li ha introdotti nella terra promessa; con essi Dio ha stabilito la sua alleanza (cfr. Esodo 24; Genesi 15; Genesi 32,29); a essi Dio ha dato norme per la vita e per il culto e ha fatto promesse: ad Abramo (Genesi 12,1-3), a Davide (2 Samuele 7) e ai profeti. Infine, ed è questo il titolo di vanto più alto per gli Israeliti: da essi viene il Cristo (= Messia) che Paolo confessa essere «Dio benedetto nei secoli» (v. 5b).

 

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (7,18-28)

 

In quel tempo. 18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
24Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 25Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. 26Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 27Egli è colui del quale sta scritto:
“Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la tua via”.
28Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui».

 

Distinguiamo nel testo due parti. La prima, vv. 18-23, riguarda le domande rivolte dal Battista a Gesù tramite due suoi discepoli. La seconda, vv. 24-28, riporta l’“elogio” del Battista da parte del Signore Gesù. In particolare il brano al v. 18 si rifà ai prodigi operati da Gesù («tutte queste cose») e registrati nei precedenti versetti: 1-17. I vv. 19-20 segnalano la domanda del Battista relativa all’identità messianica di Gesù. La risposta del Signore è anzitutto “operativa” (v. 21) e poi esplicativa (vv. 22-23) con il ricorso a riferimenti profetici che, nelle guarigioni dei ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi e perfino nella risurrezione dei morti, annunziano l’avverarsi del tempo messianico (cfr. Isaia 26,19; 35,5-6; 42,7; 61,1). Con le guarigioni, viene sottolineata come opera propriamente messianica l’evangelizzazione dei poveri (cfr. Luca 4,18-19). Nella seconda parte, che riporta il giudizio pubblico di Gesù sul Battista (vv. 24-25), spicca il suo riconoscimento come profeta, ma soprattutto come colui che prepara la strada al Messia (vv. 26-27; cfr. Esodo 23,20a; Malachia 3,1a). La conclusione (v. 28), mentre ribadisce la grandezza del Battista, vuole inculcare l’urgenza di divenire discepoli e di far parte del regno di Dio che Gesù viene ad inaugurare.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questa terza domenica di Avvento, con un’appropriata serie di testi della Scrittura, fa crescere nella Chiesa la consapevolezza che, nella venuta tra noi di Gesù, il Figlio di Dio, le profezie sono adempiute. Esse, sinteticamente osservate, riguardano essenzialmente l’intervento salvifico di Dio a favore del suo popolo Israele e, a partire da esso, di tutte le genti e i popoli della terra.

La Lettura annunzia un’iniziativa divina davvero sorprendente. Dio, infatti, elegge quale strumento di salvezza del suo popolo, nell’umiliante situazione di deportazione e di schiavitù in Babilonia, Ciro, re dei persiani, un pagano! Sarà proprio lui ad annientare la tirannica potenza dei babilonesi e a mandare libero Israele restituendolo alla sua terra.

Nel suo intervento, motivato dal suo amore per Israele, Dio si manifesta come l’unico Signore capace di recare salvezza, di punire la malvagità e di far germogliare dalla terra la salvezza e la giustizia (cfr. Isaia 45,8).

Il brano evangelico testimonia che l’annunzio profetico del germoglio di salvezza e di giustizia si è adempiuto nella venuta in questo mondo del Cristo, ossia del Messia «secondo la carne» (Epistola: Romani 9,5) che è Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio!

Egli ha fornito a chi, ieri come oggi, si interroga su di lui e sulla consistenza della sua missione, le “prove” della sua investitura e della sua elezione a recare salvezza. Queste sono come riassunte nell’annunzio della “buona notizia” da lui insistentemente rivolto anzitutto ai poveri (Vangelo: Luca 7,22), ovvero ai miserabili, a quanti sono privati di ogni considerazione, agli oppressi e agli infermi senza alcuna speranza!

A essi, costretti a vivere giorni amarissimi e senza umane possibilità di riscatto, viene annunciata, per primi, la “bella notizia” dell’effettiva guarigione dai mali, dell’effettiva liberazione dall’umiliazione, dell’effettiva “giustizia”, che li riabilita nel contesto sociale.

In questi poveri sono anche racchiusi, con noi, gli uomini di questo nostro secolo che, in direzione sbagliata, mostrano di cercare giustizia e riscatto da una condizione di solitudine, di incertezza, di totale insoddisfazione, ripiegando in una inconcludente indifferenza e in una pratica incredulità. A tutti la Chiesa in preghiera fa udire la parola divina di speranza: «Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete! Ecco: si compie il giusto giudizio di Dio, il nostro Dio viene a salvarci» (Canto Dopo il Vangelo) a spezzare «le porte di bronzo» e a rompere «le spranghe di ferro» che imprigionano il cuore e la vita degli uomini (cfr. Isaia 45,2).

I discepoli del Signore, sapendo che le promesse e i tesori da lui riversati su Israele (cfr. v. 3) sono in verità destinati a tutti gli uomini, avvertono il compito di annunciare a tutti la bella notizia che è in Cristo Gesù. In lui, davvero, si trovano salvezza e giustizia e, quel che più conta, la possibilità di essere rigenerati come figli del Padre (cfr. Romani 9,4)!

Un simile annunzio, attende di essere messo alla portata di tutti e, di conseguenza, deve necessariamente tradursi, sull’esempio stesso del Signore Gesù, in gesti concreti e nella nostra vita vissuta, dalla quale deve chiaramente trasparire che Gesù è davvero tutto per noi e che lui solo riconosciamo e attendiamo come salvatore e non ne «aspettiamo un altro» (cfr. Luca 7,19)! È utile perciò domandarci se siamo gioiosamente e umilmente fermi nella nostra adesione al Signore, oppure siamo come «canne sbattute dal vento» (cfr. v. 24), se amiamo stare con gli umili, i poveri, i malati, oppure bramiamo di essere ammessi nelle aule del potere, del successo, dell’apparire (cfr. v. 25).

Il Signore Gesù ponga nel cuore della Chiesa e di ogni discepolo la determinazione dell’Apostolo Paolo che si dichiara disposto a essere separato da Cristo, la sua stessa Vita, pur di recare vantaggio ai suoi fratelli (Romani 9,3).

Il vantaggio consiste nel credere adempiuta in Gesù ogni profezia e promessa divina e, di conseguenza, risolta in lui ogni umana attesa di giustizia e di salvezza. Colui che possiede questa fede viene già da ora introdotto, magari come «il più piccolo», a far parte del regno di Dio (cfr. Luca 7,28), ed «entra con lui nel convito nuziale» (Prefazio) che la celebrazione eucaristica realmente anticipa e prefigura.

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25 novembre 2012 – II domenica di Avvento


La presente domenica, nel Lezionario, reca il significativo titolo I figli del Regno, in quanto i brani biblici intendono mettere in luce la dimensione universale della salvezza che si manifesta nella “prima venuta” del Signore.

 

Il Lezionario

 

Prevede la lettura dei seguenti testi biblici: Lettura: Isaia 19,18-24; Salmo 86 (87); Epistola: Efesini 3,8-13; Vangelo: Marco 1,1-8. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da Luca 24,1-8. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della II Domenica di Avvento del Messale ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (19,18-24)

 

Così dice il Signore Dio: «18In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del Sole.
19In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: 20sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. 21Il Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. 22Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà.
23In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri.

24In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra».

 

Dopo l’iniziale requisitoria contro l’Egitto (vv. 1-17), la seconda parte del capitolo 19 ne annuncia, in modo del tutto inatteso, la conversione a Dio (v. 22) propiziata, forse, da una presenza ebraica sul suo territorio (cfr. v. 18). Anche gli Egiziani, pertanto, godranno della protezione divina contro i nemici (v. 20) e Dio gradirà le loro offerte e sacrifici (v. 22). Ancora più sorprendente è l’annuncio della riconciliazione dell’Egitto con l’Assiria (v. 23) e con lo stesso Israele perché i tre popoli, storicamente nemici, diventino «una benedizione in mezzo alla terra» in quanto formeranno un solo popolo, quello di Dio (vv. 24-25).

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (3,8-13)

 

Fratelli, 8a me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo 9e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, 10affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio, 11secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, 12nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui. 13Vi prego quindi di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra.

 

Dopo aver parlato della riconciliazione tra Giudei e pagani operata dal Signore Gesù Cristo (2,11-21), l’Apostolo tiene a precisare il compito a lui affidato, che è quello di annunciare a tutti i popoli ciò che è avvenuto in Cristo e, in particolare, il mistero prima nascosto e ora a tutti manifesto, vale a dire la conversione dei pagani e il loro ingresso nel popolo santo di Dio che è la Chiesa (vv. 8-10). Lo svelamento e l’attuazione di così grande mistero, grazie alla predicazione evangelica, fa brillare al mondo intero e anche alle potenze celesti (v. 10) la superiore sapienza di Dio che unisce, nell’unica Chiesa, popoli diversi e nemici quali erano il popolo giudaico e i popoli pagani (vv. 11-14).

 

Lettura del Vangelo secondo Marco (1,1-8)

 

1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

2Come sta scritto nel profeta Isaia: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: / egli preparerà la tua via. / 3Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri». / 4Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

In questa domenica leggiamo l’avvio del Vangelo secondo Marco, che fa come da preparazione all’ingresso nel mondo di Gesù. Egli, da subito, è identificato in pienezza quale Cristo (= Messia) e soprattutto quale Figlio di Dio (v. 1). È lui, in realtà, il Vangelo (= la buona notizia) che dovrà essere annunziata a tutti gli uomini. Con una citazione composta da testi del profeta Malachia 3,1 e di Isaia 40,3, viene introdotta la figura e la missione di Giovanni, che è essenzialmente quella dell’araldo, del messaggero che annunzia e prepara, in questo caso la venuta di Gesù (vv. 2-3). Il v. 4 situa nel deserto l’attività di Giovanni, che consiste nel proclamare un battesimo di conversione e al quale accorreva «tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti  di Gerusalemme», come viene detto con evidente espressione iperbolica (v. 5). Il v. 6 con la menzione del vestito e della dieta intende designare il Battista come profeta, mentre i vv. 7-8 contengono il nucleo essenziale della sua predicazione, che riguarda l’imminente venuta di uno che è più forte di lui e che, al contrario di lui, immergerà gli uomini nello Spirito Santo e non semplicemente nell’acqua.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il raduno eucaristico domenicale, mentre ci immerge a livello sacramentale nel mistero pasquale del Signore, operatore dell’universale salvezza, ci offre la straordinaria opportunità di cogliere la grandezza di tale mistero che si dispiega a partire dalla sua Incarnazione e dalla sua Natività che l’Avvento ci dispone a celebrare e che la preghiera liturgica così ci presenta: «È grazia della tua pietà che ci salva: dalla carne di Adamo il peccato ci aveva dato la morte, dalla carne di Cristo il tuo amore infinito ci ha riplasmato alla vita» (Prefazio).

È quanto ricaviamo dall’ascolto odierno della Parola che, in sostanza, ci rivela che in Cristo Gesù, che viene nel mondo, tutti sono chiamati alla salvezza ovvero, come avverte il titolo assegnato dal Lezionario a questa domenica, tutti sono chiamati a diventare “I figli del Regno”.

Tale prospettiva, a ben guardare, è stata avanzata dal profeta, che annunzia qualcosa di veramente inconcepibile per la mente umana. Popoli da sempre ferocemente nemici, quali gli Egiziani e gli Assiri, a loro volta spietati nemici di Israele, cominceranno a conoscersi, a dialogare, a unirsi in un unico popolo nel rendere culto all’unico vero Dio, il Dio di Israele che farà dei tre popoli «una benedizione in mezzo alla terra» (Lettura: Isaia 19,24). Il Salmo 86(87) allarga ulteriormente la visione profetica affermando: «Iscriverò Raab e Babilonia fra quelli che mi riconoscono; ecco Filistea, Tiro ed Etiopia: là costui è nato». Tutti questi popoli diventeranno cioè un “segnale” collocato da Dio nel cuore della storia umana e che avrà il suo svelamento in Cristo Gesù, il Figlio venuto nel mondo.

L’Apostolo, a tale riguardo, sottolinea come Dio ha attuato «il progetto eterno» annunciato dai Profeti proprio «in Cristo Gesù nostro Signore nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui» (Epistola: Efesini 3, 11-12).

Un accesso, dunque, proposto a tutte le genti senza distinzioni mediante la predicazione del Vangelo. È la missione propria e distintiva dell’Apostolo che lui, una volta ostile ai pagani, chiama una «grazia» (v. 8). Quella cioè di «annunciare alle genti (= tutti i popoli pagani) le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio» (v. 8-9), reso visibile nella Chiesa formata da Ebrei e pagani.

Nel prepararci al Natale apriamo il cuore alla grandezza della nostra fede nel Signore Gesù venuto nel mondo «per ricreare l’uomo perché la morte non deformasse in lui» l’immagine divina (Prefazio) e per unire tutte le genti in un solo popolo, in un solo Corpo, in un solo Regno.

Sull’esempio dell’Apostolo, avvertiamo come grazia la missione di annunciare, a tutti coloro con i quali condividiamo il cammino terreno, il mirabile disegno della sapienza divina: fare di tutti gli uomini i suoi figli, nel suo Figlio Gesù, cittadini, già da ora, del suo Regno. 

Un simile annuncio si compie certamente nella predicazione evangelica che, sull’esempio di quella del Precursore del Signore, chiede di preparare i cuori all’incontro con lui mediante la conversione e l’adesione di fede alla sua Parola (cfr. Vangelo: Marco 1,3).

Ma la predicazione è avvalorata dalla vita, dalle scelte concrete cioè che caratterizzano l’esistenza dei credenti. Tali scelte, esigono, come ci insegna il Precursore, una vita sobria, un atteggiamento di profonda verità su noi stessi, consapevoli di non essere degni di chinarci «a slegare i lacci» dei sandali del Signore (v. 7), di non essere cioè padroni, ma “servi” del Vangelo, araldi di colui che viene per immergere in un battesimo capace di rigenerare a vita nuova, perché dato «in Spirito Santo» (v.8), quanti lo accolgono come Messia e Figlio di Dio (cfr. v.1), nel quale «saranno benedette tutte le genti della terra» (Canto All’Ingresso).

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18 novembre 2012 – Prima domenica di Avvento

Con la prima Domenica di Avvento prende avvio il nuovo Anno Liturgico 2012-2013. Nella tradizione liturgica ambrosiana, l’Avvento, destinato essenzialmente a preparare il Natale, conta sei settimane iniziando, nella domenica immediatamente seguente l’11 novembre, festa di san Martino di Tours, e si conclude prima della celebrazione vespertina del 24 dicembre. 

 

Il Lezionario

 

Le letture bibliche per l’Avvento sono reperibili nel libro I del Lezionario: Mistero dell’Incarnazione. Oggi sono proposti: Lettura: Isaia 13,4-11; Salmo: 67 (68); Epistola: Efesini 5,1-11a; Vangelo: Luca, 21,5-28. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Marco 16, 9-16. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della I domenica di Avvento del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (13,4-11)

 

In quei giorni. Isaia disse: /«4Frastuono di folla sui monti, / simile a quello di un popolo immenso. / Frastuono fragoroso di regni, / di nazioni radunate. / Il Signore degli eserciti passa in rassegna
un esercito di guerra. / 5Vengono da una terra lontana, / dall’estremo orizzonte, / il Signore e le armi della sua collera, / per devastare tutta la terra. / 6Urlate, perché è vicino il giorno del Signore; / esso viene come una devastazione / da parte dell’Onnipotente. / 7Perciò tutte le mani sono fiacche, / ogni cuore d’uomo viene meno. / 8Sono costernati. Spasimi e dolori li prendono, / si contorcono come una partoriente. / Ognuno osserva sgomento il suo vicino: / i loro volti sono volti di fiamma. / 9Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, / con sdegno, ira e furore, / per fare della terra un deserto, / per sterminarne i peccatori. / 10Poiché le stelle del cielo e le loro costellazioni / non daranno più la loro luce; / il sole si oscurerà al suo sorgere / e la luna non diffonderà la sua luce. / 11Io punirò nel mondo la malvagità / e negli empi la loro iniquità. / Farò cessare la superbia dei protervi / e umilierò l’orgoglio dei tiranni.»
 

 

I versetti oggi proclamati fanno parte del primo oracolo sulle nazioni nemiche di Israele, tra le quali figura Babilonia (vv. 1-22), che venne distrutta nel 485 a.C. ad opera di Serse, re dei Persiani. In esso può sorprendere la rivelazione di un Dio severo, temibile e vendicatore che fa piombare su Babilonia, emblema di un potere antidivino e perciò antiumano, il suo “giorno” di devastazione (vv. 6-9) che coinvolge anche il cosmo (v. 10). Con ciò Dio riafferma la sua sovranità universale contro ogni tracotanza umana (v. 11). 

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,1-11a)

 

Fratelli, 1Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
3Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – 4né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! 5Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.

6Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. 7Non abbiate quindi niente in comune con loro. 8Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; 9ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. 11Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto.

 

L’Apostolo, dopo aver parlato della Chiesa quale «corpo di Cristo», indica ai credenti come devono vivere coloro che appartengono a quel corpo. In primo luogo essi vivono, sull’esempio di Cristo, nella carità e nel dono di sé (v. 1-2). Nei vv. 3-7 l’Apostolo fa un elenco di comportamenti disdicevoli dai quali occorre guardarsi così come ci si deve guardare da quanti li praticano e insegnano a praticarli. Nei vv. 8-11 l’Apostolo torna sulla nuova condizione di vita dei credenti che dalle tenebre, ossia dall’incredulità che si esprime nelle opere del male, sono diventati luce a causa della loro fede nel Signore Gesù.   

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (21,5-28)

 

In quel tempo. 5Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, disse: 6«Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

7Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». 8Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! 9Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

10Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, 11e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

12Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

20Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. 21Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; 22quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. 23In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. 24Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.

25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

 

Il passo evangelico riporta, quasi integralmente, il discorso escatologico, riguardante cioè gli ultimi tempi, le realtà ultime. L’avvio è dato dalle parole di Gesù sulla prossima distruzione di Gerusalemme e soprattutto del Tempio (vv. 5-11). Con esse il Signore mette in guardia i suoi dai falsi messia (v. 8) e li esorta ad affrontare gli eventi catastrofici che contraddistingueranno quei giorni (vv. 9-11). Nei vv. 12-19 sono raccolti alcuni detti del Signore riguardanti le persecuzioni a cui andranno incontro, prima dei fatti annunciati, i suoi discepoli, compreso il tradimento da parte delle persone ad essi maggiormente legate, con l’esortazione finale a perseverare nella fedele sequela del loro Maestro. Segue ai vv. 20-24 una descrizione dettagliata degli eventi tragici che accompagneranno l’occupazione e la distruzione di Gerusalemme  avvenuta, come è noto, nel 70 d.C. L’ultima parte del brano, vv. 25-28, è incentrata sul vero e proprio evento escatologico che è la venuta del Figlio dell’uomo (cfr. Daniele 7,13). Un evento che va ben oltre il destino di Gerusalemme e della Palestina e che coinvolge il cosmo e l’intera umanità. I credenti, in tutto ciò, sono invitati ad avere coraggio e a sperare nella prossima liberazione recata dal Signore che viene.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Le sei settimane di Avvento che ci dispongono ogni anno alla consapevole e degna celebrazione del Natale del Signore sono inaugurate con il richiamo alla dimensione escatologica nella quale si distende la nostra esistenza terrena.

Dal momento della prima venuta del Signore, consumata nel mistero salvifico della sua Pasqua, hanno preso il via, infatti, gli ultimi tempi, quelli cioè rivolti oramai alla sua seconda e definitiva venuta. Essa riguarda la storia, l’umanità e il cosmo intero, destinati a “passare”, e riguarda ogni uomo che sa che la sua vita su questa terra va verso la sua fine. Tutto ciò ha un indubbio carattere minaccioso ma, nello stesso tempo, sprona i discepoli del Signore ad aver coraggio, ad avere speranza, a risollevarsi e ad alzare il capo per accogliere il Liberatore (cfr. Vangelo: Luca, 21-28).  

La venuta del Signore, che l’evangelista descrive con il linguaggio dell’apocalittica: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (v. 27), sta infatti a dire che egli porrà fine in modo definitivo allo strapotere del male e del peccato che si accanisce contro l’intera umanità  e specialmente contro quanti, non volendosi omologare al potere idolatrico che domina sul mondo, si affidano a lui e al suo Vangelo.

Già i profeti avevano annunciato con accenti drammatici la decisione di Dio di intervenire contro la malvagità che è nel mondo e l’iniquità degli empi emblematicamente raffigurate in Babilonia (cfr. Lettura: Isaia, 13,11). La misura delle ingiustizie, delle violenze, delle sopraffazioni è oramai colma e Dio sta per far sorgere il “suo giorno”, che arriva «implacabile, con sdegno, ira e furore… per sterminare i peccatori» (v. 9). Lui solo, infatti, è in grado di far «cessare la superbia dei protervi» e di umiliare «l’orgoglio dei tiranni» (v. 11).

Il testo evangelico, da parte sua, annunzia (Luca 21,20) e quindi descrive, con particolari assai crudi, la distruzione di Gerusalemme (vv. 21-24) e, soprattutto del suo Tempio del quale «non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (v. 6).

Questo evento, il più catastrofico per Israele, al punto da porre fine e per sempre all’offerta dei sacrifici, compresa l’immolazione dell’agnello pasquale, parla a noi con estrema chiarezza: niente e nessuno che è immerso nel tempo e nello spazio di questo mondo può sfuggire alla fine! Non vi sono eccezioni. Per niente e per nessuno! Di conseguenza, saremo saggi se non ci appoggeremo sulle cose di questo mondo che svanisce, ma se porremo la nostra speranza in colui che è disceso dal Cielo per la nostra salvezza e per farci cittadini del suo Regno che non passa!

La storia in cui siamo immersi, a ben guardare, ci dà segni premonitori della sua inconsistenza, esibendo in ogni tempo il suo doloroso travaglio fatto di guerre e di rivoluzioni (cfr. v. 10), di cataclismi naturali e, per i discepoli del Signore, di persecuzioni anche violente (v. 12), di tradimenti, addirittura da parte delle persone ad essi più care (v.16) e, questo, a motivo della loro fede in lui (v.17). Nel fluire del tempo, così come la Scrittura ha insegnato, mentre viviamo nella consapevolezza della fine e del suo inesorabile travaglio, veniamo esortati anzitutto a perseverare  nella nostra fede, a non lasciarci sedurre da improvvisati messia (v.8), a non terrorizzarci davanti ai rivolgimenti della storia e della nostra stessa vita: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18).

In concreto, le Scritture ci esortano a impostare questi nostri giorni sulla base delle indicazioni apostoliche che ci insegnano anzitutto a rifuggire da «ogni specie di impurità o di cupidigia», ma anche da ogni «volgarità, insulsaggini, trivialità» (Epistola: Efesini 5,3-4) e a «camminare nella carità», che è quella con la quale Cristo ci ha amato dando sé stesso perché noi, che eravamo «tenebra», a causa dell’incredulità e del peccato, diventassimo «luce nel Signore» (v. 8).

È quanto vogliamo chiedere alla bontà misericordiosa del nostro Dio che è il suo Figlio Gesù, insieme alla forza di perseverare tra le prove e le tribolazioni del mondo, imparando a intravedere proprio in esse il prodromo che annuncia la sua venuta «con grande potenza e gloria» per la nostra liberazione e il nostro definitivo riscatto. A tale proposito così preghiamo nel cuore della celebrazione eucaristica: «Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio). Un’attesa comunitariamente vissuta proprio nella celebrazione eucaristica nella quale la venuta sacramentale del Signore pone nel cuore dei fedeli il desiderio sempre più vivo di lui che è venuto, che viene incessantemente e che verrà! Desiderio liricamente cantato nell’antifona Alla Comunione: «Gioite, o cieli; esulta, o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».   

 

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11 novembre 2012

11 novembre 2012 – Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

 

È la domenica conclusiva dell’anno liturgico della nostra Chiesa Ambrosiana che, con i Vespri di sabato prossimo, darà inizio, con la prima domenica di Avvento, al nuovo anno liturgico.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 49,1-7; Salmo 21 (22); Epistola: Filippesi 2,5-11; Vangelo: Luca 23,36-43.

Luca 24,1-8 viene letto, quale Vangelo della Risurrezione, alla Messa vigiliare del sabato. (Le orazioni e i canti della Messa sono propri della Solennità del Messale Ambrosiano). Con questa domenica si conclude l’utilizzo del Libro III del Lezionario Ambrosiano intitolato “Mistero della Pentecoste”.

 

Lettura del profeta Isaia (49,1-7)

 

1Ascoltatemi, o isole, / udite attentamente, nazioni lontane; / il Signore dal seno materno mi ha chiamato, / fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. / 2Ha reso la mia bocca come spada affilata, / mi ha nascosto all’ombra della sua mano, / mi ha reso freccia appuntita, / mi ha riposto nella sua faretra. / 3Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, / sul quale manifesterò la mia gloria». / 4Io ho risposto: «Invano ho faticato, / per nulla e invano ho consumato le mie forze. / Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, / la mia ricompensa presso il mio Dio». / 5Ora ha parlato il Signore, / che mi ha plasmato suo servo dal seno materno / per ricondurre a lui Giacobbe / e a lui riunire Israele / – poiché ero stato onorato dal Signore / e Dio era stato la mia forza – / 6e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo / per restaurare le tribù di Giacobbe / e ricondurre i superstiti d’Israele. / Io ti renderò luce delle nazioni, / perché porti la mia salvezza / fino all’estremità della terra». / 7Così dice il Signore, / il redentore d’Israele, il suo Santo, / a colui che è disprezzato, rifiutato dalle nazioni, / schiavo dei potenti: / «I re vedranno e si alzeranno in piedi, / i prìncipi si prostreranno, / a causa del Signore che è fedele, / del Santo d’Israele che ti ha scelto».

Il brano riporta il secondo canto del Servo di Dio nel quale il lettore cristiano riconosce il Signore Gesù. I vv. 1-4, riportano il racconto che il Servo fa della sua vocazione e il suo lamento per il fallimento della missione ricevuta. Questa è rilanciata dal Signore con l’invio del Servo non più al solo Israele, ma a tutti i popoli fino «all’estremità della terra» (vv. 5-6). Una missione, questa, che il Servo porterà a compimento passando per il disprezzo e il rifiuto delle nazioni (v. 7), ossia attraverso le sofferenze che ricadranno su di lui e che, nell’interpretazione cristiana, alludono alla passione del Signore Gesù.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (2,5-11)

 

Fratelli, / 5abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: / 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, / non ritenne un privilegio / l’essere come Dio, / 7ma svuotò se stesso / assumendo una condizione di servo, / diventando simile agli uomini. / Dall’aspetto riconosciuto come uomo, / 8umiliò se stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e a una morte di croce. / 9Per questo Dio lo esaltò / e gli donò il nome / che è al di sopra di ogni nome, / 10perché nel nome di Gesù / ogni ginocchio si pieghi / nei cieli, sulla terra e sotto terra, / 11e ogni lingua proclami: / «Gesù Cristo è Signore!», / a gloria di Dio Padre.

 

Il brano si apre al v. 5 con l’esortazione dell’Apostolo a prendere Gesù come modello di vita. Ad esso fa seguito il celebre inno cristologico, che si presenta diviso in due parti: vv. 6-8 e vv. 9-11. Nella prima parte viene posta in luce l’auto-umiliazione e l’auto-abbassamento del Signore a partire dall’assunzione della natura umana nel mistero dell’incarnazione (vv. 6-7) fino allo svuotamento totale della sua «condizione di Dio» rappresentato dalla morte infamante «di croce». Tutto ciò in obbedienza filiale ai disegni del Padre (v. 8). Nella seconda parte (vv. 9-11) viene cantata la risposta del Padre all’obbedienza del Figlio. Si tratta della risurrezione da morte coronata con l’esaltazione o ascensione nei cieli del Crocifisso-Risorto, al quale Dio ha conferito il potere e il nome divino reso con il termine Kyrios = Dio! (vv. 9-10). Dicendo perciò «Gesù Cristo è Signore!» viene proclamata la divinità del Figlio di Dio, disceso dal cielo, morto e risorto ed esaltato al di sopra di ogni realtà e potenza.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (23,36-43)

 

In quel tempo. 36Anche i soldati deridevano il Signore Gesù, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

 

Il testo fa parte del racconto della Crocifissione e della morte del Signore del quale coglie il gesto di derisione compiuto dai soldati che presidiano il luogo dell’esecuzione di Gesù a motivo della sua presunta regalità sul popolo dei Giudei (vv. 36-38) e le parole di uno dei malfattori che inveisce, invece, contro la sua pretesa messianica che si rivela incapace di liberarlo dalla croce (v. 39). A lui risponde l’altro malfattore che riconosce l’innocenza di Gesù (vv. 40-41) e che compie la sua professione di fede in Lui consegnandogli la supplica di essere ammesso nel suo regno confessando, in tal modo, la messianicità regale del Signore (v. 42). Il v. 43 riporta le parole con le quali il Signore esaudisce la supplica del malfattore aldilà di ogni attesa: egli condividerà in tutto la sua sorte entrando con lui nella dimora dei giusti e dei santi, nel paradiso.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa, che è l’ultima domenica del corrente anno liturgico, le divine Scritture ci propongono, nella considerazione del Signore Gesù quale Re dell’universo, una visione sintetica dell’intera storia della salvezza, che è tutta protesa verso l’ora suprema della Pasqua di morte e di risurrezione del Figlio amato di Dio fatto uomo.

Una storia che ripercorriamo ogni anno nei diversi tempi liturgici i quali, però, non fanno altro che presentarci il mistero del Figlio che, pur essendo nella condizione divina, si svuota di essa per assumere la nostra condizione umana che è quella della precarietà, della fragilità, della mortalità (cfr. Epistola: Filippesi 2,6-7).

In tal modo il mistero dell’Incarnazione del Signore e della sua Natività a cui ci dispone nel suo inizio il nuovo anno liturgico, è già, a tutti gli effetti, il dispiegamento del mistero pasquale. L’Incarnazione e la Natività del Signore «secondo la carne», ovvero nella nostra condizione umana, rappresenta effettivamente quell’abbassamento, quell’autospogliazione e umiliazione del Figlio di Dio che ha il suo punto estremo nella sua morte, e morte di croce, la più infamante e obbrobriosa.

Essa è accettata dal Figlio unigenito in totale obbedienza ai disegni per noi inimmaginabili e incomprensibili di Dio che, inspiegabilmente, intende fare del Crocifisso la “luce” non solo per Israele, ma di tutte le “nazioni”, ossia il portatore della salvezza divina «fino all’estremità della terra» (Lettura: Isaia 49,6).

Nell’ora della Croce, perciò, il Figlio obbediente è presentato al mondo nella sua regalità universale. Lui, infatti, ha nelle sue mani lo stesso potere salvifico di Dio che ha a cuore i destini del suo popolo, di tutte le genti e che Gesù comincia a esercitare sovranamente con le solenni parole rivolte al malfattore crocifisso accanto a lui e che gli si rivolge con umana partecipazione e con fede (Luca 23,42): «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (v. 43).

Ed è proprio la Croce, accolta con obbedienza filiale, a spingere il Padre a esaltare il Figlio “donandogli” il suo stesso nome divino: Gesù è il Signore: il Kyrios! Nome che esprime l’onnipotenza salvifica davanti alla quale nulla e nessuno può ergersi «nei cieli, sulla terra e sotto terra» (Filippesi 2,10).

La comunità ecclesiale, che ascolta e aderisce con fede alla Parola, viene sospinta dallo Spirito a consegnarsi totalmente al potere regale di Cristo Crocifisso e impara a diffidare e a guardarsi da ogni altro potere mondano. Questo, com’è noto, viene esercitato con il dominio, l’ingiustizia e la sopraffazione specialmente degli umili e dei poveri. Cristo Signore, invece, esercita il suo potere regale stando in continuità nella condizione di “servo” di Dio sofferente (cfr. Isaia 49, 7), di Figlio obbediente e disponibile al volere salvifico del Padre che vuole, con Giacobbe e Israele (cfr. Isaia 49, 5), ricondurre al suo cuore di Padre e riunire «tutte le nazioni» nella sua casa, nel suo popolo, nel suo Regno.

Una volontà che si fa evidente nel malfattore crocifisso che fa il suo ingresso con Gesù nel paradiso, che consiste nella perfetta comunione d’amore filiale con il Padre.

In questo mondo che, dal suo inizio fino alla sua fine, è attratto ed è alla ricerca spasmodica del potere e di un “trono”, la Chiesa dall’inizio alla fine del tempo, dall’Avvento, a questa grande domenica non può che ripetere: «Dal legno della Croce regna il Signore» (Ritornello al Salmo 21).

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4 novembre 2012

4 novembre 2012 – II domenica dopo la Dedicazione

 

 

Presenta il mirabile disegno divino che, nella Chiesa, manifesta la sua volontà di rendere partecipi tutte le genti alla salvezza.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 56,3-7; Salmo 23 (24); Epistola: Efesini 2,11-22; Vangelo: Luca 14,1a.15-24. Nella messa vigiliare del sabato viene proclamato Marco 16,9-16 quale  Vangelo della risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXXI Domenica del Tempo «per annum» nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (56,3-7)

 

In quei giorni. Isaia disse: / «3Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: / “Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!”. / Non dica l’eunuco: / “Ecco, io sono un albero secco!”. / 4Poiché così dice il Signore: / “Agli eunuchi che osservano i miei sabati, / preferiscono quello che a me piace / e restano fermi nella mia alleanza, / 5io concederò nella mia casa / e dentro le mie mura un monumento e un nome / più prezioso che figli e figlie; / darò loro un nome eterno / che non sarà mai cancellato. /  6Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo / e per amare il nome del Signore, / e per essere suoi servi, / quanti si guardano dal profanare il sabato / e restano fermi nella mia alleanza, / 7li condurrò sul mio monte santo / e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. / I loro olocausti e i loro sacrifici / saranno graditi sul mio altare, / perché la mia casa si chiamerà / casa di preghiera per tutti i popoli”».

 

Il brano è preso dalla terza parte del libro profetico che canta le meraviglie operate da Dio per il suo popolo riportato in patria dopo l’esilio babilonese. In particolare, i versetti qui riportati aprono a una prospettiva universalistica l’appartenenza al popolo di Dio del quale potranno farne parte quanti ne erano esclusi: eunuchi, privi di una discendenza naturale e ai quali, se osservanti del sabato, ossia se fedeli all’alleanza, Dio promette un «nome eterno» (vv. 3b-5), e agli stranieri ugualmente fedeli all’alleanza, significata dal riposo sabbatico, ai quali promette di gradire le offerte e le preghiere innalzate nel suo Tempio (v. 3a.6-7), che viene qui già descritto come punto di convergenza  o «casa di preghiera per tutti i popoli».

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (2,11-22)

 

Fratelli, 11ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, 12ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. 13Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

14Egli infatti è la nostra pace, / colui che di due ha fatto una cosa sola, / abbattendo il muro di separazione che li divideva, / cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. / 15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, / per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, / facendo la pace, / 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, / per mezzo della croce, / eliminando in se stesso l’inimicizia. / 17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, / e pace a coloro che erano vicini. / 18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, / al Padre in un solo Spirito.

19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.

 

Nei vv. 11-13 l’Apostolo descrive la condizione dei pagani prima della chiamata alla salvezza «in Cristo Gesù» che da “lontani”, da estranei, da esclusi, da senza Dio, li ha resi “vicini” mediante il dono del suo sangue, ossia della sua vita. I vv. 14-18 rappresentano come una professione di fede nell’opera salvifica compiuta dal Signore Gesù, personificazione stessa della pace, resa possibile dall’abbattimento del muro invalicabile che separa giudei e pagani, facendo di due «una cosa sola» (v. 14) grazie all’abolizione dell’osservanza della Legge mosaica (v. 15). Il v. 16 fissa nella Croce la dissoluzione dell’inimicizia che separa giudei e pagani, riconciliati entrambi con Dio e resi «un solo corpo», mentre sintetizza la missione di Cristo sulla terra come portatrice della pace ovvero della riconciliazione con Dio sia per gli ebrei come per i pagani. Essi ora sono presentati al Padre «in un solo Spirito», quello del Figlio che li ha resi “figli”! I vv. 20-22 infine descrivono la mutata condizione dei redenti che vengono a formare un unico edificio che ha come pietra d’angolo lo stesso Signore e nel quale Dio abita come nel suo tempio santo.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (14,1a.15-24)

 

1Un sabato il Signore Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei. 15Uno dei commensali gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». 16Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. 18Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. 19Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. 20Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. 22Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. 23Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

 

Il v. 1a inquadra, nel contesto di un pranzo nella casa di uno dei capi dei farisei, alcuni detti del Signore, non riportati nel testo oggi proclamato, e riguardanti, rispettivamente, il guarire in giorno di sabato (vv. 2-6); la ricerca dei primi posti nei banchetti (vv. 7-11) e su chi invitare a pranzo (vv. 12-14). Questo ultimo detto offre lo spunto a uno dei commensali per far coincidere la beatitudine, ossia la definitiva salvezza, nel poter sedere a mensa nel regno di Dio (v. 15). A quel commensale Gesù risponde con la parabola della grande cena e dei molti invitati (v. 16). In conformità agli usi orientali il padrone di casa manda un suo servo a casa degli invitati per accompagnarli al banchetto (v. 17). Questi, uno dopo l’altro, trovano motivi per ritenersi scusati dal rifiuto a partecipare (vv. 18-20). Segue una seconda uscita del servo inviato a raccogliere «i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» che normalmente affollano le strade e le piazze della città (v. 21). Il v. 22 ci informa che vi erano ancora posti liberi nella sala del banchetto. Per questo, su incarico del padrone, il servo esce una terza volta con l’incarico di costringere addirittura la gente equivoca e di malaffare che si aggira tra le siepi a venire al banchetto perché la «casa si riempia» (v. 23). Il brano si conclude con la severa parola di esclusione dalla cena, ovvero dalla salvezza, dei primi invitati (v. 24). 

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questa seconda domenica “dopo la Dedicazione” ci offre l’opportunità di sostare davanti ai grandiosi disegni divini che vogliono raccogliere in unità l’intera umanità disgregata e dispersa a motivo del peccato.

Il progetto di Dio, stando ai brani biblici oggi proclamati, mira a ricostituire l’unità della famiglia umana destinata a entrare nella sua casa, a diventare sua abitazione per sempre, a sedersi alla tavola della salvezza eterna che il brano evangelico raffigura in una grande cena allestita per un gran numero di invitati dal padrone di casa, nel quale si riconosce facilmente Dio stesso (Vangelo: Luca 14,16). Un tale disegno, a ben guardare, è già visibile nella decisione di Dio di scegliersi un popolo tra quelli della terra, per farne il suo popolo!

La Lettura profetica, infatti, rivela la volontà divina di aggregare al suo popolo santo anche stranieri ed eunuchi considerati esclusi, ma che nella loro condotta dimostrano di preferire quello che piace a Dio (cfr. Isaia 56,4) e, dunque, «restano fermi» nella sua alleanza (cfr. v. 4 e v. 6). Anch’essi potranno così offrire «olocausti e sacrifici» nel Tempio del Signore risultando a lui graditi e, di conseguenza, ricolmati di gioia (v. 7), avendo sperimentato la vicinanza di Dio e la sua disponibilità a venire incontro alle loro richieste.

Questi annunci profetici verranno attuati e addirittura superati nella predicazione evangelica della beatitudine del Regno (Luca 14,15). Qui, a essere invitati alla salvezza non sono più soltanto i fedeli all’alleanza, ma «i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi», gli esclusi per eccellenza dalla considerazione mondana (v. 21) e, addirittura, quelli racimolati «per le strade e lungo le siepi» (v. 23), vale a dire i “lontani”, i peccatori, i reprobi! Dio vuole infatti che la sua casa «si riempia» (v.23) e, di conseguenza, vuole che la salvezza sia annunziata e offerta indistintamente a tutti gli uomini.

È ciò che Gesù, il “Servo” di Dio, ha compiuto nella sua vita terrena con l’incessante predicazione del Vangelo e soprattutto «per mezzo della croce» (Epistola: Efesini 2,16). Il suo sangue, infatti, è stato sparso perché i peccatori «esclusi dalla cittadinanza di Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo» (v. 12) diventassero addirittura membra del suo unico Corpo che è la Chiesa (cfr. v. 16) e, di conseguenza, «concittadini dei santi e familiari di Dio» (v. 19), edificato «per mezzo dello Spirito» per «diventare abitazione di Dio» (v. 22).

È ciò che sono mandati a fare i “servi” che Dio non smette di inviare ai crocicchi delle strade ossia in ogni angolo della terra, per invitare, con la predicazione del Regno e della Croce salvifica del Signore Gesù, a entrare nella sua casa sedendosi, fin da ora, al banchetto sontuoso che è la Cena dell’Agnello pregustata nella celebrazione eucaristica.

In ciò consiste  la grandezza della predicazione evangelica che ci ha convocati alla “grande cena” della salvezza e, alla quale, lo vogliamo sperare, abbiamo tutti risposto con il sì convinto della nostra fede che ci trasforma in “servi” che non si danno pace finché, per la gioia del cuore di Dio Padre, ogni uomo nostro fratello avrà preso il suo posto alla mensa del suo Regno come «concittadini dei santi» e «familiari di Dio» (Efesini 2,19).

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28 ottobre 2012


28 ottobre 2012 – I domenica dopo la Dedicazione

Questa Prima Domenica dopo la Dedicazione, partendo dalla contemplazione del mistero della Chiesa locale, adombrato nel nostro Duomo, apre alla prospettiva dell’universalità della Chiesa secondo il disegno divino di salvezza e nell’impegno del mandato missionario.

 

Il Lezionario

 

Riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 8,26-39; Salmo 65 (66); Epistola: 1Timoteo 2,1-5; Vangelo: Marco 16,14b-20. Nella messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Giovanni 21,1-14. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXX Domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (8,26-39)

 

In quei giorni. 26Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». 27Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, 28stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. 29Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». 30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». 31Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. 32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: / «Come una pecora egli fu condotto al macello / e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, / così egli non apre la sua bocca. / 33Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, / la sua discendenza chi potrà descriverla? / Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.»
34Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». 35Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. 36Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». [37] 38Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. 39Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada.

 

Il brano è collocato nel contesto della predicazione del Vangelo in Samaria in seguito alla dispersione dei fedeli a causa della persecuzione contro la Chiesa scatenata a Gerusalemme subito dopo l’uccisione di Stefano (8,1-25). Qui viene riportato il racconto dell’incontro di Filippo, uno dei sette eletti per prendersi cura degli Ebrei di lingua greca (cfr. Atti, 6,1-6), con un funzionario della regina di Etiopia. Il v. 27 sembra descriverlo come un “simpatizzante” del giudaismo che, dopo aver compiuto il pellegrinaggio a Gerusalemme, sta per tornare in patria. Si noti al v. 26 come è un angelo, un messaggero celeste, a mettere Filippo sulla strada del funzionario etiope. Questi è colto mentre, «seduto sul suo carro» stava leggendo, senza intenderlo, il passo di Isaia 53,7-8 preso dal IV canto del Servo di Dio sofferente e che Filippo gli rivela essere Gesù (v. 35). I vv. 36-38 riferiscono  del battesimo del funzionario etiope. Il brano si conclude al v. 39 con il “rapimento” di Filippo inviato dallo Spirito a predicare altrove e la sottolineatura della gioia del funzionario che, è lecito pensarlo, diventa lui stesso evangelizzatore nel suo paese di origine.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo (2,1-5)

 

Carissimo, 1Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. 3Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. 5Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù.

 

In questa parte della lettera l’Apostolo impartisce alcune istruzioni per lo svolgimento del culto nella comunità ecclesiale. Qui, in particolare, si raccomanda la preghiera per tutti gli uomini e, tra essi, per chi sta al potere (vv. 1-2). La raccomandazione offre a Paolo l’occasione di offrire una breve ma essenziale professione di fede della comunità cristiana delle origini che si fonda sull’universale volontà salvifica di Dio attuata per mezzo del mediatore: Cristo Gesù (vv. 4-5).

 

Lettura del Vangelo secondo Marco (16,14b-20)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù 14 apparve agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. 15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

 

Il brano riporta l’apparizione del Signore Risorto agli Undici, i quali vengono dapprima rimproverati per non aver prestato fede a Maria di Magdala e agli altri due discepoli che annunciarono loro la sua risurrezione (vv. 9-13). Segue il mandato di portare il Vangelo ovunque e a tutti gli uomini e l’ordine di battezzare quanti avranno creduto (vv. 15-16). I vv. 17-18 riportano le nuove facoltà in possesso dei credenti in vista della loro missione. Dopo aver fugacemente accennato all’ascensione del Signore (v. 19), si dà conto, al v. 20, dell’esecuzione immediata del mandato missionario che i discepoli svolgono “insieme” al Signore, che dava efficacia all’annunzio della Parola. 

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’ultimo scorcio del Tempo dopo Pentecoste ci fa sostare ogni anno sul “grande mistero” che è la Chiesa, la quale riconosce la sua origine nel mistero pasquale del Signore Crocifisso e Risorto ed è perennemente animata dal soffio del suo Santo Spirito.

Lo Spirito, infatti, rende viva la Parola del Risorto che, inviando i suoi apostoli, in realtà manda incessantemente i discepoli di ogni tempo, a portare su tutta la terra la bella e buona notizia che lui ha vinto le tenebre del male e della morte e che, in lui, è possibile non solo vincere la morte, ma accedere definitivamente alla vita beata, ovvero alla salvezza.

È oggi più che mai necessario che tutti i fedeli si riconoscano negli Undici e, dunque, avvertano come rivolta a sé stessi la parola del Signore: «Andate in tutto il mondo...» (Vangelo: Marco 16, 15). Sono infatti questi i giorni nei quali ogni discepolo del Signore sente fortemente urgere  nel cuore l’imperativo del mandato missionario verso ogni uomo oggetto di quella volontà di Dio che vuole tutti salvi e capaci di giungere alla «conoscenza della verità» (Epistola: 1Timoteo 2,4), che consiste nella rivelazione folgorante e insuperabile della sua incredibile carità fissata nella Croce del suo Figlio. In essa, rappresentata efficacemente dal fonte battesimale, vengono letteralmente immersi quanti aprono il cuore alla predicazione del Vangelo (Marco 16,16).

Tutto ciò deve scuotere le nostre comunità e, in esse, ogni fedele perché il Signore non debba rimproverarci «per la nostra incredulità e durezza di cuore» (Marco 16,14) e per l’opacità della   nostra vita che manifesta la debolezza della nostra fede. Non a caso l’iniziativa dell’Anno della fede, voluta dal Papa, ci esorta con forza a riscoprire, assimilare e confessare con gioia la nostra fede per poterla mostrare nella vita e nella condotta e così più efficacemente annunziarla a quanti incontriamo sul nostro cammino ovvero a quanti il Signore ci manda ad affiancare nel loro cammino.  

Siamo noi, oggi, i continuatori del servizio “diaconale” di Filippo, che ci pone al fianco di tanta gente in attesa di una parola  che apra il loro cuore alle meraviglie dell’universale carità di Dio che è incredibilmente posta in Colui che «come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa» (Lettura: Atti degli Apostoli 8,32), il Signore Crocifisso.

Questo è il Vangelo che siamo mandati ad annunciare perché chi ascolta e crede sia rigenerato dalla divina Carità per diventare “discendenza” dell’Agnello immolato e risorto, formando in tal modo il suo popolo, la sua Chiesa.

Il nostro raduno eucaristico, specialmente nel giorno di domenica, annunzia e anticipa l’ingresso di tutte le genti mediante la fede e il battesimo in quell’unica Chiesa che «il Signore Gesù trasse da tutte le genti» ed «efficacemente avvera» nel «sacramento del Corpo di Cristo» la sua unione d’amore così profonda al punto da essere paragonata a una sposa che si unisce al suo sposo (Prefazio).

Avvertiamo, così, la grande responsabilità che grava su tutti noi che ci sediamo al banchetto dell’Agnello per essere uniti a lui, e di conseguenza, tra di noi, in un vincolo indissolubile di carità!

Esso, se vissuto con fedeltà, rappresenta l’annuncio più efficace e comprensibile dell’Evangelo. Ci venga per questo in aiuto la grazia misericordiosa del nostro Dio che così invochiamo: «O Dio fonte del vero amore e della pace, donaci di conservare  sempre più radicato nel cuore e nella vita l’impegno di unione e di carità» (Orazione Sui Doni).  

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21 ottobre 2012


Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani

Con questa solennità che evoca momenti grande importanza nella storia della nostra Chiesa diocesana, il Tempo «dopo Pentecoste» riceve un’ulteriore svolta rappresentata dalla riproposizione del “grande mistero” della Chiesa espressa per noi nel Duomo. È la Chiesa Cattedrale per i fedeli della diocesi di Milano e Chiesa Madre per tutti quei fedeli che, pur appartenendo ad altre diocesi, seguono da tempo immemorabile il rito liturgico che da sant’Ambrogio prende il nome.

 

Il Lezionario

 

Fa proclamare i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 26,1-2.4.7-8; 54,12-14a; oppure Apocalisse 21,9a.c.-27; Salmo 67 (68); Epistola: 1 Corinzi 3,9-17; Vangelo: Giovanni 10,22-30. Alla Messa vigiliare del sabato, il Vangelo della risurrezione è preso da Giovanni 20,24-29. (Le orazioni e i canti sono propri della solennità nel Messale ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (26, 1-2.4.7-8; 54, 12-14a)

 

26,1In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: / «Abbiamo una città forte; / mura e bastioni egli ha posto a salvezza. / 2Aprite le porte: / entri una nazione giusta / che si mantiene fedele. / 4Confidate nel Signore sempre, / perché il Signore è una roccia eterna. / 7Il sentiero del giusto è diritto, / il cammino del giusto tu rendi piano. / 8Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi, / Signore, noi speriamo in te; / al tuo nome e al tuo ricordo / si volge tutto il nostro desiderio. /54,12Farò di rubini la tua merlatura, / le tue porte saranno di berilli, / tutta la tua cinta sarà di pietre preziose. / 13Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, / grande sarà la prosperità dei tuoi figli; / 14sarai fondata sulla giustizia».

 

Il brano risulta composto da alcuni versetti presi dal capitolo 26 e dal capitolo 54. I primi cantano Gerusalemme come «città forte» perché ripone la sua fiducia in Dio che è una «roccia eterna» (v. 4) e i cui abitanti vivono in base ai divini precetti (vv. 7-8). Nei vv.12-14 del cap. 54, il profeta annuncia la ricostruzione materiale di Gerusalemme (v. 12) e quella spirituale contrassegnata dalla rinnovata fedeltà dei suoi abitanti a Dio (vv. 13-14a).

 

Lettura del libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (21.9a.c-27)

 

Nel giorno del Signore, 9venne uno dei sette angeli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». 10L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. 13A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. 14Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.

15Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro per misurare la città, le sue porte e le sue mura. 16La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. 17Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall’angelo. 18Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. 19I basamenti delle mura della città sono adorni di ogni specie di pietre preziose. Il primo basamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, 20il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. 21E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta era formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.

22In essa non vidi alcun tempio: / il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello / sono il suo tempio. / 23La città non ha bisogno della luce del sole, / né della luce della luna: / la gloria di Dio la illumina / e la sua lampada è l’Agnello. / 24Le nazioni cammineranno alla sua luce, / e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. / 25Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, / perché non vi sarà più notte. / 26E porteranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni. / 27Non entrerà in essa nulla d’impuro, / né chi commette orrori o falsità, / ma solo quelli che sono scritti / nel libro della vita dell’Agnello.

 

L’avvio del brano: «Nel giorno del Signore», preso dal capitolo 1,10, inquadra la presente visione della «città santa» nel contesto liturgico domenicale che, com’è noto, è la massima manifestazione del mistero della Chiesa che è simultaneamente «la sposa dell’Agnello» (v. 9) e la «città santa» (v. 10). In particolare i vv. 10-17 si soffermano sulla descrizione delle mura e delle porte della città celeste per indicare come tutto, in essa, è conforme al volere divino (cfr. Ezechiele 48,30-35) mentre i vv. 18-21 descrivono la magnificenza della città stessa destinata ad attirare a sé le genti (cfr. Isaia 54,11-12). In essa non si trova alcun tempio in quanto abitata perennemente dalla presenza di Dio, l’Onnipotente, e dell’Agnello (v. 22). La loro presenza illumina la città (v. 23) al cui splendore sono attratte tutte le genti (v.24) che in esse potranno entrare liberamente (v. 26) a patto che siano «scritti nel libro della vita dell’Agnello» (v. 27) in quanto redenti dal sangue del Signore.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (3,9-17)

 

Fratelli, 9siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.
10Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. 11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, 13l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. 14Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. 15Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. 16Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? 17Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

 

Nel presente capitolo l’Apostolo corregge la mentalità della giovane comunità di Corinto a proposito dei personaggi come Apollo e lo stesso Paolo che si sono succeduti in essa nella predicazione del Vangelo. Per questo li paragona a dei «collaboratori di Dio» nel prendersi cura della comunità paragonata a un campo e a un edificio entrambi, però, appartenenti a Dio (v. 9). L’Apostolo è ben consapevole che la sua attività di fondazione e cura della comunità poggia su un fondamento «che già vi si trova» e che è Gesù Cristo (vv. 10-11). Nei vv. 12-15 l’Apostolo paragona i ministri del Vangelo a dei costruttori che riescono bene o male nell’edificazione della Chiesa a seconda che avranno costruito sul fondamento, ossia su Gesù Cristo, e non sopra sé stessi. Nei vv. 16-17 si riferisce alla comunità di Corinto designata come «tempio di Dio» abitato dal suo Spirito, tempio santo perché formato da santi quali sono i credenti. Contemporaneamente avverte che chi avrà disgregato la comunità, distogliendo i credenti dal Signore Gesù, sarà «distrutto da Dio».

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (10,22-30)

 

In quel tempo. 22Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

Il testo evangelico è inquadrato nella grande festa celebrata alla fine di dicembre (v. 22) per fare memoria della dedicazione del Tempio di Gerusalemme (164 a.C.), l’ultima nella sua storia, a opera di Giuda Maccabeo vincitore su Antioco IV che lo aveva profanato (cfr. 2 Maccabei 5,15-20). A Gesù si avvicinano i Giudei, ovvero i capi del popolo a lui ostili, e lo sollecitano a rivelare la sua identità messianica per essi presunta (vv. 23-24). Nella sua risposta Gesù smaschera la loro incredulità nella quale perseverano pur avendo visto compiere da lui le opere che lo accreditano come il Messia e spiega questa loro incredulità con il fatto di non essere del numero delle sue pecore, di quanti cioè, lo seguono attirati a lui dal Padre (vv. 25-26). I vv. 27-28 si soffermano sul rapporto di Gesù con quanti credono in lui avendo ascoltato la sua voce e, per questo da lui conosciuti ossia ammessi a un rapporto di comunione personale e profonda con lui e, tramite lui, con il Padre. Rapporto questo designato dall’evangelista con la nota espressione «vita eterna». I vv. 29-30, infine, contengono parole di rivelazione su Dio, il Padre, a cui i credenti appartengono e che egli consegna al Figlio. Si sottolinea con ciò l’identità di azione tra Gesù e il Padre che sottintende una comune partecipazione alla condizione divina: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (v. 30).

 

Commento liturgico-pastorale

   

Mentre guardiamo al nostro Duomo in questa domenica riservata a celebrare l’annuale memoria del giorno della sua dedicazione a Dio, veniamo spinti interiormente ad andare oltre la meravigliosa bellezza che contemplano i nostri occhi e afferra i nostri cuori, per scorgere e ammirare in esso e tramite esso il vero edificio, il vero tempio santo di Dio che siamo tutti noi fedeli di questa nostra Chiesa ambrosiana (cfr. Epistola: 1Corinzi 3,17).

Lo stupore ammirato che proviamo guardando al nostro Duomo ci aiuta a comprendere anzitutto la bellezza e la grandezza indicibili della Chiesa del Cielo verso la quale camminiamo e che ora intravediamo appena.

In essa trova pieno compimento la parola profetica che annunzia la costruzione di una «città forte» (Lettura: Isaia 26,1) messa al riparo da mura possenti e splendide e tuttavia aperta e accogliente e nella quale abita la giustizia e la pace (Isaia 54, 14).

È la visione che il Veggente ha «nel giorno di domenica» e nella quale contempla la «città santa» che discende dal Cielo, viene cioè da Dio (Lettura: Apocalisse 21,10), costruita con materiale e perle preziose (vv. 19-21), identificata, con l’immagine delle dodici colonne poste a suo fondamento, nella Chiesa radunata dalla predicazione e dalla testimonianza degli Apostoli che non cessa di attirare nuovi popoli che trovano in essa gioiosa e pronta accoglienza, significata dalle dodici porte che si aprono da ogni lato sulle sue mura (cfr. vv. 13-14).

Attraverso queste immagini davvero formidabili della città santa viene manifestato il grandioso disegno divino di radunare tutte le genti nell’unica Chiesa, destinato a realizzarsi in pienezza quando non ci sarà più questo cielo e questa terra e, tuttavia, già in via di compimento attraverso la predicazione evangelica in ogni angolo di questo mondo che, con la grazia di Dio, muove ancora uomini e donne alla fede, alla conversione, per farne autentici “cittadini” della città celeste.

In essa, inoltre, non c’è alcun Tempio in quanto dimora perenne di Dio e dell’Agnello (v. 22), né c’è bisogno di luce di sole o di luna perché la divina presenza tutta la pervade e la illumina di splendore (v.23).

A questa Chiesa del Cielo, pertanto, ci indirizza anzitutto l’odierna solennità la quale, però, ci aiuta a comprendere l’attuale nostra condizione di “cittadini del Cielo”, ma ancora dimoranti nella “città terrestre”, non certo splendida, sicura e accogliente come quella del Cielo.

Non a caso ci viene presentata nell’Epistola paolina una serie di immagini della Chiesa più adatta alla nostra attuale condizione, per molti aspetti simile a quella della giovane e fragile comunità ecclesiale di Corinto attraversata da situazioni conflittuali tipiche di questo nostro mondo. L’Apostolo, infatti, paragona i credenti a un campo o a un edificio, specificando bene che entrambi sono di Dio (cfr. 1Corinzi 3,9), di  esclusiva sua proprietà e pertanto lui, Paolo, come del resto ogni ministro della Chiesa, non sono che semplici collaboratori di Dio. Lui solo, infatti, è capace di far fruttificare il suo campo e vuole che la sua casa, la sua dimora, il suo Tempio che è la Chiesa, sia incessantemente edificata su un unico fondamento: Cristo Signore!

Quello di collaboratore di Dio è il servizio che vediamo svolgere nella nostra Chiesa anzitutto dal Vescovo e dai sacerdoti e dai diaconi suoi primi aiutanti. È il servizio prestato da tanti fratelli e sorelle nel campo dell’annuncio evangelico, della catechesi, della carità. Essi dovranno sempre tenere presente che la comunità è di Dio e, pertanto, dovranno compiere il loro servizio ben ancorati a Cristo Signore e modellandosi in tutto sul suo agire.

Il brano evangelico, infine, ci propone l’immagine a noi familiare delle pecore che «ascoltano la voce del pastore» il quale le conosce ad una ad una ed esse così lo seguono con fiducia (cfr. Vangelo: Giovanni 10,27). Nell’immagine delle pecore radunate attorno al pastore pieno di premura e di amore per esse, è facile intravedere la comunità dei credenti che è tale proprio perché Dio Padre ha aperto i cuori all’ascolto della voce del suo Figlio, riconosciuto non solo come il Messia che fa le opere stesse di Dio, ma proprio come il Figlio che è «una cosa sola» con il Padre (v. 30).

A quanti credono in lui, il Signore riserva la sua premurosa attenzione donando a essi la vita eterna, che nell’Evangelo di Giovanni designa la partecipazione e la comunione fin da ora alla vita divina che unisce il Padre e il Figlio nell’unità dello Spirito Santo. Comunione che nulla e nessuno potrà spezzare (cfr. vv. 28-29).

La Chiesa, dunque, è il gregge del Signore e i fedeli le pecorelle che il Signore continua a radunare facendo udire a esse la sua voce in primo luogo attraverso il ministero del Vescovo. Egli, successore degli Apostoli, garantisce alla sua Chiesa la trasmissione della fede in tutta la sua purezza e integrità e, tramite il suo servizio sacerdotale, Gesù continua a donare e a far crescere nei  suoi la vita eterna che viene a noi partecipata quando ci accostiamo alla mensa eucaristica del suo Corpo e del suo Sangue.

Di tutto ciò si fa interprete l’orazione Dopo la Comunione che così ci invita a pregare: «Il popolo a te consacrato, o Dio vivo e vero, ottenga i frutti e la gioia della tua benedizione e, poiché ha celebrato questo rito festoso, ne riceva i doni spirituali».

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14 ottobre 2012


VII domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore


L’ultima domenica “dopo il martirio di San Giovanni il Precursore” intende additare nella Chiesa un riflesso autentico del Regno, preparando in tal modo i fedeli alla solennità della Dedicazione del Duomo, la prossima domenica.

 


Il Lezionario

 

Propone i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 43,10-21; Salmo 120 (121); Epistola: 1 Corinzi 3,6-13; Vangelo: Matteo 13,24-43. Nella Messa vigiliare del sabato viene letto Gv 20,19-23 come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVIII domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (43,10-21)

 

10«Voi siete i miei testimoni – oracolo del Signore – / e il mio servo, che io mi sono scelto, / perché mi conosciate e crediate in me / e comprendiate che sono io. / Prima di me non fu formato alcun dio  / né dopo ce ne sarà. / 11Io, io sono il Signore, /  fuori di me non c’è salvatore. / 12Io ho annunciato e ho salvato, / mi sono fatto sentire / e non c’era tra voi alcun dio straniero. / Voi siete miei testimoni – oracolo del Signore – / e io sono Dio, / 13sempre il medesimo dall’eternità. / Nessuno può sottrarre nulla al mio potere: / chi può cambiare quanto io faccio?». / 14Così dice il Signore, / vostro redentore, il Santo d’Israele: / «Per amore vostro l’ho mandato contro Babilonia / e farò cadere tutte le loro spranghe, / e, quanto ai Caldei, muterò i loro clamori in lutto. / 15Io sono il Signore, il vostro Santo, / il creatore d’Israele, il vostro re». / 16Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare / e un sentiero in mezzo ad acque possenti, / 17che fece uscire carri e cavalli, /
esercito ed eroi a un tempo; / essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, / si spensero come un lucignolo, sono estinti: / 18«Non ricordate più le cose passate, / non pensate più alle cose antiche! / 19Ecco, io faccio una cosa nuova: / proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? / Aprirò anche nel deserto una strada, / immetterò fiumi nella steppa. / 20Mi glorificheranno le bestie selvatiche, / sciacalli e struzzi, / perché avrò fornito acqua al deserto, / fiumi alla steppa, / per dissetare il mio popolo, il mio eletto. / 21Il popolo che io ho plasmato per me / celebrerà le mie lodi.»

Il brano si inserisce nel più ampio contesto dell’annunzio della volontà di Dio di riscattare il suo popolo in esilio a Babilonia. Qui, in particolare, Dio prende a testimone il popolo degli esiliati e il misterioso personaggio del “servo” che si è scelto, e nel quale è lecito vedere il Messia, di quanto da lui compiuto in loro favore come unico loro Dio. Lui solo è Dio, non vi sono altri dei. Lui solo, infatti, ha scelto e liberato il suo popolo (vv. 10-13). I vv. 13-15 alludono a Ciro, re di Persia, che concede agli esuli in Babilonia di tornare in patria. Nel fare ciò il re agisce sotto l’ispirazione divina che vuole la liberazione d’Israele. I vv. 16-21, infine, rappresentano l’annunzio delle nuove meraviglie che Dio vuole operare a favore del suo popolo, in continuità con quelle compiute nella liberazione dall’Egitto (vv. 16-17)  e il segno sarà del tutto inedito: la fioritura del deserto che significa, più in profondità, la trasformazione interiore del popolo.  

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (3,6-13)

 

6Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. 7Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. 8Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. 9Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.
10Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. 11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia,
13l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno.

 

In questa sua lettera l’Apostolo risponde a domande e a situazioni particolari verificatesi nella giovane e turbolenta comunità cristiana di Corinto. Qui si affronta il problema del ruolo dei missionari del Vangelo che si sono succeduti nell’evangelizzazione e nella presidenza della comunità: Paolo che ha avviato la comunità stessa e Apollo che si è impegnato per renderla più solida nella fede (v. 6). Essi sono semplici servi e collaboratori di Dio il quale, soltanto, è in grado di far crescere nei cuori l’adesione di fede al Vangelo (vv. 7-9). Inoltre il predicatore del Vangelo deve stare ben attento a come costruisce l’edificio di Dio che è la Chiesa, tenendo presente che il fondamento su cui essa si regge è Gesù Cristo (vv. 10-13).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (13, 24-43)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù 24espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». 33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, / proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

 

Il brano evangelico oggi proclamato riporta tre delle “parabole del regno” che occupano l’intero tredicesimo capitolo. Si tratta della parabola della zizzania (vv. 24-30) che Gesù stesso spiega ai suoi discepoli una volta congedata la folla ed entrato «in casa», allusione, questa, alla Chiesa, la Comunità del Signore (vv. 36-43), della parabola del grano di senape (vv. 31-32) e di quella del lievito (v. 33). L’evangelista non manca di spiegare perché Gesù si serva del linguaggio parabolico per parlare alle folle del regno di Dio mediante il ricorso alla citazione del Salmo 78,2 (vv. 34-35).

 

 

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’immagine del Regno, di cui parlano le tre parabole del testo evangelico odierno, appartiene di per sé alla dimensione terrena, ma riceve un significato nuovo in quanto Gesù la assume per indicare la piena e definitiva sovranità di Dio sul mondo e sulla storia.

Di conseguenza, occorre andare oltre la categoria mondana e ben nota del regno e, a questo, provvede Gesù stesso ricorrendo al linguaggio parabolico. Egli infatti paragona il regno dei cieli «a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo» (Vangelo: Matteo 13,24). In quel seminatore riconosciamo Gesù stesso (v. 37) che nella sua esistenza terrena ha seminato il buon seme della sua Parola e della sua stessa vita come autentici “germogli” del regno destinato a manifestarsi in pienezza alla fine del mondo ossia nell’ora della sua parusia ovvero del suo secondo e definitivo ritorno per il giudizio (cfr. v. 30).

Gesù, dunque, nel mistero della sua incarnazione, morte, risurrezione e ritorno glorioso alla fine dei tempi “è” il regno dei cieli piantato come buon seme nel campo che è il mondo e, in esso, l’intera umanità. Esso, però, e quanti accogliendo il seme della sua Parola sono diventati a loro volta buon seme, deve fare i conti con un altro seme, quello della zizzania, un’erbaccia nella quale Gesù vede raffigurati i figli del Maligno intenti a impedire e a soffocare la crescita del seme buono dei credenti (v. 38). Nella zizzania sono raffigurati coloro che si lasciano sedurre dalla predicazione mondana che si oppone risolutamente a quella evangelica e vivono nell’incredulità e nella ricerca egoistica di sé che genera nell’uomo ogni sorta di male e di peccato.

Il messaggio altamente positivo che questa domenica fa risuonare al nostro cuore è che la semina del buon seme è fruttificata nella vita di tanti uomini e donne che, lungo i secoli, hanno accolto il Vangelo predicato da un’infinita serie di collaboratori di Dio e, a ragione, perciò, sono anche chiamati “campo di Dio” ed “edificio di Dio” (Epistola: 1 Corinzi 3,9).

Il campo e l’edificio di Dio, lo sappiamo, è la Chiesa, la comunità piantata e irrigata dai suoi collaboratori quali, in primo luogo, gli Apostoli e, dopo di essi, i Vescovi loro successori, e tutti i Missionari del Vangelo. Ma è Dio stesso a edificarla sul fondamento che è Gesù Cristo (v. 11) e a farla crescere e prosperare. Essa sa di essere, per grazia, un riflesso del regno dei cieli, ma è ben consapevole di dover  vivere e di svilupparsi in questo mondo accanto e insieme alla zizzania. La Chiesa, inoltre, sa di portare in sé la presenza autentica del regno ma nella consistenza di un granello di senape che «è il più piccolo di tutti i semi» (Matteo 13,32) o di una piccola porzione di lievito mescolato «in tre misure di farina» (v. 33).

Questa lezione che viene direttamente dalla bocca del Signore Gesù insegna alla sua comunità a ritenersi in effetti un germoglio del Regno, ma umile e piccolo e, perciò, tanto autentico quanto sa svilupparsi con pazienza accanto alla zizzania senza la tentazione di sostituirsi a Dio nel giudizio su di essa (cfr. vv. 28-30)!

In tal modo la comunità del Signore fa intravedere all’umanità e alla storia la novità profeticamente annunciata: «Ecco, io faccio una cosa nuova» (Lettura: Isaia 43,19) e già riscontrabile  proprio in essa, irrigata e dissetata dal fiume della Parola divina capace di far fiorire il deserto che è questo mondo arido, violento, pericoloso e addirittura di trasformare la zizzania in buon grano da riporre nei granai del cielo e, dunque, di fare dell’intera umanità il “suo” popolo, quello “eletto”, perché canti le sue lodi (cfr. vv. 20-21).

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7 ottobre 2012


7 ottobre 2012 - VI domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

 

Celebra la grandezza di Dio che, per pura grazia, chiama incessantemente, da tutti i popoli e da ogni condizione di vita, uomini e donne, a divenire “discepoli” del Regno inaugurato in terra dal suo Figlio, il Signore Gesù.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 45,20-24a; Salmo 64 (65); Epistola: Efesini 2,5c-13; Vangelo: Matteo 20,1-16. Nella Messa vespertina del sabato, il Vangelo della Risurrezione è preso da Luca 24,13b.36-48. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVII domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (45,20-24a)

 

Così dice il Signore Dio: / «20Radunatevi e venite, / avvicinatevi tutti insieme, / superstiti delle nazioni! / Non comprendono quelli che portano / un loro idolo di legno / e pregano un dio / che non può salvare. / 21Raccontate, presentate le prove, / consigliatevi pure insieme! / Chi ha fatto sentire ciò da molto tempo / e chi l’ha raccontato fin da allora? / Non sono forse io, il Signore? / Fuori di me non c’è altro dio; / un dio giusto e salvatore / non c’è all’infuori di me. / 22Volgetevi a me e sarete salvi, / voi tutti confini della terra, / perché io sono Dio, non ce n’è altri. / 23Lo giuro su me stesso, / dalla mia bocca esce la giustizia, / una parola che non torna indietro: / davanti a me si piegherà ogni ginocchio, / per me giurerà ogni lingua». / 24Si dirà: «Solo nel Signore / si trovano giustizia e potenza!».

 

I versetti oggi proclamati fanno seguito alla dichiarazione riguardante la bontà della creazione voluta da Dio (vv. 18-19) e contengono l’invito rivolto ai popoli a ritornare a lui, la contestazione del culto idolatrico e la riaffermazione della sua unicità. Lui solo, al contrario degli idoli, è un Dio «giusto e salvatore» (vv. 20-21), in grado cioè di agire efficacemente in favore di chi crede in lui. Per questo invita tutte le genti a volgersi a lui, fedele alla sua parola e nel recare salvezza (vv. 22-24a).

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (2,5c-13)

 

Fratelli, 5cper grazia siete salvati. 6Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, 7per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.

8Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. 10Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

11Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani nella carne, chiamati non circoncisi da quelli che si dicono circoncisi perché resi tali nella carne per mano d’uomo, 12ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. 13Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

 

L’Apostolo sta mettendo in luce il risultato concreto della salvezza ottenuta come grazia gratis data e che fa partecipi, fin da adesso, i credenti del contenuto salvifico proprio della risurrezione e dell’esaltazione del Signore Gesù alla destra di Dio (v. 5c-6), ovvero della sua Pasqua. In ciò si manifesta la bontà divina che, in Gesù, offre salvezza come dono al di là di ogni merito e dà la possibilità di compiere le stesse opere del suo Figlio a lui gradite (vv. 7-10). Nei vv. 11-13 l’Apostolo evidenzia la condizione miserabile dei «pagani nella carne», ossia dei non appartenenti al popolo di Dio, dalla quale, «grazie al sangue di Cristo», sono stati tratti per poter partecipare anch’essi alla promessa fatta a Israele.

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (20,1-16)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «1Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

 

Il brano evangelico, introdotto dalla formula: «Il regno dei cieli è simile a» (v. 1a), riporta una delle parabole più avvincenti relative al Regno! Il racconto, nella sua prima parte (vv. 1b-7), è chiaramente imperniato sulle prime quattro uscite del padrone della vigna per assumere operai con i quali concorda un congruo compenso per il lavoro svolto (vv. 1b-5) e su una quinta e ultima uscita intorno alle cinque del pomeriggio, dunque a giornata lavorativa quasi conclusa, senza però concordare il compenso (vv. 6-7). La seconda parte (vv. 8-15) è introdotta dalla connotazione temporale: «venuta la sera» e dall’ordine impartito dal padrone al suo amministratore di effettuare il pagamento degli operai «cominciando però dagli ultimi» (vv. 8-9). Il v. 12 registra la protesta degli operai della prima ora nel constatare di essere pagati come quelli che «hanno lavorato un’ora sola». I vv. 13-15 riportano la risposta del padrone che rende ragione del suo operato apparentemente ingiusto e nel quale, in verità, si cela l’agire di Dio sorprendentemente buono e generoso con tutti specialmente se considerati ultimi e peccatori . Viene in tal modo superato il concetto di giustizia concepito come precisa corrispondenza tra diritti e doveri. Non è così presso Dio! Il brano si conclude al v. 16 con la nota riguardante la classificazione di primi e ultimi agli occhi di Dio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa domenica le divine Scritture tracciano un profilo del discepolo del Signore chiamato da tutti i popoli e da tutte le culture, come afferma il testo profetico, e a «tutte le ore», come intendiamo dalla parabola evangelica.

Con ciò è evidente la gratuità totale della nostra chiamata, dalla miseranda nostra condizione di “pagani” a seguire il Signore come insegna l’Epistola paolina! Ed è proprio la gratuità inspiegabile della grazia divina all’origine dell’appello rivolto ai «superstiti delle nazioni» a volgersi a Dio per ottenere salvezza (Lettura: Isaia 45,20).

Una gratuità che è rivelata in pienezza e definitivamente dal Signore Gesù che manifesta un Dio non legato a schemi mondani del merito e della ricompensa, ma assolutamente disposto a fare grazia, a offrire la sua salvezza a tutti con particolare preferenza per quanti, dal citato schema mondano, sono considerati immeritevoli e, dunque, esclusi.

Gesù chiede a tutti noi di accogliere Dio così com’è: buono! (v. 15) rifuggendo da ogni tentativo di avere qualcosa da rivendicare davanti a lui e dal covare risentimento nell’animo per il suo agire umanamente incomprensibile.

È una lezione imparata personalmente dall’Apostolo e che egli non cessa di impartire nelle sue Lettere, quella che vede i «senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio» (Epistola: Efesini 2,12), vale a dire la moltitudine dei popoli pagani ritenuti «lontani» e ora «diventati vicini grazie al sangue di Cristo» (v. 13) e dunque pienamente partecipi della salvezza operata nella sua Pasqua (v. 6).

È la lezione che nessuno di noi può e deve dimenticare. Al contrario, in questi nostri giorni attraversati da tanta incertezza e inquietudine, occorre annunciare con gioia la grandezza del nostro Dio che fa di tutto per mostrare, fino alla fine dei secoli, la «straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù» (v. 7).

Via da noi, pertanto, quella mentalità tanto cara al nostro modo di vedere le cose e che vorrebbe persino “regolare” l’agire di Dio costringendolo nei nostri schemi. Deve essere a tutti chiaro che nessun uomo può reclamare qualcosa o pensare di avere qualche credito da vantare davanti a lui. Il fatto di essere stati chiamati alla fede , a far parte della Chiesa e, perciò, a divenire “candidati” del Regno, non è frutto dei nostri meriti ma dono esclusivo di Dio. Un dono che egli vuole partecipare al maggior numero di uomini perché frutto nientemeno che del sangue del suo Figlio, nel quale brilla la sua bontà che lo porta a essere generoso con tutti e specialmente con quanti secondo i criteri umani di giudizio non sono meritevoli di ciò.

Tocca alla Chiesa perseverare nell’incessante gioiosa proclamazione della bontà di Dio che apre a tutti le porte del suo Regno. Si realizzerà così il desiderio profondo del cuore paterno di Dio svelato dalla parola profetica: «Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti i confini della terra» (Isaia 45,22). Per questo, prima di accostarci alla mensa eucaristica che annunzia quella del Regno, abbiamo così pregato: «Annunzierò, o Dio, le tue gesta mirabili, gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo» (Canto Allo Spezzare del Pane).

 

 

 

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30 settembre 2012


30 settembre 2012 – V domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

 

 

Fa risuonare con forza nella Chiesa il comandamento dell’amore, quale norma unica e suprema data da Gesù alla sua comunità e valida per tutti i tempi.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti testi della scrittura: Lettura: Deuteronomio 6,1-9; Salmo 118 (119); Epistola: Romani 13,8-14a; Vangelo: Luca 10,25-37. Alla Messa vigiliare del sabato si proclama: Luca 24,13-35 come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVI domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro del Deuteronomio (6,1-9)

 

In quei giorni. Mosè disse: «1Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso; 2perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. 3Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto.

4Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. 5Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. 6Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. 7Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. 8Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi 9e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».

 

Il brano, che ruota attorno al comandamento dell’amore per Dio, è introdotto, ai vv. 1-3, dall’esortazione a temere il Signore, a rimanere cioè fedeli ai suoi comandi come condizione per avere una vita lunga e serena. Il grande comandamento è inoltre preceduto dall’invito ad ascoltare la proclamazione di fede riguardante Dio, unico Signore (v. 4). Si tratta del nucleo essenziale della professione di fede del giudaismo sulla quale si poggia il precetto di amare il Signore con una totale dedizione a lui (v. 5). I vv. 7-9, infine, contengono una serie pratica di suggerimenti volti a favorire la perseveranza nel tener fede al comando del Signore.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (13,8-14a)

 

Fratelli, 8non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». 10La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

11E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.

 

Il brano fa parte della sezione “pratica” della lettera, nella quale l’Apostolo offre concrete indicazioni per la vita cristiana: 12,1-15,13. È il caso dei vv. 8-10, nei quali con riferimento a Esodo 20,13-17 e Levitico 19,18 pone al centro dell’impegno di vita cristiana l’esigenza dell’amore vicendevole come adempimento dei divini precetti. I vv. 11.14, infine, esortano a vivere nella prospettiva pasquale della risurrezione del Signore che ha inaugurato gli ultimi tempi e che esigono perciò, da parte del credente, una condotta aliena dalle «opere delle tenebre» e del tutto conforme a quella del Signore del quale, nel battesimo, è stato rivestito.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (10,25-37)

 

In quel tempo. 25Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova il Signore Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

Il testo evangelico registra, nella prima parte (v. 25-28), la risposta data da Gesù a un dottore della Legge che lo interroga «su cosa devo fare per ereditare la vita eterna» (v. 25) rimandandolo a quanto afferma, al riguardo, la Scrittura. Il dottore della Legge cita, per questo, Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18, attinenti al grande precetto dell’amore di Dio e del prossimo (v. 27). La seconda parte (vv. 29-37) risponde alla domanda: «E chi è mio prossimo?» (v. 29) ossia come applicare in concreto tale precetto e Gesù, per questo, si serve di una parabola che è avviata dalla situazione di urgente bisogno di aiuto da parte di un uomo caduto nelle mani dei briganti e lasciato sulla strada mezzo morto (v. 30). Entrano allora in scena rispettivamente un sacerdote e un levita che alla vista del malcapitato passano oltre (vv. 31-32) mentre è un samaritano, che il dottore della Legge non può considerare suo “prossimo” perché eretico e peccatore, ad avvertire per il malcapitato compassione, che è il sentimento attribuito dalla Bibbia a Dio stesso nei confronti dei deboli e dei poveri e, più volte, manifestato anche da Gesù. I vv. 34-35, perciò, descrivono accuratamente i gesti del samaritano che si prende cura del ferito. A questo punto è possibile rispondere alla domanda del versetto 29 che Gesù lascia al suo interlocutore invitato, dunque, a fare la stessa cosa (vv. 36-37) per ottenere la vita eterna, ossia la salvezza (cfr. v. 25).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Ci viene oggi presentata la regola fondamentale e il precetto “unico” che il Signore dà alla sua comunità e che essa è chiamata a testimoniare in quanto tale e nella condotta dei suoi componenti. 

Nell’Antico Testamento Dio stesso, attraverso Mosè, ha dato comandi, leggi e norme al suo popolo da mettere in pratica «perchè tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele» (Lettura: Deuteronomio 6,3). Essi erano come riassunti nel precetto di tutti i precetti: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (v. 5), integrato con l’amore del «tuo prossimo come te stesso» (cfr. Levitico 19,18 citato nel testo evangelico al v. 27).

Gesù stesso indica nell’osservanza di questi due precetti la strada sicura per «ereditare la vita eterna» (Vangelo: Luca 10,25), per ottenere, cioè, la salvezza. Se l’osservanza dei precetti nell’antica alleanza garantiva una vita lunga e felice nel possesso della terra o in una numerosa discendenza (cfr. Deuteronomio 6,3), ora l’osservanza del precetto dell’amore di Dio e del prossimo garantisce la “vita” (cfr. Luca 10,28) ossia la partecipazione personale irrevocabile alla vita divina.

Occorre però precisare che, tra i contemporanei di Gesù, il termine prossimo si riferiva sostanzialmente ai membri del popolo di Dio, dal quale erano certamente esclusi i popoli pagani, ma anche i Samaritani a motivo della loro contaminazione con popolazioni idolatriche e della osservanza religiosa intrisa di usanze ritenute eretiche.

Risulta perciò scandaloso l’aver concretizzato in un Samaritano l’unico che si ferma a soccorrere il malcapitato (vv. 33-35), capace di superare ogni confine culturale, razziale, politico, religioso, la risposta alla domanda: «E chi è il mio prossimo?» (v. 29).  In tal modo il Maestro impartisce ai suoi discepoli una lezione valida sempre e ovunque: ogni uomo è il mio prossimo, verso il quale sono legato dal vincolo di carità a cui mi avvince il precetto divino. Nel rinnovato impegno di predicazione del Vangelo e di testimonianza di fede a cui è sollecitata la Chiesa e, dunque, ogni fedele, occorre tenere ben presente che il loro successo dipende dalla grazia di Dio ed è largamente propiziato dall’osservanza del precetto della carità a partire dalle nostre comunità. Non giova, infatti, allo sforzo missionario lo spettacolo di comunità ecclesiali divise al loro interno, vittime della mentalità di questo mondo che predica l’esclusione, la distinzione e rifiuta l’inclusione, la solidarietà, l’accoglienza. La lezione impartita dal nostro unico Maestro su “chi è il mio prossimo”, deve aiutarci a respingere istintivamente ogni insegnamento contrario, a fuggire da chi predica con sfrontatezza diabolica sulle nostre piazze, specialmente virtuali, discriminazione, avversione, disprezzo verso l’altro ritenuto diverso, quindi, nemico e a percorrere, invece, con la grazia del suo Spirito, la via della carità del tutto gratuita e incondizionata.

Una via di per sé impraticabile con l’ausilio delle sole forze umane, ma percorribile per grazia, come ha ben compreso la preghiera liturgica: «Infondi, o Dio, nei tuoi figli una grande e forte capacità di amare, perché sappiano serbarsi fedeli all’insegnamento del vangelo e possano vivere nella carità e nella pace» (Orazione Sui Doni). È così possibile superare l’innata nostra inclinazione all’individualismo egocentrico e all’amore esclusivo di sé ed assumere i sentimenti e gli atteggiamenti del Signore Gesù che è venuto dal Cielo come “buon samaritano” dell’intera umanità caduta in balia del potere del male e da esso sfigurata.

Sentimenti e atteggiamenti che ci è dato di rivestire nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore,  il quale ci abilita gradatamente a vivere nella disponibilità al dono di sé, sul suo esempio. Di tutto ciò, oggi più che mai, dobbiamo avere grande consapevolezza: chi mangia il Corpo del Signore e beve il suo Sangue assume di fatto la disponibilità e la capacità di fare di sé, al pari di Gesù, un dono per ogni uomo “suo prossimo”!

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23 settembre 2012

Celebra ed esalta la continua presenza del Signore Gesù nella Chiesa quale Pane di vita.

 

Il Lezionario

 

Prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: 1 Re 19,4-8; Salmo 33 (34); Epistola: 1 Corinzi 11,23-26; Vangelo: Giovanni 6,41-51. Giovanni 20,11-18 viene proclamato nella Messa vigiliare del Sabato come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXV domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del primo libro dei Re (19,4-8)

 

In quei giorni. 4Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». 5Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». 6Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. 7Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». 8Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

 

Il v. 4 evoca la fuga precipitosa del profeta Elia per mettersi in salvo dal proposito di vendetta della regina Gezabele avvertita di quanto era avvenuto ai profeti di Baal sul monte Carmelo (cfr. 1Re 18,20-40). I vv. 5-7 riferiscono del cibo che viene offerto due volte al Profeta da un angelo per sostenere il suo cammino, ossia la sua attività profetica. Il v. 8 sottolinea l’energia eccezionale conferita da quel cibo al profeta capace di sostenerlo «per quaranta giorni e quaranta notti».

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (11,23-26)

 

Fratelli, 23io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

 

Il brano rappresenta il primo racconto scritto dell’istituzione dell’Eucaristia che l’Apostolo afferma di aver ricevuto dal Signore e che contempla le parole da lui pronunciate sul pane (v. 24) e sul calice (v. 25), dichiarati rispettivamente il «suo corpo» e «nuova alleanza» nel suo sangue, con l’ingiunzione di reiterare il gesto da lui compiuto «in memoria di me» ( v. 24. v. 25). Il v. 26, infine, afferma che il pasto eucaristico è, di fatto, attivazione della morte salvifica del Signore sino alla sua seconda e definitiva venuta.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (6,41,51)

In quel tempo. 41I Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

Il brano fa parte del discorso sul pane della vita (Giovanni 6,25-71) preparato dal segno prodigioso del pasto dato a cinquemila uomini (6,5-15). Qui ai vv. 41-42 viene riportata l’obiezione dei Giudei riguardante la precedente autoproclamazione di Gesù quale pane della vita (v. 35) e circa la sua origine celeste (v. 38). Nella sua risposta (v. 43) il Signore invita anzitutto i suoi interlocutori a non mormorare, con allusione a ciò che fecero i loro padri nel deserto (cfr. Esodo 16,2 ss.) e afferma che la fede in lui, indicata con l’espressione «venire a me» (v. 44), è frutto dell’«attrazione» che Dio accende nei cuori. Tale attrazione è attivata nei cuori con l’ascolto e la conseguente sequela della Parola di Dio (v.45; cfr. Isaia 54,13). La prima parte del discorso si conclude al v. 47 con l’affermazione riguardante il godimento già da questa vita della vita eterna da parte di quanti, attirati dal Padre, credono nel Signore Gesù.

Nella seconda parte torna l’autoaffermazione di Gesù: «Io sono il pane della vita» (v. 48. e v. 51) seguita dalla memoria di ciò che avvenne nel deserto con il dono della manna (cfr. Esodo, 16). Al contrario di essa, l’effetto prodotto in colui che mangia il pane dato da Gesù è la possibilità di sfuggire alla morte, da intendere anzitutto come rovina eterna (v. 50); affermazione poi ribadita al v. 51 con l’annuncio che egli morirà per dare la vita al mondo. Questa vita, che è eterna, perché partecipazione alla vita divina, è ricevuta con il «mangiare il pane» che Gesù afferma essere la sua «carne», ovvero la sua persona nella pienezza della natura divina e della natura umana che egli ha assunto una volta disceso dal cielo, vale a dire nel mistero della sua incarnazione.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa domenica l’ascolto delle divine Scritture illumina il nostro essere radunati per compiere ciò che ci è stato trasmesso dagli Apostoli: «spezzare il pane» e «bere al calice» in memoria di ciò che Gesù fece nella cena pasquale di addio consumata la vigilia della sua morte sulla Croce (cfr. Epistola: 1 Corinzi 11,23-25).

Croce che noi con fede piena annunciamo mentre mangiamo il pane e beviamo al calice del Sangue del Signore, nuova e definitiva alleanza che unisce in un vincolo indistruttibile e insuperabile Dio e l’uomo! 

Nell’ascolto che diviene accoglienza di fede e di amore delle celesti Parole, il Padre pone nei nostri cuori un’irresistibile attrazione nei confronti del suo unico Figlio, di Gesù, che egli ha mandato a noi come «pane disceso dal cielo» (Vangelo: Giovanni 6,41).

Egli, infatti, ci nutre anzitutto con la parola, che ci rivela il Padre invisibile e inaccessibile. Nessuno, infatti, può vedere il Padre eccetto «colui che viene dal Padre» (v. 46). Egli, dunque, ci parla della relazione filiale che viene proposta a quanti credono e accolgono la sua bella e, buona notizia. È proprio quella relazione che, a motivo della fede ci trasforma in figli, la vita eterna promessa dal Signore e che già ora è possibile sperimentare in tutta verità (v. 47).

Oltre che con la Parola Gesù ci nutre di sé stesso. Il pane che lui prese tra le sue mani nell’ultima cena è, in verità, il suo corpo, ossia la sua persona nella sua totalità, nell’atto di consegnarsi alla morte a favore nostro e al nostro posto (1Corinzi 11,23-24). Il calice che Gesù tenne nelle sue mani «dopo aver cenato» è la coppa che contiene il suo sangue nel quale viene sigillata l’alleanza, quella ultima tra Dio e l’uomo (v. 25). Perciò nulla noi possediamo di più sacro che il pane e il vino della mensa eucaristica ed è ciò che più di ogni altra cosa ci preme trasmettere (1Corinzi 11,23) agli uomini per farne dei credenti!

Nel pane e nel vino dell’altare è racchiuso infatti il tesoro della nostra salvezza e in esso alimentiamo quella vita eterna, che la fede ha già deposto nei nostri cuori, fino alla fine del cammino, vale a dire del nostro viaggio terreno verso il «monte di Dio» (Lettura: 1Re 19,8). Nessuno di noi, infatti, può sopravvivere in questo difficile viaggio senza mangiare e bere il pane e il vino della mensa preparataci da Dio stesso. Come per il profeta, anche per ogni uomo infatti «è troppo lungo il cammino» (v. 7). Tutto ciò deve sostenere ogni giorno e in ogni tempo l’incessante pellegrinare della Chiesa e di ogni singolo fedele verso la pienezza della vita. Una cosa è certa: non siamo abbandonati a noi stessi tra le difficoltà e le prove anche terribili che la vita può riservarci e tra i flutti impetuosi dei cambiamenti storici e culturali dai quali pare ad ogni istante di venire sommersi. Abbiamo, in verità, tutto ciò che serve per non cadere nello sconforto e nell’angoscia mortale già sperimentata dal profeta in marcia nel deserto (cfr. 1Re 19,4). Siamo infatti ben equipaggiati: la Parola del Dio vivente e il suo Pane! Non ci resta che “alzarci” dal nostro torpore spirituale e dalle nostre paure e deciderci a “mangiare”. La mensa della Parola e del Pane di vita eterna, infatti, è sempre imbandita per noi.

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16 settembre 2012


III Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

Insiste sulla tematica riguardante il Signore Gesù Cristo, il Figlio Unigenito di Dio disceso dal cielo per portare al mondo la sua testimonianza su Dio,  ovvero la rivelazione del Padre.

 

Il Lezionario

 

Vengono oggi proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 32,15-20; Salmo 50 (51); Epistola: Romani 5,5b-11; Vangelo: Giovanni 3,1-13. Alla Messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Matteo 28,8-10. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIV domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (32,15-20)

 

In quei giorni. Isaia parlò, dicendo: / «15In noi sarà infuso uno spirito dall’alto; / allora il deserto diventerà un giardino / e il giardino sarà considerato una selva. / 16Nel deserto prenderà dimora il   diritto / e la giustizia regnerà nel giardino. / 17Praticare la giustizia darà pace, / onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre. / 18Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, / in luoghi sicuri, / 19anche se la selva cadrà / e la città sarà sprofondata. 20 Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli / e lascerete in libertà buoi e asini».

 

Il testo profetico annuncia l’arrivo di nuovi tempi contrassegnati dall’effusione dello spirito (v. 15). Essi sono presentati con l’immagine del deserto fiorito dove verrà praticata la giustizia e la pace (vv. 16-17) favorendo così l’avvio di un’era di serenità e prosperità per il popolo e per il creato, grazie anche alla caduta della città ribelle, simbolo del male (vv. 18-20).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5,5b-11)

 

Fratelli, 5bl’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

6Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. 7Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. 8Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. 10Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. 11Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.

 

In questa seconda sezione della prima parte della sua lettera (5,1-8,39), l’Apostolo intende descrivere l’esperienza dell’uomo giustificato da Dio per grazia. Nei vv. 6-8 Paolo mostra la concretezza dell’amore di Dio nel fatto che Cristo è morto «mentre eravamo ancora peccatori» e, di conseguenza, meritevoli della sua “ira”, dalla quale ci scampa il sangue del Signore (v. 9). I vv. 10-11, infine, parlano della meravigliosa prospettiva che si apre per quanti sono già stati riconciliati, grazie al dono che Gesù fa della sua vita.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (3,1-13)

 

In quel tempo. 1Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. 2Costui andò dal Signore Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui».
3Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».

4Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. 7Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. 8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

9Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». 10Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? 11In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo».

 

I vv. 1-2a introducono il racconto del colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo, un fariseo evidentemente non pregiudizialmente contrario al Signore. Segue il resoconto del dialogo tra i due (vv. 2b-12)  che registra un primo vertice nella parola di rivelazione relativa alla nuova nascita «dall’alto» (vv. 3-7) e in quella in cui Gesù esorta il suo interlocutore ad accogliere la testimonianza che lui dà di ciò che sa e di ciò che ha visto presso il Padre (vv. 8-11). Nel v. 12 Gesù annuncia che non si limiterà a rivelare «cose della terra», ossia alla portata del suo interlocutore in quanto già presenti nelle Scritture, ma che rivelerà «cose del cielo» che il v. 13 ci fa capire trattarsi del destino del Figlio dell’uomo che è «disceso dal cielo».

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questi giorni del Tempo dopo Pentecoste, caratterizzati dal “martirio” del Precursore del Signore, richiamano ogni anno la comunità dei credenti al suo primo impegno: dare al mondo, sotto l’impulso dello Spirito Santo la  testimonianza al Signore Gesù Cristo annunziando il suo Vangelo reso al vivo nella vita dei fedeli.

Di conseguenza questo tempo liturgico esorta la Chiesa ad accogliere, con fede sempre più aperta, la testimonianza che Dio stesso, tramite le divine Scritture, offre al Signore Gesù, il suo Figlio Unigenito che è venuto a noi «dall’alto»: da lui !  

Egli è l’unico in grado di “parlare”, ossia di rivelare Dio in quanto, proprio come Figlio, “conosce” Dio e “vede” Dio così come egli è! Gesù, dunque, entrando nel mondo, “testimonia” con autorevolezza ciò che sa e ciò che ha visto “venendo da Dio” non solo “come maestro” (cfr. Vangelo: Giovanni 3,2), ma soprattutto nella sua qualità di Figlio!

Queste sono «le cose del cielo» (v. 12) a cui i credenti hanno prestato fede. Ciò è possibile perché essi, rinati «da acqua e da spirito» (v. 5), non sono più soltanto “carne”, ma sono diventati anch’essi “spirito” (v.6), in grado, perciò, di credere nelle «cose del cielo» (v. 12) e di riconoscere che colui che è «disceso dal cielo» divenendo uno di noi, è venuto a rivelare l’amore di Dio per l’uomo.

Una rivelazione sbalorditiva perché, come afferma l’Apostolo, Dio riversa il suo amore non tanto sui giusti, ma sugli empi e sui peccatori (Epistola: Romani 5,6-8), e il suo amore è visibile e tangibile nella Croce del suo Unico Figlio, sulla quale muore offrendo la sua vita per empi, peccatori e nemici, ossia l’intera umanità meritevole pertanto dell’ “ira” divina distruttiva del male e del peccato.

Nel suo Unigenito, perciò, Dio ha riconciliato a sé il mondo e ha «riversato il suo amore per mezzo dello Spirito» del suo Figlio, portando così a compimento quanto era stato annunziato dal Profeta: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto» (Lettura: Isaia 32,15).

È lo Spirito che trasforma gli uomini in figli destinati alla salvezza mediante l’offerta che il Figlio Crocifisso e Risorto fa della sua vita e che il profeta annuncia mediante l’immagine poetica della trasformazione del deserto in un giardino e una selva dove regnano il diritto e la giustizia (v. 16).

È questa la testimonianza che la Chiesa deve dare al mondo, facilmente assimilabile a un arido deserto a motivo dell’incredulità che genera indifferenza nei confronti di Dio e del prossimo, con conseguente ripiegamento del cuore umano nel suo io cattivo. Una simile testimonianza è resa possibile dal momento che i fedeli, avendo accolto con fede Gesù e la sua parola di rivelazione, sperimentano personalmente la condizione di gente giustificata, riconciliata e salvata mediante la vita del Signore Gesù a essi partecipata nella rigenerazione battesimale “dall’alto” e continuamente ravvivata e accresciuta nella comunione al suo Corpo e al suo Sangue. È questa la realtà misteriosa dalla quale la Chiesa trae di continuo la forza di testimoniare, specialmente nella vita dei suoi membri, l’amore di Dio che, nel suo Figlio, giustifica, riconcilia e salva trasformando peccatori  ed empi in figli la cui dimora di pace è il suo stesso Cuore di Padre.

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9 Settembre 2012


II Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

 

Pone in rilievo la rivelazione del “volto” di Dio nel suo Figlio, il Signore Gesù Cristo, al quale le Scritture danno testimonianza.

 

Il Lezionario

 

Propone i seguenti testi biblici: Lettura: Isaia 63,7-17; Salmo 79 (80); Epistola: Ebrei 3,1-6; Vangelo: Giovanni 5,37-47. Il Vangelo della Risurrezione per la Messa vigiliare del sabato è preso da: Giovanni 20,1-8. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIII domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (63,7-17)

 

In quei giorni. Isaia parlò, dicendo: / «7Voglio ricordare i benefici del Signore, / le glorie del Signore, / quanto egli ha fatto per noi. / Egli è grande in bontà per la casa d’Israele. / Egli ci trattò secondo la sua misericordia, / secondo la grandezza della sua grazia. / 8Disse: “Certo, essi sono il mio popolo, / figli che non deluderanno”, / e fu per loro un salvatore / 9in tutte le loro tribolazioni. / Non un inviato né un angelo, / ma egli stesso li ha salvati; / con amore e compassione li ha riscattati, / li ha sollevati e portati su di sé, / tutti i giorni del passato. / 10Ma essi si ribellarono
e contristarono il suo santo spirito. / Egli perciò divenne loro nemico / e mosse loro guerra. / 11Allora si ricordarono dei giorni antichi, / di Mosè suo servo. / Dov’è colui che lo fece salire dal mare / con il pastore del suo gregge? / Dov’è colui che gli pose nell’intimo / il suo santo spirito, /
12colui che fece camminare alla destra di Mosè / il suo braccio glorioso,/ che divise le acque davanti a loro / acquistandosi un nome eterno, / 13colui che li fece avanzare tra i flutti / come un cavallo nella steppa? / Non inciamparono, / 14come armento che scende per la valle: / lo spirito del Signore li guidava al riposo. / Così tu conducesti il tuo popolo, / per acquistarti un nome glorioso. / 15Guarda dal cielo e osserva / dalla tua dimora santa e gloriosa / Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, / il fremito delle tue viscere / e la tua misericordia? / Non forzarti all’insensibilità,
16perché tu sei nostro padre, / poiché Abramo non ci riconosce / e Israele non si ricorda di noi. /
Tu, Signore, sei nostro padre, / da sempre ti chiami nostro redentore. / 17Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie / e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? / Ritorna per amore dei tuoi servi, / per amore delle tribù, tua eredità».

 

Il brano fa parte della supplica che il popolo eleva a Dio prendendo coscienza del proprio peccato. Viene anzitutto fatta “memoria” delle grandi cose compiute da Dio in suo favore lungo il cammino della storia, in particolare della liberazione dall’Egitto, ma anche del peccato che ha contristato l’Altissimo (vv. 7-14). I vv. 15-17 riportano alcuni tratti finali della supplica rivolta a Dio, considerato come padre, perché torni ad amare e a proteggere il suo popolo.

 

Lettera agli Ebrei (3,1-6)

 

1Fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo, 2il quale è degno di fede per colui che l’ha costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa.3Ma, in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. 4Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. 5In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi. 6Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.

Il brano intende mettere in luce la superiorità di Gesù rispetto a Mosè. Gesù viene qualificato come «apostolo e sommo sacerdote» (v. 1) ovvero come l’inviato da Dio per rivelare in pienezza la fede e come mediatore tra Dio e gli uomini e non per il solo Israele come avvenne con Mosè (vv. 1-2). La superiorità di Gesù, inoltre, si poggia sul fatto che, mentre Mosè fu considerato «degno di fede» tra il popolo in qualità di servitore di Dio, Egli lo fu «come figlio» posto a capo della «sua casa», che è la comunità dei credenti (vv. 3-6).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (5,37-47)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «37Anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. 40Ma voi non volete venire a me per avere vita.

41Io non ricevo gloria dagli uomini. 42Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. 43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?

45Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

 

Il testo è preso dalla seconda parte, quella conclusiva, del grande discorso di rivelazione contenuto nel quinto capitolo dell’evangelo di Giovanni. In particolare i vv. 37-38 parlano della testimonianza resa a Gesù dal Padre perché il popolo lo riconoscesse come suo inviato, ma invano. I vv. 39-47 introducono il tema della testimonianza che le stesse Scritture offrono a Gesù. Queste, oggetto di investigazione appassionata da parte di Israele, rimangono incapaci di comunicare la salvezza a causa del rifiuto di riconoscere che esse parlano di Cristo (vv. 39-40). Nei vv. 41-44 Gesù denuncia l’atteggiamento interiore con il quale Israele accosta le Scritture e che, di fatto, gli impedisce di cogliere il rimando a lui. Israele, in pratica, si fissa su una comprensione del tutto chiusa in sé stessa, che qui è resa con l’espressione: prendere «gloria gli uni dagli altri» (v. 44), e per niente pronta a ricercare la «gloria che proviene dal Dio unico» (v. 44). Nei vv. 45-47 Gesù mette in guardia dal rischio di essere accusati davanti a Dio proprio dalle Scritture qui impersonificate da Mosè.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Anche questa II Domenica dopo il martirio del Precursore intende mettere in primo piano la più completa identità di Gesù quale Figlio unigenito di Dio il quale, come abbiamo imparato dall’ascolto delle Scritture nelle scorse domeniche del Tempo “dopo Pentecoste”, porta a compimento nella sua Persona e nell’evento della sua Pasqua il graduale dispiegarsi della storia della salvezza con i personaggi e gli eventi che l’hanno segnata.

Sono proprio le Scritture a dare a Gesù la testimonianza della sua eminente superiorità su quanto e su chi lo ha preceduto, annunziando il suo invio nel mondo. Ed è Gesù in persona a offrire la chiave interpretativa delle Scritture affermando che Mosè, ritenuto autore della Legge (il Pentateuco), in realtà «ha scritto di me» (Vangelo: Giovanni 5,46).

Con ciò Gesù ci insegna a leggere e a intendere le Scritture alla luce di ciò che egli ha detto e ha fatto. Tutte le Scritture, in una parola, si riferiscono a lui e trovano il loro ultimo compimento in lui che è stato mandato dal Padre come “apostolo”, ossia inviato come rivelatore definitivo, e come “sommo sacerdote” (Epistola: Ebrei 3,1), ossia mediatore e intercessore tra la terra e il cielo. In una parola: le Scritture «danno testimonianza di me» (Vangelo: Giovanni 5,39).

Di più, egli a differenza di Mosè e dei Profeti, non è uno dei servi mandati da Dio al suo popolo Israele, ma è il “figlio” destinato a costruire la “casa”, ossia la comunità dei credenti formata da tutti coloro che credono in lui (Ebrei 3,6).

In Gesù che è il Figlio, al quale il Padre stesso dà testimonianza accreditandolo come tale fin dall’esordio della sua attività nella teofania del Battesimo al Giordano, nell’esaudire ogni sua preghiera, nelle opere da lui compiute e, soprattutto, nell’ora suprema della sua glorificazione, vale a dire della sua Pasqua, si può affermare che Dio stesso, e non un inviato né un angelo ha salvato, riscattato e portato su di sé l’intera umanità (Cfr. Lettura: Isaia, 63,9), rivelandosi in tal modo Padre e redentore di tutti.

In Gesù che, nella qualità di Figlio, rende accessibile il volto di Dio, Dio si mostra pieno di bontà e compassione per l’umanità sviata, dal cuore indurito e che vaga lontano dalle sue vie (Isaia 63,17). Nel suo Figlio, Dio esaudisce l’implorazione: «Fa’ splendere il tuo volto, Signore, e noi saremo salvi» (Salmo 79). Il “volto” di Dio è visibile nel Signore Gesù che accoglie i piccoli, i poveri, i malati, i peccatori e che a tutti fa udire la Parola che salva. Il volto di Dio lo vediamo svelato nel suo Figlio Crocifisso nel quale avvertiamo in tutta verità il fremito della sue “viscere” e la sua “misericordia” (Cfr. Isaia 63,15) che abbraccia il mondo intero che vaga lontano da lui e che invece è destinato a radunarsi nella “casa” dove il Capo è il Signore Gesù (cfr. Ebrei 3,6). Nella partecipazione all’Eucaristia impariamo anzitutto ad ascoltare le Scritture per accogliere la testimonianza che esse danno di Gesù il quale, solo, può farci vedere il volto di Dio (cfr. Giovanni 5,37) sul suo volto di Figlio. Da tale esperienza deve rinascere in tutti i fedeli un amore grande per le divine Scritture che vanno lette, studiate, ascoltate, interpretate, “scrutate” con la luce dello Spirito nel seno della Chiesa che è la casa di Dio. Sarà allora possibile riconoscere e toccare con mano, nei santi Segni eucaristici, le meraviglie dell’amore paterno di Dio per tutti gli uomini destinati ad essere trasformati «a immagine del suo unico Figlio» (Orazione Dopo la Comunione).

 

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