di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
29 mag
Vorrei che mi aiutasse
a capire quali sono gli
scandali, veri o presunti,
i “corvi”, le lotte di potere,
le speculazioni e le beghe
che hanno offuscato il volto
della Chiesa, di cui avete
scritto sulla rivista. O anche
le “sporcizie” di cui anche
lei parla. Perché si chiede al
Papa di riformare la Curia?
Mi verrebbe da pensare che
voglia restare nella residenza
Santa Marta per non dover
frequentare persone che non
lo meritano, ma non sarebbe
da lui. Per non dover pensar
male di tutti quelli, specie
i cardinali, che sono attorno
al Papa, ci dia indicazioni
più chiare, per la fiducia
e la stima che ho di lei.
Una vecchia abbonata
Conegliano (Tv)
La Chiesa è santa per sua natura,
ma peccatrice perché è
composta da uomini con i loro
pregi e difetti. Ed è sempre da riformare,
perché nel campo del
Signore, assieme al grano, cresce
la zizzania. Benedetto XVI,
in più occasioni, ha espresso
sgomento per «la veste e il volto
così sporchi della Chiesa», vedendo
come «nella rete di Pietro
si trovano anche pesci cattivi
», e come «la nave della Chiesa
naviga con vento contrario».
Il nuovo corso di papa Francesco
ci sta riconciliando con il
volto bello della Chiesa.
Pubblicato il 29 maggio 2013 - Commenti (1)
30 apr
Ho letto su Famiglia Cristiana
(n. 16/2013) l’intervento di don
Mazzi sulla Chiesa povera. Il cardinale
Biffi sosteneva l’esatto contrario:
la Chiesa deve essere ricca. E portava
a dimostrazione la differenza tra il
Battista e Gesù: questi era chiamato
Signore, non vestiva peli di cammello
ed era invitato a cena da personaggi
di riguardo. Certo, Gesù non era ricco.
Credo che il cardinale volesse mettere
l’accento su una questione ancora
oggi dibattuta. A mio parere, c’è un
equivoco di fondo: lo sfoggio di ori,
auto con autista e abiti lussuosi da
parte degli alti prelati non è una bella
testimonianza, specialmente per chi
non crede. Ma parlare di svendere
quadri, candelabri, mobili d’epoca...
mi sembra fuorviante. Gli oggetti
devozionali dei secoli passati non sono
responsabili né della crisi né della fame
nel mondo, come non lo è il Guercino
conservato nella mia parrocchia.
Sono stati donati per fini devozionali
e devono mantenere la loro funzione,
anche se confezionati con ori e pietre
preziose. Utilizzarli per altri motivi
sarebbe sacrilego. Per aiutare i poveri
la Chiesa si liberi piuttosto di certe
operazioni finanziarie, o venda beni
che non hanno nulla a che vedere con
la fede. Allo stesso modo, per ripianare
il debito, lo Stato non può mettere
all’asta gli oggetti preziosi dei musei
per venderli ad americani o cinesi:
si farebbe un torto alla nazione
e si scatenerebbe la rivoluzione.
Marco
In concomitanza con la Giornata
mondiale di preghiera per le vocazioni,
avete pubblicato un pezzo di don Mazzi
che darà un notevole contributo alla
crescita delle vocazioni! C’è da giurare
che, grazie a quell’articolo, i seminari
saranno presto presi d’assalto da giovani
che non vedono l’ora di entrare nella
“casta” di coloro che se la spassano fra
gli ori delle chiese, gli agi delle case
canoniche e tanti altri privilegi. Che si
vuole di più dalla vita? Ma don Mazzi
dove vive? Ma davvero conosce la vita
dei preti? Non sa che quasi tutti i preti
fanno da sacrestani, si cucinano da soli,
stirano, lavano panni e pavimenti, e se
si ammalano è un dramma? Lo sa che
significa stare in una parrocchia per
quarant’anni, quasi dimenticati, senza
andare per salotti televisivi e senza una
vacanza di una sola ora al mese? Ho
una foto con lui a Cortina d’Ampezzo,
dove passeggiava con i Vip (io ero di
passaggio con i miei giovani per una
gita): quel soggiorno gliel’hanno
regalato o l’ha pagato di suo? E i
poveri? Vendere, poi, i calici: a chi? Ai
rigattieri? In questa crisi, tante famiglie
vengono a bussare alle porte delle
parrocchie e nessuno se ne torna
indietro senza aiuto. E con i magri
fondi della Caritas, spesso mettiamo
mano al nostro portafoglio, senza far
tante storie. E per un prete che invita a
rubare, si fa giustizia sommaria di tutti?
Ma che Vangelo è questo di don Mazzi,
non nuovo a mostrarsi primo della
classe e dar pagelle a tutti i confratelli?
Anche questa mia lettera è brutta, certo.
E non merita di essere ospitata. Ma
Famiglia Cristiana non batte ciglio su
quella di don Mazzi. E speriamo che mi
si dica che non ho capito lo spirito della
nota, e che ho interpretato male.
E ti pareva? Con ossequi.
Don Gino
Caro don Antonio ti scrivo due righe
e se troverai tempo mi risponderai a
titolo personale, visto che hai avuto la
bontà di pubblicare già due mie e-mail
sulla rivista. Mi chiedo: chi siamo noi
cristiani? Fino al giorno prima che fosse
eletto papa Francesco, sentivo tutti
(anch’io tra questi) criticare la gerarchia
per il lusso che è in netto contrasto con
il Vangelo. Ora, invece, mi tocca sentire
critiche per le rinunce che ha fatto papa
Francesco. Nella mia famiglia, come in
tantissime altre, si è aperto
il cuore quando abbiamo sentito parole
che aspettavamo da tanto tempo. E che
dobbiamo fare nostre per non “tradire”
il Vangelo.
Guido B.
Non sono il difensore d’ufficio di don
Mazzi e avrei potuto far rispondere direttamente
a lui alle contestazioni mosse al
suo intervento su Famiglia Cristiana (n.
16/2013) dal titolo “Che bello se tutti noi
preti fossimo esempio di povertà”. Ma
non vorrei che la polemica si riducesse a
una questione personale, di accuse e controaccuse
rispetto a stili di vita, comparsate
televisive e frequentazioni di Vip, e perdessimo
di vista il vero tema del dibattito.
Al di là delle provocazioni e dei paradossi,
don Mazzi da sempre è sulla stessa onda
di papa Francesco che, appena eletto, ha
detto: «Ah, come vorrei una Chiesa povera
e per i poveri». Possiamo disquisire quanto
vogliamo su quale sia il significato della
povertà, ma la sobrietà negli stili di vita
e la concreta vicinanza ai poveri sono nel
cuore del Vangelo. Credo che don Gino sia
vicino a don Mazzi più di quanto non immagini.
In fondo, al netto dei paradossi,
entrambi vogliono una Chiesa povera.
Pubblicato il 30 aprile 2013 - Commenti (16)
29 apr
Sono un lettore da quando sono nato. Famiglia Cristiana è
sempre stata presente in casa mia. Ora ho cinquantadue anni,
sposato con tre figli, tutti “bravi ragazzi” per fortuna. Assieme
a mia moglie Emanuela stiamo cercando di educarli al meglio,
fra l’altro insegnando loro il valore della “verginità”. Parola non
più in uso, anzi fuori moda oggi. Non mi considero un “vecchio
cattolico”, cerco di stare al passo con la vita moderna. E dialogare
con le nuove generazioni, sempre nel rispetto della dottrina
cattolica. Ma c’è un “ma”: Famiglia Cristiana, che dovrebbe
difendere questi valori, dà spazio a una storia dal titolo “Così papa Bergoglio ha benedetto il nostro Raffaele” (n. 14/2013),
dove si racconta la storia di Marco e Sara e del loro piccolo
che portano le offerte al Papa durante le celebrazioni pasquali
in San Pietro. Niente di strano, anzi evviva, è un inno alla vita
e alla famiglia... Ma poi leggo: «Quando abbiamo scoperto di
aspettare Raffaele, io e Sara non eravamo ancora sposati». Poi si
è regolarizzata la questione, c’è stato il matrimonio
– bene aggiungo io –, ma farli diventare “eroi” o
modello di “sacra famiglia” mi è sembrato eccessivo.
Si dà l’idea che la Chiesa sia favorevole ai rapporti
prematrimoniali! Non voglio far polemiche,
ma i giornali cattolici non possono ignorare i valori.
La scelta della coppia per un articolo così importante
andava ponderata meglio.
Giovanni C.
Neanch’io voglio far polemiche,ma questa tua lettera, caro
Giovanni, mi amareggia. Primo perché ti fai giudice di
quella giovane coppia, senza conoscerne la storia e il cammino
di crescita cristiana. Con lo stesso criterio, per te non si
salverebbe nessuno nella Chiesa. Neppure un santo come
Agostino di Ippona, di cui dovresti conoscere il passato prima
della conversione. Il Vangelo ci insegna a non giudicare
per non essere giudicati. E guai a ritenersi giusti, disprezzando
gli altri. Dio legge nel cuore, difficile poterlo ingannare.
Come ci mostra papa Francesco, Dio è così misericordioso
che anche quando ci giudica ci ama. E non si stanca mai
di perdonarci. La perfezione cristiana è una meta, non un
dato acquisito in partenza. I conti si fanno alla fine.
Pubblicato il 29 aprile 2013 - Commenti (0)
03 dic
Abito in un piccolo paese
di provincia. Desidero
sottoporle due domande.
Prima: il fedele può
“richiamare” (certamente
con garbo) il proprio
parroco sulla necessità
o dovere di fissare un
giorno per le confessioni?
Non si può trascurare questo
sacramento, anche se il prete
deve correre tra le diverse
chiese sparse nelle frazioni
del paese. Seconda: il fedele
può chiedere al viceparroco,
persona giovane, di tenere
l’omelia domenicale stando
più aderente alla pagina
evangelica? E non limitarsi
a una semplice e generica
esposizione religiosa? Cosa
possiamo fare noi fedeli
quando constatiamo qualche
carenza nei preti? È nostro
diritto-dovere intervenire?
Nella M.
Nel Vangelo si parla di correzione
fraterna. E non ci sono limiti,
se non quelli della carità
e della verità. In una comunità,
se c’è pieno coinvolgimento
di tutti nella corresponsabilità,
ci si può dire tutto. E trovare
anche le soluzioni migliori per
il giorno e l’orario delle confessioni.
Così come si può fare un
garbato appunto, in spirito costruttivo,
sulle omelie. Ma, al
tempo stesso, tutti devono mettersi
in discussione. Nel dialogo
e nel confronto. Nessuno è
spettatore o giudice. Altrimenti,
criticare e sparare addosso
al parroco o ai suoi coadiutori
è fin troppo facile e comodo.
Un pretesto lo si trova sempre.
Più proficuo, invece, è “camminare
insieme”.
Pubblicato il 03 dicembre 2012 - Commenti (7)
25 ott
Mi capita di leggere spesso su Famiglia Cristiana lettere
critiche nei confronti della Chiesa. Talvolta, sono così
superficiali da farmi sorgere il dubbio che possano averle
scritte dei cattolici praticanti. Le cito quel lettore che critica
perfino i ricchi paramenti liturgici. Come se i celebranti li
usassero per vanità. La citazione della “Chiesa del grembiule”
la trovo fuori luogo. Si può servire il prossimo anche
indossando dei paramenti che esprimono decoro e bellezza.
Nelle feste di ingresso di parroci e vescovi è auspicabile una
maggiore sobrietà. Ma sarebbe dannoso ripetere gli errori del
dopo concilio Vaticano II. Quando nel nome dell’essenzialità
si liquidarono feste patronali e tradizioni religiose popolari.
In cambio di “feste” goderecce senza alcun richiamo religioso.
Da lei mi sarei aspettato un commento più articolato.
Simone
L’amore per la Chiesa, quando è sincero, non è esente da critiche.
È quella “correzione fraterna”, cui ci chiama il Vangelo.
Giorni fa, commemorando a Spello fratel Carlo Carretto, un profeta
dei nostri tempi, che ha vissuto il Vangelo nella sua essenzialità,
mi ha molto colpito un suo testo. Duro e sincero. Lo affido alla
tua riflessione, caro Simone, e a quella dei lettori: «Quanto sei
contestabile o Chiesa, eppure quanto ti amo. Quanto mi hai fatto
soffrire, eppure quanto a te devo. Vorrei vederti distrutta, eppure
ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure
mi hai fatto capire la santità. Nulla ho visto nel mondo di
più oscurantista, più compromesso, più falso, e nulla ho toccato
di più duro, di più generoso, di più bello. Quante volte ho avuto
la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, e quante
volte ho pregato di morire tra le tue braccia sicure».
Pubblicato il 25 ottobre 2012 - Commenti (6)
21 ago
Sono tra coloro che non riescono
ad affermare la propria fede
debole senza incredulità e dubbi.
Il dolore quasi insopportabile
di sciagure, di figli strappati alla vita
precocemente dalla malattia
o dalla brutalità, di orrori compiuti
da uomini verso altri esseri umani,
mi pongono tanti interrogativi.
Mi disturbano anche i cerimoniali,
gli addobbi, gli sfarzi, i riti solenni
che la Chiesa usa praticare. Li vedo
stridere con l’essenzialità evangelica.
Mi fanno sentire spettatore di eventi
scollegati con la realtà quotidiana.
Preferirei riti e abiti semplici, sobri,
se non poveri. Gli scandali dovuti
a innumerevoli casi di pedofilia
e a quelli finanziari, contribuiscono
a gettare discredito sulla Chiesa,
soprattutto perché le parole
di autocritica e la richiesta di scuse
paiono arrivare tardivamente.
E ancora debolmente. Si predica una
morale rigida, si esalta la famiglia
e si tace su condotte devianti gravi
e dannose. Tutto ciò alimenta un
certo comprensibile anticlericalismo,
ma mette in difficoltà la nostra
debole fede di credenti.
Manlio R.
La testimonianza della Chiesa è
spesso offuscata da stili di vita poco
sobri. O da scandali che coinvolgono
preti e vescovi, che vengono meno al
loro impegno di consacrazione a Dio.
Cedono alla debolezza della “carne”
o alle sirene del successo e dei soldi.
Ciò non inficia affatto il messaggio
evangelico. Anche se questi episodi
vengono enfatizzati da giornali e Tv,
che amano i pettegolezzi sugli uomini
di Chiesa. E danno l’idea che tutta
l’istituzione ecclesiale sia corrotta e
perversa. È vero che un albero che cade
fa più rumore di una foresta che
cresce, ma nel mondo centinaia di cristiani
muoiono martiri per la fede.
Ma non fanno notizia.
Pubblicato il 21 agosto 2012 - Commenti (15)
02 mag
Ho cinquantotto anni e sono un cattolico praticante da sempre. Ho
appena finito di leggere la notizia che, in appena quattro mesi e
mezzo, ben ventitré imprenditori si sono tolti la vita per disperazione.
Una buona percentuale sono del ricco Nordest. Dati agghiaccianti.
Di fronte a una simile situazione, perché la Chiesa, che è chiamata
a difendere i più poveri e le persone in difficoltà, non alza nemmeno
un dito? Perché resta impassibile di fronte all’abuso di potere di chi
ci governa? Ce l’ho anche con quei politici cattolici che vanno a Messa
e poi, tranquillamente, pensano solo ai loro affari e interessi privati.
Hanno una bella faccia tosta! Sto perdendo fiducia in questa Chiesa
poco credibile, che non prende posizioni forti. D’altronde, le chiese
sono sempre più vuote e calano anche i cattolici praticanti.
Giovanni - Verona
“Padova, strangolato dai debiti impresario edile si uccide”; “Non riesce a
pagare gli stipendi, imprenditore si uccide”; “Gli affari vanno a picco, si uccide
il titolare di un minimarket”... Ogni giorno, sono queste le notizie che
fanno capolino, con più frequenza, sui giornali. Una vera escalation, che
non può lasciare indifferenti, ma deve scuotere le coscienze di tutti. Lo Stato
così sollecito nell’incassare i soldi dei cittadini, con qualche eccesso di intimidazione
per i più deboli, è sordo ai reclami di imprenditori che falliscono,
anche perché lo Stato non paga. La Chiesa è in prima linea, con Caritas e
parrocchie, in aiuto a famiglie e lavoratori in difficoltà. E si sprecano gli appelli
solidali. Non ultimo quello del cardinale Scola, per una maggiore attenzione
«al prolungarsi della crisi, con le sue drammatiche ricadute».
Pubblicato il 02 maggio 2012 - Commenti (23)
12 apr
Le voglio raccontare una storia a lieto fine, che mi
piacerebbe fosse letta dal signore di Padova, che
le ha scritto (FC n. 13/2012). Nostro figlio (unico),
a diciannove anni ci ha comunicato che non avrebbe
più frequentato la Messa e i sacramenti. Noi abbiamo
rispettato la sua scelta, come ha scritto anche lei,
pensando che sarebbe stato controproducente
obbligarlo. Era un ragazzo normale: studio, amicizie,
uscite il sabato sera. Non ci ha mai dato problemi.
Anche se capivo che era insoddisfatto. Per la Giornata
mondiale della gioventù, a Roma nel 2000, abbiamo
ospitato due ragazzi olandesi. Lui s’era preso il compito
di accompagnarli. Così ha partecipato ad alcune Messe.
Dopo quell’evento, ci è sembrato che tutto fosse
tornato come prima. Così non è stato. Il Signore stava
lavorando per la sua rinascita. E dopo tanto travaglio,
l’esito è stato sorprendente. Non solo mio figlio
è tornato alla fede, ma è entrato in seminario.
E l’anno prossimo sarà ordinato sacerdote.
A.B.
Caro don Antonio, la sua risposta al lettore
di Padova preoccupato per i suoi figli, che non
partecipano più alla Messa, mi ha lasciato perplesso.
Lei ha scritto che la fede quando diventa obbligo è
controproducente. Mi chiedo: se anche la scuola fosse
una libera scelta, crede che i miei figli vi andrebbero?
I miei genitori mi hanno insegnato a “santificare
le feste”. Ai miei tempi, la domenica non ci mettevamo
a tavola se non eravamo andati a Messa. Sarà stata una
costrizione, ma oggi sono grato ai miei genitori. Anche
il mio parroco dice sempre di non costringere i figli ad
andare a Messa. Ma il risultato è che in chiesa non ci va
più nessuno. Io credo che un genitore dovrebbe dare
ai figli quello che ritiene utile per loro.
CESARE
Le vie del Signore non sono le nostre. E sono
anche infinite. Egli lavora nel silenzio e non ha
fretta. Lascia che le decisioni maturino al momento
giusto. E, soprattutto, senza costrizioni.
Non può esserci merito dove a prevalere è l’obbligo
e non una libera scelta. Così è per la crescita
e la maturazione della fede dei nostri ragazzi.
La prima preoccupazione non dovrebbe essere
quella di riempire, comunque, le chiese. Ma
formare cristiani adulti, maturi e consapevoli,
che sappiano dare ragione della propria fede.
La partecipazione alla celebrazione eucaristica,
la domenica, seguirà poi come un bisogno, una
necessità di cui non possiamo fare a meno. Per
attingere dall’Eucaristia quella forza e alimento
necessari per essere veri testimoni nella società.
Purtroppo, oggi, i cristiani sembrano dissociati
tra quanto vivono nelle liturgie e gli stili di
vita pubblica, poco evangelici.
Pubblicato il 12 aprile 2012 - Commenti (16)
28 mar
Sto riflettendo sulla nostra povera Italia, e mi
chiedo come abbia potuto degenerare a tal
punto da essere peggiore di tanti Paesi europei,
che non hanno la nostra cultura cattolica. Da
noi non c’è legalità, l’evasione fiscale è diffusa,
l’individualismo è esasperato, manca il senso
dello Stato e di appartenenza alla società, la
furbizia è assurta a virtù, non esiste la certezza
della pena, la volgarità è ostentata, la corruzione
è diventata sistema e il Parlamento è spesso una
gazzarra. Non è piacevole dipingere un quadro
a tinte così fosche di questo “disgraziato” Paese.
Purtroppo, è la realtà che abbiamo sotto gli
occhi. Possiamo solo esibire primati negativi,
che ci screditano nel mondo. Perché tutto ciò
avviene in un Paese cattolico per eccellenza
come l’Italia?
Renato M. - Padova
È impressionante questa lista di mali italiani, caro
Renato. Ma è anche difficile contraddirti o presentare
un quadro con tinte meno fosche. Perché tutto
ciò avviene in un Paese così cattolico come l’Italia?
Forse, dovremmo chiederci se cattolici lo siamo davvero.
Non solo di nome, ma anche di fatto. All’anagrafe
battesimale l’Italia è cattolica quasi al cento
per cento. Ma quanto la fede è solo un fatto di tradizione
e quanto, invece, incide sui nostri comportamenti
quotidiani? Lo stile di vita cui è improntata la
società spesso fa a pugni con i princìpi evangelici e
la dottrina sociale della Chiesa. Oggi, non conta più
l’essere, ma il possedere, l’apparire, il successo e i
soldi. Ai credenti spetta il compito d’essere “lievito”
e “sale” per dare un sapore cristiano alla vita e alla
società. Non solo a parole, ma soprattutto con la testimonianza
e l’impegno civile.
Pubblicato il 28 marzo 2012 - Commenti (10)
05 mar
Su quasi tutti i mass
media abbiamo letto
che la Chiesa, finalmente,
pagherà l’Imu. Giustizia
è stata fatta, hanno detto
in molti. Non so che
risposte dare alle accuse.
Mi pare che ci sia un attacco ideologico alla
Chiesa, al di là della
verità dei fatti. E i radicali
sono in prima fila.
Dimenticano, però,
il contributo pubblico che
prendono per la radio.
Quasi dieci milioni di
euro, mentre si lesinano
i soldi ad altre emittenti
private, di cui molte
cattoliche. A che titolo
questo contributo per
i radicali? Forse perché,
talora, si sono venduti
l’anima al precedente
governo?
Un lettore
Autorevoli giornali e apprezzati
giornalisti hanno
contribuito ad alimentare
nell’opinione pubblica
un’autentica “bufala”: la
Chiesa, finalmente, pagherà
l’Imu sui propri immobili.
Ma la Chiesa ha sempre
pagato le tasse su tutte le
attività commerciali! Nessuno,
con un minimo di onestà
intellettuale, può affermare
il contrario. Era esentata,
come tanti altri organismi
ed enti laici, solo per
le attività solidali ed educative.
Le polemiche e gli attacchi
finiti sui giornali, alimentati
soprattutto dai radicali,
riguardavano situazioni
“miste” (culto e commercio),
su cui ora s’è fatta
chiarezza. La Chiesa, anzi,
ha invitato a procedere nei
casi ove la legge è stata violata.
Ci aspetteremmo altrettanta
chiarezza in altre
istituzioni.
Pubblicato il 05 marzo 2012 - Commenti (2)
25 gen
Le scrivo queste poche righe, dettate dalla rabbia e dallo sconforto nei confronti di un sacerdote. All’inizio di gennaio, il mio povero cognato è morto di infarto, lasciando noi parenti sconvolti nel dolore. Il giorno del funerale, abbiamo chiesto di poter leggere due parole dall’altare, in memoria del nostro caro. La risposta del parroco è stata dura e irremovibile. Per non creare un precedente. «Se volete», ci ha detto, «potete farlo, ma fuori della chiesa, dopo la funzione». Mi chiedo: perché altrove è permesso? Quali criteri si seguono? Perché ci è stato proibito di dare un ultimo saluto all’uomo, al padre, all’amico che non rivedremo più? Finita la cerimonia, il parroco si è defilato velocemente in sacrestia, senza neanche un breve saluto alla vedova e ai figli. Ho sempre meno fiducia negli uomini. Anche quelli di Chiesa.
Rocco C.
L’assenza di umanità in circostanze particolari come la morte di un familiare è davvero scoraggiante. È triste leggere una lettera come questa. Basterebbe davvero poco, un saluto e un po’ di cortesia, per alleviare la sofferenza di chi ha subìto il trauma di una perdita. Quei parenti non avevano chiesto di fare una sceneggiata in chiesa, ma di dare un saluto al proprio caro. Non credo volessero mettersi in mostra o esibirsi. Visto come sono andate le cose, immagino che anche la celebrazione sia stata del tutto anonima, senza calore e partecipazione. Peccato, così viene meno il conforto spirituale della fede e della liturgia. Se in chiesa burocratizziamo anche la morte, forse è perché abbiamo cristallizzato il Vangelo.
Pubblicato il 25 gennaio 2012 - Commenti (18)
21 dic
Seguo spesso la sua rubrica, pur non essendo un abbonato. Le confermo
la stima per la capacità di ascolto, che è una forma altissima di carità.
Frequento la parrocchia e sono attivo nel volontariato. Mi considero una
persona in ricerca. Sono, però, contrariato dal diniego del nostro vescovo
a una manifestazione contro questo assurdo sistema politico e sociale.
Si
parla di crisi economica, ma non si tagliano sprechi e alti costi della politica.
O le spese militari. Uno schiaffo alla povertà. E al futuro incerto dei nostri
figli.
Ho tanta paura. Né mi rincuorano le stanche catechesi di tanti preti. Se i
laici devono essere il terreno fertile in cui germoglia la Chiesa, perché tarpare
le ali a chi vuol volare?
La primavera del Concilio si sta spegnendo. Mentre
ad Assisi il Papa prega per la pace con i rappresentanti delle religioni, nelle
cattedrali di tante città si ha paura a condannare la guerra. Che è sempre uno
scandalo.
Troppi don Abbondio affollano la nostra Chiesa. Manca la profezia.
Noi cattolici siamo alle prese con beghe da sacrestia.
Francesco M. - Bari
I tempi che viviamo richiederebbero
una Chiesa coraggiosa. Con più
profezia. Ma anche laici “adulti”
nella fede. Non più minorenni, soggiogati
dal clero.
Siamo tornati indietro
rispetto al Vaticano II, che
aveva scoperto vocazione e dignità
dei laici. In forza del battesimo, che
ci accomuna nella Chiesa come “popolo
di Dio”. Pur con diversità di
compiti e ministeri.
Va recuperata
quella spinta profetica del Concilio.
Una speranza non solo per la Chiesa,
ma per il mondo intero. Oggi,
c’è una terribile involuzione. E la
tentazione, non più strisciante, di
un ritorno al passato. Alla ricerca di
false sicurezze.
Pubblicato il 21 dicembre 2011 - Commenti (49)
06 dic
Non si può avere Dio per padre se non si ha la Chiesa per madre. Critichiamo la Chiesa perché la amiamo. Da ragazzo, ho fatto una domanda al mio prete dell’oratorio sulle ricchezze del Vaticano. Ho compiuto settant’anni, quel bravo sacerdote marcia verso i novanta, ma non mi ha ancora risposto. È vero che le riforme nella Chiesa hanno tempi biblici e che bisogna avere pazienza. Di fronte ai casi di bisogno, non si possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la suppellettile preziosa del culto divino. Al contrario, potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dare cibo, casa e vestiti a chi ne è privo. Così dicono alcuni documenti ecclesiali. Ora, in tempo di crisi, sarebbe bene che la Chiesa desse il buon esempio in fatto di sobrietà. E, per aiutare i poveri, utilizzasse non solo i contributi dei fedeli e dello Stato, ma anche i propri beni. Una cura dimagrante sarebbe opportuna anche per lei.
Carlo M.
Se dopo tantissimi anni non le è giunta la risposta del suo prete, forse la domanda era mal posta. Assecondava pregiudizi e luoghi comuni. Con scarsissimo fondamento. L’invito a maggiore sobrietà e condivisione dei propri beni è, comunque, sempre valido. Non solo per i preti. Contro la tentazione di adagiarsi nel benessere. O illudersi nella ricchezza, trascurando i poveri. A fronte di qualche “controtestimonianza” (la Chiesa è fatta di uomini peccatori), ci sono esempi splendidi di condivisione e comunione. Il cardinale Tettamanzi ha donato i propri beni a favore dei poveri. In questi giorni, nella diocesi di Locri-Gerace, i sacerdoti hanno deciso di autotassarsi. E destinare una parte del loro stipendio o della loro pensione “ai più poveri tra i poveri”. Un piccolo gesto pubblico, oltre a quanto già fanno nel silenzio, aiutando tante famiglie bisognose.
Pubblicato il 06 dicembre 2011 - Commenti (27)
19 ott
Ruby, al centro del processo milanese.
Ho letto il commento del sociologo Franco
Garelli sulla divisione dei cattolici
sul “caso Ruby”.
Mi reputo un “cattolico
del dissenso”. Così, trentacinque anni fa,
veniva chiamato un gruppo di giovani della
mia città, che si opponeva alle posizioni rigide
della Chiesa. Per questo, le sembrerò un po’
severo e non troppo ortodosso nelle mie interpretazioni.
L’articolo si chiedeva come mai i
praticanti sono più tolleranti rispetto a chi frequenta
di meno la Chiesa. Probabilmente, a
mio parere, perché sono più “ortodossi”. Mentre
i meno praticanti sono più abituati a pensare
con la propria testa e non secondo i voleri
dell’autorità.
Purtroppo, nella storia, si è creato un sodalizio
poco virtuoso tra Chiesa e potere. Le masse
poco alfabetizzate facevano comodo ai potenti.
Questi elargivano benefici e leggi a favore della
Chiesa, perché predicando l’obbedienza al potere,
tenesse le masse nell’ignoranza.
Che c’entra
ciò con la situazione attuale? Anche oggi, la
Chiesa ha preferito appoggiare un potente,
dai comportamenti moralmente discutibili,
che però le garantiva leggi a suo favore sulla
vita e la scuola, piuttosto che schierarsi dalla
parte di chi ha maggior senso dello Stato,
dell’onestà, della democrazia.
Mi lasci fare, per un attimo, il “comunista”
(non lo sono, ma voglio provocare). Qual è il
grande vulnus del pensiero progressista di sinistra?
È la sottrazione del potere della Chiesa
sui temi della bioetica. Quel che conta non è
l’onestà della società, ma che il monopolio sulla
sfera vitale e sessuale rimanga saldo nelle
mani della Chiesa.
È facile che chi è ai margini
della Chiesa sia portato a essere severo con i
comportamenti libertini. Mentre chi è più ortodosso
consideri che la maggior disgrazia sia
il pericolo comunista. Non l’immoralità, la
corruzione o il rischio totalitario.
Aggiungiamoci, poi, un sentimento tipicamente
italiano: è meglio fare invidia che pietà.
Così l’immagine del “macho”, dell’aggressivo,
del vincente, attira le masse. Ne abbiamo
avuto un esempio circa ottant’anni fa. Anche
allora un signore diceva: «Me ne frego». E a lui
abbiamo consegnato la Patria, i figli e anche
l’oro delle fedi nuziali.
La Chiesa, oggi, deve
scongiurare il pericolo di una guerra fratricida.
Non voglio dire che debba rinunciare ai
propri princìpi, ma c’è anche il bene dello Stato
da tutelare. Le democrazie sono molto più
fragili, e le vite umane più preziose di ogni
dogma.
Credo sia più meritorio per la Chiesa
convincere i cattolici a combattere contro il
pericolo della disgregazione.
Non dimentichiamo il danno che farà quella
dottrina che porta a legalizzare l’illecito,
pur di rimanere in sella. Siamo a un novello
machiavellismo: il fine che giustifica i mezzi.
Oggi, però, il fine è molto meno nobile di
quello di “messer Machiavelli”. Non più il governo
dello Stato, ma il tornaconto personale.
A ogni costo, in modo arrogante e sfacciato.
Gian Piero
Sulla vicenda del caso Ruby, che ha coinvolto
direttamente e pesantemente il capo
del Governo, i cattolici più praticanti
hanno dimostrato una maggiore tolleranza rispetto
a chi frequenta meno la Chiesa. Così, almeno
secondo i sondaggi. Come spiegare questa
differenza? In particolare, come interpretare
la tolleranza di una vicenda che non è proprio
tollerabile?
Gian Piero indulge sulla tesi di
un certo sodalizio tra Chiesa e potere politico. Di qui l’enfasi sull’obbedienza al potere politico,
piuttosto che sull’agire secondo la propria
coscienza. Anche in un eventuale disaccordo
con l’ordine costituito. È una tesi che, in assoluto, non rende ragione
del fatto che, nella storia, si sono verificati
più contrapposizioni che compromessi tra Chiesa
e potere politico.
L’altra obiezione riguarda
la massa analfabeta e disinformata di una volta,
lasciata volutamente in questa condizione
da parte della Chiesa. Ignorando, invece, quanto
essa ha fatto per l’istruzione dei ceti popolari.
Grazie anche a tante iniziative di istituzioni
religiose.
Forse, una maggiore tolleranza sul caso
Ruby, da parte dei più praticanti, va trovata
in quella tendenza del mondo cattolico a
identificarsi in una cultura conservatrice.
Considerando più sovversivi persone e gruppi
sociali che propongono profondi cambiamenti
sociali.
Si pensi, nel mondo cattolico di allora,
alla scarsa recezione dell’enciclica sociale Rerum
novarum di Leone XIII. C’è stato chi ha letto
quel documento, che rivoluzionario non era,
in chiave favorevole al socialismo e al comunismo.
Chiunque faceva un discorso di giustizia
sociale o di lavoro era considerato di sinistra
(comunista).
L’articolo 1 della Costituzione italiana
recita: «L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro». E non è mancato,
tra i commentatori, chi ci ha visto l’influsso della
cultura marxista. Come se la problematica
del lavoro fosse monopolio del marxismo.
E così
i cattolici più praticanti stavano con il potere
politico della destra, considerata baluardo contro
i comunisti. Unico pericolo dal quale occorreva
difendersi.
Un’altra spiegazione della maggiore tolleranza
sta nel prevalere di interessi, finalizzati al dominio
su ogni altra istanza. O nel ridurre la politica
a un mestiere redditizio, nel sostituire la normalità
della menzogna alla verità morale dei diritti
umani, alla verità storica e alla verità giudiziaria.
Non sparisce il richiamo ai valori, ma
il riferimento è abbastanza retorico, perché
i valori non sono legati a ideali di vita che riguardano
giustizia, società e storia.
Se c’è una maggiore tolleranza dei cattolici
praticanti del malcostume personale e politico,
c’è da chiedersi come mai la dottrina sociale
della Chiesa intercetta così poco i credenti praticanti.
È segno, forse, che la fede cristiana è ancora
ridotta alla celebrazione del culto. Con poca
o scarsa incidenza nella formazione sociale
delle coscienze. Rese, così, incapaci di indignazione,
protesta e proposta.
Pubblicato il 19 ottobre 2011 - Commenti (37)
31 ago
Caro don Antonio, sono un suo fedele abbonato. Sposato felicemente (così, almeno, credevo) da trent’anni, ho un bravo figlio, infermiere professionale nel reparto di rianimazione. Nell’agosto dello scorso anno abbiamo appreso che “mio” figlio è omosessuale. Dico “mio” perché da quando mia moglie ha saputo del suo orientamento sessuale, ha alzato un muro anche con me. Ora io mi divido tra mio figlio e il suo compagno e casa nostra. Il problema più grande per mia moglie è stata la vergogna. Era preoccupata di cosa potevano dire parenti e amici. E dove abbiamo sbagliato nel crescerlo. Colpe che, onestamente, io come padre non condivido.
Quando ho invitato mio figlio a parlarne tranquillamente (mia moglie si è
rifiutata a un confronto), mi sono accorto di avere davanti una persona
a me sconosciuta. Ha raccontato di aver avuto certezza del suo
orientamento all’età di sedici anni. Mi ha confidato di non avercelo mai
detto per non darci un dolore. Ma io come ho fatto a non capire e a non
capirlo? Ha parlato delle sue tante sofferenze e derisioni. A volte,
sino a sfiorare il razzismo. E anche della non facile scelta nel trovare
un compagno che, come lui, coltiva sani princìpi morali e cristiani.
Ora mio figlio convive con questo ragazzo, un medico del suo stesso
reparto, che ho conosciuto a casa loro, durante una cena. Mia moglie mi
ha dato del pazzo per aver accettato quell’invito. Inutile dirle che per
me, al contrario di mia moglie, la cosa più importante è sapere mio
figlio sereno e felice.
Posso io giudicare? In casa, però, ora vivo da separato con una moglie
che si è dimenticata di essere anche madre. E tuttora fa la catechista.
Ci parliamo poco. E, per sua volontà, dormiamo anche in camere separate.
Come può un genitore dimenticarsi del proprio figlio? Certo, tutto si
può dire delle coppie omosessuali: che non sono legalizzate, che non
dureranno nel tempo, che danno scandalo… ma dimentichiamo che sono anche
due esseri umani. Tutti siamo figli di Dio. Le coppie eterosessuali
danno sempre il buon esempio? Non aggiungo altro. Forse, in un futuro
non troppo lontano, anch’io andrò a far parte di quelle coppie
“eterosessuali separate”.
Lettera firmata
Un figlio rivela ai genitori di essere omosessuale e di convivere con un compagno. Non l’ha detto prima per non recare dolore. La reazione è di profondo sconcerto. I genitori si dividono. Anzi si oppongono tra loro. Al punto da far prefigurare una possibile separazione. Nel frattempo, si pongono tante domande. Soprattutto il padre. Interrogativi comprensibili ma inconcludenti. Perché non me ne sono accorto? Cosa avrei dovuto fare? Dove abbiamo sbagliato?
In base alle acquisizioni scientifiche finora disponibili, non sappiamo
ancora se l’orientamento omosessuale è attribuibile a fattori biologici o
psicologici. Vale a dire, se è innato o acquisito. Una cosa è certa, ed
è il presupposto da cui partire: l’orientamento o la tendenza
omosessuale non è una libera scelta dell’individuo che, invece, si
scopre tale con profonda difficoltà a farsene una ragione. Quel che
conta è aiutare la persona a riconciliarsi con sé stessa e ad accertarne
il limite, che nulla toglie alla sua dignità. E alla realizzazione
umana e cristiana, se credente.
L’insegnamento del Magistero è
esplicito: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona puramente come
un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa
identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio,
erede della vita eterna» (Congregazione per la dottrina della fede, Cura
pastorale delle persone omosessuali, 16).
La dignità della persona,
omosessuale o eterosessuale che sia, è il punto fondamentale di partenza
per affrontare gli altri problemi. Il primo riguarda il comportamento,
cioè il modo di vivere la tendenza omosessuale. Se, infatti, non si è
responsabili della condizione omosessuale, lo stesso non si può dire
dei comportamenti Sia pure con tutti i condizionamenti interni ed
esterni che esistono.
La biologia e la psicologia potranno, forse,
spiegare l’orientamento omosessuale, ma non possono indicare come
viverla. La morale cattolica indica queste direzioni: accettare e
rispettare la persona; proporre la realizzazione umana e cristiana
attraverso l’accettazione della propria condizione omosessuale; vivere
la relazione in termini di amicizia. Per questo, la Chiesa disapprova la
convivenza omosessuale in base al significato del rapporto sessuale che
è unitivo e procreativo. E, come tale, ha senso solo nel matrimonio. I
conviventi omosessuali (ma anche quelli eterosessuali) non possono
accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma, in quanto
battezzati, sono nella Chiesa e possono partecipare alla vita liturgica e
caritativa della comunità ecclesiale. I genitori che non ne condividono
la decisione di convivere, sono forse obbligati a interrompere la
relazione con il figlio? La rottura dei coniugi tra di loro e con il
figlio aggiunge solo male al male. D’altra parte, mantenere il rapporto
con il figlio non significa approvare e condividere la scelta della
convivenza omosessuale. Occorre mantenere sempre aperto il dialogo e il
confronto. La Chiesa, da parte sua, difende sempre la dignità della
persona. Di ogni persona umana. E denuncia ogni forma di
discriminazione, emarginazione e offesa. Nella società, nella
legislazione, nel lavoro.
Pubblicato il 31 agosto 2011 - Commenti (11)
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