Don Sciortino

di Don Sciortino

Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.

 
26
ago

16 anni senza vacanze

La rivista mi fa tanta compagnia. Soprattutto in momenti così difficili per le famiglie. Spesso, assieme a mio padre, commentiamo gli articoli e troviamo conforto nel sapere che ci sono persone che combattono contro tanta precarietà economica. Da anni, ho dovuto tagliare molte spese. Anche quelle necessarie.
Mi arrabbio quando sento che i nostri politici, “poverini”, hanno rinunciato alle vacanze per occuparsi di noi. O, meglio, per cercare cosa ancora sottrarci per risanare il debito del Paese. Sono sedici anni che non faccio una vacanza. La mia famiglia non se lo può permettere. Dovevo aiutare i figli negli studi e finire di pagare il mutuo, con il solo mio reddito di dipendente comunale. Ho imparato a non vergognarmi nell’accettare i vestiti usati di qualche mia amica. Per fortuna, c’è ancora mio padre che ci sostiene negli imprevisti. Non voglio mostrare ai figli la mia tristezza, ma ci sono giorni in cui sono afflitta. Continui a levare la sua voce contro chi, per mantenere i propri privilegi, continua a tartassarci. La sua voce ci dà coraggio. Mantiene viva la speranza che, un giorno, qualcosa cambierà.

Anna Maria P.

Non c’è rabbia nella tua lettera, cara Anna Maria, ma tanta dignità, che non è rassegnazione. Sono famiglie come la tua, con tanti sacrifici, che tengono in piedi il Paese. E che non meriterebbero una classe politica così inetta e incapace, come l’attuale. Nei frangenti in cui è il Paese, se un politico avesse ancora la spudoratezza di lamentarsi per le ferie interrotte, ci sarebbe davvero di che indignarsi. Soprattutto, pensando a chi, come te, da anni non fa ferie. Mi piacerebbe poter pubblicare la notizia di uno o più parlamentari che hanno provveduto a “pagarti”, di tasca propria, una vacanza. Sarebbe un atto di giustizia. Cari onorevoli, c’è qualcuno che vuole ripulirsi la coscienza?

Pubblicato il 26 agosto 2011 - Commenti (1)
23
ago

Immaturi a 43 anni e con figli grandi

Ho quarantatré anni e sono una mamma divorziata. I miei figli sono grandi, uno ha quasi vent’anni e l’altro diciassette. Le scrivo perché sono delusa dalle persone con cui sono a contatto, sia nella vita privata sia al lavoro. Prima mi fidavo ciecamente di tutti, ora non più. Per tre anni e mezzo ho frequentato un uomo della mia età, e mi sono illusa. Accettavo le sue condizioni, pur di non perderlo. Lui voleva sempre avere ragione, io ero sempre quella che sbagliava. Per mia fortuna, a fine giugno, mi ha lasciata e non si è più fatto sentire. Adesso c’è un ragazzo, più giovane, che vorrebbe conoscermi meglio. Ma ho paura e continuo a rimandare. Lui ha qualche problema: due anni fa, è stato vittima di un brutto incidente in macchina. Nel mondo del lavoro sono circondata da gente falsa e invidiosa. Le colleghe sono sempre pronte a giudicarti e a farti del male. Nonostante i miei anni, non so che fare. Vorrei chiedere consiglio ai miei genitori. E, naturalmente, anche a lei.

Maria Teresa F.

In questo caso, cara Maria Teresa, più che gli altri, il vero problema sei tu. È il tuo modo di tessere relazioni, nel privato e nel mondo del lavoro, a essere immaturo. Senza personalità. Sei succube degli eventi, senza mai prendere la tua vita in mano. Ti lasci vivere e non decidi nulla, non assumi alcuna responsabilità. Accusi e scarichi tutto sugli altri. Rinunci anche alle tue idee, pur di elemosinare briciole di amore da un uomo che, all’improvviso, scompare dalla tua vita. E non sai neppure perché. Se a quarantatré anni devi ricorrere ai genitori, come una ragazzina ai primi passi e amori, è tempo per te di un serio esame di coscienza. E di darti una scossa. Per non passare da una delusione all’altra. Abbi il coraggio delle tue scelte, anche a rischio di sbagliare. Nessuno può sostituirsi a te. Soprattutto all’età che ti ritrovi. Cercare una balia non aiuta a crescere.

Pubblicato il 23 agosto 2011 - Commenti (4)
17
ago

Davanti ai poveri mi sento in colpa

Sono un pensionato, ex preside di scuola media. Abbonato da tempo immemorabile a Famiglia Cristiana, le scrivo per un parere sulle richieste di sostegno da parte di tante sigle e associazioni. Non solo in periodo natalizio, ma ormai tutto l’anno. Io ho un bonifico mensile, per l’intero anno, a favore della Caritas italiana e della Chiesa cattolica. Ogni tanto mando altre offerte per circostanze eccezionali: terremoti, disastri naturali. In Italia e all’estero. Lo faccio volentieri, perché so che le offerte vanno a buon fine. Mi sembra molto utile aiutare i missionari. Poi, però, quando tutti i giorni trovo nella mia cassetta postale tre-quattro (e anche più) bollettini con richieste di soldi, allora vado in crisi. E comincio a pensare male: dove andranno tutti quei soldi? A chi serviranno? Parlandone con amici, alcuni mi hanno detto: «Ma che problemi ti fai? Butta tutto nel cestino». La mia pensione non è ricca, ma a me basta. Quando sento o vedo situazioni di estrema miseria, o persone che dormono per strada, mi sento in colpa di non poter (o voler) fare di più. Da qui il dubbio: sono ancora un buon cristiano?

Abelardo

Nel tuo caso, caro Abelardo, verrebbe da dire: «Hai già dato». Non avere rimorsi. Anche se, parafrasando le parole di una nota canzone, «si può dare di più». La carità ha solo il limite dell’amore, che non ha limiti. Ma i beni non sono solo quelli materiali. Si può donare il proprio tempo, l’esperienza e la professionalità. Da mettere a servizio di ammalati o bambini denutriti, nelle missioni, ospedali e campi del Terzo mondo. Più che fare ragioneria della carità, un euro in più o in meno, a questo o quell’ente, è meglio offrire disponibilità. A forza di spaccare il capello, si diventa aridi.

Pubblicato il 17 agosto 2011 - Commenti (3)
10
ago

Il degrado etico è sotto gli occhi di tutti

La Chiesa italiana non può tacere. Anzi, dovrebbe farsi portavoce della rivolta morale di tanti credenti. Il degrado etico è sotto gli occhi di tutti. Assistiamo, ogni giorno, alla mercificazione del corpo delle donne, all’uso della comunicazione per manipolare fatti e notizie a proprio beneficio, alla denigrazione del dissenso attraverso la macchina del fango. Il potere non è più a servizio dei cittadini. La legalità è piegata a interessi individuali. Si fa esibizione sfacciata della ricchezza. La corruzione dilaga negli appalti pubblici. E i diritti dei più deboli sono elargiti come assistenza. Tra morale personale e pubblica c’è ampio divario. La stessa religione è usata e strumentalizzata. I poteri dello Stato si delegittimano l’un l’altro. E la democrazia è ridotta a demagogia mediatica e populismo.
Per tutto ciò, la Chiesa è chiamata a far trasparire la sua funzione profetica. Altrimenti, verrebbe meno alla propria vocazione. Non si può scambiare la prudenza con la diplomazia del silenzio. Né ci si può estraniare, quando sono in ballo valori evangelici. Sant’Ambrogio lasciò fuori dalla chiesa l’imperatore Teodosio, reduce dalla strage di Tessalonica. San Leone Magno fermò Attila, che marciava su Roma. Cara Chiesa non tacere! Se non ora, quando?

Gian Mario - Macerata

È difficile, purtroppo, contestare la tua analisi, caro Gian Mario. Il nostro Paese versa in uno stato di profondo “coma etico”. Il degrado morale, soprattutto quando alberga in alto, rischia d’essere devastante nei confronti delle nuove generazioni. I cattivi esempi, come i vizi, fanno facile presa. Per questo, tu esigi una denuncia netta da parte della Chiesa. Dai pastori ai semplici fedeli.
L’attuale degrado è segno di una profonda crisi morale. Tra le conseguenze, c’è il diffondersi di un “pensiero debole”, che considera normale la prevaricazione. E il progressivo affermarsi di una mentalità utilitarista, che elimina la distinzione tra ciò che è giusto e ingiusto. Per ridurre tutto a interessi e tornaconto personale o di gruppo. D’altra parte, se abbiamo uomini delle istituzioni compromessi con legalità, giustizia e malcostume, che non si preoccupano del bene comune ma solo dei propri affari, tutto ciò (e altro ancora) non piove dal cielo.

Se la classe politica è allo sbando, una giusta indignazione deve chiamare in causa anche quei cattolici che appoggiano provvedimenti inconciliabili con i diritti umani e i princìpi evangelici. A dire il vero, la Chiesa istituzione, in più occasioni, s’è pronunciata con forza su importanti questioni sociali: famiglia, lavoro, migranti (irregolari e rom). E, più ampiamente, sull’attuale modello di sviluppo, che dilapida le risorse naturali. E accresce le disuguaglianze tra i Paesi ricchi e quelli poveri.
Non sono mancati ripetuti richiami del Papa e dei vescovi ai cattolici che militano nei diversi partiti e schieramenti, perché siano coerenti al Vangelo e ai valori morali che professano. La missione della Chiesa non può essere altra che annunciare il Vangelo e i valori di uguaglianza, giustizia e fraternità che ne derivano. Una missione profetica. E, quindi, necessariamente critica. Forse, non sempre la Chiesa è intervenuta in modo tempestivo. E con voce netta, senza balbettare.

Il vero problema è chiedersi quanto le direttive del Magistero siano alla base dell’agire dei cattolici in politica. In qualunque schieramento e partito essi militino. E, soprattutto, qual è la formazione a un’autentica coscienza sociale della comunità cristiana. A cominciare dalla parrocchia, nel suo ruolo insostituibile di formare le coscienze. In vista di comportamenti competenti e onesti, sia nella sfera privata che in quella pubblica. In questa direzione, l’esito dei recenti referendum ha segnato un risveglio delle coscienze. E manifestato una maggiore partecipazione alla vita del Paese. Senza eccessive deleghe. Soprattutto in bianco. È tempo, semmai, di chiedere conto del loro operato a chi ci rappresenta in Parlamento. Nonostante l’esproprio del diritto a votare, dopo l’ignominiosa “legge porcata”. Da abolire quanto prima. Un altro segnale l’hanno dato le donne, con il loro sussulto di dignità, sfociato nelle manifestazioni di “Se non ora quando?”. La voglia di cambiamento si avverte nell’aria. Il soffio di una nuova primavera spira forte.

D.A.

Pubblicato il 10 agosto 2011 - Commenti (14)
03
ago

Tasse, evasione fiscale e coscienza civile

In questo momento di crisi economica per il Paese, soprattutto per i meno abbienti, il problema dell’evasione fiscale è immorale. Oltre che odioso. Le tasse evase significano maggior peso per chi le paga e minori servizi essenziali. In qualche caso, l’evasione può diventare “complicità” in omicidio colposo. Come, ad esempio, nella Sanità. Per un cristiano la denuncia degli evasori è un obbligo etico. Altrimenti si pecca di omissione. Nella realtà dei piccoli paesi, la denuncia non può che essere anonima. Ma è più grave l’evasione fiscale o la delazione?

Roberto

Su tasse ed evasione fiscale la coscienza civile dei cittadini è poco formata. Tra corruzione e non contribuzione, alle casse dello Stato vengono a mancare cifre pari a diverse finanziarie. Soldi sottratti ai servizi sociali e alle necessità dei più poveri. Da recuperare con l’aggravio dei contributi ai cittadini. Tartassati al di là delle loro possibilità. I cristiani devono distinguersi per sensibilità sociale e amore di giustizia. Non si può andare a Messa e, al tempo stesso, sottrarsi al proprio tributo per il “bene comune”. Né è corretto giustificare l’evasione, come forma di compensazione occulta contro lo Stato “vampiro”. È un pericoloso alibi al disimpegno etico. Ma gli amministratori pubblici che sprecano i “soldi di tutti” o ne abusano per interessi personali, vanno denunciati. Quanto alla delazione, sia pure a fini buoni, sarei estremamente cauto

Pubblicato il 03 agosto 2011 - Commenti (33)
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