di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
19 ott
Caro don Antonio, a me non fanno pena i ragazzi,
ma gli adulti incapaci di trasmettere quei valori
che sono alla base del vivere civile. Ai nostri figli, oggi,
non facciamo mancare nulla. Ma spesso non abbiamo
tempo per loro. Siamo troppo impegnati a correre
nel nostro vivere quotidiano. E ciò riguarda anche
i sacerdoti. Non ci fermiamo mai a cercare di capire
cosa loro sentono dentro. Siamo bravi a criticarne
i comportamenti, ma non ci chiediamo se anche noi
abbiamo delle responsabilità. Vorrei dire a quei lettori
che le scrivono per contestare i giovani, che la maggior
parte di questi hanno ideali e valori. E si danno da
fare. Sono molto meglio di quanto crediamo. Conosco
laureati che non si vergognano di fare i camerieri.
E poi non credo che le passate generazioni fossero
tutti degli angioletti. Qui da noi, in Veneto, giravano
tutti col coltello in tasca e bruciavano i pagliai.
Diamo più fiducia ai giovani. Magari con qualche
sorriso in più.
Guido B. - Romano d’Ezzelino (Vi)
A ogni tempo il suo affanno. A poco giova il confronto
col passato, se è solo per una classifica qual è la generazione
migliore. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Fin
dall’inizio del mondo, da Caino e Abele. Una tavoletta assira
del 2800 avanti Cristo dava per imminente la fine del
mondo «perché la corruzione e l’insubordinazione sono diventate
cose comuni e i figli non obbediscono più ai genitori
». Ciò detto, va colto l’invito di Guido ad avere più fiducia
nei giovani. Con più ottimismo. E a puntare su di loro
con coraggio. Sono il nostro investimento per il futuro. E
sono molto meglio di come vengono rappresentati. I mass
media parlano solo degli eccessi dei pochi, ma ignorano
l’impegno dei molti. Basterebbe dare un’occhiata al mondo
del volontariato. O alla preziosa opera di tanti giovani
che impegnano il loro tempo, con generosità, per assistere
ammalati, poveri o bambini handicappati. Purtroppo, la
foresta che cresce fa poco rumore.
Pubblicato il 19 ottobre 2012 - Commenti (4)
03 apr
Ho sedici anni e frequento la seconda
liceo presso una scuola statale. Prima
frequentavo un istituto paritario cattolico
che, come tanti altri, ha dovuto cessare
la sua attività. Quando sono arrivato nella
nuova scuola, assieme ad altri studenti,
non siamo stati accolti nel migliore
dei modi. Ci prendevano in giro perché
provenivamo da una scuola religiosa.
Ci siamo scontrati anche con gli insegnanti,
che non accettavano i nostri metodi
di lavoro. Abbiamo constatato molta
superficialità. Svolgono il loro ruolo non
come una missione. Sembra che lo facciano
solo per lo stipendio. L’insegnante deve
avere carisma, deve essere un’autorità
morale, saper andare al di là delle nozioni.
Oggi si elogia tanto la scuola statale,
ma non ha niente di più di quella cattolica.
Anzi, spesso sembra avere smarrito il suo
“scopo”.
Tommaso M.
Non giova a nessuno la contrapposizione
tra scuola statale e paritaria. Entrambe svolgono
un ruolo pubblico. E come tali devono essere
considerate. E anche sostenute dallo Stato.
Considerare private le scuole cattoliche è
concezione errata, perché il loro servizio è pubblico.
Spero si possa arrivare, quanto prima, a
riconoscere questo dato. Anche per evitare che
molte altre scuole cattoliche, come la tua, caro
Tommaso, siano costrette a chiudere per impossibilità
di sostenere i costi. I genitori devono
poter avere la libertà di scegliere la migliore
offerta formativa, senza dover pagare una
seconda volta se mandano i figli in una scuola
paritaria. Il nodo «senza oneri per lo Stato»,
scritto nella Costituzione, si scioglierebbe se solo
si badasse al bene degli studenti e delle famiglie
e non alle ideologie. Quanto agli insegnanti,
essi devono essere consci della responsabilità
che hanno e del delicato compito che
svolgono nella società. Nelle loro mani si formano
i cittadini del domani.
Pubblicato il 03 aprile 2012 - Commenti (1)
23 nov
Quella “mamma in difficoltà” che le ha chiesto l’abbonamento a Famiglia Cristiana, non ha nulla da vergognarsi. Vorrei dire alla signora che, per il suo ragazzo, la privazione di un film per mancanza di soldi potrebbe essere un’occasione di crescita. Sono le difficoltà che aiutano a maturare. Un film non è essenziale. Si vede che suo figlio è stato bene educato. Non ha esigenze e non ha protestato. Lei, invece, nella sua risposta, ha gettato sale sulla ferita. Ha fatto sentire vittima la madre. Avrebbe dovuto dirle, con le parole di Gesù: «Beati i ragazzi che, con le privazioni, crescono forti e capaci di affrontare le difficoltà della vita».
Gaspare
Non confondiamo l’educazione a uno stile sobrio di vita con la privazione dei beni necessari per vivere. Sono cose ben differenti. Troppo comodo dire agli altri che i sacrifici aiutano a crescere più forti e a maturare meglio. Soprattutto se le parole provengono da case confortevoli, con tavole imbandite d’ogni ben di Dio. Forse, sarebbe bene condividere pesi e sacrifici. E, ancor più, distribuire ricchezza e benessere con più equità. Non stiamo parlando di lussi sfrenati o sperperi indecenti. Parliamo di qualche spicciolo per la visione di un film. Caro Gaspare, più che una predica, mi sarei aspettato un aiuto concreto per quel bambino. Come hanno fatto altri lettori. Con generosità e in silenzio.
Pubblicato il 23 novembre 2011 - Commenti (11)
07 nov
Sono una ragazza ventitreenne cresciuta con Famiglia Cristiana
come punto di riferimento della mia informazione. Le scrivo per
manifestare il mio sdegno per un dibattito televisivo su matrimonio
e tradimenti. Mentre due ragazzi spiegavano la bellezza del
sacramento, due “stelle” del piccolo schermo, ormai decadute,
sostenevamo che il tradimento ha una funzione terapeutica. Ma che
esempio diamo ai nostri giovani? Io credo nell’amore, quello vero.
E ho trovato chi condivide con me questi pensieri. Mi sconcerta
la mentalità corrente, per cui “tradire” è normale, lo fanno tutti.
Spesso gli adulti si lamentano perché i giovani di oggi pensano
solo a divertirsi. E dicono che, ormai, non si sposa più nessuno.
Ma si sono chiesti che esempio ci danno?
Annalisa
Quanto agli esempi di vita, i
giovani hanno poco da imparare
da certi adulti e dai loro stili di vita.
Soprattutto quegli adulti diventati
la rappresentazione vivente di
una società senza valori. Tutto ormai
è relativo. Non c’è distinzione
tra bene e male. Quel che conta è
apparire, avere successo e soldi.
Ognuno pensa ai propri interessi.
Cresce l’egoismo e il disinteresse
per le persone bisognose. Non c’è,
addirittura, alcuna remora a definire
interventi terapeutici comportamenti
immorali, come il tradimento.
Stiamo rovinando un’intera
generazione di giovani. Nel totale
disinteresse di tutti. Per questo,
l’educazione ai valori è la
grande sfida dei nostri tempi.
Pubblicato il 07 novembre 2011 - Commenti (1)
07 set
Ho apprezzato molto la risposta che
ha dato, la settimana scorsa, alla
signora Gaia, una “pecorella smarrita”.
È un periodo in cui la Chiesa è attaccata
su molti fronti, dall’Ici all’8 per mille.
Ma il bene che fa è così invisibile? Eppure,
le case d’accoglienza, le mense per i poveri,
sono diffuse su tutto il territorio. Nella
mia città ce ne sono tre, una gestita dalla
Caritas, le altre due da suore. In una ha
operato come volontario anche mio marito.
Conosco stranieri che grazie alle suore sono
riusciti a trovare un lavoro e a integrarsi.
La Chiesa fa tanto per chi soffre, per gli
emarginati, per gli ultimi. Dà da mangiare
agli affamati, eppure si vuole cercare
“il pelo nell’uovo”. In questi tempi, si sta
impegnando per i profughi che arrivano
a Lampedusa. Ma questa notizia non
interessa i media nazionali, hanno altro
cui pensare. È facile puntare il dito. Più
difficile l’impegno personale. Propongo
a Gaia di rimboccarsi le maniche, forse si
sentirà meno smarrita.
Alma B. - Lodi
La Chiesa non è fatta solo di santi. Ci sono
peccati e peccatori.Ma spararle addosso, come
avviene periodicamente, prendendo a pretesto
false notizie su presunti privilegi, ormai è stucchevole.
Se non fosse ancora chiaro, lo ribadiamo:
solo i luoghi di culto e le attività destinate
ad attività sociali non pagano tasse. E questo
vale anche per le altre confessioni che hanno
intese con lo Stato. Voler tassare la solidarietà
è aberrante. Se per un giorno si fermassero preti
e parrocchie, si bloccherebbe l’Italia.
d.A.
Pubblicato il 07 settembre 2011 - Commenti (9)
14 giu
Le scrivo per condividere con lei un pensiero che mi gira per la testa da diversi mesi. E per capire se, grazie alla rivista, lo si potrebbe mettere in atto. Lavoro come educatore e credo che, ormai, siamo in molti a condividere i notevoli danni che la televisione continua a fare.
Nonostante tutti i risvolti positivi che questo strumento potrebbe avere. La provocazione consisterebbe in questo: lanciare una raccolta di firme da indirizzare al Papa e chiedergli di “scomunicare” la televisione. La mia è una provocazione per richiamare l’attenzione sull’uso scorretto che se ne fa. Penso, in particolare, ai danni nei confronti dei bambini. Che ne pensa?
Emilio C. - (Sondrio)
Se vuoi liberarti la mente, abbandona subito questa tua provocazione. Non è il caso di scomodare il Papa e la scomunica. O di chiedere il nostro supporto per raccogliere firme. E poi, non è certo la Tv che è da scomunicare. Come mezzo, in sé, essa è neutra. Può fare del bene o del male: tutto dipende dall'uso che ne facciamo. Come tu stesso riconosci. Sia da parte di coloro che la programmano, sia da parte di noi utenti che, spesso, la "consumiamo" in modo passivo e alienante. In positivo, varrebbe la pena che ci educassimo a farne un buon uso. In modo critico e intelligente. Intanto non accendendola per noia, come rumore di sottofondo, perché non si sa che cos'altro fare. O per sentire una "voce", un "suono", che ci faccia compagnia. Come rimedio alla solitudine o a un vuoto di interessi. E a tavola, quando la famiglia è riunita, togliamole il ruolo di "ospite fisso". Invitiamola solo quando vogliamo noi. A vantaggio di due parole da scambiare con i propri figli.
Pubblicato il 14 giugno 2011 - Commenti (0)
30 mag
Ho quarant’otto anni. Sono
lavoratrice a tempo pieno
e ho due figli. A fine settimana,
arrivo molto stanca e cerco
di occupare il poco tempo
disponibile nella cura della casa
e dei figli. Come tante donne.
Mia madre, al sabato mattina,
si presenta sempre da me per
essere accompagnata al cimitero
per andare a trovare mio padre.
E questo, ormai, dura da dieci
anni. Premetto che l’ho sempre
accompagnata con tanto piacere,
ma ultimamente mi è diventato
un peso. Mi sento obbligata.
O quasi. E non c’è nessun altro
che la vuole accompagnare,
perché ognuno ha i suoi impegni.
Mia madre vuole andare,
tassativamente, ogni settimana.
E se non l’accompagno mi sento
in colpa.
Franca S.
Visitare i propri cari al cimitero è
cosa sacrosanta. È gesto che esprime
comunione di affetti e rafforza
non solo il ricordo, ma anche gli insegnamenti
che ci hanno lasciato.
Lo faccio anch’io coi miei genitori,
sepolti nel piccolo cimitero del paese
in cui sono nato, in Sicilia.
Ogni
occasione è buona, anche per pochi
minuti, per un saluto, una preghiera
e un fiore da deporre sulla loro
tomba. Per questo comprendo tua
mamma, che mantiene nel tempo
un legame di amore, più forte della
morte. Un po’ meno la capisco,
quando è così ossessiva con i vivi,
cioè con te. Senza alcun rispetto per
i tuoi impegni di lavoro e di famiglia.
Approfittando della tua arrendevolezza,
rispetto al rifiuto degli
altri familiari. Così da trasformare
un “piacere” in peso e obbligo. La
disponibilità non è schiavitù. Non
avere, quindi, sensi di colpa a farle
comprendere che sei sempre disponibile,
compatibilmente ai tuoi impegni.
Anche tuo padre capirà!
Pubblicato il 30 maggio 2011 - Commenti (0)
04 gen
Sono abbonato da tempo, genitore di
una ragazza adolescente di ventun anni.
Ho avuto un’educazione cristiana. E sono
vissuto in una famiglia patriarcale d’origine
contadina, dove i princìpi, il rispetto per
gli altri, la parola data erano regole di vita. Le
scrivo perché ho problemi con mia figlia. Anzi,
veri e propri scontri su tanti temi della vita.
Lei vuole essere totalmente libera, perché è
maggiorenne, rientrare la notte a qualunque
ora, farsi il piercing. Di andare a Messa non
vuole sentirne parlare.
Ammonimenti, rimproveri e arrabbiature
non sono serviti a nulla. La mia lotta, forse,
non è contro mia figlia. Ma contro questa società
che “obbliga” i ragazzi ad andare a ballare
solo dopo mezzanotte, perché prima devono
ubriacarsi nei pub. E anche contro Tv e
Internet, che propongono programmi e immagini
che non sono il meglio per l’educazione
cristiana. Perché meravigliarsi se i nostri figli
non rispettano più nessuna autorità, dai genitori
ai professori? Dopo programmi come Amici
o Grande Fratello abbiamo trasformato anche
un grave fatto di cronaca, la morte di Sarah,
in un reality televisivo. Un vero e proprio
“tritacarne mediatico”.
Mi piacerebbe che la Chiesa facesse sentire
la sua voce contro chi sta “rovinando” i nostri
figli. Mi creda, oggi, è difficile educare i ragazzi
con sani princìpi morali. Da soli, non ce la
facciamo più. Non credo a quelli che mi dicono
che basta essere d’esempio ai figli. I tempi
attuali sono molto diversi dal passato. Noi
lottavamo per degli ideali, religiosi e politici.
Avevamo più entusiasmo. E, soprattutto, non
c’erano i mezzi di informazione che tanto influiscono
sulle nuove generazioni. Le chiedo
un consiglio: come diventare il buon genitore
che sognavo d’essere? Complimenti per la
nuova impostazione della rivista. E, soprattutto,
per le nuove rubriche sui bambini e gli
adolescenti.
Lucio C.
Come educare i figli? Problema antico, in
salsa sempre nuova. Forse, caro Lucio,
nemmeno il passato era così roseo, come
lo descrivi. Né i figli altrettanto docili. I contrasti
sono sempre esistiti, anche quando era meno
permesso, rispetto ai nostri giorni, esprimere
dissensi. Un particolare mi ha colpito nella
tua lettera di padre sfiduciato che non riesce a
modellare i comportamenti della figlia come
vorrebbe. O come ritiene che sia giusto. Tu parli
di lei come di un’adolescente. E poi precisi
che ha ventun anni. Forse, trascuri che a
quell’età un figlio o una figlia sono adulti.
Certo, un tempo a ventun anni non si era solo
maggiorenni secondo l’anagrafe: i figli maschi
si guadagnavano già da vivere e le femmine
erano sposate e madri di più figli.
I cambiamenti sociali più recenti sono andati
in due direzioni opposte: la maggiore età è
stata abbassata a diciott’anni (e c’è chi spinge
per abbassarla ancora per concedere l’autorizzazione
a guidare), mentre l’indipendenza effettiva
dalla famiglia è stata procrastinata.
Non solo non ci si sposa più a vent’anni, ma si
è in un processo di formazione che richiederà
ancora anni per essere completato. Per non parlare
della precarietà del lavoro.
Per questo, forse, ti è venuto spontaneo considerare
tua figlia ventenne ancora come un’adolescente.
E come tale, pensare di controllarla in
tutto: dagli orari di uscita e di rientro alla partecipazione
a Messa. Ma se questa è un’impresa
difficile con un adolescente “vero”, immagina
quanto più lo sia con un giovane adulto
che, di fatto, vive in casa, ma mentalmente
e affettivamente gravita altrove.
L’altro punto interessante della tua lettera
(vale per tanti altri genitori) è la sensazione di
dover combattere contro un nemico inafferrabile,
onnipresente e irriducibile. Che è il modello
di vita che ci propone la cultura edonistica e
consumistica dei nostri giorni. I giovani ne sono
facile preda. Assieme al latte materno assorbono
questo modello di “videocrazia”. Dove
quel che conta è apparire e avere successo. A
qualsiasi prezzo. Anche vendendo il corpo e
l’anima. Alcuni stili di vita odierni sono
quanto di più anticristiano e antievangelico
ci sia. Oggi, il principale sforzo educativo consiste
nello sfuggire alla corruzione ambientale.
Che, ormai, ci circonda da ogni parte.
Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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