Don Sciortino

di Barbara Tamborini

Barbara Tamborini, psicopedagogista, autrice di libri sull'educazione. Ha 4 figli.

 
09
giu

E se i bambini disturbano a Messa?

Siamo di ritorno da una breve vacanza, è domenica, ci fermiamo in una città per cercare un chiesa dove partecipare alla messa. Giriamo più parrocchie, alla fine, dopo molto camminare riusciamo a trovare una celebrazione in tarda mattinata. Ci sediamo nelle prime panche, ai nostri figli piace vedere quello che succede sull’altare. Non  ci sono molti altri bambini. Entra il sacerdote, e si accendono un sacco di domande: “Ma quel Gesù è vecchio?” mi chiede A. (4 anni), J. (7 anni) mi domanda perché i discepoli di Emmaus non riconoscono Gesù. P. (2 anni) sale e scende dall’inginocchiatoio mentre A. mi chiede: “Quanto manca?”.

Io e mio marito prendiamo cerchiamo di farli stare in silenzio e a turno prendiamo qualcuno in braccio. C. dice “Amen” forte, quando tutti stanno già dicendo altro. Tiro fuori dallo zaino un libro e A. si siede per terra a sfogliarlo. “Voio anch’io ibo!” dice P. e non lo sento solo io. Il sacerdote interrompe la predica. Ci guarda serio e dice che è meglio che ci spostiamo in sacrestia perché disturbiamo i fedeli. Ci indica la direzione, fa sul serio. Ci alziamo rapidi, raccogliamo tutte le nostre cose e ci spostiamo mentre tutti ci guardano. “Parlava con noi?” mi chiede J. Gli dico di muoversi e trasciniamo via i piccoli. “È per colpa del P? Ci hanno sgridato?” J. non smette di farci domande. Finiamo di seguire la messa in una grande sacrestia, siamo decisamente più comodi, ma proviamo una sensazione strana che non ci piace.

Questo ci è capitato qualche anno fa, quando C. non c’era ancora mentre qualche mese addietro, nella nostra parrocchia, mi è successo di risentire la stessa sensazione. Cammino nella navata laterale con C. che ferma non smette di fare rumore. Il movimento la tranquillizza e io riesco a seguire la messa. Alla fine della celebrazione mi si avvicina una signora che conosco bene, ha nipoti e si dà parecchio da fare per loro. Mi guarda molto seria, è da un po’ che non parlavo con lei. Mi dice che non devo camminare in giro con C. perché distraggo molto chi vuole seguire la messa. Me lo ripete due volte e non mi dice altro. Forse è la prima volta che mi si avvicina da quando è nata C. Resto spiazzata, rifletto su quanto mi ha detto, di certo non passeggerò più in chiesa ma resto soprattutto colpita sul come mi ha detto le cose, sull’urgenza che aveva nel correggermi.

Cosa fare quando si hanno figli piccoli e si vuole partecipare alla messa tutti insieme? È un errore pensare di poterlo fare? Forse è più opportuno fare i turni perché la messa non è certo un precetto pensato per i più piccoli che non hanno ancora iniziato il catechismo? Più volte ci siamo interrogati su questo tema in casa nostra e alla fine abbiamo sempre deciso di provarci.  Capisco bene che per qualcuno possa essere fastidioso avere vicino bambini che non stanno fermi e che fanno rumore. Ci è capitato di uscire da soli, io e mio marito, in pizzeria e di trovarci a fianco un tavolo con bambini piccoli scatenati. Ammetto di aver fatto qualche brutto pensiero.

Credo che il tema sia molto interessante da discutere e spero facciate sentire chiaramente come la pensate, che esperienze avete vissuto sulla vostra pelle sia come disturbatori che disturbati (passatemi la semplificazione dei termini). Io ho solo un’idea molto chiara: qualunque sia l’atteggiamento che s’intende adottare, il come si comunica con la famiglia è di fondamentale importanza. So di fare un discorso di parte ma un conto è dire «uscite di qui perché disturbate», un conto è essere affiancati da qualcuno che ti propone un’alternativa per toglierti da una situazione di difficoltà: «se vuoi, puoi venire in sacrestia, così i bambini si possono muovere e voi potete seguire meglio la messa». Un conto è sentirti osservati e giudicati, altro è essere aiutati, magari vedendo nostro figlio che si lascia prendere in braccio e tranquillizzare dal nostro vicino. Ad una messa per i bambini battezzati nell’anno, in un momento di grande confusione in cui diversi piccoli piangevano e i genitori non sapevano come togliersi dall’impiccio, il sacerdote ha detto: «State tranquilli, non è un problema se i bambini fanno rumore, l’importante è che i grandi stiano attenti. Non state in pena, è bello avervi qui tutti insieme». Aspetto i vostri commenti. Ci conto!  

Pubblicato il 09 giugno 2011 - Commenti (9)
07
giu

Ancora sulla morte di Elena

Grazie ai molti che hanno scritto per aver condiviso emozioni, esperienze e pensieri sulla morte di Elena (cf. post del 25 maggio). Il susseguirsi di eventi tanto drammatici quanto tristemente simili, rede più difficile compatire chi si è reso responsabile di errori irreparabili dalle gravissime conseguenze. Il giudizio ormai serve davvero a poco. Resta la compassione per chi è rimasto nel dolore e l'invito a un esame di coscienza per tutti sul nostro modo di essere genitori, su come arriviamo a sera e su quanto riusciamo a stare bene con i nostri figli. 

Pubblicato il 07 giugno 2011 - Commenti (0)
02
giu

I figli che fanno ridere

In casa nostra spesso c’è caos. «Ma come fai ad andare bene a scuola se studi con questo casino attorno?», ha chiesto un compagno a J. mentre facevano una ricerca a casa nostra. Rumore, pianti, urla, litigi, imprevisti, pasticci, ma grazie al cielo anche tante risate.

I nostri figli ci fanno ridere un sacco, fanno tornare il sorriso quando siamo stanchi e stressati, basta fermarsi un attimo, stare ad ascoltarli, giocare un po’ con loro. È bello sentirli parlare a loro modo del mondo: Matteo, di ritorno dal primo giorno di scuola, racconta: «La maestra ci ha fatto vedere un capitolario bellissimo!» (vocabolario).

A., dopo una solenne dormita durante un lungo viaggio in auto: «Mamma ho il coccitollo» (torcicollo).
J.:«Io lo so che lavoro fa la mamma, fa la scuolara».

A tavola i nostri figli non smettono mai di chiedere: «Mamma, voglio subito un pezzo grande di formigiano» (parmigiano).
A. mi guarda fissa negli occhi: «Di che colore è la tua popilla» (pupilla).
J. sta raccontando che la zia gli ha letto l’oroscopo. «Io sono leone, sono uno forte. Tu A. di che segno sei?». «Io sono ruggine» (vergine).

Una mia carissima amica ha chiesto ad A. di fare la damigella. Lei non sta più nella pelle. Qualche giorno dopo si lamenta: «Ma io non ho ancora fatto la paggella al matrimonio della Roberta?».

Decidiamo di andare tutti insieme alla Via Crucis decanale per le vie della città, la presiede il Vescovo, c’è un sacco di gente. A. sente il canto d’inizio e chiede: «Ma questa è la sigla?».
A. prova i suoi nuovi occhiali da vista, per un po’ li dovrà mettere: «»ìMa io non riesco a infuocare?» (mettere a fuoco).

Qualche mese fa usciamo di casa per andare dai nonni a piedi, la nebbia ci avvolge. P chiede: «Come mai c’è tutta quella sabbia in cielo?». Appena arrivati al mare P. ci chiede: «Ma il mare è il cielo che si scioglie?».

D’estate spesso i figli a fine pasto vorrebbero un dolce. P. adora il gelato: «Voglio il grand soleil alla caviglia» (vaniglia).
Sto coccolando la nostra piccola. P. mi guarda un po’ lamentoso e dice: «Tu adesso non mi mammeri più!» (ami, coccoli, voce del verbo mammare… boh!).

Per sopravvivere al caos, a volte affidiamo ai nostri figli qualche piccola incombenza. P.: «Ti ricordi mamma, io ho il compito di chiudere le coperte dei vetri» (gli scuri).
P. è il primo di solito a svuotare il piatto: «Aspetto un momento che devo infreddare le patatine».

J., preoccupato per la nostra salute: «Chi rischia di più in casa nostra per l’abete?» (diabete).
E poi a volte si va a caccia di lumache: «Mamma, guarda questa lumaca… è da guinness dei pirati».
A. di fronte alla torta di compleanno: «Dai, esprimi il desiderio». «L’ho insprinto»… e soffia sulle candeline.

Raccontateci le piccole creazioni dei vostri bambini, c’è un gran bisogno di cose semplici per cui sorridere. Buona festa della Repubblica a tutti.

Pubblicato il 02 giugno 2011 - Commenti (4)
25
mag

La morte di Elena

Ieri sera, prima di dormire (almeno così credevo) ho sfogliato 30.08.2010. Immagini e parole di Lulù (Kowalski 2011), il libro fotografico che Shirin Amini con Niccolò Fabi ha realizzato per ricordare una festa. Il 30 agosto 2010, Olivia, la loro Lulùbella, avrebbe compiuto due anni se una forma acuta di meningite non l’avesse colpita. I genitori hanno deciso di festeggiare il suo compleanno comunque, hanno scelto di condividere il dolore per la perdita della figlia con ventimila persone e tanti amici cantanti, realizzando un evento lungo un giorno per finanziare la fondazione “Parole di Lulù” in un progetto di Medici con l’Africa, “un viaggio nel tempo e nello spazio con un nome di bambina tra le labbra, con i propri fantasmi e le proprie speranze davanti agli occhi, e quel mistero dell’esistenza che per un attimo eterno e tenero ci rende davvero fratelli” (il papà). Il sonno se n’è andato. La foto di Lulù nascosta dietro la quarta di copertina mi ha colto di sorpresa.

Poi mio figlio ha cominciato a chiamare: “Mamma, mi fa male la pancia!” e poi anche C. “Mamma, mi sono sporcata!” e così per tutta la notte sono stata sveglia con loro. Noi tre e un virus violento che li tormentava. Una di quelle notti in cui le lavatrici non si contano. Ho avuto tempo per pensare a quanti genitori darebbero la vita per potersi prendere cura ancora dei loro figli, per vederli crescere, a qualsiasi prezzo. Accorgersi di non poter più fare niente per alleviare la sofferenza di un figlio, perderlo quando la vita è ancora tutta da vivere. Le parole possono poco, così anche i gesti, ma in quel poco c’è tutto quello che vale la pena fare per metterci al cospetto del mistero e provare a incontrarlo.

Shirin chiude il libro scrivendo: «Sono felice di aver creato un luogo dove trovarla. Sono felice di voler aprire ancora le braccia». Credere nell’eterno di fronte a un presente sfigurato non è facile. Serve la forza di tante braccia per tenere in piedi una mamma davanti alla croce di un figlio. Servono gambe forti che vanno là dove i genitori ancora non riescono a guardare. E questo è quello che noi genitori dobbiamo fare con Lucio, il papà che dopo cinque ore di lavoro è tornato in macchina per andare a prendere la figlia Elena al nido e si è trovato davanti agli occhi la figlia in fin di vita. Sopravvivere a un figlio dopo averne causato la morte per una dissociazione, per un automatismo fatale è per un padre una pena eterna, un macigno con cui dovrà lottare tutta la vita.

Qualche giorno fa mio figlio più grande giocava a basket in cortile con un amico. Improvvisamente canestro e tabellone sono precipitati a terra, proprio dove di solito gioca la nostra piccolina. Quel canestro l’ho fissato io un paio di anni fa, ho cercato di bloccarlo al meglio. Ho usato delle corde forti, mi sono detta che poi avrei fatto qualcosa di meglio. Avrei fatto… Grazie al cielo tutto è successo quando sotto non c’era nessuno, ma il tonfo del crollo mi ha paralizzato il sangue. È bastata una frazione di secondo per sentire dentro quello che sarebbe potuto essere. Prendersi cura di un figlio non è impresa facile. A volte facciamo del nostro meglio, a volte ci proviamo, in alcuni momenti siamo troppo stanchi per riuscirci ma lo stesso restiamo lì. Quanto il troppo ha il sopravvento sono messe a nudo le nostre debolezza e paghiamo il conto dei nostri errori.

A Lucio non serve certo un processo per capire la sua colpa. Nessuna sentenza lo farà mai sentire innocente e nessuna pena sarà paragonabile al dolore per la perdita di Elena. Lucio non avrà un’altra possibilità con sua figlia per non sbagliare. A Lucio va il mio abbraccio, per quanto poco conti. Mai, neanche per un istante, potrei dire con certezza che una fatalità del genere di certo non mi capiterà. Le parole e le azioni possono poco, ma se tutti insieme proviamo a spingere con Lucio quel masso, può essere che un giorno sulla pietra, spuntino un paio d’ali.

Pubblicato il 25 maggio 2011 - Commenti (7)
17
mag

Imparare dai bambini

La prima goccia cadde un centimetro sopra il suo orecchio alle 3.16. La seconda sfiorò i capelli di Elena, verso le 5. La terza, alle 6, fece centro.
“Mamma, mamma!”
“Elena? Cosa c’è?”
“Mamma, piove… ”
“Sono qui. Cosa dici? avrai sognato!”
“No mamma, guarda, tocca la guancia…”
“Sarà una lacrima… Oh santo cielo! Non ci posso credere… quei…”
“Cosa dici mamma?”
“Niente, tu torna a dormire. Spostati da questa parte. Io vado a dire due parole a quelli di sopra”.
“Voglio venire anch’io su da Ibrahim!”
“Non se ne parla nemmeno. Tu resti qui!”
“Guido. Alzati dal letto!”
“Eh? Cosa è successo?”
“Ci piove in casa. Te l’avevo detto che quelli avrebbero fatto dei danni. Io non li avrei fatti venire a abitare proprio sopra di noi”
“Ma io che c’entro? È stata l’agenzia a dargli l’appartamento.”
“E tu tutto sorridente alla notizia… Adesso ci vai tu a parlargli”.
“Ok, più tardi ci…”
“Ma hai capito? Piove dal soffitto di tua figlia. Le è caduta una goccia nell’occhio… chissà da dove arriva quell’acqua… mi chiedo perché nostra figlia si sia legata a quel bambino. Con tutti gli amichetti che ci sono in giardino... Cosa avranno da dirsi?”
“Che problema c’è se giocano insieme? Sono nelle stessa classe della materna…”
“Le disgrazie non viaggiano mai da sole!”
“Sono due bambini!”
“Sua madre se ne sta sulla panchina tutta coperta anche quando ci sono 40°, la piccola sempre al collo… Ha quel sorriso stampato… E nostra figlia le parla… resta lì ad ascoltarla incantata…”
“Sono pronto, adesso vado su”.
“Voglio proprio sapere come riuscirai a farti capire. Quelli manco ti aprono… vedrai!”

Un po’ di ore dopo suonò il campanello: Elena si precipitò alla porta.
“Aspetta, fammi vedere chi è”.
La mamma scrutò dallo spioncino. Ibrahim se ne stava ritto in piedi sul pianerottolo con qualcosa in mano. La mamma gli aprì.
“Ciao” gridò Elena precipitandosi verso l’amico.
“Buongiorno signora, devo dare una cosa a Elena”, disse d’un fiato alla donna che le stava davanti.
“Ciao, sono venuto a riportarti questo”, tirò fuori dal sacchetto che aveva in mano una boccia di plastica trasparente con dentro un biglietto arrotolato. Elena si fece triste:
“Non è arrivata al mare!”
“No… l’uomo dei tubi l’ha ritirata fuori. Dice che rompe il nostro bagno. Anch’io sono triste”, e il bambino porse la palla a Elena con tutto il bene di cui era capace.
“Ci riproveremo al fiume!”.

Giulia se ne restò muta. La mamma di Ibrahim lo chiamò dall’altro capo delle scale.
“Arrivo mamma. Devo andare”. Si girò e corse veloce verso il suo appartamento. Elena, appena in casa, si mise a piangere:
“Speravo tanto di farla arrivare al mare… la maestra ci ha detto che tutti i tubi arrivano al mare. Aveva ragione Ibrahim a dire di non farlo…”
“Non ci posso credere! Non dirmi che sei stata tu a fare questo?”
“Mamma era un messaggio troppo importante!”
“Fila in camera tua!”, Elena se ne andò di là con le lacrime agli occhi, lasciando la sua palla a terra. Sperò di consolarsi prendendo al volo una nuova goccia, ma dal soffitto smise di piovere. Giulia si sedette nel corridoio con la palla in mano, l’aprì e srotolò il biglietto e vide un mare azzurro con una bambina bionda e un bimbo scuro che si tenevano per mano. Per un attimo, dal viso di Giulia, ricominciarono a cadere gocce.

Nel mese della festa della mamma, un racconto per tutte donne che si sentono straniere e per i figli che ci aiutano a conoscerle. Raccontateci le vostre esperienze di integrazione, come i bambini vi aiutano a incontrare l’altro. Buona settimana a tutti!

Pubblicato il 17 maggio 2011 - Commenti (1)
11
mag

Guarda mamma!

Viviamo in una casa con un giardino e un piccolo orto. In primavera c’è un sacco di lavoro da fare, cresce tutto molto in fretta. Sto raccogliendo l’erba che ho strappato.
P. (5 anni): “Mamma, guarda!”
“Bravo!” è sceso dallo scivolo senza mani.
J. (10 anni): “Guarda mamma, tiro una sborda… metto un cucchiaio all’incrocio del pali”
“Vediamo…”
J.: “Aspetta eh, aspetta… riprovo, questo non mi è riuscito… No, neanche questo… tu guarda, adesso tiro… No, cavoli, aspetta che riprovo…”.
A. (7 anni) “Hai visto come sono brava mamma? Guarda, lo faccio girare con la mano?” sta giocando con l’hula-hop. “Bravaaa… come gira!”
J.: “Ecco! Non mi ha visto!”
Io: “Hai fatto goal?”
J.: “No, ma se lo facevo non mi vedevi!”
C. (2 anni): “Eni mamma mammona… oio bicipetta” (vieni mamma, voglio la bicicletta)
Io: “Adesso non possiamo andare in bici, devo prima finire qui”

Mi piace lavorare fuori. Ho ricavato un’aiuola al bordo del prato e ho piantato qualche fiore che resiste al sole.
P.: “Guarda! Mamma… Mammaaaaaaaaaaa… guarda!” P. scende di testa dallo scivolo.
“Attento! Metti bene le mani davanti”.
J.: “Guarda questo… l’ultimo tiro…”
A.: “Guarda… lo lancio e lo riprendo…”
C.: “bicipetta… bicipetta!”

I miei figli sono appena tornati da scuola. Gli zaini sono stati lasciati a fianco dell’aiuola, i grembiulini sullo scivolo piccolo.
Io: “No P.! A testa in giù di schiena è vietato… poi lo fa anche C.…”
C.: “ch’io sciolo” (anch’io voglio andare sullo scivolo)
J.: “Mamma… non mi stai guardando!”
A.: “L’ho lanciato in altissimo… hai visto… poi l’ho preso al volo… è difficile?”
P.: “Allora salto giù…”
Io: “Ma sei impazzito?”
J.: “Guarda che sto per tirare…”
A.: “Provo a farlo ancora…”
Io: “C., non strappare quei fiorellini!”

La testa mi gira, e l’orto è ancora pieno di erbacce da raccogliere. Poi mi viene un’idea: “Bambini, guardate come strappo l’erba… venite qui a vedere. Sentite che profumo queste piante? Venite più vicino, guardate… riesco a mettere tanta erba sulla paletta e ad arrivare fino al bidone senza farla cadere… guardate bene… vado piano altrimenti… Guardate, ora la faccio cadere nel sacco… vediamo se non cade fuori niente… guardate, sono cadute tre foglie… le raccolgo. Ora vado a prendere le altre erbacce… venite che vi faccio vedere, riesco a prenderne ancora tante. Guardate come sono stata brava a raccoglierle tutte… vi faccio vedere come uso bene il rastrello…
J.: “Mamma? Posso andare a fare i tiri?”
A.: “Io voglio allenarmi con l’hula-hop”.
Io: “Ditemi voi… A me piaceva quando stavate qui a guardarmi…”
A.: “Facciamo che ognuno si allena da solo… poi fa vedere agli altri…”
Io: “Mi sembra un’ottima idea… per un po’ niente –GUARDA!-”

Tutti tornano a giocare. C. si è messa nella casetta. Mi piace stare all’aria aperta e godere di questa pace. Raccontatemi come tenete insieme il bisogno di attenzione dei vostri figli con i doveri e i diritti dell’essere mamma.
Un caro saluto e buona settimana a tutti.

Pubblicato il 11 maggio 2011 - Commenti (0)
20
apr

"A scuola mi prendono in giro!"

“Mamma, a scuola continuano a chiamarmi secchione!”
“Mi spiace tesoro mio. Non devi vergognarti se sei bravo a scuola. Tu fai il tuo dovere!”
“Ma i miei compagni mi prendono in giro tutti i giorni, lo fanno dalla prima e dopo quattro anni mi sono proprio stufato. Ieri lo hanno scritto anche sulla lavagna”.
“E la maestra cosa ha fatto?”
“Ha cancellato in fretta tutto e mi ha detto di non stare ad ascoltarli, ma io non ci riesco. Io li sento benissimo, li sento tutti i giorni.”
“Piangi? Ti fa proprio male questa cosa!?”
“Mmh mmh”
“E tu cosa rispondi a chi ti prende in giro?”
“Gli dico che sono degli asini, che sono invidiosi perché non capiscono niente! E loro continuano... Mi dicono che mi arrabbio proprio come un secchione.”
“È proprio una brutta situazione! Proviamo a vedere cosa potresti fare per cambiare le cose…”
“Potrei dare un bel pugno sul naso a Paolo, inizia sempre lui a prendermi in giro!”
“Oppure?”
“Potrei dargli un calcione nel sedere, così impara!”
“Pensi che così le cose cambierebbero?”
“Non lo so, di certo anche lui sentirebbe male, almeno per un po’. Peccato che è cintura marrone di judo e non potrei più presentarmi a scuola…”
“Io credo che tu debba tentare un’altra strada. Ascoltami bene: dovresti far vedere a Paolo e a quelli che ti prendono in giro che cosa provi, dovresti fargli toccare e vedere la tua tristezza”.
“Non so, non mi sembra una grande idea… si metterebbero a ridere…”
“Prova, fallo con me, fai finta che io sia Paolo. La maestra ti ha appena consegnato un compito con un bel voto e io (Paolo) ti dico: -Ecco il solito secchione!- Tu cosa mi rispondi?”
“E tu sei il solito stupido!”
“Così mi fai solo venire voglia di continuare a prenderti in giro. Riprova!”
“Smettila, è sbagliato prendere in giro gli altri!”
“Così penso che parli proprio come la maestra. Ritenta. Pensa a cosa ti rende triste”.
“È difficile… Io sono triste perché vorrei tanto che Paolo fosse mio amico, ma a lui non interesso. Lui pensa che io sia noioso e preferisce giocare con gli altri. Vorrei tanto fargli cambiare idee, a volte vorrei anche aiutarlo quando in matematica la maestra gli dice che non capisce niente…”.
“Amore, ma sei stato bravissimo a dire queste cose, se solo Paolo le sapesse, se lui vedesse quello che provi…”
“Boh, non so…”
“Credi che lui sia felice di andare male a scuola?”
“Non penso, nessuno lo sarebbe.”
“E allora digli che hai voglia di essere suo amico, che quando lui ti dice secchione ti fa molto male perché pensi che lui non lo voglia essere. Paolo probabilmente si sente davvero un asino ai tuoi occhi e si difende come può”.
“Devo pensarci un po’ su. Certo non avevo mai pensato a Paolo così. Forse non è poi così male essere un secchione.”

Le piccole o grandi ingiustizie che coinvolgono i nostri figli ci toccano nel profondo e risvegliano in noi l’istinto di protezione. Aiutare i ragazzi a vedere nella mente dell’altro e a dare parola alle loro emozioni può essere un buon inizio per affrontare una situazione di bullismo in una logica di non violenza. Raccontateci le vostre esperienze e fatiche. Tantissimi auguri di Buona Pasqua a tutte le mamma e non solo.

Pubblicato il 20 aprile 2011 - Commenti (0)
12
apr

Allattamento: non è mai troppo tardi

Lucia mi confida di essere incinta. Mi complimento con lei e subito ci mettiamo a parlare di parto e allattamento. Le chiedo: “Tu hai allattato Luca” (il suo primo figlio?)
Ride: “Direi di sì” E mi racconta una storia che vorrei condividere con voi.
“È stato tutto molto complicato. Luca è nato alla trentaseiesima settimana, pesava poco più di due chili. Mi hanno fatto il cesareo perché … Ho provato subito ad attaccarlo, non appena almeno mi è stato possibile farlo dopo l’intervento. Lui era tanto piccolo. Ciucciava un po’ e poi subito dormiva, era sfinito. Io lo attaccavo di continuo ma Luca smetteva presto di mangiare, faticava ad attaccarsi. Un’ostetrica mi ha cercato di spiegare come metterlo, cosa fare ma lui continuava a perdere peso. Dopo il calo fisiologico, tardava a crescere anche di pochi grammi e così il pediatra mi ha dimesso con l’aggiunta. Ho iniziato a dargliela già in ospedale. Luca dal biberon riusciva a mangiare, sembrava gradire quel cibo più facile da conquistare. Sono tornata a casa molto triste. Io ci tenevo moltissimo ad allattare e improvvisamente mi accorgevo di non sapere come riuscire a farlo. Mi trovavo costretta a nutrirlo con il latte artificiale e l’unica cosa che mi restava da fare era continuare ad attaccarlo tutte le volte anche al mio seno. Lui ciucciava poco, ma comunque ci provava. Ho iniziato a usare il tiralatte per evitare di produrne meno. Lo facevo tutti i giorni e più volte al giorno, così potevo dare al mio bambino un po’ del mio latte e continuare a tenere accesa la speranza di poterlo allattare. Poi sono arrivate le ragadi, il tiralatte e le poppate lunghe e poco fruttuose mi hanno regalato parecchi tagli dolorosissimi. Ho pazientato, accettando di buttare il latte che si mischiava al sangue. Con qualche consiglio con una visita al consultorio le ferite si sono rimarginate e Luca ha continuato a giocare con i miei seni pieni di latte senza capire come godere di quel ben di Dio. Avevamo quasi trovato un nostro equilibrio, tra biberon e tentativi di allattamento, quando a rendere il gioco più difficile mi è venuta la mastite. Ho dovuto prendere l’antibiotico e anche in questo caso il mio latte è finito nel lavandino per qualche giorno. Poi la svolta. Un giorno di primavera siamo andati con amici in una fattoria. C’erano un sacco di animali ma non sapevo che tra questi avrei incontrato quello che avrebbe cambiato la nostra quotidianità. Nel porcile ho visto un’enorme scrofa buttata a terra con tanti piccoli maialini che le correvano addosso per attaccarsi ai suoi capezzoli a ciucciare il latte. Tutto sembrava così facile sia per i piccoli sia per la mamma. Mi sono detta: “Se ci riesce lei è possibile che io non ci riesca?”

Luca aveva già quattro mesi e nel frattempo era cresciuto parecchio e si era fatto un bimbo energetico e curioso. Tornati a casa, invece di preparare il suo biberon, mi sono sdraiata sul letto e ho appoggiato su di me il mio bambino. Lui ha iniziato ad alzare la testa per provare a cercare il mio seno. Ha fatto parecchi tentativi senza riuscire ad agganciare niente, nonostante la mia collaborazione, ma nessuno di noi aveva fretta. Poi, all’ennesimo movimento del collo, il miracolo: si è attaccato a me come non mai, ci siamo guardati, o forse l’ho guardato solo io, e ho capito che ce la potevamo fare, che finalmente il nostro appuntamento era arrivato e da quel momento in poi non saremmo più stati in ritardo. Ho sognato per giorni di allattare in modo esclusivo mio figlio ma ho dovuto aspettare quattro mesi per riuscire a farlo davvero. Quella sera è stata la nostra seconda nascita, e per due mesi sono stata io la sua unica fonte di cibo. Non potevo crederci, finalmente anch’io riuscivo ad allattare. A sei mesi ho svezzato Luca ma ho continuato ad allattarlo fino all’anno di vita, meravigliandomi ogni volta di questo meraviglioso incontro”.

Pubblicato il 12 aprile 2011 - Commenti (2)
04
apr

L'altra faccia del fast-food

Questa settimana vorrei consigliarvi un documentario uscito qualche anno fa, ma sempre di grande attualità. In casa nostra ha creato una piattaforma di confronto tra grandi e piccoli sul tema dell’alimentazione. L’abbiamo visto con i nostri figli e ne siamo rimasti da subito tutti molto coinvolti. È la storia di un uomo (il regista del film) che decide per trenta giorni di mangiare colazione, pranzo e cena nel fast food più famoso del mondo. “Che sballo!” hanno detto i nostri pargoli, “trenta giorni di paradiso!” “Non potremmo anche noi fare lo stesso?” ha chiesto il più grande. È stato bellissimo vederli seguire le vicende del protagonista, le sue indagini, osservare le reazioni del suo corpo ai tutti quei pranzi succulenti, e vedere i nostri figli aprirsi a un pensiero divergente. Ci hanno fatto un sacco di domande e hanno voluto rivedere più volte parti del film. Hanno voluto anche prestarlo ai loro amici, farlo vedere in giro. Questo non ha modificato di molto la loro passione per i fast food e le patatine fritte, ma ha allargato gli elementi su cui discutere per concordare con loro regole e tempi per goderne senza farsi del male. Il documentario di chiama: Super Size Me, di Morgan Spurlock. Documentario, durata 98 min. - USA 2004.

Le informazioni contenute nel documentario sono moltissime: il potere della pubblicità nella scelta dei cibi più desiderati, l’epidemia di obesità che colpisce tutte le società moderne, i cibi consumati nelle mense scolastiche, gli effetti del grasso sul nostro corpo, quante calorie sono presenti nelle porzioni supersize. Vi consiglio vivamente la visione di questo film, sarà un’esperienza che non scorderete più e soprattutto non potrete più fare a meno di osservare che i bocconcini di pollo sono a forma di stivaletto.

Condividete nel blog la vostra esperienza in tema di educazione alimentare con i figli e soprattutto raccontateci come riuscite a conciliare gusto e salute nella scelta dei cibi che arrivano sulla vostra tavola. Sono gradite ricette! Buona settimana.

Ps. Aspetto i commenti di chi vedrà o ha già visto Super Size.

Pubblicato il 04 aprile 2011 - Commenti (0)
25
mar

Amore e odio tra fratelli

Vado a fare la spesa con i due piccoli. P. (4 anni) in macchina parla a C. (2 anni) che è in preda a una crisi perché non vuole tenere la cintura di sicurezza allacciata
“Dai C, adesso stai brava che la mamma poi ti libera… siamo quasi arrivati…”
C: “No cintua, no cintua… ngheeeeeeee……”
P: “Vedi, anch’io metto la cintura, tu sei grande, devi mettere la cintura se no i vigili ti danno la multa”.
C: “No igili!” (no vigili)
P: “No, se tieni la cintura loro non vengono. Stai brava e non piangere che poi la mamma ti dà una sorpresina”
C: “Enghe, enghe”
P: “Brava, ecco, così! Adesso vai sul carrello e la mamma ti spinge in giro per il supermercato, ci sono i libri da guardare, i succhi di frutta, le scale mobili …”
C: “Io oio andae” (io voglio andare)
P: “Brava così… poi andiamo”

Silenzio.

Guido con una pace intorno impagabile e mi azzardo in un parcheggio impossibile. Andata. Scendiamo, carico la piccola sul carrello e ci avviamo verso il centro commerciale.
C.: “Hai visto mamma come sono stato bravo a tranquillarla?”
Io: “Cosa farei se non avessi te?”
Entra tutto fiero e per tutta la spesa mi ubbidisce e mi aiuta a prendere le cose dagli scaffali. C lo osserva tranquilla e alle casse collabora con lui nello scaricare tutta la spesa sul nastro. Non posso credere ai miei occhi! In macchina do a P. un libro pieno di foto di animali:
“Tieni, te lo sei proprio meritato! Un regalo per te”.
P: “Bello! È solo mio?”
Io: “Certo amore”.
Non faccio in tempo a dare a C la sua sorpresina che lei ha già afferrato il libro di P e gliel’ha strappato di mano. Lui se lo riprende e le assesta uno spintone. C ricomincia a piangere.

Io sono figlia unica e spesso resto incantata nell’osservare come tra fratelli ci si possa aiutare e stimolare ad inventare nuovi modi per stare bene insieme. Con lo stesso slancio però ci si può fare dispetti, dire parole che fanno piangere, farsi del male. Decidere quando è necessaria una mediazione esterna non è semplice: se il tempo del litigio è quello di un’interruzione in una melodia aspetto; se invece si è inceppato il disco e la musica è sparita, scendo in campo.

Con i fratelli più grandi può essere utile un’ intervento anche più dilazionato nel tempo. Ovvero per bambini che già vanno alle scuole elementari, si può aspettare anche più a lungo prima di intervenire, perché puntare sulla loro capacità di imparare a gestire un conflitto e provare a venirne fuori da soli è sempre un investimento che nel medio-lungo termine può dare buoni risultati. Con i più piccoli invece io presidio molto di più la situazione.
In generale, gli errori che cerco di evitare sono le ingiustizie. Anche nelle piccole cose occorre essere precisi ed equi, la giustizia è la miglior base per la pace. A casa prendo in braccio C. che ancora piangiucchia.
P mi dice: “Tu adesso non mi mammeri più!”
“Vieni qui tesoro!”
E dopo uno splendido abbraccio a tre sono pronta per scaricare la spesa.

Raccontate la vostra esperienza nella gestione della relazione tra fratelli: quando osservate che la convivenza si fa più difficile? Quando invece le cose funzionano meglio? Raccontateci qualche esperienza concreta con i vostri figli o magari un ricordo di quando eravate voi piccoli e avete amato/odiato un fratello o una sorella. Vi aspetto!

Pubblicato il 25 marzo 2011 - Commenti (2)
18
mar

Essere mamme a Fukushima

Sono le 14:46 mentre inizio a scrivere, una triste coincidenza con i fatti di questi giorni. Mio marito è al lavoro, i figli più grandi sono nella stanza di là a giocare, C. dorme giù, P. è a scuola. In Giappone, venerdì 11 marzo a quest’ora tutto trema, un terremoto di 8,9 gradi scuote  la terra. Provo a immaginarmi in quell’altrove, raggiungere i miei bambini di là, i mobili che cadono a pezzi. Sentire le loro grida, non sapere da chi andare per primo. Decidere di scendere le scale per portare fuori la piccola e intanto urlare istruzioni ai grandi perché vadano all’esterno. Sentirli gridare disperati e sperare che le loro urla non vengano interrotte da niente. Accorgermi che ai piedi non ho niente, che ho lasciato il cellulare sul tavolo e che nessun grido d’aiuto può raggiungere mio marito. Uscire in strada con la piccola tra le braccia mentre i muri cadono, ordinare ai miei figli di saltare giù, anche se hanno paura, anche se le scale non ci sono più. Vederne sbucare solo uno, smettere di respirare, mentre ancora tutto trema. Restare immobile perché ogni istinto è disarmato. Sentire il cuore che scoppia, avere paura come mai prima. Poi vedere mia figlia in ginocchio che compare all’improvviso. Stringerci tutti forte, pregare, mentre vediamo intorno le case cadere, le persone morire, le macchine incastrarsi nelle voragini.

“Mamma, aiuto, salvaci!” Sentire le loro unghie stringere, vedere i loro occhi sbarrati, increduli. “È la fine del mondo? Moriamo?”. Un minuto interminabile di una giostra mostruosa senza uscite. Poi tutto si ferma.

Cercare tra le facce attorno persone a cui chiedere aiuto. Correre verso la scuola di mio figlio con i bambini addosso, coprire i loro occhi di fronte a tutto, poi senza più farlo, farsi largo tra le rovine. Sperare che la scuola sia in piedi, che le esercitazioni sulla sicurezza siano servite, che mio figlio sia vivo. Sentire le urla attorno. Sentire che niente sarà più come prima.

E se questo non basta, se si è scelto di andare a vivere vicino alla costa, quando la terra si è fermata, quando ci si è sorpresi vivi in mezzo a tanta distruzione, vedere arrivare un mare che si è alzato in piedi. E qui le mani per i figli non possono niente, l’amore di una mamma è poca cosa, dare la vita non basta per salvare. Chi è lontano ha lo spazio di un pensiero, l’istante più doloroso.

E se a tanta distruzione in qualche modo si è riusciti a sopravvivere, guardare all’orizzonte quella nube che non smette di crescere, anche il giorno dopo e quello dopo ancora. “Mamma, perché stai sempre ad ascoltare la tv?” Fare le valigie, rovistando tra i mobili crollati, cercare le proprie cose, quelle più importanti e prepararsi ad andare via perché qui l’aria uccide di una morte radioattiva che non lascia scampo. Vivere sapendo che sui figli incombe una minaccia apocalittica, che non basta qualche km a tener lontano. Chiedersi il perché di quel veleno che mette l’intelligenza dell’uomo in ginocchio.

A tutte le mamme che dovranno sostenere la speranza di fronte agli occhi ignari dei figli.

Come questa tragedia è entrata nelle vostre case? Cosa vi hanno chiesto i vostri figli? In che modo essere vicini a chi si è travato su malgrado protagonista di questo dramma?

Un caro saluto a tutti.

Pubblicato il 18 marzo 2011 - Commenti (0)
09
mar

Idee originali per una festa

Avete un figlio o un nipote tra i 2 e i 6 anni a cui magari dovete organizzare una festa di compleanno? Questo messaggio è dedicato a voi, ma spero possa interessare anche per gli altri.

Invitare a casa qualche amichetto del vostro angelico bambino può accendere qualche timore, soprattutto se non avete stipulato una polizza casa che copra i danni artistici. Molti bambini, spesso se maschi, sentono l’incontenibile bisogno di stringersi, corrersi addosso, tirarsi, concentrando in questi gesti maldestri il forte desiderio di avere vicino l’amichetto.
Risate e pianti disperati sono le due facce della stessa medaglia e noi adulti fatichiamo a stare dietro a quest’alternanza serrata.

Un punto fermo da cui partire è che per imparare a giocare bene insieme serve allenamento. La scuola dell’infanzia è un’ottima occasione, ma servono anche altri ambienti: il parco giochi, l’oratorio, la casa, etc. e in questi luoghi l’adulto deve mettersi in gioco. Osservare da lontano quando i bambini trovano un loro equilibrio da soli, scendere in campo quando serve un aiuto per superare ostacoli troppo impegnativi.

Vorrei condividere con voi un’idea per animare una festa o un momento di gioco con bambini di quest’età. È a costo quasi zero e utilizza materiali di riciclo. Si tratta di costruire un percorso negli spazi che avete a disposizione, disegnando a terra, con lo scotch di carta (quello che usano gli imbianchini) il percorso circolare di un binario e far costruire ai piccoli dei vagoni treno sui quali portare in giro i loro peluche.

Ecco alcuni spunti che poi potrete personalizzare con la vostra fantasia. Il percorso dei binari: per movimentare il tracciato potete inserire alcuni elementi che caratterizzeranno il viaggio come per es. un passaggio a livello (con dei legni bianchi e rossi che possono essere alzati da un controllore che suona una campanella), uno scivolo (attaccando con del nastro adesivo dei cartoni su una rampa di scale); una carrucola (se avete un dislivello da superare); una salita e discesa (da costruire con dei cartoni); un tunnel (fissando un telo scuro tra una finestra e una sedia o il divano o facendolo pendere da un tavolo); le stazione (dove i peluche possono essere caricati e scaricati); il controllore che buca i biglietti di viaggio, etc.

Tutti questi aspetti vanno preparati prima dell’arrivo dei bambini così da fare loro una bella sorpresa. I vagoni: per realizzarli sono ottime le scatole delle scarpe a cui dovrete attaccare una corda per poterle trascinare in giro. I vagoni possono essere abbelliti con cartoncini e materiali vari per realizzare ruote e decorazioni. È consigliabile fissare due nastri all’interno da utilizzare come cinture di sicurezza per i passeggeri. Quando tutto e pronto, ognuno può caricare il suo peluche e avventurarsi nel percorso. Il gioco è a misura di bambino e coinvolgente. Stimola l’esplorazione e permette di incanalare le energie in un gioco creativo e coinvolgente. E poi viaggiare è sempre bello, anche se lo si fa per finta, partire, tornare, fare incontri… esperienze che appassionano a tutte le età

Approfitto per augurare a tutte le donne buon viaggio, in qualunque stazione si trovino, perché la loro meta sia sempre un buon motivo per sperare. Aspetto vostre idee gioco per animare feste e pomeriggi insieme. Descrivete esperienze di successo o magari piccoli fallimenti in cui siete incappati. Faremo tesoro dei vostri racconti.

Buona settimana a tutti!  

Pubblicato il 09 marzo 2011 - Commenti (0)
01
mar

Allattamento al seno

Colgo volentieri l’invito di sviluppare una discussione su un tema così centrale per la vita delle mamme e dei loro figli.

Punti fermi sull’allattamento al seno:
  • è raccomandato in modo esclusivo fino ai 6 mesi quale miglior pratica dal punto di vista nutrizionale e del benessere psicologico del bambino;
  • fa bene alla salute della mamma;
  • dopo i 6 mesi, oltre al latte materno devono essere introdotti progressivamente cibi solidi per apportare sostanze nutritive necessarie alla crescita del bambino;
  • proseguire l’allattamento dopo i 6 mesi fornisce al bambino vantaggi immunitari e benessere psicologico.

Quando interrompere l’allattamento? L’OMS  dice: “Come raccomandazione sanitaria generale, per avere le migliori possibilità di crescere e svilupparsi in maniera regolare, nei primi sei mesi di vita i neonati dovrebbero essere nutriti esclusivamente con latte materno In seguito, per soddisfare il crescente fabbisogno nutrizionale, la dieta va integrata con cibi complementari idonei e sicuri, proseguendo l’allattamento fino all’età di due anni o oltre” mentre l’American Academy of Pediatrics indica il primo anno di vita come termine ideale a questa pratica.

Il sentire comune nel nostro paese propende verso gli orientamenti americani: le mamme che allattano al seno i figli dopo l’anno di vita sono una minoranza. Le indicazioni che comunemente vengono diffuse da pediatri, consultori, esperti, blog, etc. consigliano il compimento del primo anno come termine per smettere di allattare anche se non mancano (soprattutto on line) pareri discordanti che invitano a proseguire ben oltre questa pratica, fino a che mamma e figlio non si sentiranno pronti a smettere.

Il latte materno resta un ottimo alimento anche se i vantaggi nutrizionali, dopo il primo anno, si riducono, mentre dal punto di vista psicologico la situazione è più complessa. L’allattamento assume nuove significati relazionali: il bambino  richiede di attaccarsi al seno per soddisfare bisogni più evoluti e avere la mamma tutta per sé. Può capitare infatti che il numero delle poppate, invece di diminuire, aumenti perché le richieste di compensazione e consolazione nella giornata di un bambino sono tante. Molte mamme si sento incapaci di porre dei confini e dei limiti a queste richieste crescenti e il processo di separazione e individuazione rischia di vivere una fase di confusione. Per le mamme che vogliono smettere di allattare o che sentono la necessità di sospendere questa piacevole ma impegnativa dipendenza reciproca, ci sono però altri modi per dare soddisfazione a questi bisogni senza frustrare il benessere del bambino e magari regalandogli un ruolo attivo nella ricerca di nuove forme di soddisfazione: i riti dell’addormentamento, il ruolo dei padri, i giochi da fare insieme, le coccole, etc. Allattare oltre l’anno è una sfida. Una mamma sicura e capace di gestire i confini tra sé e il figlio può, a mio parere, prolungare l’allattamento senza grossi problemi. Una mamma consumata da un figlio sempre più esigente, che le richiede senza tregua di attaccarsi al seno, è bene che lavori sulla capacità di rassicurare e sostenere il bambino nel tollerare la frustrazione legata alla sospensione progressiva dell’allattamento. A un figlio serve soprattutto una mamma che sa scegliere con coscienza e sapienza quello che è bene per lui e lo sappia mettere in pratica.

Mi piacerebbe che si sviluppasse un confronto privo di giudizi, nel quale tutti si sentano liberi di portare la propria esperienza e di ascoltare quella degli altri. Un caro saluto a tutti.



(Per leggere un utile compendio sull'allattamento cliccate a questo indirizzo:
http://www.unicef.it/Allegati/Strategia_globale_alimentazione_neonati_bambini.pdf


Pubblicato il 01 marzo 2011 - Commenti (5)
23
feb

Bugia o verità?

Lara (6 anni): «Mamma, esiste Babbo Natale?».
Matteo (5 anni): «Papà, un bambino può morire quando è ancora piccolo?».
Paolo (7 anni): «Ho messo il dentino che mi è caduto sul comodino; dici che il topolino mi porterà i soldini?».
Stefano (8 anni): «Ma anche tu e il papà fate l’amore? Quando e dove lo fate?».
Luca (6 anni): «Fabio mi ha detto che sono gay, cosa vuol dire?».
Maria (5 anni): «Quando uno muore dove va?».
Riccardo (4 anni): «La befana mi porterà il carbone?».
Alice (4 anni): «Mamma, butti la polverina per fare i sogni belli?».
Bea (9 anni): «Come nascono i bambini?».
Tommaso (5 anni): «Perchè quella signora sta lì in strada vicino al fuoco?».

Le parole di Maria Grazia (commento al messaggio del 17 febbraio) mi hanno fatto riflettere. Le bugie, nell’arte dell’educare che ciascun genitore prova a esercitare con i propri figli, sono sempre qualcosa da evitare? Questa domanda mi sembra molto stimolante perché ci aiuta a riflettere sulle parole che usiamo per dare risposta alle tante domande che i nostri figli ci pongono. Prendo spunto dalla risposta che il padre ha dato a Tommaso: «Perché ha freddo, così si riscalda». Tommaso ha quindi concluso: «Allora portiamola a casa nostra, così non ha più freddo!».

Ci sono verità che è importante non nascondere, ricercando parole a misura di bambino, avviare l’incontro con la verità piena. Tutte le domande sulla sessualità, sulla vita e sulla morte, meritano risposte vere. A Tommaso, il padre avrebbe potuto dire: «Quella donna offre il suo amore per soldi. Di solito un uomo e una donna stanno insieme perché si conoscono e si piacciono e decidono di volersi bene e prendersi cura uno dell’altro, un po’ come fanno la mamma e il papà. Purtroppo però ci sono persone che pagano per avere questo e persone che vendono il loro amore per soldi». «Ma povera! Perché lo fa?». Da qui si apre la possibilità di un dialogo che aiuta a costruire significati su ciò che ci circonda.

Lo stesso papà può però travestirsi da Babbo Natale, aiutare il suo bambino a preparare il fieno per le renne e il latte davanti al camino, oppure andare di notte a mettere una monetina a fianco del dentino caduto. Facendo questo sta mentendo a suo figlio? Direi proprio di no, lo sta solo aiutando a coltivare una magia che presto lui stesso saprà ridimensionare, ma che per ora lo rende felice e lo aiuta a sognare. E alla domanda di Stefano cosa rispondere? «Sì, anche io e papà facciamo l’amore, ma dove e quando è una cosa privata, nostra. Fare l’amore è qualcosa di molto personale nella vita dei grandi, quindi non ti posso rispondere. Posso solo dirti che quando sarai grande scoprirai anche tu questo meraviglioso modo di volersi bene. Alcuni genitori mi hanno raccontato che, a notte fonda, quando i figli dormivano beatamente e loro si ritagliavano un momento d’intimità a porta chiusa, improvvisamente hanno sentito bussare». A un bambino di 6 anni che chiede «Come mai la porta era chiusa? Cosa stavate facendo?», è meglio rispondere: «Stavamo facendo l’amore» oppure «Dormendo. Ci siamo dimenticati la porta chiusa».

Cosa serve di più al bambino, la verità o la bugia? Aspetto le vostre riflessioni. Un caro saluto a tutti.

Pubblicato il 23 febbraio 2011 - Commenti (0)
17
feb

Bugie per fare l'amore

È sabato o domenica pomeriggio e siete tutti a casa. Al vostro compagno brilla una luce speciale negli occhi, intuite dire che potrebbe essere il momento giusto per stare un po’ insieme dopo una settimana di corse frenetiche e stress. Sentite il desiderio irrefrenabile di mettere una musica soft, accendere candele e incensi, riempire la vasca e mettervi qualcosa di carino addosso. Peccato che non siete soli: i vostri figli adorano spegnere le candele, la vasca è invasa dai giochini e il pizzo vi scatena un prurito irrefrenabile. Forse è meglio abbassare il tiro e accontentarsi di un po’ di privacy nella propria stanza. Ma cosa dire ai figli (tanti o pochi che siano) perché si tengano lontani dalla camera dei grandi? A volte un cartone animato non basta a trattenerli lontani e per non rischiare meglio chiarire bene il concetto.
In questo caso sono ammesse bugie a fin di bene… è troppo importante che mamma e papà continuino a volersi bene e quindi ecco alcune idee:

1.   “Mamma e papà vanno di là a fare il cambio degli armadi. Dobbiamo tirare fuori tutto per fare ordine e pulire gli scaffali. Cosa preferite: stare qui a guardare il cartone (o a giocare in cortile) o venire con noi a spostare maglioni, spolverare, riordinare i cassetti, etc.?” Con buone probabilità sceglieranno la prima possibilità. “Bene, allora non potete venire di là perché altrimenti pestate i vestiti per terra e mamma e papà si arrabbiano. Vi diciamo noi quando abbiamo finito. Questa scusa si può utilizzare al massimo due volte per stagione.
2.    “La mamma ha molto sonno perché stanotte ha riposato poco. Se adesso ci fate dormire un’oretta stasera invitiamo a cena… (una famiglia amica con figli), altrimenti mi sa che dobbiamo tutti andare a letto presto!”
3.   “Papà deve smontare in camera una presa della corrente. Ci sono i fili che danno la scossa in giro e non dovete assolutamente venire di là perché è pericoloso.
4.   “Papà (o mamma) deve fare una telefonata di lavoro molto importante con dei colleghi di un’azienda russa. La telefonata deve essere registrata e non ci possono essere interruzioni quindi non dovete assolutamente venire di là o fare rumore. Chiaro?!” Se pensate ci sia bisogno di rinforzare la cosa potete aggiungere che se la telefonata non andrà a buon fine papà dovrà partire per una settimana in Russia. Se pensate che una settimana senza papà possa solleticare qualche fantasia di trasgressione, potete dire che i russi verranno una settimana a casa nostra e si dovrà cucinare solo minestra russa fredda di carne e verdure.

Avvertenze: non ripetere per troppe volte consecutive, potrebbero generare percezioni distorte della realtà. Tenete le candele e l’incenso per quando miracolosamente i vostri figli saranno tutti fuori da qualche amichetto. In ogni caso chiudete la porta a chiave!
 
E voi, come conciliate la vostra intimità di coppia con i ritmi frenetici della famiglia? Riuscite a ritagliarvi dei momenti per voi anche quando i figli sono in casa? Che importanza date a questa dimensione per la tenuta della vostra coppia? Aspetto i vostri pensieri e nuove bugie d’amore. Grazie per i vostri contributi, è bello leggervi!

Pubblicato il 17 febbraio 2011 - Commenti (4)
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