15
giu
Il sole fa bene alla pelle ma bisogna evitare un'esposizione prolungata.
Clima e salute
I raggi ultravioletti rappresentano appena l’1% dell’energia in arrivo dal Sole ma sono i più dannosi per gli esseri viventi. Hanno infatti la capacità attraversare l’epidermide fino a penetrare in profondità nei tessuti, anche se non tutti in uguale misura. Infatti i raggi UV vengono di solito suddivisi in 3 classi, a seconda della lunghezza d’onda, espressa in millesimi di mm: UVA (0.32-0.4), UVB (0.29-0.32) e UVC (0.2-0.29).
I più penetranti, e quindi i più pericolosi,
sono quelli con lunghezza d’onda più corta, ossia gli UVC e gli UVB. Gli strati alti dell’atmosfera - quelli tra 20 e 50 km di altezza ove vi la massima concentrazione di ozono - assorbono integralmente i raggi UVC e parte degli UVB.
La radiazione UV che raggiunge la superficie terrestre è costituita essenzialmente da UVA e, in misura minore, da UVB. Ovviamente la frazione di raggi UV che raggiunge la superficie terrestre varia nel tempo e nello spazio.
Ecco, al riguardo, un elenco dei fattori dai quali dipende la dose di raggi ultravioletti in arrivo al suolo:
- ora del giorno: circa il 20-30% circa degli UV arriva tra le 11 e le 13 locali mentre il 75% del totale è concentrato tra le 9.00 e le 15.00;
- stagione: nelle regioni temperate gli UV hanno massima intensità in estate, minima in inverno;
- latitudine: il flusso annuale di raggi UV è massimo all’equatore e minimo ai poli; • nuvole: in generale le nubi diminuiscono la quantità di energia solare in arrivo. La frazione in arrivo al suolo si riduce del 25 % circa con cielo molto nuvoloso e del 70% con cielo coperto;
- altitudine: l’intensità degli UV aumenta con la quota. Ad esempio, in estate a 3000 m la radiazione è quasi quattro volte più intensa che a 700 m. In inverno gli UV si riducono, rispetto all’estate, di otto volte circa in montagna e di sedici volte in pianura;
- riflessione: la parte riflessa dalla superficie terrestre e dai mari è bassa (inferiore al 7%), tuttavia il tipo di superficie può fare davvero la differenza: manti erbosi e specchi d’acqua riflettono meno del 10% dei raggi incidenti, la sabbia riflette circa il 25% dei raggi UVB, mentre la neve fresca arriva a rifletterne circa il 80%. Ecco perché in montagna i raggi UV sono più insidiosi: all’effetto riflessione da parte della neve si aggiunge infatti anche l’effetto altitudine.
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15 giugno 2011 - Commenti
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14
giu
Diventa meteorologo
Alcune invenzioni, utilizzate inizialmente solo per
scopi bellici nella seconda guerra mondiale,
trovano un proficuo impiego anche nella meteorologia. Così è, ad esempio, per il
radar che consente di evidenziare le piogge in atto all’interno delle nubi entro un raggio di 300-400 km.
Ma la vera svolta avviene agli inizi degli anni ’50 con l’avvento dei primi
elaboratori elettronici, i quali consentono ai meteorologi di realizzare finalmente il sogno di
risolvere in tempo reale le complesse equazioni che descrivono l’evoluzione futura dell’atmosfera.
Inizia così l’era delle
previsioni numeriche, dedotte con i computer mediante opportune schematizzazioni (modelli
fisico-matematici) delle equazioni della Fisica dell’atmosfera.
Man mano che la potenza degli elaboratori cresce, i meteorologi approntano modelli sempre più complessi, più aderenti alla realtà ed estesi a validità via via crescenti.
Evoluzione dell’attendibilità delle previsioni meteorologiche a 3, 5, 7e 10 giorni negli ultimi 30 anni.
Per la descrizione dell’evoluzione di qualsiasi sistema fisico presente in natura è necessario innanzitutto conoscerne le condizioni iniziali. Quanto più note sono le condizioni iniziali, tanto più la traiettoria prevista si avvicinerà a quella osservata. Allo scopo, a livello planetario, esiste un sistema mondiale per l’osservazione del tempo, coordinato dall’OMM (Organizzazione Meteorologica Mondiale), un organismo permanente dell’ONU.
La rete mondiale di osservazione del tempo ha ricevuto negli anni recenti un grande impulso dai satelliti meteorologici i quali sono ormai in grado di misurare da bordo i principali parametri meteo, quasi con la stessa precisione dei palloni sonda.
Anche l’attendibilità delle previsioni meteo negli ultimi 20 anni ha subito un deciso balzo in avanti per l’applicazione di modelli fisico-matematici via via più sofisticati per merito di computer sempre più veloci e per l’impiego di osservazioni iniziali sempre più dettagliate per merito dei satelliti meteorologici.
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14 giugno 2011 - Commenti
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13
giu
Il cielo di notte.
Curiosando
La risposta sembrerebbe a prima vista ovvia:
è buia perché non c’è la luce del sole. Risposta corretta ma non sufficiente poiché il buio della notte non è solo una questione di Sole ma soprattutto di stelle. Andiamo con ordine. Newton, immaginò un cosmo infinito e quindi con un numero di stelle infinito.
La teoria di Newton portò al cosiddetto Paradosso di Olbers. E’ noto che
la luce cala con il quadrato della distanza dalla sorgente ovvero se la distanza raddoppia, la luminosità cala di quattro volte. Se lo spazio fosse infinito (stelle in numero infinito) e omogeneo ( densità di stelle costante) allora il loro numero crescerà con il volume di spazio sferico considerato ovvero con la terza potenza della distanza.
Insomma se raddoppia la distanza, il volume, nonché il numero di stelle, cresce di otto volte. Mettiamo ora insieme i due concetti: con la distanza la luce delle stelle cala secondo una certa legge però il loro numero cresce ancor di più con un’altra legge cosicché la loro luminosità globale dovrebbe crescere proporzionalmente alla distanza.
Pertanto in un universo infinito anche la luminosità deve essere infinita e di conseguenza di notte il cielo dovrebbe luminoso.
Questo il paradosso di Olbers, dato che sappiamo che la notte è buia. Dove l’errore? Gli errori sono due:
1. l’Universo non è infinito e quindi contiene un numero limitato di stelle.
2. L’universo non è immobile. Nel 1929 Hubble scopre infatti che le galassie dell’universo si allontanano con velocità proporzionale alla distanza, fino ad un limite oltre il quale si allontanano alla velocità della luce, e non possiamo quindi vederle.
Insomma in un universo finito ed in espansione il numero di stelle non è infinito bensì diminuisce con la distanza di più dell’affievolimento della luce.
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13 giugno 2011 - Commenti
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09
giu
Hai visto mai
Spesso risulta difficile comprendere appieno la forza e il
potere devastante dei fenomeni atmosferici più violenti, ma in alcune occasioni, soprattutto grazie alle
foto provenienti dai satelliti in orbita attorno alla Terra, si riescono a ottenere immagini in grado di mostrare chiaramente quanto possano essere distruttivi certi eventi.
E’ ciò di cui ad esempio ci si può rendere conto attraverso l’immagine qui sopra che, scattata domenica 5 giugno dal satellite Landsat-5 della NASA, ritrae la regione del Massachusetts (stato nordorientale degli USA) nei pressi delle cittadine di Sturbridge e Southbridge: anche dallo spazio difatti risulta evidente la scia (di colore marrone) di totale devastazione lasciata da un violento tornado che pochi giorni prima ha attraversato la regione e che fortunatamente ha solo sfiorato i due centri urbani.
Responsabile della cicatrice lunga circa 63 chilometri lasciata sul territorio del Massachusetts è difatti un tornado di categoria EF3 (cioè una enorme e potente tromba d’aria accompagnato da venti che soffiano a intensità comprese fra 219 e 266 chilometri orari) che lo scorso primo di giugno nella sua inesorabile avanzata ha causato anche due vittime e il ferimento di alcune decine di persone. I tornado così intensi nel New England sono decisamente rari ma non eccezionali, come dimostrato dal fatto che uno dei più letali della Storia americana abbia colpito proprio questo stato: il 9 giugno del 1953 difatti un devastante tornado investì la città di Worcester con venti che soffiavano a più di 340 chilometri orari, uccidendo ben 94 persone.
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09 giugno 2011 - Commenti
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08
giu
Clima e salute
La tarda primavera e l’estate sono, in Italia,
la stagione dei temporali e del loro braccio armato, i fulmini. Ecco allora alcuni consigli per difendersi dal temibile fenomeno:
- Regola del 30-30: se tra i lampo e il tuono passano 30 secondi o meno, è essenziale cercare un riparo al chiuso.
- Restare nel riparo fino a 20-30 minuti dopo l’ultimo tuono;
- Potete stabilire la distanza del temporale, in metri, moltiplicando 330 per il numero dei secondi intercorsi tra visione del lampo e l’arrivo del tuono. Il fulmine può colpire già quando il temporale è a 10 km di distanza o meno;
- Interrompete eventuali sport all’aperto che coinvolgano attrezzi con parti metalliche (ciclismo, nautica, golf, scalate, pesca);
- Non tuffatevi in acqua (nemmeno in piscina) perché l’acqua, ottimo conduttore elettrico, propaga facilmente i fulmini che cadano vicino;
- Non riparatevi sotto gli alberi isolati ma va bene, invece, un fitto bosco perché è molto improbabile che tra 1000 o più alberi il fulmine cada proprio su quello sotto il quale vi siete riparati;
- Non sostate vicino a corpi appuntiti (campanili, torri, spuntoni rocciosi, ombrelli con la punta metallica) perché prediletti dai fulmini;
- Nel terreno scoperto accovacciatevi negli affossamenti; un anfratto o una grotta sono ripari ideali, purché non si tocchi la nuda roccia;
- State alla larga da strutture metalliche (piloni, croci e strade ferrate);
- Toglietevi di mano o da addosso gli oggetti metallici e anche le scarpe se con parti metalliche;
- L’auto ripara dai fulmini purché non si tocchi la carrozzeria, se metallica;
- Non usate il telefono a fili perché il fulmine può propagarsi anche lungo le linee telefoniche;
- Staccate il cavo TV perché le scariche elettriche possono entrare nel televisore attraverso l’antenna, provocando l’esplosione del cinescopio e conseguenti danni alle persone e sviluppo di incendio. Questo è un evento abbastanza frequente;
- Non toccate i rubinetti dell’acqua né entrate nella doccia o nella vasca da bagno perché i fulmini si propagano anche attraverso le condutture metalliche.
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08 giugno 2011 - Commenti
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07
giu
Diventa meteorologo
La scoperta delle onde radio permette nel 1929 di estendere le osservazioni sinottiche anche agli strati superiori dell’atmosfera, impiegando una minuscola radio-trasmittente (radiosonda), sollevata da un pallone gonfiato con idrogeno (oggi viene usato l’elio). L’analisi comparata delle condizioni in quota con quelle presenti al suolo mise in evidenza l’influenza determinante della medio-alta atmosfera (5-10 km) sull’evoluzione del tempo osservato al suolo.
Il lancio di un radiosonda.
Da queste nuove indagini in quota vengono scoperti altri interessanti fenomeni, come la corrente a getto, un fiume velocissimo di aria tra 7000 e 11000 metri di quota, per la cui interpretazione si ricorre a importanti concetti presi a prestito dalla fluidodinamica, come divergenza e vorticità, e che oggi trovano largo impiego nei modelli fisico-matematici. La vorticità esprime, grosso modo, l’intensità e l’ampiezza dei moti vorticosi, specie nel piano orizzontale, e pertanto si presta ad hoc alla descrizione dell’evoluzione dei cicloni mobili.
La divergenza indica invece se nella colonna atmosferica sovrastante il suolo, l’aria è, eventualmente, in fase di rarefazione, con conseguente diminuzione della pressione al suolo, un processo che porta allo sviluppo di moti verticali ascendenti all’interno della colonna, responsabili, a loro volta, della condensazione dell’aria umida e della formazione delle nubi nei cicloni extra-tropicali.
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07 giugno 2011 - Commenti
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06
giu
Curiosando
L'arcobaleno è generato dalla dispersione ottica della luce solare che attraversa gocce di pioggia rimaste in sospeso nell’aria dopo un acquazzone. La luce viene prima deviata nel penetrare nella goccia, riflessa sul retro della goccia e ancora deviata come lascia la goccia. La deviazione del raggio uscente rispetto a quello entrante va dai 137 gradi, per il colore rosso, ai 139.5 per il violetto. E’ in tal modo comunque che la luce bianca del raggio incidente viene scomposta nei colori dell’arcobaleno.
I raggi solari ovviamente colpiscono tutte le goccioline presenti in
quel momento nell’aria ma, dopo la doppia deviazione da parte delle
gocce, raggiungono il nostro occhio soltanto se l’angolo formato tra il
raggio uscente che arriva al nostro occhio e quello entrante è di
40-42° . La posizione dell’arcobaleno nel cielo è solo apparente tanto
che decresce e si allontana verso l’orizzonte man mano che il sole si
innalza nel cielo fino a scomparire quanto il sole è allo zenit.
Inoltre, via via che l’osservatore si avvicina, l’arcobaleno sembra
allontanarsi perché viene “ricostruito” dalle nuove goccioline di
pioggia, più lontane, che soddisfano la condizione dei 42 gradi.
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06 giugno 2011 - Commenti
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01
giu
Hai visto mai
Nell’ultimo fine settimana di maggio si è formato il primo ciclone tropicale con venti a oltre 200 chilometri orari di quest’anno: il super tifone Songda. Questa violentissima tempesta ha vagabondato negli ultimi giorni di maggio attraverso le acque caldissime del Pacifico Occidentale, da cui ha assorbito le grandi quantità di calore e umidità necessarie ad alimentarla. Il super tifone Songda, qui fotografato dal satellite giapponese MTSAT-2, ha toccato la massima violenza in occasione nel suo passaggio appena a nord delle Filippine, quando i venti al suo interno hanno raggiunto anche i 250 chilometri orari d’intensità. Nel suo spostamento verso nord il ciclone ha poi sfiorato Taiwan e successivamente investito con violenza Okinawa.
Poi nella giornata di lunedì 30 Songda ha raggiunto il versante orientale di Honshu, la principale isola dell’Arcipelago Giapponese, dove però è arrivato oramai indebolito e declassato alla categoria di tempesta tropicale (cioè con venti al di sotto di 118 chilometri orari) e quindi fortunatamente incapace di produrre danni ingenti. In effetti questo ciclone tropicale, benché assai intenso, ha provocato solo 4 vittime. Durante questo 2011 nel Pacifico prima di Songda si sono formati solo tre altri cicloni tropicali: due depressioni tropicali (ovvero cicloni che non hanno ancora raggiunto l’intensità di tempesta), fra fine marzo e inizio aprile, e successivamente la tempesta tropicale Aere, che a inizio maggio ha sfiorato le coste orientali delle Filippine dove ha causato 35 morti e oltre 35 milioni di dollari di danni.
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01 giugno 2011 - Commenti
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01
giu
Clima e salute
Siamo all’inizio della estate e i
temporali divengono di giorno in giorno più frequenti, specie sulle regioni centro-settentrionali e soprattutto nelle ore pomeridiane e serali.
La aree più temporalesche della penisola sono le regioni alpine, e le vicine zone della pianura padano-veneta. La massima frequenza si raggiunge allo sbocco delle grandi valli alpine (come la Valle d’Aosta e la valle dell’Adige) o là dove, come il
Friuli, la più contenuta altezza della catena alpina, facilità le incursioni di aria fredda proveniente dal
Nord Atlantico.
Ma per molte persone, quando la scura e minacciosa nube temporalesca si affaccia all’orizzonte, inizia un vero e proprio calvario, con una serie di malesseri, come dolori alle articolazioni e ai muscoli, mal di testa, insonnia, stanchezza e persino attacchi di asma. Anche lo stato d’animo ne può risentire e nei 10-20 minuti che precedono l’arrivo della pioggia, depressione, malinconia e nervosismo prendono il sopravvento. Disturbi legati in parte al calo della pressione atmosferica e in parte al fatto che poco prima dell’arrivo del temporale l’aria diviene fortemente elettrizzata, con una prevalenza però di ioni positivi, i quali hanno la brutta abitudine di stimolare nel cervello la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore che quando è troppo abbondante rompe l’equilibrio che garantisce il nostro benessere.
I disturbi durano fino allo scatenarsi dei lampi, che hanno il merito appunto di rimuovere dall’atmosfera le malefiche cariche positive. Anzi, in genere, all’arrivo delle prime gocce, al nervosismo subentrano calma e benessere e ci sente addirittura su di tono. In alcuni invece i lampi e i tuoni che accompagnano il temporale – fenomeni che colpiscono fortemente i sensi – scatenano vere e proprie crisi di panico, una paura che è l’eco di terrori ancestrali, ma talvolta anche la probabile traccia lasciata nel subconscio da qualche trauma avvenuto in età infantile.
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01 giugno 2011 - Commenti
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31
mag
Un ciclone.
Diventa meteorologo
Nel 1918 il meteorologo norvegese B. Bjerknes, sulla base delle osservazioni sinottiche di una densa rete di stazioni nel Sud della Norvegia, formula un nuova teoria dei cicloni mobili delle medie latitudini (la teoria dei fronti), tuttora in uso. In particolare, il ciclo di vita dei cicloni extratropicali viene collegato alle piccole ondulazioni meridiane (lunghezza d’onda intorno a 1000-3000 km), che intorno a 50-65 gradi di latitudine si generano sulla ideale linea di demarcazione (“fronte polare”) lungo la quale al suolo si fronteggiano masse d’aria fredda polare e masse d’aria calda subtropicale.
In pratica il meteorologo riportava a mano, sull’area di interesse, le osservazioni rilevate al suolo e poi tracciava le isobare. Dalla ragnatela di linee che prendeva forma sulla mappa geografica, era possibile evidenziare le aree dove la pressione era più bassa (cicloni) o più alta (anticicloni). Su un’altra mappa venivano invece tracciate le linee congiungenti i punti con medesima temperatura (isoterme), onde individuare la posizione delle masse d’aria calde o fredde. In quelle ristrette fasce geografiche dove le isoterme sono molto fitte è evidente che si “fronteggiano”, gomito a gomito, una massa d’aria fredda con una massa d’aria calda e, come due eserciti nemici in guerra, lì possono verificarsi reciproci sconfinamenti di aria fredda verso le aree occupate dall’aria calda (fronte freddo) o viceversa (fronte caldo).
Sulla carina sono visibili le Isoterme, ovvero le temperature presenti nell’area da loro delimitate.
A questo punto, dalla sequenza cronologicamente ordinata di più mappe, era possibile prevedere, attraverso l’estrapolazione dello spostamento, la posizione che assumerebbero nel futuro i cicloni, gli anticicloni e i fronti.
La tecnica di estrapolare nel futuro la traiettoria dei sistemi atmosferici osservata nelle precedenti 12-24 ore è nota come metodo sinottico. Il metodo sinottico, alquanto empirico e legato molto all’esperienza soggettiva del meteorologo, dava risultati soddisfacenti soltanto per proiezioni fino a 24-36 ore ed è stato impiegato nei centri meteorologici fino agli anni ’70.
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31 maggio 2011 - Commenti
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30
mag
Billy Whizz corre sotto la pioggia
Curiosando
In un fumetto il personaggio immaginario
Billy Whizz corre così velocemente che
non si bagna sotto la pioggia. È possibile? Ebbene, è intuitivo e lapalissiano che quanto minore è il tempo trascorso sotto la pioggia e tanto meno ci bagneremo, come dire che in presenza di pioggia è consigliabile muoversi velocemente verso il primo riparo adocchiato. Però è altrettanto vero ed intuitivo che quanto più ci spostiamo velocemente sotto la pioggia, tanto più ci inzupperemmo di acqua per il fatto che la superficie verticale del nostro corpo raccoglie tutte le gocce di
pioggia incontrate nel maggiore volume d’aria spazzato durante lo spostamento.
A questo punto è evidente la contraddizione tra le due decisioni: quella di correre il più veloce possibile per minimizzare il tempo trascorso sotto la pioggia e la decisione invece di andare il più lentamente possibile onde raccogliere meno acqua per impatto frontale.
Insomma per bagnarsi di meno sotto la pioggia conviene stare fermi oppure muoversi velocemente?
Dipende! Qualora ipotizziamo che abbiate individuato un rifugio a portata di... mano, allora in questo caso in effetti ci si bagna di meno correndo il più velocemente possibile verso il provvidenziale riparo piuttosto che prendersela comoda. Ed è quello che in pratica tutti noi facciamo, consigliati ovviamente dal buon senso! Ma qualora non si abbia alcun rifugio a disposizione allora, risolvendo il dilemma con formule fisico-matematiche, si può dimostrare che, anziché correre, ci si bagna di meno se si cammina lentamente o, meglio ancora, se si sta fermi, aspettando che magari...
cessi di piovere!
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30 maggio 2011 - Commenti
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26
mag
Hai visto mai
(clicca sull'immagine per interagire)
Circa 14 mesi dopo l’eruzione del
Eyjafjallajokull, che l’anno scorso ha causato gravi disagi al traffico aereo in Europa, il 21 maggio un altro vulcano islandese è tornato a sparare nell’atmosfera grandi quantità di cenere e gas: si tratta del Vulcano
Grinsvotn che, benché sia considerato il più attivo dell’intera isola, non eruttava con tanto vigore oramai dal 2004.
In particolare secondo il Professor Magnus Tumi Gudmundsson dell’Università dell’Islanda questa è, per l’isola, la più importante eruzione degli ultimi anni, e in effetti l’enorme nube di polvere, cenere e gas che si è levata dal cratere e che è stata fotografata anche dal satellite Terra della NASA (l’immagine è stata scattata domenica 22 maggio) ha raggiunto anche i 20 000 metri di quota.
Per di più le nubi vulcaniche, grazie alla loro capacità di elettrizzare l’atmosfera, possono favorire la produzione di fulmini, e quest’ultima eruzione ha in effetti scatenato un’intensa tempesta di fulmini: in particolare nel momento di maggior attività elettrica la nube del Vulcano Grinsvotn ha prodotto scariche elettriche a una velocità mille volte superiore a quanto non abbia fatto circa un anno fa il Vulcano Eyjafjallajokull.
E’ molto probabile che, come successo già un anno fa, il traffico aereo debba sopportare nei prossimi giorni notevoli disagi: nel Nord Europa difatti nella prima parte della settimana sono stati cancellati numerosi voli e i principali modelli fisico-matematici confermano che anche nei prossimi giorni le correnti continueranno a spingere le polveri vulcaniche attraverso le regioni settentrionali del continente.
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26 maggio 2011 - Commenti
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25
mag
Clima e salute
Le estati nell’ultimo ventennio sono diventate mediamente più calde di quelle del trentennio precedente e sono aumentate anche le ondate di caldo intenso, le più pericolose per i soggetti sensibili agli eccessi termici, come gli anziani e i bambini.
Tralasciando qui di affrontare i disagi, i disturbi e i pericoli collegati all’afa, ricordiamo comunque qualche utile consiglio per chi ogni estate si ritrova a combattere contro il caldo:
- bere molti liquidi, anche oltre la propria sensazione di sete, privilegiando acqua, succhi di frutta e di verdura (evitare caffè e alcolici). Il suggerimento è particolarmente valido per gli anziani i quali, avendo orami un sistema di termoregolazione alquanto compromesso, rischiano la disidratazione e il colpo di calore, senza per questo avvertire lo stimolo della sete;
- limitare l’attività fisica, non solo nelle ore centrali del giorno, ma anche la sera quando la temperatura sì scende, ma l’umidità può addirittura aumentare;
- impostare una dieta appropriata, privilegiando cibi leggeri, frutta e verdura;
- evitare l’esposizione prolungata al sole e utilizzare cappelli per riparare la testa;
- sfruttare ventilatori e condizionatori, ma con moderazione (mai puntarsi il getto d’aria addosso e mai impostare temperature inferiori ai 20/22 °C);
- scegliere un abbigliamento comodo, dai colori chiari e di fibre naturali (cotone, lino, seta);
- fare bagni o docce con acqua fresca, mai fredda.
Questi suggerimenti sono particolarmente importanti per alcune categorie maggiormente a rischio: i bambini al di sotto dei quattro anni, gli anziani oltre i 65, gli obesi, chi è costretto a svolgere intense attività fisiche all’aperto e i cardiopatici.
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25 maggio 2011 - Commenti
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24
mag
Diventa meteorologo
Tra il
1700 e il
1800 le leggi della
dinamica, appena scoperte, vengono applicate anche all’atmosfera: nel 1783
Eulero riscrive le equazioni del moto in una forma idonea a descrivere anche i moti atmosferici. Nel 1859 W. Ferrel fa una
trattazione matematica dei moti atmosferici nella quale viene evidenziato, per la prima volta, come la rotazione della Terra abbia l’effetto di deviare le masse d’aria verso destra nell’emisfero nord e verso sinistra in quello sud. Ma a gettare le basi della
moderna meteorologia sono soprattutto i lavori elaborati tra il 1900 e il 1930 da tre grandi studiosi. Nel 1922
L.F. Richardson si rende conto che le
equazioni del moto applicate all’atmosfera, pur contenendo in sé la descrizione dell’evoluzione del moto delle masse d’aria e della pressione, sono in realtà troppo complesse cosicché è impossibile ricavarne la soluzione analitica “esatta”, così come si fa, ad esempio, con un’equazione di 2° grado.
Per aggirare l’ostacolo, Richardson escogita, per primo, un tentativo di risoluzione approssimata mediante i metodi tipici dell’analisi numerica, ossia trasformando le complesse operazioni presenti nelle equazioni (derivate e integrali) in semplici operazioni aritmetiche tra numeri. I risultati della prima “previsione numerica” nella storia della meteorologia furono disastrosi, soprattutto per le ridotte capacità di calcolo di allora. Tuttavia il tentativo di Richardson resta degno di nota perché negli anni ’50, con l’avvento dei primi computer, aprirà la strada ai modelli-fisico matematici.
Nel 1922 H. Jeffreys, elaborando le equazioni del moto, realizza una classificazione dei venti in tre tipi idonei a descrivere le circolazioni realmente osservate nell’atmosfera, dal ciclone tropicale, al ciclone mobile extra-tropicale delle nostre latitudini e alle brezze locali. È merito ancora di Jeffreys l’avere scoperto la presenza in seno alle correnti occidentali delle medie latitudini, di oscillazioni meridiane. Qualche anno più tardi Rossby dà una giustificazione teorica a tali ondulazioni (da qui il nome di onde di Rossby).
La regolarità con cui le ondulazioni si muovono lungo i paralleli ne rende abbastanza agevole la stima dello spostamento tanto che le onde di Rossby rivestono oggi fondamentale importanza nelle previsioni da 3 a 10 giorni.
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24 maggio 2011 - Commenti
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23
mag
Curiosando
Sotto il
Sahara, a centinaia di metri di profondità, sono stipate
enormi quantità di acqua dolce, residuo dei tempi in cui le piogge bagnavano con continuità la regione. L’Acquifero Arenario Nubiano, situato al di sotto del
Sahara Orientale, rappresenta in particolare una delle più grandi riserve idriche sotterranee del Pianeta: si estende sotto una regione vasta più di 2 milioni di chilometri quadrati, nel sottosuolo di
Libia ed
Egitto, ad una profondità che varia tra 500 e 3500 metri, e contiene circa
150 mila km3 d’acqua!
In effetti tra 5000 e 10 000 anni fa il Sahara era una regione sicuramente più umida, con intense piogge estive e su cui si estendeva una sterminata savana che dava ospitalità ad antilopi, leoni e anche primitive tribù di uomini. Dove sono finite allora le nuvole e le piogge? Sono migrate altrove per colpa… dell’asse terrestre!
L’inclinazione dell’asse di rotazione difatti varia ciclicamente nel corso di migliaia di anni: quando la Terra è maggiormente inclinata rispetto al piano di rotazione, aumenta la differenza tra inverno ed estate, mentre quando il nostro Pianeta è meno inclinato diminuisce anche il contrasto fra la stagione fredda e quella calda.
Ebbene 10000 anni fa l’inclinazione dell’asse terrestre era tale che il Sahara riceveva rispetto a oggi circa l’8% di radiazione solare in più nel corso dell’estate e l’8% in meno in inverno, per cui
nel Nord Africa l’estate era più calda e l’inverno più freddo di quanto non siano ai giorni nostri.
Il contrasto fra stagioni estive molto calde e inverni piuttosto freschi dava vita però ad una circolazione monsonica molto più intensa di quella di oggi, e i monsoni estivi africani riuscivano grazie a ciò a portare nubi e abbondanti piogge fin nel cuore del Sahara, dove gli inverni molto secchi erano quindi seguiti da estati molto calde ma anche piovose.
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23 maggio 2011 - Commenti
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